Sport, società, violenza: la rivolta di Viareggio

Andrea Torre - Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea in provincia di Lucca

Un caso di studio singolare nel contesto del primo dopoguerra.

Campo da gioco di Villa Rigutti (Il Nobile Calcio)
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Lo sport è una realtà organica che si è modificata al cambiare delle società. È una pratica viva, non solo per l’attività sul campo da gioco degli sportivi. Gli uomini e le donne dello sport, infatti, sono entità che nascono e crescono in determinati ambienti sociali con propri linguaggi e modi di rappresentarsi; sono loro che tratteggiano lo sport, perché inseriscono nelle istituzioni e nelle società sportive le complessità delle società a cui appartengono.

Questo è un dato trasversale gli attori in campo, nel senso che sia i giocatori sia gli spettatori partecipano attivamente nel mostrare la propria cultura e il momento socio-politico d’appartenenza. Per esempio, ai Mondiali in Francia del 1938 la nazionale italiana fece due volte il saluto fascista per rispondere provocatoriamente ai fischi degli spettatori – molti erano italiani antifascisti in esilio[1].

Alcuni episodi sono il frutto momentaneo della veemenza dell’agonismo. La Rivolta di Viareggio del 2-4 maggio 1920 presenta questo elemento, nel senso che nella partita di calcio tra lo Sporting Club Viareggio e l’Unione Sportiva Lucchese emerse il clima di incertezza e di violenza del primo dopoguerra italiano. Lo sport era diventato nel primo dopoguerra un fatto sociale, perché riverbera le sensazioni e i modi d’intendere dei partecipanti. E la Rivolta di Viareggio rientra in pieno nella rappresentazione concreta di quei problemi e di quei valori che passano anche attraverso il fatto sportivo, determinando atti esterni al campo da gioco[2].

 

Il contesto

 

La Grande Guerra lacerò l’Italia sotto ogni punto di vista. Nonostante la vittoria, il popolo italiano ne uscì traumatizzato per le centinaia di migliaia di morti e per la recessione economica causata dal conflitto. Era una società che aveva convissuto con la morte e la sua narrazione per tre lunghi anni, tanto che durante il conflitto anche la stampa sportiva divenne un mezzo di cronaca e di propaganda bellica.

Fu un processo che influenzò la società, perché se da un lato i valori della trincea come il cameratismo e la virilità passarono nella sfera sociale e culturale – tra cui lo sport -, dall’altro ci fu la normalizzazione degli aspetti cruenti della guerra. La violenza divenne, infatti, la normalità per quelle società che uscirono malconce dal conflitto. In alcuni luoghi d’Europa, come Germania e Italia, vi fu un certo grado d’assuefazione verso la violenza, tanto che il suo uso venne banalizzato al pari di un qualsiasi gesto quotidiano. E, come ha mostrato George Mosse, si è trattato di un dato che ha influenzato ogni pratica sociale, dal gioco al confronto tra le persone[3]. Lo sport non era esente da questo processo, proprio perché, come una spugna, assorbe tutti i sentimenti e i valori presenti nella società che lo praticano.

Tutto questo, in Italia, coincise con un momento di sviluppo e di rinnovata attenzione della popolazione italiana verso lo sport. Prima della guerra lo sport era, in generale, esclusivo a chi poteva permettersi di avere il tempo libero per l’attività fisica e a chi viveva in determinate zone geografiche. La Grande Guerra fu propedeutica alla conoscenza e alla crescita dello sport in tutta la Penisola, perché lo sport venne conosciuto e praticato dalla massa di soldati proveniente da ogni luogo d’Italia. Non è un caso se nel primo dopoguerra gli sport incontrarono un accentuato interesse, tanto che il calcio iniziò la propria rincorsa nei cuori degli italiani verso il popolarissimo ciclismo[4].

Una delle conseguenze della popolarizzazione dello sport fu l’incremento degli spettatori, che, specialmente tra il 1919-20, venne accompagnato da un aumento verticale dei casi di violenza tra tifosi e i giocatori. Le questioni socio-politiche coeve non necessariamente avevano a che fare con questi atti di violenza, perché forme di maggior aggressività avevano attecchito trasversalmente ogni ambito della socialità. Nello sport, e nel calcio in particolare, questo aspetto venne ulteriormente accentuato dalle rivalità e dal campanilismo. Il caso della Rivolta di Viareggio del maggio 1920, il primo evento calcistico in Italia dove è morta una persona, rientra proprio in questo contesto.

 

Sporting Club Viareggio contro l’Unione Sportiva Lucchese: l’inizio della Rivolta

 

La partita si svolse il 2 maggio a Viareggio sul campo da gioco di Villa Rigutti. Era la quarta giornata della Coppa del Comitato Regionale Toscano, una competizione locale minore nata dalla generale riorganizzazione del calcio nel primo dopoguerra.

C’era molta tensione nell’aria quel giorno, non solo per il campanilismo acceso tra le due società, ma per gli strascichi dell’ultima gara a Lucca tra US Lucchese e SC Viareggio dell’11 aprile finita 2-1. Il risultato poteva di certo creare dispiacere e un sentimento di rivalsa nella squadra viareggina; però, rimase impresso il sentimento d’ingiustizia sportiva di aver subito alcuni infortuni, tanto che già al termine della partita a Lucca scoppiò un tafferuglio.

Il precedente giustifica ulteriormente la presenza dei carabinieri a Villa Rigutti, perché il calcio erano state individuate come un potenziale luogo di disordine pubblico sociale. Il 2 maggio le forze dell’ordine dovevano controllare il comportamento di quasi 300 persone, per la quasi totalità composta da viareggini, soprattutto operai e lavoratori.

La partita stava andando molto bene allo SC Viareggio, che alla fine del primo tempo stava vincendo per 2-0. Nel secondo tempo tutto cambiò: la gara si fece man mano più fisica e tesa, con molti interventi di gioco duri e una forte progressione di insulti dei tifosi locali verso l’avversario. In tutto questo, l’US Lucchese arrivò a pareggiare l’incontro; fu in quel momento che il guardialinee Augusto Morganti, della squadra viareggina, colpì un giocatore lucchese con la bandierina, azionando così l’invasione di campo e un grande tafferuglio.

Le forze dell’ordine chiamarono dei rinforzi e si sbarrarono in protezione della squadra avversaria – rinchiusa negli spogliatoi -, anche se le minacce di violenza verso i lucchesi non si trasformarono in reali tentativi di assalto. Alcuni membri delle forze dell’ordine impugnavano armi bianche, mentre altri, come il carabiniere Natale De Carli, una rivoltella; e fu proprio contro Augusto Morganti che usò la sua arma, perché il militare, arrivato a faccia a faccia col guardialinee, gli sparò un colpo a bruciapelo ammazzandolo sul colpo. Tutti, compreso De Carli, avevano immediatamente compreso la gravità della reazione, tanto che il carabiniere proverà a giustificarsi in tribunale sostenendo di essersi sentito minacciato dalla folla di tifosi.

Dopo pochi secondi la folla portò via il corpo di Morganti e caricò le forze dell’ordine, che, dopo una breve resistenza, ruppero in ritirata. I giocatori e i dirigenti della Lucchese scapparono verso i binari della tratta Lucca – Viareggio; arrivarono a piedi fino alla frazione di Quiesa, dove vennero portati a Lucca da alcune carrozze che sopraggiunsero a prenderli.

A Viareggio scoppiò un tumulto generale e i rivoltosi presero con la forza e con l’intimidazione le armi dal Tiro a Segno locale e dalle caserme. Alcuni luoghi chiave della comunicazione vennero occupati per frenare ogni tentativo di arrivo di rinforzi dalle città limitrofe.

Nei due giorni successivi nella città ci furono alcuni atti di violenza verso le forze armate, che condivisero l’odio sociale assieme ai loro familiari che abitavano a Viareggio. Fu con la complessa trattativa tra il deputato socialista Luigi Salvatori e il generale Carlo Castellazzi che venne trovato un accordo per calmare gli animi dei rivoltosi, a condizione di evitare l’arrivo dell’esercito prima del funerale di Morganti e cacciando i carabinieri accusati della mala gestione della partita di calcio.

Ristabilito l’ordine, Viareggio rimase per qualche tempo sotto l’occhio del ciclone delle autorità per timore di altre possibili rivolte, per trovare i responsabili o i fomentatori dell’accaduto e per ritrovare le armi sequestrate alle autorità[5].

 

Conclusione

 

La morte di Augusto Morganti avvenne nel contesto sportivo; anche se il momento agonistico era concluso, lo strascico emotivo che culminò con lo sparo di De Carli deriva dal pathos della partita tra SC Viareggio e US Lucchese. È vero che la Camera del Lavoro di Viareggio e il deputato socialista Salvatori assunsero un ruolo centrale di dialogo con lo Stato, ma né l’inizio della rivolta né i fatti delle ore successive assunsero dei connotati politici.

In conclusione, lo sport nei primi decenni del Novecento era diventato un fatto sociale da cui potevano nascere azioni ritenute importanti per le soggettività o per la collettività. Sono manifestazioni che determinano alcuni comportamenti delle persone, sia nel periodo riportato sia nella quotidianità. Anche un solo evento sportivo poteva – e può – assumere un significato valoriale e una rilevanza pratica decisiva nell’economia dei fatti, perché sono le individualità che compongono la società a darle più o meno importanza. A Viareggio, effettivamente, l’eccesso di emotività nella partita di calcio contro la Lucchese accese molto facilmente la miccia della violenza, un tratto quasi normalizzato che permeava la società italiana nell’incertezza e nell’instabilità del primo dopoguerra.

 

 

NOTE

[1] P. Dietschy, Storia del calcio, Paginauno, Vedano al Lambro (MB), 2014, pp. 159-160

[2] D. Marchesini, S. Pivato, Tifo. La passione sportiva italiana, il Mulino, Bologna, 2022, pp. 136-137

[3] G. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Editori Laterza, Roma-Bari, edizione “Economica Laterza”, 2002, pp. 139-172

[4] A. Papa, G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia, il Mulino, Bologna, nuova edizione 2002, p. 105

[5] A. Ventura, Italia ribelle. Sommosse popolari e rivolte militari nel 1920, Carocci, Roma, novembre 2020, pp. 17-60; 1920: le giornate rosse di Viareggio, in Almanacco, Rai, RaiTeche, 1968, https://www.teche.rai.it/2018/05/1920-le-giornate-rosse-viareggio/

 

 

 

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