Il “caso Raffo” e la sua cacciata violenta dalla Cooperativa di Consumo di Pietrasanta.

Giuliano Rebechi - giornalista e storico, presidente dell'Associazione Culturale "Rolando Cecchi Pandolfini"

Una tappa nella conquista squadrista della Versilia.

image_pdfimage_print

Giovan Battista Raffo primo direttore Cooperativa Consumo Pietrasanta

Il 7 aprile 1924 una spedizione punitiva, guidata dal sindaco e segretario politico del fascio di Pietrasanta, invase gli uffici della Cooperativa di Consumo cercando di raggiungere il suo direttore commerciale che, a stento e con uno stratagemma, riuscì a sottrarsi alla furia degli invasori. Una violenza certamente grave che, senza nulla aggiungere di significativo, potremmo ben ricomprendere nel novero dei tanti, analoghi episodi già accaduti in questa città. Aggressioni e devastazioni, compiute dai fascisti fin dalla loro costituzione in partito, qui avvenuta piuttosto tardivamente il 5 marzo 1921. Così, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio, era toccato alla camera del lavoro a essere invasa e devastata mentre nel successivo mese di giugno sarà il presidente della stessa Cooperativa a venire malmenato. In seguito, subirono violenze anche due sindaci: quello di Pietrasanta e quello della vicina Massa casualmente di passaggio in città.
In realtà quanto avvenuto nei locali della Cooperativa nel pomeriggio del 7 aprile andava ben oltre una canagliesca azione fascista. Il tentativo, fallito, di far fuori fisicamente il direttore Giovan Battista Raffo si inquadrava in una più complessa vicenda che ebbe per protagonisti due acerrimi rivali: Renato Ricci, capo del fascismo apuano, e Carlo Scorza, suo omologo lucchese. Al centro dello scontro tra i due gerarchi e le rispettive fazioni era il controllo della Versilia, un territorio già a quel tempo appetibile e considerato strategico per gli assetti politici e di potere del nascente fascismo. Uno confronto durissimo che finì per coinvolgere lo stesso Mussolini, pronunciatosi in un primo momento a favore della tesi di Ricci per l’annessione della Versilia all’area apuana, quali zone contigue e omogenee, entrambe economicamente a prevalente vocazione marmifera. Un pronunciamento, quello del Duce, segnato dal rapporto di amicizia intrattenuto con Ricci. In seguito, su pressioni interne ed esterne al partito, a Mussolini non rimase che fare marcia indietro, dichiararsi contrario all’operazione e di fatto fermando-la. Scorza da una eventuale annessione dell’area versiliese a Carrara avrebbe avuto tutto da perdere, dato che la Versilia, come sappiamo, era parte integrante della provincia di Lucca.
In quel tempo a Pietrasanta, da una quindicina di anni, operava una delle più grandi e consolidate società cooperative d’Italia nel ramo del consumo. Una prestigiosa realtà commerciale e associativa con alle spalle un considerevole sviluppo produttivo, distributivo e organizzativo maturato durante e dopo il conflitto mondiale. Basti pensare ai risultati di un anno come il 1920 quando la giovane Cooperativa di Pietrasanta contava già 53 dipendenti, ai quali si dovevano aggiungere i fornai e i calzolai, una ventina di spacci e una base sociale che supera-va i 2.300 aderenti.
Una componente fondamentale, dunque, dell’economia locale, fortemente radicata nel tessuto sociale, fonte di consenso e di potere per chiunque ne controllasse le sorti. All’interno dell’antagonismo tra i due ras Scorza e Ricci si verranno definendo anche i destini della Cooperativa di Pietrasanta fino alla sua piena fascistizzazione.
Volantino 1912 Cooperativa MacelloMa per una completa comprensione del quadro ora descritto è necessario, almeno per cenni, andare alle origini della Cooperativa e ai suoi tratti distintivi che risulteranno decisivi a preservarla dall’assalto che il fascismo porterà alla cooperazione italiana.
La “Società Anonima per azioni Cooperativa” con sede in Pietrasanta nacque dopo lunga gestazione alla fine del 1907 dalla locale Società di mutuo soccorso “Giuseppe Garibaldi” e dalla sua base sociale marcatamente operaia. Oltre al perseguimento delle finalità statutarie (lotta al carovita, case operaie e così via) la Cooperativa avrebbe dovuto essere un prezioso ponte per mantenere saldo e sviluppare il legame con l’ambiente sociale e culturale della “mutuo soccorso”. L’ente cooperativo, al contrario, riverberò da subito tutt’altra luce mostrando natura e fini assai diversi da quelli di classe pur non potendosi neanche definire figlia o figliastra di quel cooperativismo “bianco”, di stampo clericale che, al di là dei confini versiliesi, aveva già attecchito a Lucca e nel resto della provincia.
La “Pietrasanta” nacque dalla secca quanto inattesa sconfitta della componente socialista in seno alla “Garibaldi”. Una sconfitta determinata in massima parte dalle abili e spregiudicate manovre del notaio Adriano Ricci, allora sindaco di Pietrasanta a capo di una giunta liberale, considerato dai socialisti la lunga mano della borghesia sulle organizzazioni operaie e del proletariato.
Della Cooperativa, nonostante la discutibile conduzione, Ricci ne sarà per sette anni il presidente. Un tempo sufficiente per imprimere all’Azienda caratteristiche sì di progresso ma con tratti moderati e borghesi, lasciandola scevra da quelle connotazioni classiste e, in certi casi, fortemente classiste che contraddistinsero tanta parte del movimento cooperativo in Toscana e nel resto dell’Italia. Questi connotati la Cooperativa di Consumo di Pietrasanta non li cambierà nel corso dei suoi sessant’anni di vita.
M - La costruzione dei magazzini generali (1927)A imprimere un indirizzo prevalentemente aziendalista alla neonata Cooperativa contribuì in misura decisiva il decisionismo di Giovan Battista Raffo, un giovane scultore di origini genovesi, che in città aveva aperto un laboratorio di scultura, di vaghe idee socialiste e noto per la sua intraprendenza e pragmaticità. Le indubbie capacità di Raffo, avvicinatosi alla Società cooperativa fin dalla sua costituzione, si manifestarono soprattutto all’indomani della disastrosa gestione del suo primo presidente. Saranno gli anni della guerra e quelli immediatamente successivi ad esaltare le doti e le capacità di Raffo. Egli, infatti, non solo contribuirà a risanare i conti e a consentire di chiudere i bilanci in attivo, con risultati davvero sorprendenti, ma sotto la sua direzione l’Azienda in poco tempo fece registrare una ulteriore espansione dei suoi commerci e dei suoi punti vendita.
Quando il fascismo, non ancora regime, iniziò un’implacabile opera di penetrazione delle istituzioni e delle più diverse realtà cittadine – da quelle associa-tive a quelle sindacali, imprenditoriali e così via – Raffo per i fascisti si presentò come l’unico vero ostacolo alla possibilità di mettere fino in fondo le mani sulla Cooperativa. Per qualche tempo essi mal sopportarono l’autonomo operare del direttore e, dopo non poche frizioni e qualche avvertimento, giunsero alla determinazione che non ci fosse altra soluzione che sbarazzarsi della sua persona.
L’appiglio fu banale. Lo ricorderà lo stesso Raffo in una “memoria” scritta molti anni dopo. “Col pretesto che il 6 aprile 1924 non avevo voluto votare nelle elezioni politiche” scrive Raffo “il giorno seguente un gruppo di facinorosi fascisti capeggiati dal segretario politico e sindaco di Pietrasanta, Andrea Ballerini invase la Cooperativa ed alcuni, anche con le armi in pugno, mi cercarono per punirmi. Riuscii ad evitare la furia degli invasori nascondendomi. Mi costrinsero però, fa-cendo sempre uso della violenza, ad abbandonare la Cooperativa con la sempre espressa minaccia che mi sarebbero derivate più serie conseguenze ove avessi osato ripresentarmi in Ufficio”.
La cacciata violenta dalla Cooperativa del suo direttore originò una lunga scia di atti persecutori nei confronti dello stesso Raffo, atti che lo costrinsero a lasciare la città per riparare a Pisa dove avviò una attività commerciale che in poco tempo fu costretto a chiudere sempre sotto la minaccia dei fascisti.
Cooperativa Magazzini. Anni TrentaIn un contesto così difficile la determinazione di Raffo fu tale da sfidare il regime ricorrendo alla magistratura e a Mussolini in persona per farsi vedere ri-conosciuto il diritto alla liquidazione, negatogli dai fascisti locali. Quella che passò come “la vertenza” trovò formale e giusta conclusione nel corso degli anni Trenta con una sentenza che riconobbe all’ex direttore i diritti economici acquisiti e ne dispose la liquidazione. Un riscatto tardivo per Raffo che non si piegò mai ai fascisti ma che non valse a evitargli un’ultima amara sorpresa. Convocato nella sede del fascio di Pietrasanta per ritirare la somma dovutagli, si sentì dire che per dimostrare fino in fondo il suo amore per la Cooperativa, tante volte da lui stesso rivendicato, ora per coerenza avrebbe dovuto elargire l’intero ammontare della liquidazione a favore della Cooperativa stessa. La lettera era già stata preparata e rimaneva solo da firmarla. Raffo la lesse e senza batter ciglio la firmò.
La storia di Raffo con la Cooperativa non finì lì. Quando la bandiera della libertà era da poco tornata a sventolare su Pietrasanta, il vecchio direttore della Cooperativa, tra la fine di settembre e l’ottobre del 1944, chiamato dal Governatore militare alleato, riprese le redini dell’Azienda in qualità di commissario straordinario. Negli stessi giorni, su designazione del Comitato di liberazione nazionale, il Governatore militare nominò a capo del Comune l’avvocato Giovan Battista Cancogni, dopo la rinuncia dell’avvocato Luigi Salvatori, e Raffo entrò a far parte dell’esecutivo come “esperto in alimentazione”.
Quei delicati e importanti incarichi rappresentarono per Giovan Battista Raffo il vero riscatto tanto a lungo atteso, salvo doversi dimettere dopo pochi mesi da entrambi gli impegni, già debilitato dalla malattia che nel marzo 1945 lo condurrà alla morte.

  • (will not be published)
  • Chi sei?

  • Titolo del tuo contributo*


  • Iscriviti alla newsletter di ToscanaNovecento
  • Puoi usare codice html: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>