Presentato a Viareggio il libro di Silvia dai Pra’ “Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria” grazie all’Istituto della Resistenza di Lucca

Chiara Nencioni - insegnante

29 Febbraio 2020 - Lucca
Copertina del volume
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Alle ore 17:00 presso Villa Argentina a Viareggio si è tenuta la presentazione del libro di Silvia dai Pra’ dal titolo Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria. La presentazione è stata curata dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Lucca ed è stata moderata da Armando Sestani, che ne è il vice direttore . Armando e Silvia hanno molto in comune: i parenti di entrambi sono originari dell’Istria, i nonni di lei, i genitori di lui. Armando infatti è figlio di esuli di Pola, nato a Taranto dove i genitori avevano trovato asilo, Silvia invece ha avuto una nonna di Santa Domenica di Albona. Fra di loro però c’è una sostanziale  differenza ed  è su questo argomento che si è aperta la presentazione. Armando ha sempre saputo l’ origine della sua famiglia e sua madre ha conservato tutti i documenti, Silvia invece ha scoperto le sue radici solo quando era già adulta. Tuttavia i genitori di Armando non sono mai voluti tornare in Istria finché quando lui, trentenne, li ha accompagnati in vacanza a Pola , 47 anni dopo la loro partenza da quella città; invece Silvia è andata con suo padre per la prima volta in Istria quando aveva 11 anni, inconsapevole di ciò che quella terra aveva costituito per la sua famiglia. Quel viaggio lo aveva fatto con suo padre nel 1988, sua nonna Iole, prima che partissero, non aveva voluto incontrarli, ma aveva lasciato solo un biglietto sul tavolo che diceva “non mi salutate nessuno, buon viaggio”. Da questo biglietto il titolo del libro. È stato in quel viaggio che Silvia ha scoperto che la nonna era jugoslava e ha iniziato a ricostruire parti del suo passato, scoprendo “il genogramma spezzato”, cioè la metà amputata del suo albero genealogico. Il libro è un memoriale, un reportage di viaggio e un  libro di storia famigliare allo stesso tempo, anzi Armando lo definisce non un libro di storia ma di storie,  perché tutti i nomi presenti in esso sono reali. La scrittura di Silvia, invece, è quella di  un romanzo.

Quando prende la parola, l’autrice afferma che non sapeva che la nonna, morta nel 2002, fosse originaria dell’Istria;  attribuiva la sua strana parlata solo al fatto che vivesse sulle Dolomiti e non fosse tocana come lei. Non riusciva a spiegarsi il pessimo carattere della nonna e nemmeno quello del padre, depresso e malato di anoressia,  pur senza ammetterlo, e aggiunge di non aver mai capito il rapporto anaffettivo che c’era fra i due, e che tanto ha condizionato anche la sua vita. Le stranezze del ramo materno della sua famiglia hanno iniziato ad essere decifrate solo dopo la scoperta del segreto che ha sempre gravato su di essa. Alla luce del poi si può capire perché la nonna diventava aggressiva (“leonessa” la definisce lei) se sentiva pronunciare la parola “slavo” o “comunista”, mentre il padre invece non faceva che definirsi comunista, anticapitalista, aveva il santino del Che sul letto e odiava gli Stati Uniti.

Ed è all’insegna dell’antifascismo che Silvia è cresciuta a Massa con la madre (i genitori si erano separati) e con l’affettuosa famiglia materna(nota a tutti per essere una famiglia di partigiani), fumando Diana blu , leggendo Il manifesto, iscritta alla federazione dei giovani comunisti e prendendosela con chi,  gridando a gran voce e facendo il saluto romano, diceva: “allora le foibe.” “Noi che eravamo cresciuti sulla linea gotica a pane e manifestazioni dell’Anpi sentivamo così distante la parola foibe“. E inaspettatamente questa parola scava veramente un inghiottitoio nella vita di Silvia. 15 anni dopo la morte della nonna e dopo la nascita della figlia,  lei torna nella casa di Agordo e lì si accorge che la nonna non aveva lasciato quasi nessun ricordo, nessuna lettera, solo un paio di foto del padre. Questo l’ha fatta incuriosire e così ha iniziato a cercare contatti con famiglie di istriani, a leggere libri, a sentire la narrazione dell’amica istriana della nonna che non aveva lasciato la sua terra, fino a scoprire del bisnonno Romeo Martini, nato Martinchic prima della forzata italianizzazione dei cognomi, finito nella  foiba di Vines nel 1943, il riconoscimento del cui cadavere l’ha dovuto fare proprio nonna Iole appena sedicenne.

Silvia parla di Vines come di un “non luogo, è un bosco in cui ci vuole il machete per arrivarci”.

Dopo aver scritto di getto i primi due capitoli, Silvia racconta che ha iniziato una indagine durata due anni tra archivi perlopiù in lingua italiana andati parzialmente distrutti, lettere, vecchie fotografie, fette della vita e della memoria delle persone che ha incontrato, con l’intento non tanto di scrivere un libro quanto di riportare alla luce la vicenda di un destino di famiglia fatto della violenza subita e dalla violenza sofferta e fatta soffrire,  di amnesie della memoria e di memorie che non possono essere condivise.

La sua ostinata ricerca è riuscita a dare un senso a vicende che parevano incomprensibile.

Silvia spiega la dedica del libro alla figlia perché è stato solo dopo la sua nascita che ha sentito il bisogno di andare a colmare quel buco del suo passato, di spezzare un cerchio che era arrivato fino a lei, nevrosi su nevrosi, affinché quel silenzio non contagiasse anche la sua Eleonora. Silvia scherza poi sul fatto che magari sua figlia la rimprovererà di averla lasciata sola per andare a presentare proprio quel libro!

A fine presentazione si torna al presente, in quest’anno in cui le polemiche sono state più numerose e violente del solito, in cui i neofascismi si sono fatti più vivi e gli hate speaches sono stati sdoganati. Silvia ammettete che a volte ha anche avuto paura quando è  andata a presentare questo libro, ad esempio quando con Eric Gobetti il 5 febbraio a Torino sono finiti nel mirino di una associazione di estrema destra e di esuli istriani.

In conclusione, forse siamo tornati davvero a quegli slogan di cui Silvia non conosceva il significato e che contrapponevano “allora le foibe?” a “allora le violenze compiute dei fascisti?”.

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