Gli anarchici apuani di fronte alla Grande Guerra

Marco Manfredi - Università di Pisa

Ritratto giovanile di Alberto Meschi
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Nelle settimane precedenti allo scoppio del conflitto mondiale i rapporti fra le forze della sinistra avevano assunto nella provincia apuana caratteri di vero e proprio antagonismo. Nel continuo gioco di contrasti e di ricomposizione delle alleanze che attraversava da anni l’organizzazione operaia, il ‘blocco rosso’ aveva infatti conosciuto una spiccata curvatura antisocialista, complici alcuni avvenimenti che avevano finito per alimentare tensioni fra le diverse tendenze fino a ridurne il potenziale sovversivo temuto dalle autorità. I sospetti di un larvato supporto degli anarchici al trionfo repubblicano nel voto comunale di Carrara del luglio 1914 si erano saldati con l’eco di furibonde accuse di parte socialista in occasione dell’elezione a deputato del repubblicano Eugenio Chiesa, impostosi nel novembre del ’13 per poche schede sul leader del PSI massese Francesco Betti. Sommate alla crescente insofferenza verso gli eccessi sindacalisti dell’anarchico Alberto Meschi, che con la Camera del lavoro carrarese era stato fra i protagonisti del congresso fondativo dell’USI del 1912, le polemiche elettorali contribuirono così a determinare nella calda estate del ’14 una dolorosa scissione nel movimento operaio con la creazione a Massa di un nuovo organismo camerale confederale da parte dei socialisti. I contrasti fra gli scissionisti da un lato e gli anarchici e i repubblicani dall’altro, sfociati in diversi casi in scontri anche mortali, non si attenuarono neppure di fronte ai problemi sollevati dall’avvento della guerra, con la prosecuzione fino al termine dell’anno di feroci dispute. Una scia di risentimenti che si saldava con la pesantissima crisi di un settore come quello marmifero che da luglio dovette fare i conti anche con il blocco dei commerci prodotto dal conflitto, capace di mettere in ginocchio l’economia di una realtà dipendente per intero dalle attività estrattive.

Se all’annuncio della dichiarazione di guerra austriaca tali divisioni non impedirono la convocazione a Carrara di un «grande comizio contro la guerra» su basi unitarie in cui il sindaco Eumene Fontana intervenne con il compagno di partito Edgardo Starnuti, il socialista Alberto Malatesta, il sindacalista Tullio Masotti e Meschi, la mobilitazione dei primi giorni costituì comunque un episodio isolato e fino all’anno nuovo seguì  una sostanziale stasi di iniziative pubbliche di segno antinterventista.

Dopo il consolidarsi della dichiarazione governativa di neutralità (3 agosto), la conseguente separazione dal campo dei contrari alla guerra dell’interventismo di sinistra si materializzò localmente nella torsione verso l’intervento dell’intero stato maggiore repubblicano: sulla scia del deputato Chiesa l’amministrazione comunale si associò senza incertezze alla posizione sancita dai vertici del partito. Gli anarchici dal canto loro tardarono a costruire iniziative spiccatamente antinterventiste e apparvero impegnati in maggior misura in azioni contro la gravissima crisi economica o in vertenze aperte dal periodo anteriore al conflitto che impedivano per il momento di far emergere in maniera chiara la tematica antibellica, anche perché ad esse continuavano spesso a partecipare, dietro la comune copertura della CdL carrarese, gli stessi repubblicani. Un’opposizione diretta ispirata ai principi antiautoritari e antimilitarsisti propri della contestazione libertaria alla guerra, pur non del tutto assente, si limitava a qualche sporadica dichiarazione alla stampa militante dei circoli più noti, mancando di momenti di presenza scenica pubblica destinati invece, in una terra proletaria come quella apuana, alla protesta di stampo economico. Anche il foglio della CdL «Il Cavatore», fondato da Meschi nel 1911 come organo camerale, dopo un’editoriale di condanna allo scoppio del conflitto interamente giocato sul filo di un acceso antipatrottismo, tenne verso il tema una linea defilata e quasi disinteressata. Mentre l’impegno di segno neutralista da parte dei socialisti apuani non era venuto mai meno e aveva continuato ad intensificarsi in parallelo con la politica del partito, i ritardi nel processo di affermazione di un’opposizione frontale e propriamente politica al conflitto da parte degli anarchici apuani non hanno risparmiato talora a Meschi sospetti di titubanze e ambiguità, parzialmente accreditati in passato anche dal maggior storico del movimento operaio apuano Lorenzo Gestri; ove si tengano tuttavia in debito conto le posizioni parallelamente assunte a livello nazionale dall’USI e dal suo leader Armando Borghi, il caso di altre realtà camerali sovversive con forti componenti interventiste e le difficoltà del  movimento libertario nei primi drammatici mesi della neutralità italiana, gli atteggiamenti assunti dall’“uomo di pietra” finiscono invero per non essere privi di una loro coerenza, chiaramente riaffermata peraltro anche dall’intensa azione da lui svolta nelle ultime settimane prima dell’ingresso italiano nei combattimenti, in cui spicca fra l’altro un intenso tour accesamente antimilitarista destinato a toccare in aprile molte località della Toscana tirrenica.

Del resto con l’avvio del 1915 lo stesso atteggiamento degli anarchici parve risentire positivamente di quel processo di maggiore definizione della propaganda attiva sul tema del conflitto iniziato in ambito libertario dalla fine dell’anno e culminato nel convegno nazionale pisano contro la guerra del 24 gennaio, che vide una folta partecipazione di gruppi  apuani. In sede di discussione Meschi, illustrata la disperata situazione economica carrarese, si dimostrò fra i più oltranzisti, giungendo a ventilare «la proposta di un moto insurrezionale immediato». A testimoniare il mutato clima, furono avviate manovre preparatorie destinate a sfociare in un’iniziativa della sua CdL che suonerà come un’applicazione decisa degli strumenti d’azione indicati dall’ordine del giorno finale antiguerresco approvato a Pisa in cui si era auspicato fra l’altro l’inizio di agitazioni e movimenti contro gli effetti economici del conflitto quali mezzi utili ad alimentare nel popolo uno spirito rivoluzionario capace di opporsi ai rischi di guerra e di sostenere un eventuale sciopero generale insurrezionale. Dopo che a fine febbraio la CdL approvò un ordine del giorno che, denunciato il peggioramento della crisi, non escludeva gravi agitazioni e per la prima volta, accanto ai soliti attacchi al governo, non risparmiava critiche al comune, il 10 marzo ricorreva allo strumento forte dello sciopero generale, accompagnato da un comizio in piazza Alberica. Anche se la piattaforma prescelta sembrava perpetuare ancora una volta l’ambiguità di precedenti iniziative, enfatizzando più le conseguenze sul tessuto economico locale del conflitto (disoccupazione e caro viveri) che le ragioni di fondo che le producevano e ammettendo ancora una volta la partecipazione del sindaco al pubblico comizio (poi vietato), la giornata si tradusse in una grande protesta antimilitarista di massa; come avrebbe sintetizzato il corrispondente dell’«Avvenire Anarchico» lo sciopero che «doveva essere per la disoccupazione si è cambiato in una imponente manifestazione contro la guerra». Gli slogan della folla, i cartelloni issati e confiscati e i manifesti affissi fin dal mattino non lasciarono dubbi sul significato politico assunto dall’iniziativa, sfociata rapidamente in una clima insurrezionale con urla di «Abbasso la guerra», sassaiole, cariche di soldati a cavallo e comparsa di barricate nelle vie del centro storico; 5 appartenenti alla forza pubblica rimasero feriti causando il conseguente arresto nelle ore successive di alcuni militanti anarchici.

Tale giornata, che finì per divenire il momento di maggiore mobilitazione avvenuto nella provincia apuana nei mesi della neutralità italiana rappresentò uno spartiacque, e con le divisioni lasciate sul campo costituì un momento di chiarificazione politica, con una marcata e non più ricomposta spaccatura, anche da parte anarchica, con i repubblicani. Del resto se l’amministrazione repubblicana si impegnò a condannare con un manifesto il tentativo di assoggettare la protesta ad una discussione «vana e pericolosa», privilegiando un tema che rompeva l’unità e la concordia, con l’intensificarsi, come in gran parte del paese, di una spirale di scontri di piazza sulla questione del conflitto i mutati equilibri divennero ancor più evidenti; così ad esempio militanti libertari parteciparono con i socialisti alla contestazione organizzata contro il parlamentare Chiesa, giunto in città la sera del 17 aprile con l’accusa di essere un «deputato interventista di un Collegio neutralista», e conclusasi a colpi di randello e con una ventina di arresti e diversi feriti. O ancora furono parte attiva nel boicottare il ‘maggio radioso’ degli interventisti carraresi, il cui tentativo di tenere una dimostrazione ufficiale a sostegno dell’ingresso in guerra sotto la statua di Mazzini con l’immancabile caricatura di Giolitti fu impedito e sopraffatta dall’arrivo di circa 450 neutralisti armati di bastone.

E tuttavia la percepibile avversione popolare alla guerra aveva a lungo faticato a trovare un coerente sbocco politico, anche per le divisioni fra libertari e socialisti che, a differenza di altre realtà, resero difficili momenti ufficiali di vera protesta unitaria, per quanto confinati ad un terreno di lotta legalitario quale quello imposto dal PSI e subito dagli anarchici. Pure questo aspetto, oltre alle urgenze quotidiane di una crisi economica gravissima e alla natura essenzialmente sindacale e proletaria del movimento anarchico locale, parve pertanto contribuire ad un neutralismo più sociale che politico, destinato a infondere alla protesta contro la guerra un profilo che finì per intrecciarsi in modi non sempre codificabili con problemi come la disoccupazione ed il carovita.

 

Marco Manfredi ha conseguito nel 2005 il titolo di Dottore di Ricerca presso l’Università di Pisa. Dal 2007 al 2009 è stato borsista postodottorato al Dipartimento di Scienze della Politica dell’Università di Pisa, mentre dall’anno accademico 2009-2010 è stato Professore a contratto di Storia Contemporanea. I suoi interessi di studio riguardano in prevalenza la storia politica e la storia della cultura del primo Ottocento e la storia delle classi subalterne, con particolare attenzione al movimento anarchico. A quest’ultimo riguardo ha vinto nel 2007 la Borsa di ricerca Pier Carlo Masini con il progetto di ricerca Linguaggio, simbologia, rituali. La cultura dei militanti anarchici in età giolittiana, e nel 2006 la Borsa di ricerca Lorenzo Gestri.
Ha scritto il capitolo su Massa Carrara nel volume curato da Cammarosano, Abbasso alla guerra!

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