Note sulla Repubblica sociale italiana in Maremma

Lorenzo Pera - Istituto storico grossetano della Resistenza e dell'età contemporanea

Manifesto del del capo della Provincia di Grosseto (13 aprile 1944)
image_pdfimage_print

Le recenti polemiche innescate dalla prevista intitolazione a Grosseto di una via a Giorgio Almirante, storico leader del Movimento sociale italiano e già funzionario del Ministero della Cultura Popolare della Repubblica sociale italiana (RSI), hanno riportato all’attenzione del dibattito pubblico locale le responsabilità del fascismo nonché il lascito drammatico della guerra civile, combattutasi con accanimento anche in Maremma tra il 1943 e il 1944[1]. Va comunque notato che a fronte di un precoce – e certo comprensibile – interesse storiografico alla vicenda resistenziale, oggetto sin dalla metà degli anni ’60 di significativi tentativi di indagine, non è corrisposta un’altrettanto vivace attenzione all’esperienza del fascismo repubblicano grossetano, fatte salve le pioneristiche ricerche di Nicla Capitini Maccabruni e il più recente lavoro di Marco Grilli sulla strage fascista di Maiano Lavacchio[2]. Altrettanto significativo è il fatto che a comporre un primo affresco complessivo sulla Repubblica sociale italiana nella provincia, seppur di taglio cronachistico e apologetico, fosse nel 1995 la penna di Vito Guidoni, all’epoca giovane ufficiale della Guardia nazionale repubblicana (GNR)[3].

Nel dicembre 2021, la pubblicazione del volume dell’Istituto Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Antifascismo, guerra e Resistenza in Maremma – curata da Stefano Campagna e Adolfo Turbanti – ha quindi voluto, tra le altre cose, colmare questo gap conoscitivo, potendo ora contare sulla disponibilità della documentazione prodotta nel corso del cosiddetto “processone”, intentato nel dopoguerra dalla Corte d’Assise speciale di Grosseto per giudicare e punire capi e gregari della RSI in Maremma. Grazie anche a questa ricchissima fonte archivistica, in larga parte inedita, la ricerca ha cercato di ricostruire i caratteri identitari, organizzativi e repressivi di un fascismo repubblicano ben deciso a riappropriarsi del perduto spazio politico sgretolatosi con il brusco crollo del regime mussoliniano, imponendo una propria seppur limitata statualità al riparo delle armi naziste[4].

Alceo Ercolani (Credits: V. Guidoni, Cronache grossetane)

Alceo Ercolani (Credits: V. Guidoni, Cronache grossetane)

All’indomani dell’armistizio e della fulminea occupazione tedesca della penisola, la federazione fascista   riapriva i battenti il 18 settembre 1943. A farsene interpreti, in un contesto segnato tanto dall’incertezza che dalla volontà di rivalsa contro vecchi e nuovi «traditori», erano in primo luogo alcuni esponenti di lunga data del fascismo maremmano: Generoso Pucci, Inigo Pucini e Silio Monti, destinati a ricoprire nei mesi a seguire ruoli politici e istituzionali di primo piano a livello locale. Un aspetto che anche nel caso grossetano lascia intravedere, nonostante i frequenti appelli propagandistici al rinnovamento e a un im­probabile ritorno alle origini sansepolcriste del movimento mussoliniano, quelle linee di continuità, più che di rottura, dell’esperienza della RSI con il defunto regime[5]. A riaffiorare erano inoltre i dissidi interni al fascismo maremmano, trascinatisi lungo tutto il Ventennio[6], che consigliavano la nomina quale commissario federale di una figura del tutto estranea al contesto locale. La scelta sarebbe caduta sul viterbese Alceo Ercolani, già ufficiale del Regio Esercito con alle spalle alcuni importanti incarichi tra le fila del Partito nazionale fascista (PNF), designato poi quale capo della provincia di Grosseto. Nonostante l’attivismo della nuova leadership fascista, il tentativo di mobilitazione ai fini bellici dell’intero corpo sociale si sarebbe dimostrato estremamen­te difficoltoso, scontrandosi da un lato con il palpabile deficit di legittimità della neonata repubblica fascista, gravata dall’invadente presenza dell’«alleato-occupante» e dalla difficile situazione militare[7]; dall’altro, scontando la diffusa indifferenza, quando non l’aperta ostilità, di larga parte della società civile grossetana, stremata da oltre tre anni di conflitto.

Le adesioni al nostro governo repubblicano – sottolineava Ercolani in una relazione stilata nell’ottobre 1943 – pervengono lentamente [e] altrettanto dicasi per le iscrizioni al partito. […] La popolazione nel grossetano è ottima sotto ogni aspetto, ma è perplessa, indecisa politicamente […]. Inoltre l’opera intrapresa da noi viene quotidianamente smantellata dal contegno arrogante e prepotente dei camerati tede­schi. […] Il popolo tutto vede e commenta sfavorevolmente, spronato da coloro che attendono ancora gli inglesi[8].

Un’alterità immediatamente percepibile tanto dal modesto, seppur non trascurabile, numero di iscritti al partito fascista repubblicano – 3.168 aderenti nel marzo 1944, appena una frazione dell’elefantiaco apparato del PNF[9] – che dal disastroso esito delle operazioni di leva, disposte per il Grossetano a partire dalla seconda metà di dicembre 1943. Nonostante l’irrigidimento delle misure coercitive mes­se in campo dalle autorità fasciste, solo un esiguo numero di reclute avrebbe infatti risposto all’appello dell’esercito di Salò, certificando con il proprio dissenso un ormai generalizzato «rifiuto della guerra» impensabile sino ad alcuni mesi prima. Come notava il comando provinciale dell’esercito, a favorire questa vera e propria «renitenza di massa»[10] avrebbe contribuito anche la presenza di «numerose, forti, ben armate […] bande di ribelli», capaci di minacciare la già precaria credibilità e la tenuta stessa dell’ordinamento fascista repubblicano[11]. L’azione via via più aggressiva delle prime formazioni alla macchia – particolarmente intensa nel Massetano e lungo il lembo meridionale della provincia – avrebbe quindi spinto le autorità saloine a mettere in campo una sempre più incisiva reazione repressiva: stante il cauto atteggiamento inizialmente dimostrato dalle forze di occupazione tedesche, scarsamente inclini a intervenire direttamente nella lotta antipartigiana laddove non direttamente minacciati nei propri interessi[12], erano soprattutto i reparti militari e di polizia italiani a rendersi protagonisti, nei primi mesi del 1944, di una serie di operazioni di rastrellamento, sviluppatesi in più occasioni a cavallo delle confinanti province di Siena e Viterbo. Aspetti questi che oltre a rimarcare l’attivismo di Ercolani, già messosi in luce per lo zelo persecutorio dimostrato verso gli ebrei[13], confermano i margini di iniziativa e gli spazi di autonomia – tutt’altro che trascurabili – attribuiti a livello locale alle formazioni armate saloine[14]. Non a caso, è nelle settimane tra febbraio e marzo 1944 che il fascismo repubblicano toscano riusciva a imporsi quale soggetto attivo della violenza, dimostrando sul campo una fattiva e brutale capacità repressiva in larga parte slegata dall’ancora limitata azione antipartigiana condotta dell’alleato tedesco nella regione. Un’offensiva che, come nel caso grossetano, dove numerose erano le camicie nere reduci da una lunga esperienza nel teatro di occupazione balcanico, avrebbe attinto alle pratiche di controguerriglia sperimentate nel corso delle precedenti guerre del fascismo.

La violenta dialettica con le formazioni partigiane trovava in Maremma il massimo sfogo nei tragici episodi del Frassine – dove il 16 febbraio venivano fucilati cinque membri della banda Camicia Rossa – e nella strage perpetrata il 22 marzo successivo a Maiano Lavacchio: in questo caso, 11 tra renitenti e sbandati catturati sui bassi rilievi di Monte Bottigli erano passati per le armi dai militi della GNR dopo un simulacro di processo sommario, alla presenza di alcuni dei familiari delle vittime accorsi dalle vicine case coloniche nel tentativo di salvare i propri cari[15]. La ricercata ostentazione del successo, volta a riaffermare la fermezza e la radicalità d’intenti delle autorità della RSI, tradiva in realtà le malferme fondamenta del potere fascista. In tal senso, ha notato Toni Rovatti, «la debolezza sul piano della legittimità, che caratterizza costituzionalmente il nuovo Stato fascista», si dimostra «una chiave interpretativa essenziale» per comprenderne l’«evoluzione nelle scelte sull’uso politico della violenza» estrema[16]. Gli effimeri successi delle forze nazifasciste non avrebbero in ogni caso impedito il crescente sviluppo del movimento resistenziale, sempre più padrone dell’iniziativa e capace ormai di contendere il controllo di ampie porzioni del territorio maremmano. Con l’inoltrarsi della primavera e la ripresa dell’offensiva alleata sulla Linea Gustav, la situazione era destinata rapidamente a precipitare, mentre le ultime segnalazioni inviate dal capo della provincia denunciavano il senso di abbandono e l’angoscia serpeggiante tra le schiere fasciste, già falcidiate dalle numerose defezioni. «La si­tuazione qui è gravissima e peggiora di giorno in giorno» lamentava Ercolani sul finire di maggio. «Non ho le armi e i pochi ar­mati non sono assolutamente sufficienti a fronteggiare le bande. Da otto mesi chiedo invano […] armi e rinforzi. Finora ho potuto resistere […]; ma ora non più. Bisogna provvedere tempestivamente!»[17].

L’improvvido allontanamento del capo della provincia, assentatosi l’8 giugno per conferire con il ministro dell’Interno, segnava infine il disordinato tracollo delle residue strutture politico-militari ancora presenti nella provincia, che si accompagnava con le ultime violenza sfogate nell’imminenza della disfatta contro una popolazione punita per aver voltato le spalle al fascismo[18]. Difficile azzardare una stima su quanti – tra militari e civili, in diversi casi seguiti dalle proprie famiglie – avrebbero deciso di abbandonare la provincia e riparare oltre l’Appennino, per sfuggire alle incognite della Liberazione e continuare la guerra al fianco delle forze tedesche. Mentre la federazione fascista prendeva sede nel piccolo centro gardesano di Bardolino, i reparti superstiti della GNR convergevano in buona parte verso Vicenza, dimostrando nei mesi a seguire un rinnovato impegno nell’azione di controguerriglia. Interessante infine notare come l’ex-capo della provincia Ercolani, elogiato dal segretario del PFR Pavolini per il «comportamento» tenuto di fronte alla «spinta dei ribelli»[19], fosse dirottato alla guida dell’Ente nazionale per l’assistenza ai profughi e la tutela degli interessi delle province invase, che avrebbe assunto nel corso dell’estate 1944 compiti politicamente assai delicati per la tenuta del residuo consenso al fascismo repubblicano.

All’indomani della Liberazione, la richiesta di giustizia proveniente dalle comunità colpite dalla violenza saloina avrebbe dovuto attendere sino al 18 dicembre 1946, quanto al termine di una lunga e complessa istruttoria, la Sezione speciale della Corte d’Assise di Grosseto pronunciava condanne piuttosto pesanti nei confronti dei maggiori responsabili del fascismo repubblicano maremmano. I successivi esiti giudiziari della vicenda avrebbero però significativamente attenuato le pene spiccate dalle corte grossetana, palesando la difficile e contradditoria transizione dal fascismo alla democrazia[20].

 

**Note**

[1] Nicola Ciuffoletti, Le vie della discordia. Polemica per l’intitolazione ad Almirante e Berlinguer, «La Nazione» (ed. on line), 15 marzo 2023 (www.lanazione.it/grosseto/cronaca/le-vie-della-discordia-polemica-per-lintitolazione-ad-almirante-e-berlinguer-64674de5). La vicenda è stata oggetto, a più riprese, di attenzione anche dalla stampa nazionale, come ad esempio in Stefano Cappellini, Hanno tutti ragione. Berlinguer, Almirante e la farsa di Grosseto. Si scrive pacificazione, si legge parificazione, «La Repubblica» (ed. on line), 17 marzo 2023 (www.repubblica.it/politica/2023/03/17/news/berlinguer_almirante_grosseto_via_pacificazione_hanno_tutti_ragione-392537736/). Per un più ampio inquadramento si veda inoltre l’approfondimento Perché no a una via intitolata ad Almirante, curato dall’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea (www.facebook.com/isgrec.istitutostoricogr). Tutti gli URL sono stati verificati alla data del 25 maggio 2023.
[2] N. Capitini Maccabruni (a cura di), La Maremma contro il nazi-fascismo, La Commerciale [stampa], s.l. 1985 e M. Grilli (a cura di), Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia, Effigi, Arcidosso (Gr) 2014. Per uno sguardo bibliografico d’insieme rimando a S. Campagna – A. Turbanti (a cura di), Antifascismo, guerra e Resistenza in Maremma, Effigi, Arcidosso (Gr) 2021, pp. 379–382.
[3] V. Guidoni, Cronache grossetane: settembre 1943 – giugno 1944, Associazione Famiglie Caduti e Dispersi della RSI, Grosseto 1995.
[4] Il presente contributo condensa alcuni degli aspetti già messi in luce in L. Pera, Alla periferia della repubblica fascista: caratteri, identità, violenza del fascismo repubblicano grossetano (1943-1945), in S. Campagna – A. Turbanti (a cura di), Antifascismo, guerra e Resistenza in Maremma, cit, pp. 131–172, cui mi permetto di rinviare per una più ampia e articolata trattazione. Le carte del procedimento della Corte d’Assise speciale di Grosseto, raccolte in quattro corpose buste, sono conservata in Archivio di Stato di Perugia, Corte d’Assise, Processi penali (ultimo versamento), bb. 79-79quater.
[5] Riprendo qui l’interpretazione offerta da D. Gagliani, Biografie di “repubblichini” e continuità e discontinuità culturali e politiche, in S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana, Carocci, Roma 2006, pp. 205–213. Per una concisa ma ricca sintesi dell’esperienza del fascismo repubblicano cfr. A. Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica sociale italiana, Carocci, Roma 2012.
[6] Sui caratteri e i profili del fascismo maremmano vedi M. Grilli, Il governo della città e della provincia, in V. Galimi (a cura di), Il fascismo a Grosseto. Figure e articolazioni del potere in provincia (1922-1938), Effigi, Arcidosso 2018, pp. 51–153.
[7] Sull’occupazione tedesca della penisola, rimane tutto essenziale il lavoro di L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
[8] ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, b. 1, f. 1/Ris, Grosseto – Situazione politico-economica della provincia, s.d. [ma presumibilmente metà ottobre 1943]. Più in generale cfr. S. Campagna, Civili in guerra e guerra ai civili. Per un profilo storico della provincia di Grosseto tra fascismo e secondo conflitto mondiale, in S. Campagna – A. Turbanti (a cura di), Antifascismo, guerra e Resistenza in Maremma, cit., pp. 29–72.
[9] Traggo queste cifre da ACS, MI, Gabinetto, RSI, b. 6, f. 45, Prefettura di Grosseto, Situazione politico-economica della provincia – Mese marzo 1944, 1° aprile 1944.
[10] S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004, pp. 218–219. Sul caso grossetano cfr. M. Grilli (a cura di), Per noi il tempo s’è fermato all’alba, cit., pp. 40 segg..
[11] Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, I-1, b. 10, f. 130, 49° Comando Militare Provinciale, Situazione sulla chiamata alle armi dei militari delle classi 1923-1924-1925 per conto dell’Esercito, 18 febbraio 1944.
[12] C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Einaudi, Torino 2015, pp. 86–87.
[13] L. Rocchi, Ebrei nella Toscana meridionale: la persecuzione a Siena e Grosseto, in E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), Vol. I. Saggi, Carocci, Roma 2007, pp. 254 segg.; più in generale cfr. S. Levis Sullam, I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945, Feltrinelli, Milano 2015, che richiama a sua volta l’attenzione sul caso grossetano.
[14] Su questi aspetti, ben evidenziati dalla più recente storiografia, si veda in particolare T. Rovatti, Leoni vegetariani. La violenza fascista durante la RSI, CLUEB, Bologna 2011 e Id., La violenza dei fascisti repubblicani. Fra collaborazionismo e guerra civile, in G. Fulvetti – P. Pezzino (a cura di), Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), Il Mulino, Bologna 2016, pp. 145–168.
[15] L. Pera, Alla periferia della repubblica fascista, cit., pp. 158–165 e M. Grilli (a cura di), Per noi il tempo s’è fermato all’alba, cit.. Sull’episodio di Maiano Lavacchio si veda inoltre la mostra virtuale Per noi il tempo si è fermato all’alba.
Storia dei Martiri d’Istia
, raggiungibile all’indirizzo: https://martiridistia.weebly.com.
[16] T. Rovatti, Leoni vegetariani, cit., p. 117.
[17] ACS, MI, Gabinetto, RSI, b. 10, f. 13, Telegramma n. 2522, da capo Provincia Grosseto Ercolani a Ministero Interno Gabinetto, s.d. [ma precedente il 29 maggio 1944].
[18] Tra il 9 e il 10 giugno, nei pressi di Roccalbegna e di Scarlino, militi della GNR venivano uccidevano due civili, presumibilmente le ultime vittime fasciste della provincia.
[19] Lettera di Alessandro Pavolini a Benito Mussolini, 18 giugno 1944, pubblicata in N. Capitini Maccabruni, La situazione della Toscana nel giugno 1944 in alcune lettere di Pavolini al duce, «Ricerche storiche», VIII (1978), n. 2, pp. 538–540.
[20] Sulle vicende del “processone” vedi M. Grilli (a cura di), Per noi il tempo s’è fermato all’alba, cit., pp. 97 segg.. Sulle aspettative e le reazioni della società civile italiana di fronte alla stagione di giustizia di transizione imbastita nel dopoguerra si rimanda, A. Martini, Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953), Viella, Roma 2019.
  • (will not be published)
  • Chi sei?

  • Titolo del tuo contributo*


  • Iscriviti alla newsletter di ToscanaNovecento
  • Puoi usare codice html: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>