LIVORNO 25 LUGLIO 1943: cadono le bombe, cade il Regime.

Marco Rossi - Biblioteca Franco Serantini - Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea in provincia di Pisa

Un'analisi del bombardamento aereo britannico sulla città labronica

Quadro di Renato Natali "Via della Madonna dopo il bombardamento"
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Ultimi scoppi lontani e chiarori d’incendi.
Poi il cielo ritorna silenzioso e stellato, dopo un’ora di tregenda provocata
dall’aviazione inglese, un’ora che è sembrata un’infernale eternità.
(Gastone Razzaguta, 25 luglio 1943)

La data del 25 luglio 1943, passata alla storia nazionale per la crisi del regime fascista e le dimissioni di Mussolini, a Livorno è ricordata per il pesante e luttuoso bombardamento subito dalla città nella notte del 24 sul 25; poco nota è invece la circostanza per la quale tra i due eventi vi era una diretta correlazione.
Innanzi tutto, va precisato che l’incursione non fu “americana” ma inglese: anche le storiche Michela Ponzani e Laura Fedi hanno ripetuto in tempi recenti l’erronea paternità, nonostante che quella corretta fosse stata già indicata dal memorialista locale Gastone Razzaguta nel 1948 e dallo storico dell’aviazione Giorgio Bonacina nel suo saggio del 1970. D’altronde, è notorio che i bombardamenti notturni sull’Italia erano prerogativa strategica della Raf mentre quelli diurni dell’Usaaf.
Avro LancasterAll’origine del bombardamento vi era l’annullamento della “Operazione Dux” progettata del capo del Bomber Command della Raf, l’air chief marshal Arthur Travers Harris, intenzionato ad eliminare il duce con un bombardamento di precisione sulle sue residenze romane (Villa Torlonia e Palazzo Venezia).
Ancor prima di un pronunciamento del primo ministro britannico, nonché ministro della difesa, Winston Churchill, su ordine di Harris furono dislocati due squadron nell’aereoporto di Blida, in Algeria, dove erano giunti dall’Inghilterra il 17 luglio, dopo aver sganciato le proprie bombe su Arquata Scrivia, San Polo d’Enza, Reggio Emilia e Bologna, mirando alle centrali elettriche.
I due squadron – tra cui il 617°, famoso per la demolizione delle dighe tedesche sui fiumi Eder, Sorpe e Mõhne – erano inizialmente composti da 24 (12+12) bombardieri quadrimotori Avro 683 “Lancaster” e, una volta atterrati a Blida in 22, rimasero in attesa di ordini, venendo nuovamente caricati di bombe, finchè giunse da Londra il contrordine di Churchill, dopo il parere negativo anche del ministro degli esteri Eden. Nel frattempo atterrarono a Blida altri 16 “Lancaster” reduci dal bombardamento sulle centrali elettriche di Cislago Laghetto e Brughiero, aggiungendosi ai due squadron.
L’esito della progettata missione sulla Capitale appariva incerto e rischioso – anche per la presenza del Vaticano – e comunque poteva rivelarsi controproducente in una fase agonica del regime; inoltre, nel giorno previsto per l’azione (19 luglio), il duce sarebbe stato a Feltre per incontrare Hitler. L’Operazione Dux fu dunque annullata, anche se nello stesso giorno Roma fu pesantemente colpita da due bombardamenti diurni statunitensi.
Gli squadron inglesi rimasero quindi a Blida in attesa di direttive, finchè non giunse l’ordine per il rimpatrio dei velivoli, con strike su Livorno lungo la rotta di rientro verso la Gran Bretagna.
Fu così che a Livorno alle ore 0,19 del 25 luglio suonò l’allarme e la gente corse nei rifugi antiaerei, mentre a bordo dei 33 Lancaster i puntatori si predisponevano ad individuare gli obiettivi nell’area portuale-industriale, non particolarmente preoccupati della reazione antiaerea.
Paradossalmente, le bombe in origine destinate a Mussolini fecero correre qualche rischio alla figlia Edda che si trovava in vacanza con i figli presso la villa dei Ciano ad Antignano, tanto che nelle sue memorie ricordò di aver veduto «incendi dappertutto».
porto di Livorno sotto le bombeSecondo le diverse relazioni delle autorità civili e militari, «rotearono sulla città per circa 35 minuti e lanciarono numerosi artifici illuminanti, seguiti da sgancio di bombe e numerosi spezzoni incendiari da quota variabile da 1700 a 5200 metri». Furono lanciate circa 200-300 bombe per un totale approssimato di 85 tonnellate, ossia un carico ridotto rispetto a quello massimo consentito, in quanto gli aerei trasportavano il carburante necessario per raggiungere l’Inghilterra, ma anche arance e pompelmi algerini.
L’elenco delle distruzioni e dei danni conferma la prevalente intenzione di colpire le strutture del porto, il silurificio Moto Fides in via Salvatore Orlando e l’Anic, anche se con scarsi risultati. Presso la Stazione marittima furono gravemente danneggiati 4 carri merci, ma l’efficace intervento dei vigili del fuoco riuscì ad arginare il vasto incendio divampato nella zona portuale, mentre presso l’ANIC bruciarono alcuni depositi di petrolio e annessi baraccamenti. Lo stabilimento del Gommificio italiano in via delle Sorgenti andò completamente distrutto dalle fiamme; danneggiate anche alcune strutture produttive minori: i cortili dello stabilimento Fornace, la fabbrica della Borotalco sul Pontino, un laboratorio di dolciumi in via Pompilia.
Le perdite umane apparvero contenute, ma con un risvolto tragico: su 44 morti ben 43 vennero raccolte presso l’Istituto Maddalena, quarantuno bambini e due suore. Le persone ferite furono appena una decina, mentre invece gli edifici andati distrutti o lesionati più o meno gravemente apparvero molti – secondo i resoconti del Genio Civile rispettivamente 150 e 380 – sul Voltone, a Torretta, sugli Scali delle Cantine e in via Erbosa (l’attuale via Solferino) ma anche nei quartieri periferici di Sorgenti e Salviano, forse coinvolti per la prossimità di stabilimenti o per l’adiacenza della linea ferroviaria.
Colpito, inspiegabilmente – se non per la ferrovia – pure il borgo di Quercianella.
La città venne inoltre completamente paralizzata dalla distruzione dei servizi: acquedotto, energia elettrica, gas, linee telefoniche; gravemente colpito anche il palazzo delle Poste in piazza Carlo Alberto (l’attuale piazza della Repubblica).
Purtroppo, il peggio per Livorno doveva ancora venire.

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