La mostra “Il Partito comunista italiano a Livorno dal dopoguerra allo scioglimento”

Catia Sonetti - Direttrice Istoreco Livorno

A proposito dell'allestimento archivistico-fotografico promosso dall’Istoreco Livorno

Il manifesto della mostra
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Una mostra sul Pci a Livorno. Perché siamo nel centenario? Anche. Perché è stato il partito egemone nella città e nella provincia di Livorno fino ed oltre il suo scioglimento? Certamente. Perché è stato uno dei protagonisti della vicenda politica, sociale e culturale del secolo scorso, e non solo nel panorama italiano? Di sicuro.

Ma anche per altre ragioni, intrinseche al ruolo e agli scopi di un Istituto come l’Istoreco.  Al primo posto metterei la conservazione e la cura del patrimonio documentale di un partito politico. Custodia e cura che non potevano però prescindere dalla sensibilità di alcuni dei suoi protagonisti. Mi riferisco in particolare all’ex segretario di federazione dei DS, Marco Ruggeri, che ci affidò l’archivio della Federazione molti anni or sono. Perché le carte che raccontano una storia non vanno solo prodotte, vanno anche conservate e, quando è possibile, anche affidate ad istituti od enti terzi, penso ad istituti come il nostro o agli stessi archivi di Stato provinciali, che le possono valorizzare e che sono capaci di renderle disponibili a tutti per la ricerca e la consultazione. Lo stadio successivo della loro conservazione è svilupparne le potenzialità, digitalizzarle e renderle fruibili al pubblico più vasto tramite la rete. Sono operazioni che richiedono competenze specifiche, passione, e risorse economiche, ma non ultimo anche armadi idonei alla conservazione.

L’Istoreco di Livorno ha fatto una parte di questo cammino grazie all’aiuto di molti, soprattutto della Regione Toscana e della Fondazione Gramsci di Roma, appoggiato in questa operazione dalla sensibilità della Sovrintendenza archivistica della Toscana.

Il centenario ci ha indotto a proporre una Mostra che rappresenta in sintesi una specie di percorso di lettura dentro gli anni che vanno dal 1944 al 1991, cioè dalla Liberazione della città labronica allo scioglimento di quella compagine politica. Il nostro archivio conserva anche carte successive a quel periodo, relative alle successive evoluzioni di quella compagine politica. Ma abbiamo deciso di dedicarci alla componente più omogena del nostro deposito. Quello che viene dopo è un’altra storia.

E così abbiamo deciso di organizzare questa proposta proprio nell’anno dell’anniversario. Poiché il 1921, l’anno della fondazione del Pcd’I, partito fondato fra l’altro, e non è del tutto casuale, proprio nella città di Livorno, questa operazione c’è apparsa ancora più appropriata.

Abbiamo optato per questo mezzo comunicativo che ha dei limiti enormi. Il primo immediatamente evidente a chiunque, è l’impossibilità di proporre un approfondimento, un percorso critico ben sviluppato e appoggiato alla enorme bibliografia esistente, ma che ha pure il vantaggio assolutamente non trascurabile di diventare una narrazione facile da comprendere, emozionante, ma anche ricca di dettagli. Del resto l’Istoreco, in questo anno reso difficile dal Covid ha organizzato significativi momenti seminariali di approfondimento[1], prodotto e pubblicato un volume su una figura di assoluto rilievo, come quella di Bruno Bernini[2], presentato volumi su questa storia.[3] Non solo. Sta organizzando da adesso alla fine dell’anno, altri appuntamenti, diciamo più tradizionali, per riflettere insieme agli addetti ai lavori, su quella vicenda. Appuntamenti nei quali dare la preminenza all’indagine storiografica e alle ultime acquisizioni della ricerca.

Ma la decisione di ricorrere ad una Mostra, cioè ad un mezzo che fosse ricco di immagini, di fotografie di militanti che potessero ancora oggi riconoscersi, di documenti di archivio come volantini e manifesti, legati alla storia del Pci ma anche alla storia di questa città, c’è apparso il mezzo più immediato, quello più suggestivo, ma anche in qualche modo anche quello più democratico, che provasse ad avvicinare tutti, gli esperti ed i giovani estranei a quella vicenda, i vecchi militanti e gli indifferenti, perché quella vicenda prendesse l’aspetto della vita vissuta, prendesse la forma dei volti e dei corpi che occupavano le piazze, che lanciavano slogan, che discutevano nelle sezioni.

Appena ci siamo messi in cammino per la sua realizzazione, realizzazione per la quale abbiamo trovato talvolta anche aiuti insperati, siamo stati avvicinati da due fotografi-militanti o militanti-fotografi (Roberto Leonardi e Antonio Brugnoli) che hanno arricchito la nostra proposta mettendoci a disposizione la loro raccolta iconografica.

Una Mostra, come è ovvio e, come ha scritto anche con senso poetico, l’assessore alla Cultura di Livorno, Simone Lenzi, è anche un’operazione che si caratterizza per leggerezza[4]. Ma sempre seguendo il suo ragionamento, accanto alla leggerezza del linguaggio, si accosta la pesantezza del contenitore, dei containers. Simbolo per eccellenza del lavoro in una città che è stata sempre ancorata al porto e a tutte le attività che si svolgono sulle sue banchine. Non casualmente l’appoggio più significativo l’abbiamo trovato proprio fra i soggetti che vivono e lavorano sul porto. Ma la Mostra non si sarebbe realizzata senza la compartecipazione generosa del Comune di Livorno. Quindi il nostro è il risultato di uno sforzo collettivo, di privato e pubblico, di istituzionale e personale. Tutti insieme, noi che ci abbiamo lavorato, chi ci ha dato un contributo in lavoro e mezzi, chi in denaro, a tutti quei volontari che si sono messi a disposizione per abbassare i costi dell’allestimento, va il nostro più sentito ringraziamento. L’operazione però cosa ci insegna? Che li singoli, i soggetti economici e istituzionali, sono stati disponibili, ad affiancare un’operazione di questo tipo perché hanno compreso che era una operazione culturale, con nessun retro pensiero nostalgico, né tantomeno una laudatio temporis acti, ma una iniziativa che voleva innescare una discussione sul nostro passato e sul nostro presente. Un presente così deficitario dal punto di vista politico, nel quale ognuno di noi, ogni cittadino democratico, avrebbe piacere di ritrovare un filo rosso che capace di proporre un progetto di futuro, un orizzonte di convivenza civile meno violento e più solidale, da tutti i punti di vista. E che dentro questo progetto ci sia uno sguardo e un impegno per ridare piena dignità al mondo del lavoro, quel lavoro così pesantemente attaccato dalla precarietà e dalla insicurezza, spesso incapace anche di riportare a fine turno, la vita, a casa.

E proprio perché questo ragionamento che sottostà in gran parte alla nostra proposta, abbiamo aperto la mostra proprio sul tema del Lavoro scrivendo:

“Non c’è agitazione industriale che non sia accompagnata dalla solidarietà delle organizzazioni di Partito e dall’intervento delle amministrazioni locali, governate da Pci, per una soluzione della vertenza, per il superamento della crisi. Come a dire: la piazza e la mediazione politica. Non sempre, come è ovvio, l’intervento e le agitazioni operaie e sindacali sono sufficienti a superare tutti gli scogli. Spesso le decisioni vengono prese altrove, in luoghi di potere lontani dall’influenza che quella compagine può esercitare.” L’altrove di adesso spesso è in un altro continente o in una Holding senza testa, apparentemente, perlomeno. Nelle nostre immagini sfilano migliaia di partecipanti in difesa dei diritti di chi lavora, dal Cantiere, alla Spica, dal Porto alla Motofides, dal lavoro nelle campagne alla denuncia del doppio lavoro delle donne.

Nella Mostra subito dopo il tema del Lavoro abbiamo messo la sezione sulle Battaglie civili, quelle battaglie che spesso non sono rappresentabili con facilità con una foto o  uno slogan, ma sono quelle nelle quali si sono realizzate le alleanze migliori. Per la riforma agraria, per una sanità pubblica, per il diritto di famiglia o la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Quelle battaglie che hanno reso più civile il nostro Paese, anche quelle dove il Pci non si è trovato in prima linea, pensiamo alla Statuto dei lavoratori che fu approvato con l’astensione dei suoi rappresentanti. Ma pensiamo anche a come in Toscana, a partire da Arezzo, Lucca, Volterra, si è combattuta quella grande battaglia civile per la chiusura dei manicomi o per il trionfo della legge sul divorzio e sull’aborto.

La sezione Vita di Partito, possiamo dire è quella più interna alle vicende di quel grande corpo sociale organizzato che fu il Pci.  Abbiamo scritto:

“Dalle grandi assisi con il ritratto di Stalin e di Togliatti che campeggiano su tutto, alle fotografie degli anni Settanta con le ragazze con i pantaloni a zampa d’elefante, con i volti degli uomini e delle donne meno austeri e più pieni (la fame dell’immediato secondo dopoguerra è solo un ricordo lontano).Le scuole di partito organizzate con poche cerimonie ma con molta partecipazione per una base di militanti e di quadri con un basso livello scolastico ma che dimostra un forte desiderio di conoscenza fino alle immagini più leggere che testimoniano un’idea di partecipazione diversa, l’emergere della dimensione del privato, di un impegno meno totalizzante rispetto a quello degli anni Cinquanta.”

Il mondo cambiava e cambiava anche il Pci dentro quell’Italia che aveva cominciato ad andare di corsa.

La sezione sulle Feste de l’Unità, è a nostro parere, quella più allegra e partecipata. Immagini di uomini e di donne che con orgoglio e caparbietà, rinunciando anche alle ferie, lavorano per costruire gli stands, per riempirli di persone, per proporre una immagine di sé e del partito, che incarnano l’idea di essere una grande forza di massa, partecipata e organizzata. Una vetrina per il mondo che sta intorno, per gli amici e i nemici. É anche la sezione dove emergono con forza, anche se non la sola, alcuni dei bellissimi manifesti disegnati dal grafico della Federazione livornese, Oriano Niccolai.[5] Un grande anche nel panorama nazionale.

La Mostra continua con altre due sezioni: quella sulla Pace e la questione internazionale e quella sullo Sport che chiude il nostro allestimento. Proviamo a soffermarci sulla prima che in questo momento, con le terribili notizie che provengono dall’Afghanistan, è di una attualità sconcertante. Poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale, si aprirono altri scenari di guerra: la Corea, la guerra civile in Grecia, l’Indocina, i movimenti di liberazione negli ex paesi coloniali etc etc. Non solo. Gli uomini e le donne usciti salvi dalla guerra temevano più di tutto le armi atomiche. Il ricordo di Hiroshima e Nagasaki era evidentemente ancora vivo nei loro cuori e nelle loro teste per non destare preoccupazione. Ed era un sentimento che si rafforzava nelle file comuniste con un forte sentimento antiamericano. Quando ci fu l’attacco all’Afghanistan da parte dell’allora Unione Sovietica, non ci furono manifestazioni a favore della pace. Era un mondo bipolare e questa storia ce lo racconta anche nella sua dimensione periferica, quella di una provincia italiana del centro Italia. Ci racconta anche una capacità di mobilitarsi accanto ai popoli in lotta per la libertà, dalla Spagna di Franco all’Algeria del dominio francese, dalla Cuba prima di Castro alla lotta dei Viet-cong. Sicuramente spesso erano articolazioni di una posizione troppo filosovietica ma erano anche, e lo si vide a partire dai carri armati a Praga, l’espressione di un percorso autonomo di solidarietà e di convivenza che perlomeno albergava tra le masse, e non solo fra quelle comuniste. Era un sentimento che si esprimeva anche con gesti concreti di solidarietà, con l’impegno dato in prima persona. Un atteggiamento che raccontava la capacità di aprire le porte dell’accoglienza e rifiutava la logica della costruzione dei muri. Un atteggiamento che non considerava l’altro un “diverso”, uno straniero, ma che lo percepiva soltanto come una persona in difficoltà. Di questi tempi con le sirene di quelli che vorrebbero gettare a mare i richiedenti asilo, questa attitudine all’inclusione, ci manca.

La Mostra poi si chiude con una sezione importante ma anche allegra. La sezione dello Sport. Per rendere omaggio alla città più medagliata d’Italia, Livorno, per rendere omaggio alla rete di attività sportive promosse dall’organizzazione giovanile di quel partito, dalla rete dell’Uisp ai Circoli Arci, ai comitati delle gare remiere. Quella rete che promosse dall’interno di una sezione comunista, quella della Venezia, la Coppa di gara remiera intitolata ad Ilio Barontini, ardente antifascista, fuoruscito in Russia e in Francia, combattente di Spagna e molto altro ancora. Perché lo sport non è un modo qualsiasi di riempire il tempo libero e non ha valore per lo sforzo individuale. Lo sport è condivisione di valori, solidarietà praticata sul campo, impegno e disciplina, vita di comunità. È uno strumento ideale per avvicinare i giovani e coinvolgerli in un impegno a tutto campo; è uno strumento per allontanarli dalla strada in una città fortemente colpita dalla guerra e dai bombardamenti prima, e poi per tenerli lontani dalle suggestioni della droga. Non era e non è poco.

[1] Alcuni percorsi di protagoniste nel Pci: Edda Fagni, con Carla Roncaglia, Presidente Istoreco e Alessandra Mancini autrice del volume, Edda Fagni, L’innovazione pedagogica, Edizioni del Boccale, Livorno, 2010.

[2] Michela Molitierno, Catia Sonetti, La vicenda non comune di un militante comunista, Ets, Pisa, 2020.

[3] Il 14 aprile 2021 abbiamo presentato il volume scritto da Mario Lenzi, O miei compagni. Una testimonianza, Comune di Livorno, Livorno, 2013; il 23 marzo 2021, il volume di Mario Tredici, Gli altri e Ilio Barontini, Ets, Pisa, 2017 eil 17 maggio quello su Bruno Bernini

[4] Simone Lenzi, Prefazione del Catalogo su: Il Partito comunista italiano a Livorno dal dopoguerra allo scioglimento, in corso di pubblicazione.

 [5] Rosso creativo. Oriano Niccolai. 50 anni di manifesti, a cura di Margherita Paoletti e Valentina Sorbi, Debatte, Livorno, 2013.

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