La Città Bianca in camicia nera: il decennio di Scorza

Stefano Lazzari - ISREC Lucca

Lucca negli anni del regime fascista e del terrore scorziano

Carlo Scorza (foto Getty Images)
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La repressione degli antifascisti sul territorio provinciale

La segreteria Scorza si distingue fin da subito per la violenta offensiva contro le amministrazioni locali guidate dalle sinistre e dai popolari: nel 1925 “cade” Borgo a Mozzano, ultimo comune antifascista [1], il cui commissariamento viene salutato sulle colonne de L’intrepido – il foglio del fascismo lucchese – come una “vittoria morale e reale dei Fasci” [2]. Ma la sola conquista del potere politico non è sufficiente: sono gli individui che debbono essere colpiti, perseguitati, schedati. Gli archivi del Casellario politico centrale – istituito per la prima volta nel 1894 sotto Francesco Crispi e adesso ufficio autonomo alle dipendenze della PS – si gonfiano letteralmente durante il fascismo; nel mirino non soltanto l’adesione a fedi politiche avverse al regime, ma anche la moralità stessa delle persone, soprattutto se donne: così l’anarchica Pia Bertini, residente in provincia di Pisa ma nata ad Altopascio, è sia una sovversiva che una “di facili costumi”[3]. Prostitute dunque, oppure pazze: come Clementina Masini di Monte San Quirico, arrestata nel 1929, le cui parole contro il duce sarebbero da attribuirsi ad un “momento di esaltazione mentale per disturbi psichici”[4].

Gli squadristi imperversano in tutta la provincia, non basta allontanarsi dalla città per essere al sicuro: il montecatinese Agenore Dolfi, già socialista e poi membro del PcdI, viene aggredito più volte tra il 1922 e il 1923 (in un’occasione la spedizione punitiva avviene addirittura all’esterno del tribunale di Lucca, dove assieme a Dolfi viene ferito anche il suo avvocato e compagno di militanza politica, Luigi Salvatori); trasferitosi infine a Viareggio, viene addirittura rapito dagli squadristi e riportato a Lucca, dove subisce l’ennesimo pestaggio. Dolfi sarà infine costretto a rifugiarsi in Argentina, dove continua a spendersi in favore del movimento antifascista: muore nel 1944 in Italia, dove era tornato per prendere parte alla Resistenza, in circostanze mai del tutto chiarite [5]. Come Dolfi, anche il socialista massarosese Giuseppe “Beppino” Cosci, nativo della frazione di Stiava, è costretto all’emigrazione in Francia per sfuggire alle persecuzioni. Verso Cosci, che in paese gode di stima e rispetto, i fascisti lasciano da parte il manganello per ricorrere a più subdole strategie, offrendogli dapprima un posto presso il locale oleificio in cambio dell’adesione al fascio, per poi impedirgli di trovare e mantenere un lavoro che gli consenta di sfamare la numerosa famiglia (arrivando a incendiare i locali della falegnameria aperta da Beppino a Viareggio)[6].

La ferita più grave all’antifascismo però Scorza l’ha già inflitta nell’estate 1925, quando i suoi uomini aggrediscono uno dei più importanti leader dello schieramento liberaldemocratico: il deputato Giovanni Amendola.

20 luglio 1925: il “Delitto Amendola”

Ostile sin dal principio al fascismo e ai suoi metodi illegali, pur partecipando nel 1922 in vesti ministeriali ai due Governi Facta (che includevano anche i fascisti), Amendola nel 1925 è ormai uno dei capi riconosciuti dell’opposizione costituzionale a Mussolini. Già a un anno dalla marcia su Roma il deputato è stato sottoposto a fermo presso la sua abitazione salernitana, per poi subire una prima aggressione nella capitale poche settimane dopo. L’azione contro Amendola viene pianificata dal segretario del PNF Farinacci d’intesa con Scorza, reputato l’uomo giusto per portare a segno il colpo senza lasciarsi dietro “pasticci” (U. Sereni) analoghi a quelli del Delitto Matteotti.

L’aggressione al rappresentante liberale avviene sulla strada tra Montecatini Terme e Pistoia la notte del 20 luglio: come ricorda il figlio Giorgio (poi deputato del PCI), che da Salerno si affretta a raggiungere il padre convalescente a Roma dove è stato trasportato, Amendola “era tutto piagato. Facevano impressione soprattutto le ferite alla testa, all’occhio e all’orecchio. Il corpo era pesto, ma allora non si sapeva che il colpo mortale era stato inflitto proprio ai polmoni” [7]. Amendola sarebbe morto nove mesi dopo in Francia a Cannes, il 7 aprile 1926, e le indagini, svogliatamente compiute dalla magistratura [8], portano a un nulla di fatto: l’aggressione viene fatta passare dal regime come genuina reazione popolare contro l’odiato antifascismo. I bastonatori di Scorza resteranno impuniti, così come il loro capo, che nel dopoguerra fugge in Argentina proprio per non affrontare la giustizia italiana e rispondere dei propri capi d’imputazione (il principale dei quali riguarda proprio i fatti di Montecatini). In suo favore intercedono le gerarchie ecclesiastiche pistoiesi, e fra tentativi di depistaggio e interventi della Cassazione, il processo si concluderà nel 1949 con la concessione dell’amnistia da parte della Corte d’assise di Perugia, scampando al gerarca la precedente condanna a trent’anni di reclusione [9].

Guerra a tutto campo dentro il Partito

Se è vero che i colpi più duri Scorza li riserva agli antifascisti, non più tenero il ras di Lucca si dimostra nei confronti delle opposizioni interne allo stesso PNF: i primi a farne le spese sono addirittura due dei principali rappresentanti del partito in città, Nino Malavasi e Anatolio Della Maggiora. Malavasi, romagnolo di formazione repubblicana e anticlericale [10], nonché tra i fondatori del fascio lucchese, viene allontanato nel marzo 1921 al termine di una campagna diffamatoria per il suo mancato allineamento alle direttive della dirigenza milanese; Della Maggiora, che ricopre il ruolo di segretario ed è inviso a Scorza per la sua alleanza con Augusto Mancini e altri esponenti democratico-borghesi e del combattentismo alla vigilia delle elezioni della primavera 1921, viene a sua volta epurato per la mancata candidatura di rappresentanti fascisti nelle liste del Blocco Nazionale, e la segreteria passa nelle mani dello stesso Scorza.

Per consolidare il proprio potere, il ras cosentano non esita a far scorrere del sangue: il 22 maggio 1921 il sangue è quello di due squadristi, Nello Degl’Innocenti e Gino Giannini, entrambi a bordo del camion partito da Borgo a Mozzano in direzione Valdottavo, colpito nel Morianese da alcuni massi caduti dal soprastante monte Elto. Immediatamente si parla di un attentato antifascista, il casellante di Saltocchio Esmeraldo Porciani – presunto testimone oculare dei preparativi dell’attentato – viene bastonato e preso a rivoltellate da un gruppo di fascisti in piena notte davanti alla propria abitazione, e muore poche ore dopo all’ospedale di Lucca. Scorza nega qualsiasi coinvolgimento fascista, e il processo-farsa contro i responsabili si conclude con l’assoluzione per tutti salvo Alfredo Menesini, datosi latitante (che rientra comunque in seguito ad amnistia e apre una ditta di costruzioni, ricevendo importanti commesse pubbliche). Ben più dura sarà la giustizia nei confronti dei tre “attentatori antifascisti” di Valdottavo (Giannarini, Della Nina e Ramacciotti), condannati su pressione di parte fascista a pene severissime che spaziano dall’ergastolo all’interdizione perpetua dai pubblici uffici [11].

Nel 1927 la fronda antiscorziana dentro il PNF prova a riorganizzarsi attorno al podestà di Lucca Mario Guidi e ai suoi alleati Oscar Galleni e Fedele Pennacchi, membri del direttorio provinciale che intendono screditare Scorza in sede congressuale portando alla luce alcune torbide faccende legate alla Banca di Lucca (disastrosamente gestita dal fratello del gerarca, Giuseppe) nelle quali era implicato anche l’ex deputato di Pescia Tullio De Benedetti [12]: il vicesegretario nazionale Renato Ricci però all’ultimo momento ritira il proprio sostegno ai tre dissidenti, che vengono costretti a dimettersi dalle rispettive cariche ed espulsi dal Partito.

1930 – 1932: Scorza dal trionfo alla caduta

Il regime scorziano a Lucca riceve la sua “consacrazione” ufficiale il 12 maggio 1930, in occasione della visita di Mussolini in città, in ricordo della quale viene aperto nel 1931 un nuovo varco nelle Mura alla presenza del segretario nazionale del PNF Giuriati, Porta della Vittoria (l’odierna Porta San Jacopo, familiarmente detta “il buco nuovo”)[13]. Pochi mesi prima lo stesso Giuriati ha chiamato al proprio fianco Scorza, nominandolo responsabile dei fasci giovanili.

Resta un solo, mal tollerato ostacolo, e proprio nel cuore del regno di Scorza: la potente famiglia Bertolli, ricca dinastia dai ramificati interessi economici, nei cui confronti il ras porta avanti una cauta “guerra fredda” (Umberto Sereni) e che intrattiene buoni rapporti con il neosegretario nazionale Starace, subentrato a Giuriati e ostile a sua volta a Scorza. Nel giro di poco tempo il gerarca di origini cosentane viene costretto a restituire i propri incarichi, e le missive inviate a Mussolini, che certo non ha digerito l’opposizione di Scorza alla sua linea di accordo con il Vaticano, restano lettera morta. La faccenda di Valdottavo viene rispolverata per l’occasione, i fedelissimi dell’autoproclamatosi “condottiero” ed erede di Castruccio Castracani vengono colpiti uno dopo l’altro [14], e il 10 dicembre 1932 viene sancita ufficialmente la decadenza di Scorza dalle pagine del Popolo Toscano [15]. Soltanto un decennio più tardi – in frangenti ben più drammatici per il regime e il paese – il fascismo avrebbe riabilitato Scorza.

Mussolini_manifattura_Lucca 1930

Mussolini in visita alla Manifattura Tabacchi durante il suo soggiorno a Lucca nel 1930 (foto di Ettore Cortopassi, 1930; Archivio Fotografico Lucchese, ECN 2329)

[1] Per maggiori approfondimenti si rimanda alla lettura del saggio di Nicola Laganà Borgo a Mozzano: l’ultima amministrazione comunale antifascista della Lucchesia (1924-1925), secondo i documenti d’archivio e le cronache dei periodici locali, in “Documenti e Studi – Rivista dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca” n. 27/28, dicembre 2006, pp. 17-143

[2] Ibidem, p. 19

[3] Teresa Catinella, Bertini, Pia, in Gianluca FULVETTI, Andrea VENTURA (a cura di), Antifascisti lucchesi nelle carte del Casellario politico centrale. Per un dizionario biografico della provincia di Lucca, Maria Pacini Fazzi, Lucca 2018, pp. 54-55

[4] Marta Giusti, Masini, Clementina Maria Luisa, in Ibidem, pp. 138-139

[5] Andrea Ventura, Dolfi, Agenore, in Ibidem, pp. 91-93

[6] Andrea Ventura, Cosci, Giuseppe, in Ibidem, pp. 80-81; vedi anche Vanda Puccetti, Memorie su Beppino Cosci (a cura di Fabio Flego), Pezzini, Viareggio 2010

[7] Giorgio Amendola, Una scelta di vita, BUR, Milano 1979, pp. 126-127

[8] Umberto Sereni, Carlo Scorza e il fascismo stile camorra, in Paolo Giovannini, Marco Palla (a cura di), Il fascismo dalle mani sporche, Laterza, Roma-Bari 2019, pp. 190-217

[9] Mimmo Franzinelli, L’amnistia Togliatti, Feltrinelli, Milano 2016, pp. 166-167

[10] La convergenza tra settori del repubblicanesimo di matrice mazziniana e fascismo a Lucca porta anche alla nascita di un periodico di respiro nazionale, Retaggio”, pubblicato dall’agosto al dicembre del 1924. La sua breve ma significativa storia è stata ricostruita nel dettaglio da Nicola Del Chiaro nel saggio L’Edera con il littorio. “Retaggio”: un ambizioso periodico mazziniano fascista (Lucca, agosto-dicembre 1924), in “Documenti e Studi” 42/2017, pp. 41-63

[11] La vicenda è stata ricostruita approfonditamente da Nicola Laganà nel saggio L’eccidio di Valdottavo: domenica 22 maggio 1921. Un falso attentato antifascista, ordito dal fascista Carlo Scorza e realizzato dai suoi squadristi, in “Documenti e Studi” 32/2010, pp. 11-76

[12] Per maggiori approfondimenti si rimanda alla lettura del già citato saggio di Umberto Sereni Carlo Scorza e il fascismo stile camorra, in particolare pp. 201-206

[13] Marco Pomella, La storia di Lucca, Typimedia, Roma 2019, p. 129

[14] In particolare si vedano a titolo di esempio i casi di Luigi Stefanini (segretario del fascio di Altopascio) e Artidoro Nieri (subentrato a Scorza come segretario federale provinciale dopo che questi era stato eletto alla Camera dei deputati), entrambi approfonditi nel saggui di Moreno Bertolozzi Uomini e vicende del fascismo di Altopascio (1922-1932… e oltre, in “Documenti e Studi” 48/2021, pp. 17-37

[15] Umberto Sereni, Op. cit., in particolare pp. 206-217

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