Immagine e realtà di una provincia rurale: Grosseto e la Maremma alla vigilia della seconda guerra mondiale

Stefano Campagna - Istituto storico grossetano della Resistenza e dell'età contemporanea

Grosseto, in Fortunato Depero, "I dopolavori aziendali in Italia", 1938
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Nel 1938 Fortunato Depero fu incaricato di disegnare per il Congresso mondiale del dopolavoro delle tavole raffiguranti le varie province d’Italia. Le immagini erano accompagnate dalle statistiche relative alle strutture dopolavoristiche e, significativamente, da una frase di Mussolini che avrebbe dovuto cogliere il carattere specifico di ogni zona della Penisola rappresentata (1). Nel caso della provincia di Grosseto, l’artista e designer roveretano aveva scelto il grifone, simbolo del capoluogo, un aratro stilizzato, e lo slogan «Provincia rurale: abbiate questo orgoglio e restate rurali» che era tratto dal discorso pronunciato da Mussolini ai maremmani il 10 maggio 1930 dal balcone del Palazzo del Governo (2).

Scavi sul fiume Bruna, 1933-1938. Archivio fotografico del Consorzio Bonifica Grossetana

La ruralità, esaltata dal duce in quell’occasione come tratto caratteristico della Maremma e dei suoi abitanti, fu il tema centrale nella costruzione dell’immagine della provincia di Grosseto promossa dalle élite dirigenti locali nel corso del Ventennio. Nella retorica pubblica, che avrebbe dovuto influenzare il senso comune a livello locale e promuovere una certa rappresentazione del territorio all’esterno, la ruralità si connetteva a una costellazione di elementi simbolici che informavano la composita ideologia fascista. Ruralità significava promozione dei valori e degli equilibri sociali tradizionali in contrapposizione al disordine e alla degenerazione della società di massa, opposizione all’urbanesimo e al macchinismo, ma anche celebrazione della salute, della vitalità e della fecondità della “razza”. Nel caso specifico di Grosseto e della Maremma, il tema della ruralità era infatti strettamente legato a quello della bonifica, intesa sia nei termini della “bonifica integrale”, cioè dell’opera di recupero allo sfruttamento agricolo dei terreni paludosi, ma anche nei termini di un miglioramento fisico, morale e spirituale della popolazione locale chiamata a contribuire a questo sforzo collettivo. La faticosa opera di redenzione delle terre malariche di Maremma, che nell’ottica del produttivismo nazionale mirava ad accrescere la produzione agricola e a promuovere l’insediamento di coloni, era non di rado descritta con un lessico bellicista dai toni epicizzanti, perfettamente sovrapponibile a quello utilizzato per narrare la bonifica dell’Agro Pontino.

In linea con la tipica rappresentazione del contadino-soldato, che grande fortuna ebbe nell’iconografia e nelle strategie discorsive della propaganda fascista, gli abitanti della Maremma furono dipinti come «autentici campioni di ruralità» capaci di «vivere con semplicità nel lavoro per la Patria e per la famiglia», lavoratori instancabili e frugali «pronti ad abbandonare l’aratro e il piccone per abbracciare il fucile e lo zaino» se la madrepatria l’avesse voluto (3). Le donne maremmane, specularmente, erano invece confinate nel ruolo di genere della sposa-madre prolifica dipendente dal marito, un ruolo che trovava perfetta corrispondenza con le politiche del regime miranti a scongiurare la crisi demografica a cui erano destinate le decadenti nazioni “plutocratiche”. In un manuale destinato alle massaie rurali della provincia si leggeva che «la donna non è più soltanto la semplice compagna dell’uomo, ma aiuta questo nel buon andamento della famiglia, cercando in se stessa tutte quelle risorse che crede utili alla sua casa e vantaggiose quindi alla famiglia più grande costituita dalla Nazione» (4).

Felice Andreis, San Donato. Lavorazione della ricotta, 1935

I ruoli di genere delineati si condensavano nel modello della «sana e feconda famiglia rurale», cioè la famiglia colonica o mezzadrile, esaltata nel discorso pubblico fascista come unità basilare della società ed espressione della conciliazione tra classi e del solidarismo tra interessi contrapposti, subordinati al primato dello Stato (5) . Un modello che pur presentato come “tradizionale” era stato, in realtà, introdotto sul territorio solo a partire dall’inizio degli anni Trenta contestualmente all’appoderamento dei terreni risanati nelle grandi pianure costiere (6). In queste zone continuava però a persistere il modello della grande proprietà fondiaria condotta in economia diretta con l’abbondante ricorso a manodopera avventizia, spesso reclutata stagionalmente da altre parti della regione, mentre nell’area amiatina e in altre zone collinari permaneva una miriade di minuscole attività produttive di limitatissima estensione, incapaci di fornire lavoro sufficiente per una famiglia contadina (7).

Portata avanti dai consorzi, nati sul finire degli anni Venti su impulso delle élite dei proprietari terrieri, la bonifica delle zone paludose della pianura Grossetana e del bacino dell’Osa-Albegna mirava a completare l’opera iniziata un secolo prima dal governo granducale e recuperare terreno coltivabile attraverso la faticosa opera dei “terrazzieri” e l’azione delle pompe idrovore. Durante il già citato discorso Al popolo di Grosseto del maggio 1930, Mussolini aveva promesso che entro «cinque o dieci anni» l’intera provincia sarebbe dovuta essere «solcata da strade» e che «centinaia di case» sarebbero sorte «ad ospitare popolazioni di rurali»(8). In realtà, l’immagine di una Maremma da colonizzare, sbocco per l’emigrazione interna rimase confinata sul piano della retorica, se si esclude il programma di trasformazione fondiaria gestito dall’Opera nazionale combattenti nella tenuta di Alberese che si tradusse nell’afflusso di famiglie di coloni provenienti dal Veneto. Secondo il censimento del 1936, l’aumento di popolazione verificatosi nella prima metà degli anni Trenta andava attribuito quasi «esclusivamente all’eccedenza dei nati sui morti» (9)

L’incertezza diffusa nelle forme di reddito, la discontinuità nei rapporti di lavoro e la mancanza di investimenti da parte dei proprietari condannavano larghi strati della popolazione rurale a condizioni di povertà, di sofferenza e di miseria non diversamente da quanto era accaduto nel periodo prefascista (10). Ma tutto ciò non filtrava nel discorso pubblico. Il regime era unicamente interessato a celebrare, in una dimensione palingenetica, la Maremma come terra redenta, liberata dalla piaga della malaria e pronta a essere colonizzata.

Angelo Mazzoni, Palazzo delle Poste di Grosseto: il portale con il gruppo scultoreo  "La Maremma domata" di Napoleone Martinuzzi, 1929-1932. Fotografia Anderson. Rovereto, Mart Archivio del '900

Angelo Mazzoni, Palazzo delle Poste di Grosseto: il portale con il gruppo scultoreo “La Maremma domata” di Napoleone Martinuzzi, 1929-1932. Fotografia Anderson. Rovereto, Mart Archivio del ‘900

In un volume pubblicato per il decennale dalla fondazione del Consorzio bonifica grossetano si affermava che «la Maremma di Grosseto […] non è più terra fosca, paurosa, incolta, desolata, conosciuta attraverso la tradizione stabilizzata da copiosa letteratura», ma si potevano ormai «constatare i segni di rinnovamento di questa regione, della lotta magnifica di redenzione da cui tutta è presa e pervasa nelle opere dure che ne formano l’orgoglio», nella «nuova vitalità» che ha spazzato via «le nubi fosche […] riscattat[o] uomini e cose dalla neghittosità e dall’abbandono» (11).

Alla rinascita delle campagne, che la propaganda descriveva come ormai totalmente disseminate di poderi, strade, opere idrauliche, era andata di pari passo una trasformazione del capoluogo, che delle aree agricole limitrofe sarebbe dovuta divenire il centro aggregatore e propulsivo. Come affermava il prefetto Trotta in occasione dell’insediamento del nuovo podestà di Grosseto Angelo Maestrini, «nuovi e più larghi orizzonti si aprono ogni giorno al capoluogo della Maremma»: sventramenti e demolizioni di edifici ritenuti obsoleti e costruzione di scuole, caserme, chiese, strutture di concezione moderna chiamate ad accogliere i vari enti del regime dovevano proseguire per assecondare «l’aspirazione di questa cara città che, auspice il Fascismo» viveva «in un periodo di profondo rinnovamento», anelando «ad un sempre più rapido progresso ed incremento» (12). Nonostante una notevole crescita demografica, il capoluogo stentava ancora a esercitare un’effettiva forza di attrazione sulle diverse aree economiche e sui centri abitati della costa e dell’entroterra. Con i suoi 28.715 abitanti censiti nel dicembre 1940 Grosseto rimaneva capoluogo di una provincia “policentrica” e poco densamente popolata, che contava appena 194.453 residenti in un’area di poco più di 4.500 chilometri quadrati (13).

Palazzo del Governo

La bassa densità di popolazione si rifletteva sulle caratteristiche dell’economia agricola. Secondo le esigenze del «piano autarchico», che aveva iniziato a concretizzarsi durante il conflitto italo-etiopico, la provincia di Grosseto avrebbe dovuto produrre eccedenze agricole necessarie a garantire l’autosufficienza alimentare della nazione, oltre che a sviluppare l’industria estrattiva localizzata nell’area delle Colline Metallifere e del Monte Amiata (14) . L’aumento della produzione era però ostacolato dalla diffusione del sistema estensivo e della penuria di beni strumentali (concimi chimici, pneumatici per automezzi e biciclette, carburanti e lubrificanti, scarpe da lavoro), che già dalla seconda metà degli anni Trenta affliggeva la zona. Problemi strutturali che il conflitto aggraverà, riducendo la disponibilità di tali beni e l’offerta di manodopera agricola, a causa dei richiami alle armi dei maschi adulti e all’attrazione esercitata nel mercato del lavoro da altre occupazioni più remunerative e stabili. Già nel febbraio 1941, il gruppo dei carabinieri di Grosseto segnalava che «in seguito ai numerosi richiami derivanti dall’attuale stato di belligeranza», in ambito agricolo, «le richieste di maestranze non trovano evasione neppure nelle province limitrofe» (15).

Un altro problema strutturale che influiva sulla circolazione di uomini e merci e dunque sulle performance dell’economia agricola locale, riguardava la rete infrastrutturale. Nonostante la costruzione di decine di tronchi stradali e ponti descritti minuziosamente nelle pubblicazioni propagandistiche della seconda metà degli anni Trenta, allo scoppio della guerra erano presenti 150 chilometri di ferrovia, che servivano pochi comuni, e appena 2.000 chilometri di strade di cui molte in condizioni precarie se non pessime. Inoltre mancava un’adeguata rete di magazzini e silos per lo stoccaggio dei cereali (16). Nel corso del conflitto, tali limiti strutturali, aggravati dalle requisizioni dei mezzi di trasporto e dalla scarsità di carburante, renderanno molto difficoltoso l’approvvigionamento di beni di prima necessità nelle varie zone della provincia. Nella primavera del 1942, il federale Emilio Biaggini, nel corso di un incontro riservato tra i federali della Toscana e Mussolini, definirà la situazione dei trasporti nella provincia di Grosseto come «preoccupante», riconoscendo che «le maggiori difficoltà consistono nel far affluire i predetti generi [alimentari] ai centri minerari» ed evidenziando «sensibili deficienze nella distribuzione di generi contingentati» (17).

Memo Vagaggini, La foce della Bruna (Castiglione della Pescaia, la Casa Rossa), 1932. Grosseto, Collezione privata

Memo Vagaggini, La foce della Bruna (Castiglione della Pescaia, la Casa Rossa), 1932. Grosseto, Collezione privata

L’ultimo ambito in cui si registra uno scollamento tra l’immagine del contesto locale proposta dalla propaganda di regime e quella ricavabile dai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Grosseto riguarda le politiche abitative: mentre le autorità celebravano «Grosseto fascista nel suo nuovo volto», mancavano alloggi per il ceto medio nel capoluogo e centinaia di famiglie di operai e braccianti, sia nel capoluogo che in altri centri della provincia, erano costrette a vivere in locali insalubri e sovraffollati, talvolta in «baracche costruite con tavolette e lamiere» in cui gli uomini «dormono promiscuamente in un unico letto con mogli, figli, fratelli sorelle» (18). A nulla valsero soluzioni tampone, come la costruzione di due villaggi rurali alle porte del capoluogo: le cosiddette “Casette del duce” sulla via Castiglionese e il “villaggio Ciano”, oggi conosciuto come “villaggio Curiel” sulla via Senese (19). La crisi degli alloggi, infatti, finirà per aggravarsi con il conflitto, per il blocco totale del settore delle costruzioni, privato di materie prime essenziali (20), e per i fenomeni di sfollamento che altereranno gli equilibri delle comunità locali, costrette a trovare sistemazioni d’emergenza per alloggiare coloro che fuggivano dalla violenza della guerra.

La narrazione della palingenesi della Maremma, in cui, come ricorda Geno Pampaloni «le bonifiche [e] gli appoderamenti» erano stati elevati ad «oggetti di fede» (21), occultava insomma le difficili condizioni materiali d’esistenza di una parte consistente della popolazione locale che il regime non era stato in grado di migliorare. Dinamiche che riflettevano tanto fenomeni di lunga durata, legati alla geografia del territorio, quanto mutamenti congiunturali che si erano realizzati sotto la spinta delle interazioni tra l’azione politica del fascismo e le forze economiche e sociali e che, come si è tentato di fare nel volume Antifascismo, guerra e Resistenze in Maremma, recentemente pubblicato per la collana Quaderni ISGREC/Effigi, risultano imprescindibili per ricostruire l’impatto della guerra totale e la fenomenologia della Resistenza nel conteso della provincia di Grosseto.

Note:

(1) Fortunato Depero, I dopolavori aziendali in Italia, De Agostini, Novara 1938.

(2) Cfr. Benito Mussolini, Al popolo di Grosseto, in Edoardo e Duilio Sumel (a cura di), Opera Omnia di Benito Mussolini, Vol. XXIV, Dagli accordi del Laterano al dodicesimo anniversario della fondazione dei fasci (12 febbraio 1929 – 23 marzo 1931), La fenice, Firenze 1958, pp. 224-225.

(3) La nostra fede ha avuto il premio più ambito: il sorriso del duce, «La Maremma», 5 marzo 1939.

(4) Raccolta di lezioni teorico-pratiche da svolgere alle Massaie Rurali, a cura del PNF federazione dei fasci femminili di Grosseto, sezione massaie rurali, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1937, p. 5.

(5) Enrico Trotta, Conquiste e realizzazioni dell’anno XVI in Maremma, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1939, p. 26.

(6) Rossano Pazzagli, Agricoltura e fine della mezzadria: tracce per leggere lo sviluppo locale, in Simone Neri Serneri, Luciana Rocchi (a cura di), Società locale e sviluppo locale. Grosseto e il suo territorio, Carocci, Roma 2003, p. 87.

(7) Cfr. L’economia agraria della Toscana, a cura dell’Osservatorio di economia agraria della Toscana, Tipografia operaia romana, Roma 1939.

(8) Benito Mussolini, Al popolo di Grosseto, cit., p. 225.

(9) Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, VIII censimento generale della popolazione, 21 aprile 1936-XIV, Vol. II – Province, fascicolo 46 – Provincia di Grosseto, Faili, Roma 1937, p. VII.

(10) Cfr. Luciana Rocchi, Mutamenti e persistenze nel Novecento grossetano, in Valeria Galimi (a cura di), Il fascismo a Grosseto. Figure e articolazioni del potere in provincia (1922-1938), ISGREC/Effigi, Arcidosso 2018, pp. 11-38.

(11) Consorzio Bonifica Grossetana 1928-VII 1938-XVII, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1938, p. 3.

(12) Enrico Trotta, Grosseto fascista nel suo nuovo volto, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1938, pp. 8-9.

(13) Archivio di Stato di Grosseto (ASG), R. Prefettura, b. 730, f. Schedario dei podestà della provincia, Profilo demografico della Provincia di Grosseto al dicembre 1940, s.d [1940]. Secondo al censimento del 1936, densità demografica dell’intera provincia restava tra le più basse d’Italia con 39,4 abitanti per kmq., contro una media nazionale di 193,6. Cfr. Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, VIII censimento generale della popolazione, 21 aprile 1936-XIV, cit.

(14) Cfr. Enrico Trotta, Maremma agricola e industriale nel piano autarchico, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1938, pp. 1-2.

(15) ASGR, R. Prefettura, b. 732, f. Situazione politico-economica della provincia 1941, Relazione mensile del gruppo di Grosseto dei CC.RR. sulla situazione politico-economica, 22 febbraio 1941.

(16) Cfr. L’ammasso granario in Provincia di Grosseto. Regolarità dei servizi e superamento delle difficoltà per la tutela della produzione, “La Maremma”, 8 dicembre 1940.

(17) Relazione riservata del segretario federale di Grosseto Emilio Biaggini al duce, primavera 1942, in Giordano B. Guerri, Rapporto al duce. L’agonia di una nazione nei colloqui tra Mussolini e i federali nel 1942, Mondadori, Milano 2002, p. 256.

(18) ASGR, R. Prefettura, b. 716, Lettera del fiduciario del gruppo rionale “Rino Daus” Bartolini al segretario federale Craighero, 25 settembre 1940.

(19) Cenni in Enrico Trotta, Conquiste e realizzazioni dell’anno XVI in Maremma, cit., p. 9.

(20) ASGR, R. Prefettura, b. 743, f. Situazione politico-economica della provincia 1942, Relazione mensile del prefetto Palmardita sulla situazione politico-economica, 27 giugno 1942

(21) Geno Pampaloni, Fedele alle amicizie. Il ritratto morale e sentimentale della generazione passata attraverso il fascismo, Garazanti, Milano 1992, p. 15.

 

 

Bibliografia

Consorzio Bonifica Grossetana 1928-VII 1938-XVII, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1938

Edoardo e Duilio Sumel (a cura di), Opera Omnia di Benito Mussolini, Vol. XXIV, Dagli accordi del Laterano al dodicesimo anniversario della fondazione dei fasci (12 febbraio 1929 – 23 marzo 1931), La fenice, Firenze 1958

Enrico Crispolti, Anna Mazzanti, Luca Quattrocchi, Arte in Maremma nella prima metà del Novecento, Silvana, Cinisello Balsamo 2005

Enrico Trotta, Conquiste e realizzazioni dell’anno XVI in Maremma, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1939

Enrico Trotta, Grosseto fascista nel suo nuovo volto, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1938

Enrico Trotta, Maremma agricola e industriale nel piano autarchico, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1938

Fortunato Depero, I dopolavori aziendali in Italia, De Agostini, Novara 1938

Geno Pampaloni, Fedele alle amicizie. Il ritratto morale e sentimentale della generazione passata attraverso il fascismo, Garzanti, Milano 1992

Giordano B. Guerri, Rapporto al duce. L’agonia di una nazione nei colloqui tra Mussolini e i federali nel 1942, Mondadori, Milano 2002

Istituto centrale di statistica del Regno d’Italia, VIII censimento generale della popolazione, 21 aprile 1936-XIV, Faili, Roma 1937

L’economia agraria della Toscana, a cura dell’Osservatorio di economia agraria della Toscana, Tipografia operaia romana, Roma 1939

Raccolta di lezioni teorico-pratiche da svolgere alle Massaie Rurali, a cura del PNF federazione dei fasci femminili di Grosseto, sezione massaie rurali, Tipografia “La Maremma”, Grosseto 1937

Simone Neri Serneri, Luciana Rocchi (a cura di), Società locale e sviluppo locale. Grosseto e il suo territorio, Carocci, Roma 2003

Stefano Campagna, Adolfo Turbanti (a cura di), Antifascismo, guerra e Resistenze in Maremma, ISGREC/Effigi, Arcidosso 2021

Tra fascismo e dopoguerra. Estratti dalle tesi di laurea di Giovanna Salvadori, Andrea Marroni, Riccardo Lucetti, Biblioteca Chelliana/ISGREC, Grosseto 2000

Valeria Galimi (a cura di), Il fascismo a Grosseto. Figure e articolazioni del potere in provincia (1922-1938), ISGREC/Effigi, Arcidosso 2018

La Maremma. Foglio d’ordine della federazione dei fasci di combattimento di Grosseto

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