Terra e Lavoro

Stefano Bartolini - Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea in provincia di Pistoia

A 110 anni dalla prima lega contadina del pistoiese.

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La nascita della prima organizzazione sindacale dei lavoratori della terra d’ispirazione socialista fu di difficile gestazione. Il periodico locale del partito, L’Avvenire, che fiancheggiava anche l’attività della neonata Camera del lavoro, fin dal 1902 tenne un’intensa campagna rivolta in particolare ai contadini mezzadri e fittavoli, ma senza risultati. Un’azione che nell’estate del 1906 si andò intensificando ed entrò in polemica con il giornale dei cattolici, La difesa religiosa e sociale, impegnati a loro volta nella costituzione delle leghe “bianche”. Tuttavia i tempi stavano maturando e verso la fine dell’autunno del 1906 nel paese di Ramini i contadini si resero disponibili a costituire una Lega. Nel gennaio del 1907 era già ben avviata ed alle riunioni partecipavano anche lavoratori di altre zone come Collina, Casale (o Casalguidi), Sant’Alessio. Nel giro di pochi mesi erano già costitute leghe anche nei paesi limitrofi di Casale, Cantagrillo, Masiano, ed in quelli sul lato opposto della piana di Sant’Alessio e  Valdibrana. A Vinacciano la lega nacque al termine di un comizio – secondo un tipico modus operandi – durante il quale si era verificato un contraddittorio tra i sindacalisti e il sindaco di Serravalle Pistoiese, che tentò di far interrompere l’adunata.

unspecified2Nel 1907 batteva le campagne Giovanni Martini, sempre presente come oratore in tutti i paesi in cui si costituirono le leghe ed anche in quelli dove l’organizzazione non riuscì a radicarsi, come Montale, in mano ai cattolici. Il suo Vademecum del contadino toscano si apriva con l’affermazione: «la scintilla della ribellione è finalmente penetrata». L’opuscolo conteneva le norme interne del sindacato ed elencava gli obiettivi rivendicativi, in primis il miglioramento dei contratti di mezzadria e affitto e la difesa  dei braccianti, che dovevano essere pagati in denaro e non in natura, ma anche l’istituzione di un ufficio di consulenza, di magazzini sociali dove comperare semi, attrezzi, concimi, solfato di rame ecc… e magazzini di deposito per i prodotti di parte contadina. Del sindacato potevano far parte i braccianti, i mezzadri, gli affittuari e come soci aggregati anche i coltivatori diretti. Il risultato di questo movimento, che più che in scioperi si risolse nella nascita e organizzazione delle leghe, fu un’immediata risposta padronale. Nel marzo 1907 questi costituirono una propria associazione con l’obbiettivo di riaffermare il patto mezzadrile, introducendo alcuni cambiamenti per sottrarre terreno ai socialisti attraverso un cauto riformismo.
Si assistette così nella primavera ad un confronto a distanza tra le proposte dei proprietari e quelle delle leghe, che non sfociò mai in un tavolo di trattativa. La prima mossa la fece il fronte padronale, appoggiato dalla Lega democratico nazionale – d’ispirazione cattolica –presentando nel maggio le norme per un nuovo patto colonico per fittavoli e mezzadri. La CdL le respinse, irridendone i contenuti limitati mentre lasciavano inalterati altri aspetti palesemente sproporzionati a favore del padrone, negando che si trattasse di una reale riforma. Soprattutto l’attacco investì il metodo, rendendo evidente che in gioco c’era anche il futuro delle relazioni sindacali e più in generale della democrazia. L’Avvenire commentava infatti la “comunicazione” del patto senza mezzi termini: «Non avendo poi interpellato la Camera del Lavoro e le leghe dei contadini,[l’associazione dei proprietari] ha voluto escludere ogni diritto di ingerenza nelle loro vedute e di discussione dei loro deliberati alla classe dei contadini: ha voluto sottrarsi al controllo dell’organizzazione lasciando arbitri i proprietari di fare ciò che desiderano». Al progetto dei proprietari le leghe risposero con una mobilitazione e con una propria proposta, entrambe fatte partire da Ramini.

Il 12 maggio nel paese si tenne un comizio, con la partecipazione delle leghe dei paesi vicini di Vinacciano, Masiano, Cantagrillo e Casale, al termine del quale fu approvata una piattaforma con una serie di richieste di cambiamento del patto colonico, che rientrava nel solco delle tipiche rivendicazioni mezzadrili d’inizio ‘900, senza discostarsi dall’approccio riformistico mirante ad ottenere miglioramenti immediatamente godibili e verificabili. Che in quel momento la dirigenza del movimento sindacale socialista dei contadini a Pistoia fosse in mano ai riformisti è testimoniato anche da un altro fatto. Nelle zone di Gabbiano, Vinacciano e Collina alcuni contadini avrebbero voluto dare un colpo di acceleratore alla protesta, abbandonando le necessarie operazioni di ramatura delle piante e alzando il livello delle richieste, ma vennero convinti a desistere, a non precipitare gli eventi e ad attendere con pazienza gli sviluppi della situazione. La linea era quella della trattativa, dura ma proiettata verso un esito che si riteneva fattibile, come nel caso della mobilitazione – portata ad esempio – di una quarantina di braccianti che, entrati in sciopero, riuscirono a chiuderlo positivamente. Probabilmente i dirigenti erano anche dell’idea che il movimento mezzadrile non fosse ancora abbastanza forte da sostenere l’organizzazione di uno sciopero e il suo impatto, e scelsero una linea mobilitativa basata su manifestazioni meno impegnative, ma capaci di essere portate a termine da un’organizzazione giovane e debole.
unspecified3Non a caso il passo successivo non fu il lancio di uno sciopero per ottenere l’accettazione del memoriale di Ramini, ma l’organizzazione di una manifestazione nella forma del comizio. Si tenne il 30 maggio al Politeama Mabellini di Pistoia, con l’intervento di tutte le leghe contadine e l’invito a partecipare anche ai contadini non organizzati. Per L’Avvenire alla manifestazione parteciparono circa 1.000 persone. Alla fine fu approvato un OdG che dava mandato ai Consigli delle leghe di eleggere una Commissione che insieme alla Commissione esecutiva della CdL predisponesse una piattaforma da discutere poi con i singoli proprietari. Questo primo confronto tra le organizzazioni padronali e le neonate strutture sindacali contadine dei socialisti restò confinato al dibattito pubblico, non verificandosi atti di scontro più rilevanti da ambo le parti, e cioè senza disdette ai contadini da parte dei concedenti e senza scioperi. Non ci furono nemmeno risultati apprezzabili, rimanendo di fatto lettera morta i due progetti di riforma, senza nessun confronto o accordo tra le parti, che continuavano a confrontarsi a distanza. Anche gli organi dello Stato restarono a guardare, mentre le amministrazioni locali, guidate da ceti legati alla proprietà agricola, non intervennero nel merito. In pratica l’applicazione dell’uno o dell’altro progetto di riforma veniva lasciata al confronto diretto tra singoli proprietari e contadini, e non ci fu nemmeno per questa via nessun accordo di rilievo. La questione però era posta, e continuò a tener vivo il dibattito e una certa agitazione tra i contadini anche negli anni immediatamente successivi.

Stefano Bartolini è ricercatore presso l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia e coordina le attività di ricerca storica, archivistiche e bibliotecarie della Fondazione Valore Lavoro. Ha partecipato al recupero dell’archivio Andrea Devoto ed attualmente si occupa di storia sociale, del lavoro e del sindacato. Tra le sue pubblicazioni: Fascismo antislavo. Il tentativo di bonifica etnica al confine nord orientale; Una passione violenta. Storia dello squadrismo fascista a Pistoia 1919-1923; Vivere nel call center, in La lotta perfetta. 102 giorni all’Answers; La mezzadria nel Novecento. Storia del movimento mezzadrile tra lavoro e organizzazione.

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