Itinerari alla “scoperta” dell’eccidio del Padule

Un eccidio spietato, una delle pagine più buie della storia toscana. Una violenza feroce, che non si fermò neanche davanti ad anziani e bambini. Questo fu l’eccidio al Padule di Fucecchio.
Prima di addentrarci in una breve spiegazione dell’evento è doveroso contestualizzare le peculiarità della zona presa ad interesse. Il Padule è la più estesa pianura interna italiana, e, con i suoi quasi 2000 ettari di terreno, si trova a confine con le province di Pistoia e Firenze. Quello che dovrebbe rappresentare una delle maggiori forme di attaccamento ai valori della terra e della natura è ricordato invece come teatro di una delle stragi più cruente e inumane della seconda guerra mondiale in Toscana. Un eccidio – quello del 23 agosto del 1944 – che rientra a pieno titolo nel contesto delle “stragi di desertificazioni” avvenute lungo l’Arno da parte del contingente tedesco, con l’obiettivo di ripulire l’area retrostante il fronte di guerra, che vedeva a sud del fiume gli alleati e a nord i nazifascisti [1]. Un massacro vile e sconcertante, deciso il giorno precedente dal generale Eduard Crasemann, comandante della 26. Panzer-Grenadier-Division, e a cui parteciparono le quattro compagnie del 26° battaglione esplorante, il secondo battaglione del 67° Reggimento corrazzato e l’unità dell’artiglieria [2].

I morti furono 174. Le zone maggiormente colpite furono i comuni di Monsummano Terme (frazione di Cintolese), Larciano (frazione di Castelmartini), Ponte Buggianese (zona di Capannone e Pratogrande), Cerreto Guidi (frazione di Stabbia) e Fucecchio (frazioni di Querce e di Masserella). Il lutto e l’immenso dolore provocato da tale tragedia portarono i singoli comuni a dotarsi di una serie di monumenti, targhe, lapidi e parchi volti al ricordo delle vittime e di una strage la cui ferita non fu mai completamente rimarginata da parte degli abitanti della zona. Questa “onda del ricordo” portò alla luce una moltitudine di zone di interesse, con il conseguente rischio che però esse siano dimenticate nel tempo, se non a seguito di ricorrenze e commemorazioni. Proprio per questa ragione tale articolo si pone l’obiettivo di creare un sentiero che ne colleghi la maggior parte, per poter realizzare una passeggiata volta al ricordo e alla riflessione. Vista, però, la moltitudine di luoghi, la scelta più logica è stata scomporre il percorso in due distinti itinerari volti a ripercorre i luoghi della memoria maggiormente suggestivi.

Sentiero 1

  • Percorso: Piazza dei Martiri, Monsummano Terme, località Cintolese (Monumento ai caduti) – Strada Regionale 436 Francesca, Larciano, località Castelmartini (Giardino della memoria) – Via delle Morette, Larciano, località Castelmartini (Monumento “Lo Stupore”) – Via Don Franco Malucchi, Larciano, località Castelmartini (Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio) – Via Leonardo Da Vinci, Fucecchio (Padule di Fucecchio)
  • Tempo di percorrenza: 1 ora e 15 minuti
  • Distanza: 5,4 km
  • Dislivello: pianeggiante (+ 15 m – 21 m)

Il nostro percorso inizia da Piazza dei Martiri, dove troviamo il Monumento ai caduti. Monsummano, specificatamente la località di Cintolese, fu la zona maggiormente colpita, con ben 84 vittime.

Monumento ai caduti Cintolese

La statua si pone l’obiettivo di ricordare i caduti e la spietata crudeltà nazifascista. Fu costruita nell’immediato dopoguerra su iniziativa del parroco di Cintolese don Renato Quiriconi.  Il monumento raffigura una donna che sorregge due bambini mentre è chinata su un uomo avvolto da un serpente, simbolo della violenza nazista. Ai lati troviamo da una parte i nomi dei caduti, mentre dall’altra un uomo inginocchiato intento a pregare e una donna con un crocifisso speranzosa mentre guarda il cielo. Sopra i bassorilievi troviamo un angelo con la testa rivolta verso l’alto come simbolo di libertà. Un significato e un’immagine impattante, che ci forniscono ancor di più l’esempio di come questo episodio abbia segnato irrimediabilmente queste comunità.

Uscendo da piazza Dante Desideri ci dirigiamo verso il Giardino della memoria, lungo la strada Regionale 436. Inaugurato il 23 agosto del 1996, nel luogo in cui sorgeva un ex cimitero, il giardino si compone di due rappresentazioni artistiche: “Paysage” di Andrea Dami, e “Mio fratello è qui”, curato da Simone Fagioli. Il primo è un dipinto di forma triangolare realizzato con tante formelle quante sono le vittime. Il secondo è formato da nove pedane a mosaico che rappresentano altrettanti simboli universali collegati ai temi della solidarietà e della pace. A pochi passi dal giardino, precisamente a Via delle Morette, ci troveremo davanti a “Lo Stupore”, monumento ad opera di Gino Terreni inaugurato nel 2002, e dedicato a tutte le vittime del Padule.

Continuando il nostro percorso ci dirigiamo verso via Don Franco Malucchi, sede del Centro Visite della Riserva Naturale, gestito dal Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio. Agisce principalmente come punto d’informazione turistica e centro di educazione ambientale. Al suo interno sarà possibile trovare aule, laboratori didattici, bookshop, esposizioni di attività, di prodotti e una mostra permanente delle opere preparatorie del monumento di Gino Terreni, donate dallo scultore al Comune di Larciano. Organizza varie attività di visita del Padule volte alla scoperta delle zone per birdwatching ma anche per varie zone di interesse storico come il Casotto del Criachi, lapide in ricordo delle vittime. Il sentiero proposto arriva fino all’inizio del Padule, sia che ci si voglia avventurare singolarmente sia che si voglia seguire degli itinerari già presenti e collaudati dal Centro di Ricerca.

 

Sentiero 2

  • Percorso: Piazza Dante Desideri, Via Vittorio Veneto, Cerreto Guidi (MuMeLoc) – Via della Prata, Cerreto Guidi (Giardino della meditazione) – Piazza Sette Martiri 11, Fucecchio, località Massarella (Lapide sulla chiesa di Santa Maria) – Via delle Cerbaie, Fucecchio, località Massarella (Parco della Rimembranza) – Piazza Martiri del Padule, Ponte Buggianese, località Anchione (Monumento alle vittime del Padule di Fucecchio)
  • Tempo di percorrenza: 4 ore
  • Distanza: 18,5 km
  • Dislivello: con dislivelli (+ 69 m – 153 m)

Questo secondo itinerario è indubbiamente più lungo e faticoso, vista anche la presenza di qualche dislivello. Il punto di partenza è Piazza dei Desideri a Cerreto Guidi, dove ci troveremo davanti al MuMeLoc, il museo della memoria locale. Caratterizzato per la sua peculiarità multimediale, il MuMeloc è un centro culturale dove non viene dato priorità ai cimeli, agli oggetti, ma alle storie, alle voci, alle immagini e alle esperienze. Il centro del museo è rappresentato proprio dalla narrazione dell’eccidio del Padule, con peculiarità uniche e storie strazianti pronti ad immergere completamente il visitatore.

Giardino della meditazione “Livio Lensi” a Stabbia, Cerreto Guidi

Sempre a Cerretto, precisamente a Stabbia, troviamo poi il Giardino della meditazione “Livio Lensi”, che riporta i ceppi dei morti dei morti di Cerreto e Fucecchio, ponendosi quindi come punto di ricordo e commemorazione collettiva, in un’atmosfera cullata dalla calma e dal silenzio.

Ci spostiamo poi a Fucecchio, precisamente in piazza dei Sette Martiri, dove potremmo vedere la lapide dedicata ai sei civili ed un carabiniere di Massarella posta sulla parete esterna della Pieve di Santa Maria.

Sempre a Massarella, ci spostiamo a via delle Cerbaie dove troviamo il Parco della Rimembranza. Si tratta di un giardino molto esteso con due lastre di ferro rettangolare dove sono riportati 7 nomi, lungo un viale ci sono poi una serie di strutture in metallo a forma di cuore in cui sono scritti i nomi dei deceduti, in fondo al viale vi è infine una lapide in marmo con una dedica.

Concludiamo infine il nostro itinerario dirigendoci a Piazza Martiri del Padule a Ponte Buggianese, nella frazione di Anchione. Qui troveremo il Monumento alle vittime del Padule di Fucecchio, dove sono incisi i nomi delle 44 vittime della zona, divise tra residenti, non residenti e militari.

 

Note

 

[1] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), regione Toscana, Carocci editore, Roma, 2009, p. 162.

 

[2] M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Marsilio, Venezia, 1997, p. 143.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

 

Articolo pubblicato nel settembre 2024.




“Passi di Storia”: itinerari di guerra e Resistenza pistoiese

Ultimo progetto di un lavoro svolto da tempo dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Pistoia, “Passi di Storia” offre l’occasione per approfondire e conoscere pagine di storia del territorio pistoiese attraversandone i luoghi che ne sono stati teatro.

Sono già 30 i luoghi segnalati sul Portale (in costante aggiornamento) che richiamano a eventi significativi della storia della Resistenza nel territorio pistoiese: dalla città capoluogo al territorio provinciale, racchiusi all’interno di percorsi tematici.

Silvano Fedi, luoghi e storie di un partigiano

L’eccidio del Padule di Fucecchio: una passeggiata nella Storia.

Sono già stati censiti luoghi della memoria delle vicende belliche nei seguenti Comuni:

Pistoia: con itinerario nei luoghi della città a partire da Piazza della Resistenza.

Fucecchio

Larciano

Monsummano Terme

Ponte Buggianese

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.

 




A piedi nella Storia. Gli itinerari di Liberation route Italia

Liberation route Italia ha realizzato due importanti itinerari che consentano di muovere, passo dopo passo, alla scoperta, di luoghi e fatti della seconda guerra mondiale e del suo impatto sul territorio toscano.

Liberation Route Italia (LRE Italia) ha l’obiettivo principale di creare ed espandere una rotta di commemorazione che colleghi le regioni in cui si è svolta la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista (1943-45). È l’ente di riferimento italiano di Liberation Route Europe, ovvero un memoriale internazionale e un sentiero che connette i luoghi della memoria della Seconda guerra mondiale e le loro storie.

LRE Italia ha lanciato un nuovo percorso tematico intitolato “Da Pistoia a Marzabotto lungo la Porrettana”, realizzato da Matteo Grasso, direttore dell’ISRPT. L’itinerario storico ripercorre i principali luoghi della memoria situati fra Pistoia e Marzabotto prendendo come punto di riferimento per l’appunto la strada statale 64 Porrettana. Lungo il percorso è possibile incontrare memoriali, monumenti, cippi, targhe, sentieri, parchi e sacrari: la zona fu infatti profondamente segnata dalla guerra, che dal 1943 al 1945 coinvolse tutto l’Appennino Tosco-Emiliano in corrispondenza con la Linea Gotica.

Scoprite tutte le tappe al link https://italy.liberationroute.com/it/themed-routes/48/from-pistoia-to-marzabotto-along-the-porrettana-road oppure scaricate l’app di Liberation Route! www.liberationroute.com/it/app

Segnaliamo la pubblicazione su Liberation Route Italia anche del percorso tematico intitolato “Da Capannori a Monsummano tra internamento, deportazione, stragi nazifasciste e Resistenza​”, realizzato da Matteo Grasso.
L’itinerario storico ripercorre i principali luoghi della memoria situati tra i due comuni e si snoda tra le province di Lucca e Pistoia. Lungo il percorso è possibile incontrare monumenti, musei, ex campi di internamento, tombe, lapidi, cippi, pietre d’inciampo.
Per maggiori info: https://italy.liberationroute.com/it/themed-routes/33/from-capannori-to-monsummano-between-internment-deportation-nazi-fascist-massacres-and-the-resistance-movement

[credit sito Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Pistoia]

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.




L’eccidio di piazza Ferrucci ad Empoli

Sono 29 persone in marcia verso la morte in una mattina di luglio a Empoli.

Prima di addentrarci nella narrazioni dei fatti di piazza Ferrucci ad Empoli del 24 luglio 1944, è doveroso spiegare il contesto che portò alla fucilazione di 29 civili da parte delle forze armate tedesche. La popolazione toscana è stata vittima – dal 1943 al 1944 – di brutali eccidi perpetrati dall’esercito tedesco, aiutato delle squadre della Repubblica sociale, durante l’occupazione del territorio italiano in seguito all’armistizio. In particolare, le stragi nazifasciste nel territorio toscano si sono intensificate tra l’aprile e il settembre del 1944, in concomitanza con la ritirata tedesca dovuta all’avanzamento degli eserciti alleati. Da ricordare in questo caso vi è  l’Operazione Diadem, che portò allo sfondamento del fronte di Montecassino e di tutte le successive linee di difesa approntate da Kesselring tra la Linea Gustav e la campagna romana. Inoltre il 23 maggio, anche le truppe anglo-americane, ferme sul fronte di Anzio, iniziarono la loro marcia verso la capitale. Dopo il cedimento del fronte, le due armate tedesche iniziarono una disordinata ritirata, che si fece ancor più repentina dopo la liberazione di Roma – tra il 4 e il 20 giugno – dove gli alleati si spinsero fino alla linea del lago Trasimeno, venendo di fatto a mancare una linea di fronte stabile.

Le difficoltà delle truppe tedesche derivavano dalla difficile difesa che presentava il territorio posto sopra Roma. Con l’apertura delle valli del Tevere e dell’Arno il percorrimento si faceva assai ostico. Il Tevere non offriva alcuna protezione, rendendo solo difficili le comunicazioni. Solo l’Arno – dopo Firenze – rappresentava una linea di difesa naturale accettabile per le forze tedesche, oltre ad essere l’ultima difesa prima dell’arrivo alla Linea Gotica. Fu così che l’esercito tedesco mise in atto un riassetto organizzativo totale della linea difensiva che potremmo così riassumere: fu inizialmente costruita la cosiddetta  Linea Dora (Orbetello – lago di Bolsena – Narni – Rieti – L’Aquila – Pescara) e successivamente la Linea Albert (Grosseto – lago Trasimeno – Numana)[1]. La riorganizzazione tedesca riuscì inizialmente nel suo intento, rallentando l’avanzamento alleato e ritardando quindi la liberazione del territorio toscano, con conseguenze atroci per la parti civili. L’inizio di queste azioni di violenza inaudita contro le popolazioni locali va ricondotta anche all’interno di una logica di guerra psicologica viste le difficoltà dell’esercito tedesco nella gestione dei civili. Il casus belli  che portò al cambiamento dell’atteggiamento nei confronti della compagine civile può esser ricondotto all’attentato di via Rasella a Roma del 23 marzo, effettuato dal gruppo di Azione Patriottica (GAP), che portò alla morte di 33 soldati tedeschi e al ferimento di 53. Un’azione così marcata contro l’esercito tedesco in una delle principali capitali europee controllate dal Reich venne percepito a Berlino come un’onta indelebile che portò ad un cambio radicale di atteggiamento di cui l’eccidio delle fosse Ardeatine rappresentò solo l’inizio.

La tragedia di Empoli va quindi inserita in questo contesto storico, all’interno di una situazione già tesa da mesi a causa degli scioperi del marzo 1944, che ad Empoli avevano riguardato la storica vetreria Taddei e che avevano portato a deportazioni di massa in tutto il territorio circostante. Da un punto di vista bellico invece, con il cambiamento ulteriore del teatro di guerra nel luglio del 1944, vi era stato lo spostamento delle truppe tedesche sulla sponda meridionale dell’Arno in attesa dell’offensiva alleata proveniente dalla Val d’Elsa. Il fronte stava rapidamente cambiando. Con la liberazione di Grosseto (metà giugno) e Siena (3 luglio), gli Alleati risalivano verso Pisa e Livorno, e il fronte si avvicinava sempre più al territorio empolese. Ad ulteriore riprova va riportato l’ordine di evacuazione del centro cittadino diramato dall’occupante tedesco per i territori di Empoli e delle località limitrofe: Tinaia, Pontorme, Cortenuova, Avane, Santa Maria, Pagnana, Marcignana, Spicchio e Sovigliana, Capraia e Limite, Montelupo, Fucecchio, San Miniato e Castelfiorentino[2].

In concomitanza con ciò, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) empolese aveva invece invitato le formazioni partigiane sparse nel territorio a convergere sulla città, per ostacolare gli spostamenti delle truppe tedesche nei dintorni di Empoli. Durante questa mobilitazione, il 23 luglio, un gruppo di partigiani – intenti a sistemare le proprie armi all’interno di una capanna nei pressi di Pratovecchio – vennero scoperti da un’unità tedesca in perlustrazione appartenente al 29 Grenadier-Regiment. Ne nacque uno scontro a fuoco che portò alla morte di sei, forse sette, soldati tedeschi. I superstiti riuscirono a raggiungere il comando tedesco, situato presso il Terrafino, dove comunicarono l’accaduto al capitano Lutz del 2° Battaglione, il quale informò prontamente il generale Hecker, comandante della 3. Panzer-Grenadier. La rappresaglia tedesca non si fece attendere. Già nel corso della serata vi fu l’arresto di alcune persone, che vennero però rilasciate dopo poche ore, in uno scenario di un’Empoli deserta. La vera reazione tedesca arrivò il giorno seguente, quando gli uomini della 3. Panzer-Grenadier prelevarono numerosi civili per poi condurli a Pratovecchio, nella stessa capanna della sparatoria del giorno precedente. Mentre gli ostaggi aspettavano nervosamente la punizione tedesca, un pagliaio andò a fuoco, probabilmente opera di un civile per cercare di creare un diversivo, ed effettivamente qualcuno riuscì a fuggire. Nel frattempo, oltre all’arrivo di altri soldati, iniziarono ad essere piazzate le mitragliatrici. L’intento era quindi chiaro, la fucilazione degli ostaggi come piena risposta delle azioni partigiane. Proprio durante la fine delle preparazioni, la scena venne notata da un ricognitore inglese, il quale si affrettò subito ad avvertire dell’accaduto l’artiglieria inglese, la quale sparò qualche colpo in zona di avvertimento, consentendo così ad altri civili di scappare. Nonostante le numerose problematiche, l’esercito tedesco, deciso a portare a termine l’operazione, scortò gli ostaggi rimasti nel centro cittadino. Alcuni di essi riuscirono a fuggire durante il tragitto, ma ne verranno catturati di nuovi[3].

Arrivati ad Empoli, i civili furono fatti sostare sotto il portico del mercato e condotti a gruppi di tre o quattro in piazza Ferrucci dove furono fucilati tra i due alberi di platano. In questa rappresaglia, la 3. Divisione uccise ben 29 persone:

– Bagnoli Luigi (31/05/1883);

– Bargigli Mario Bruno (12/10/1921);

– Bartolini Guido (05/05/1916);

– Bitossi Arduino (10/08/1885);

– Boldrini Orlando (24/07/1880);

– Capecchi Pietro (19/07/1883);

– Cerbioni Bruno (27/02/1926);

– Cerbioni Francesco (25/10/1887);

– Cerbioni Giulio (11/10/1915);

– Chelini Gaspero (26/09/1897);

– Chelini Gino (04/03/1892);

– Ciampi Giuseppe (10/05/1891);

– Ciampi Pietro (16/08/1896);

– Ciampi Virgilio (03/05/1893);

– Cianti Giulio (16/09/1911);

– Gimignani Pasquale (19/09/1898);

– Gori Corrado (30/12/1879);

– Martini Giulio (08/06/1878);

– Martini Pietro (10/04/1885);

– Morelli Mario Gino (15/08/1888);

– Nucci Palmiro (20/03/1888);

– Padovani Gaspero (22/10/1865);

– Parri Alfredo (02/05/1910);

– Parrini Antonio (56 anni);

– Peruzzi Carlo (02/11/1881);

– Piccini Gino (13/08/1895);

– Pucci Alfredo (06/10/1892);

– Taddei Gino (11/12/1906);

– Vizzone Domenico (03/03/1904)[4].

 

I loro cadaveri rimarranno in piazza fino al giorno seguente. Soltanto uno di loro riuscì a salvarsi, Arturo Passerotti. Tentò la fuga prima dell’esecuzione e, nonostante fosse stato colpito alla gamba destra e alla testa, riuscì a scappare[5]. Nei giorni successivi Empoli resterà teatro di altre manifestazioni di rappresaglia tedesca, questa volta tramite minamenti e bombardamenti, fino alla sua definitiva liberazione, il 2 settembre.

Oggi quei 29 nomi sono dignitosamente ricordati nella stessa piazza F. Ferrucci ad Empoli, rinominata piazza “XXIV luglio” in loro onore.

 

 

Note

 

[1] C. Gentile, Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-45. 4. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, Carocci Editore, Roma, 2005, pp. 89-90.

 

[2] L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, Editore Riuniti, Roma, 1970, p. 487.

 

[3] G. Fulvetti, Ucciere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), regione Toscana, Carocci editore, Roma, 2009, pp. 157-159.

 

[4] Atlante delle stragi nazifasciste in Italia

https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2395

 

[5] Per leggere la sua testimonianza si rimanda a Empoli negli ultimi cento anni: notizie, figure, personaggi: antologia di testi letterari e di varia documentazione, a cura di A. Morelli, Empoli, Comune di Empoli, 1977, pp. 96-99.

 

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.




Le deportazioni dell’8 marzo 1944 nell’empolese

92 lavoratori in viaggio verso il campo di concentramento di Mauthausen. La loro unica colpa? Aver scioperato, aver cercato di rivendicare i propri diritti. Un atto ritenuto di un oltraggio tale, dall’autorità tedesca, che fu pagato con la vita.

Marzo 1944. Il fronte bellico interno presentava una situazione di assoluta impasse: era fallito il contrattacco tedesco di Anzio come l’avanzata alleata sul fronte del Cassino. Le notizie più entusiasmanti per la resistenza interna provenivano dal fronte orientale, con la liberazione dell’intera Ucraina da parte dell’Unione Sovietica e la loro repentina avanzata. Mentre i partigiani fantasticavano l’eventuale creazione di un secondo fronte di guerra alleato, paventato dagli entusiasmi di Radio Londra. È in questo contesto, di stallo italico ma di grande fervore internazionale che si inseriscono gli scioperi generali indetto dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per la rivendicazione di un aumento delle razioni alimentari, dei salari e contro la deportazione degli italiani in Germania.

Non doveva essere una semplice rivendicazione. Nei mesi che la precedettero, crebbe continuamente la mobilitazione alla lotta clandestina nei territori dell’empolese. Lo sciopero sarebbe dovuto essere una dimostrazione di forza da parte del CNL nei confronti di fascisti e tedeschi. La dimostrazione di esser in grado di mobilitare la maggior parte della popolazione, di rendere pubblica l’insoddisfazione per l’autorità. E così fu.

Lo sciopero, inizialmente previsto per il 3 marzo, nella zona dell’empolese fu rinviato al giorno successivo. La notte tra il 3 e il 4 marzo varie riunioni tra le squadre di SAP e GAP portarono alla decisione di organizzare alcune postazioni con mitragliatrici e casse di bombe per proteggere il corteo, che furono posizionati già a partire dall’alba. Alle otto del mattino un corteo di donne partì da Avane dando inizio alla manifestazione. Passando dalle frazioni di Mangolo e Santa Maria si unirono altre centinaia di donne, formando un’onda rosa che andò presto ad unirsi agli operai delle fabbriche e ai contadini, oltre che ai piccoli commercianti una volta chiusi i loro negozi. Per le strade del centro cittadino, ormai invase dalla mobilitazione, era alta la voce della protesta collettiva, manifestata da vari cori, da «Pace e Pane» a «Fuori lo straniero». Una rabbia popolare che aveva una chiara connotazione anti-fascista ed anti-tedesca, le cui autorità non ebbero la forza di interrompere. Gli intenti del CLN si realizzarono completamente, con i fascisti che presero dolorosamente atto della situazione, ben consci che una risposta armata alla protesta avrebbe potuto portare – oltre che ad una possibile guerriglia con le forze partigiane – ad una successiva mobilitazione in cui fosse presente l’intera popolazione. La piena riuscita dello sciopero si verificò anche nelle altre località dell’empolese, solo a Limite e Capraia ci fu il tentativo da parte dei carabinieri e dei fascisti locali di sedare la protesta tramite lacrimogeni, senza però successo[1].

La situazione più interessante la troviamo ad Empoli. Dove la riuscita della mobilitazione derivò dall’unione delle rivendicazioni portate avanti dai contadini – forti proteste per la consegna di ulteriori 15 kg di grano all’ammasso e la richiesta del diritto di libera macinazione – e dagli operai, rappresentati soprattutto dai lavoratori della vetreria Taddei, il complesso industriale più grande dell’empolese. L’unione di questi due ceti, storicamente divisi, creò la forza necessaria per dimostrare alle autorità locali la presenza di un dissenso strutturato e ormai impavido di fronte alle minacce fasciste. Una delegazione di scioperanti fu anche ricevuta in Comune per ricevere tutte le rassicurazioni di rito. Le autorità fasciste si dimostrarono così inermi e succubi della situazione, facendo percepire il loro netto disagio nel constatare la presenza di un dissenso non controllabile[2].

Le conseguenze dello sciopero furono chiare. Una situazione di ordine pubblico non più sostenibile e a cui andava posto un rimedio. La rappresaglia non ebbe però luogo nella stessa giornata, per le ragioni già scritte, ma arrivò qualche giorno più tardi. Il clamore della mobilitazione, che ricordiamo, ebbe una grande impatto in tutte le parti d’Italia sotto il controllo tedesco, ebbe una risonanza tale che arrivò direttamente alla scrivania dello stesso Hitler. Il quale, una volta informato, diede disposizione a Himmler, il comandante delle SS, di deportare il 20% di coloro che avevano partecipato agli scioperi in Germania per “lavorare”. Fu così che tra il 4 e l’8 marzo del 1944 i dirigenti locali repubblichini stilarono varie liste di nomi che avrebbero deportato da lì a breve. Decisione, questa, accolta con grande gioia e soddisfazione dai comitati fascisti locali, desiderosi di poter stilare liste arbitrarie più rivolte a connotazioni politiche e personali che riguardanti i fatti del 4 marzo (basti pensare che molti fra gli uomini che verranno deportati non avevano partecipato allo sciopero generale). Sorgeva però un problema logistico e di ordine pubblico. Vista la grande solidarietà della popolazione allo sciopero di quattro giorni prima, sarebbe stato assai rischioso svolgere queste operazioni di giorno, con il rischio di una nuova mobilitazione. L’operazione fu allora svolta la notte tra il 7 e l’8 marzo, dove i repubblichini locali, coadiuvati dalla GNR, dai poliziotti e dai carabinieri, iniziarono un rastrellamento mirato sul territorio dell’empolese. Per evitare troppe problematiche fu utilizzato un modus operandi assai semplificato: gruppi di persone armate si presentavano a casa della persona da prelevare invitandola a seguirli nella caserma più vicina dove, dicevano gli squadristi, ci sarebbe stato un maresciallo o un suo vice che aveva delle domande da porgli. L’incursione in piena notte, il sonno, la paura e la mancata conoscenza del fatto che non si trattasse di un fatto isolato ma di una deportazione generale, portò tutti gli uomini a seguire i poliziotti o chi per loro senza scappare o reagire. Un’operazione che nella sua malvagità fu gestita con rara lungimiranza e dove fu curato ogni particolare. A Montelupo, ad esempio, i fascisti, consci che sarebbe stato impossibile con questo metodo prelevare chi era già scappato dal paese – la maggior parte si rifugiò nella zona di Botinaccio – organizzarono l’imboscata utilizzando un’ambulanza per evitare ogni tipo di sospetto. Un’altra tattica diversificata fu utilizzata per i lavoratori della vetreria Taddei di Empoli, i quali furono direttamente prelevati in azienda con una retata. Stessa sorte sarebbe dovuta toccare anche agli operai di un’altra vetreria empolese, la CESA. In questo caso però, intuendo la situazione che si stava creando, il capo fabbrica Betti Rinaldo ebbe la lungimiranza di azionare l’allarme che fece scappare tutti gli operai, i quali vennero a conoscenza soltanto il giorno seguente di esser sfuggiti non ad un guasto all’impianto ma ad una deportazione di massa[3].

Come dicevamo, esclusa la CESA, il rastrellamento riuscì perfettamente. Ad Empoli, oltre ai 26 operai della Taddei, furono arrestate altre 30 persone, a Montelupo gli arrestati sono 22, a Limite sull’Arno 11, a Vinci 7, a Fucecchio 9 e a Cerreto Guidi 7[4]. L’indomani, tra lo sgomento e l’incredulità della popolazione, ignara della sorte dei loro concittadini, gli arrestati furono trasferiti con dei pullman a Firenze, precisamente alla Scuole Leopoldine, in piazza Santa Maria Novella. Qui, dopo esser stati registrati, ed in alcuni casi interrogati, furono scortati dalle forze tedesche presso la Stazione Centrale. Lì si trovarono di fronte alcuni carri ferroviari, quelli usati per il trasporto del bestiame, dove furono costretti a salire. Dopo tre giorni interminabili di viaggio, ammassati, senza dormire né mangiare, l’arrivo ad una stazione ferroviaria austriaca. Stanchi, impauriti e sprovvisti di un abbigliamento adeguato alla neve pungente furono costretti ad intraprendere una marcia di sei chilometri fino ad una fortezza abnorme, con due torri unite da un muro in pietra al centro del quale si trovava una grande portale di legno. In pochi di loro riuscirono, in quelle condizioni, a scorgere una scritta che inaugura il campo: «Il lavoro rende liberi!». Erano arrivati a Mauthausen.

Dei 92 lavoratori ed antifascisti prelevati la notte tra il 7 e l’8 marzo e spediti al campo di concentramento, soltanto 5 o 6 avrebbero successivamente fatto ritorno alle loro famiglie, tutti gli altri non riuscirono a sopravvivere alle condizioni disumane dei campi.

 

 

Note:

 

[1] L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, Editore Riuniti, Roma, 1970, pp. 469-470.

 

[2]  A. Dini, La notte dell’odio, Editore Nuova Fortezza, Livorno, 2000, p. 23.

 

[3]  Ivi, pp. 26-29.

 

[4]  L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, p. 472.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.




PASSEGGIATE NELLA FIRENZE DELLA LIBERAZIONE. Ideazione e realizzazione di itinerari sulla Firenze del 1943-’44: tra Guerra e Liberazione

L’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, per suo patrimonio e competenze, fornisce strumenti e conoscenza per ripercorrere la storia della Resistenza. La progettazione di itinerari legati al contesto della Resistenza e della Guerra si inserisce in un lavoro di tipo culturale svolto da anni dall’ISRT che ha portato a risultati importanti sul Quartiere 1 e il Quartiere 5.

Il progetto, svolto in collaborazione con l’Associazione culturale Regola d’Arte di Firenze e sostenuto dall’Assessorato al Turismo del Comune di Firenze nell’ambito del bando per la promozione della Firenze Insolita, valorizza la città andando a inglobare anche il territorio circostante, centrando l’attenzione sulla sua storia più recente e promuovendo percorsi meno noti nei luoghi della Firenze del Novecento, focalizzando l’interesse sui punti inusuali e meno conosciuti per incoraggiare un turismo diversificato e capace di comprendere anche la cittadinanza.

La prima fase del progetto è stata caratterizzata dallo sviluppo e dalla messa a disposizione, nel periodo compreso tra i mesi di settembre e ottobre, di progettualità di itinerari meno conosciuti del contesto urbano fiorentino ripresi dalla sezione “itinerari” del portale ToscanaNovecento e la progettazione e messa online degli itinerari nel mese di novembre; il progetto, poi, ha previsto un seminario di formazione online il 9 novembre 2021 svolto in collaborazione con l’Associazione Liberation Route Italia di Lucca, a cui hanno partecipato oltre 70 guide turistiche professioniste di Firenze per formarle approfonditamente sugli avvenimenti che riguardano le tappe degli itinerari; infine, la terza ed ultima fase è stata caratterizzata dalla sperimentazione di un primo calendario di percorsi previsto per novembre, con 3 itinerari ripetuti (2 uscite per ogni itinerario) per un massimo di 6 uscite totali. I trekking urbani sono stati condotti dalle due  guide professioniste, Ilaria Masi e Angela Russo di Regola d’arte, e arricchiti da brevi pillole di storia in luoghi significativi a cura di storici o storiche dell’ISRT e sono stati impreziositi da ospiti a sorpresa come il Direttore dell’Istituto – Matteo Mazzoni – e la cantautrice fiorentina Letizia Fuochi.

Lo svolgimento degli itinerari è stata anche un’occasione per promuovere le attività storiche presenti sul territorio e valorizzare i cambiamenti dei luoghi e degli edifici di cui descriviamo gli eventi del passato. Aspetto originale del progetto è stata la volontà di unire i percorsi culturali proposti alla promozione di realtà significative presenti all’interno degli itinerari, ad esempio il Conventino nel quartiere centrale dell’Oltrarno, e quindi incoraggiare la conoscenza di un aspetto inedito della città a sostegno dell’artigianato fiorentino, parte integrante della realtà cittadina ma che spesso rimane nascosto e per questo ha difficoltà a essere scoperto sia dai/dalle turisti/e che dal mercato locale, soprattutto dai/dalle più giovani. Inoltre, nell’ottica di un coinvolgimento culturale, abbiamo puntato a pubblicizzare luoghi che hanno una storia e una memoria importante per la città e che ora rappresentano un particolare aspetto della vita sociale, artistica e urbana come la Manifattura Tabacchi, culla di numerosi eventi e importanti iniziative per Firenze.

L’offerta di tipo storico-culturale, mira a raggiungere target differenziati ed è capace di coinvolgere tutta la cittadinanza, giovani compresi/e, e sostenere un accrescimento culturale incoraggiando la partecipazione delle persone alla vita sociale della città, soprattutto nei luoghi poco fuori dal centro storico, e sensibilizzare la comunità locale. Proponendo questi percorsi alternativi validi, anche i/le turisti/e che decidono di soggiornare in città possono usufruire di questo servizio con l’auspicio di migliorare e arricchire il loro soggiorno cittadino.

I percorsi all’interno della storia della Guerra, della Resistenza e della Liberazione cittadina, che sono stati pubblicizzati sul sito di Feel Florence pagina ufficiale del turismo del Comune di Firenze e della Città Metropolitana, ci aiutano a riscoprire radici e guardare con occhi diversi la città di oggi.


ITINERARI

  • Itinerario 1. Oltrarno:

Le vicende della Resistenza a Firenze sono quelle di tanti quartieri ma l’Oltrarno ne è certamente protagonista e avanguardia politica nonché simbolo del riscatto della città. Questo percorso ripercorre la strada fatta dagli Alleati dal momento del loro ingresso in città nel 1944; il punto di partenza è Porta Romana, dove entrò la prima pattuglia inglese, per poi proseguire il tour seguendo il loro avanzamento nelle strade del quartiere. Il percorso segue varie tappe del loro passaggio nei luoghi importanti e noti di Firenze come Palazzo Pitti, Ponte Santa Trinita, Ponte Vecchio e Piazza Santo Spirito per terminare, passando davanti al Convento del Carmine e per Piazza Tasso, infine al Conventino, un complesso storico situato nel cuore del quartiere popolare di San Frediano che per vocazione e identità accoglie artisti e artigiani e che fu frequentato da ferventi ed attivissimi antifascisti.

Il volto dell’Oltrarno oggi è cambiato ma le sue strade, quelle strade percorse dai protagonisti della Resistenza cittadina rimangono, anch’esse al pari delle opere d’arte, un patrimonio vivo che riemerge ancora oggi nella vita sociale e politica del quartiere ed è testimonianza, dal punto di vista storico e umano, della Resistenza italiana.

Durata del tour: circa due ore

  • Itinerario 2. Quartiere 5 percorso 1:

           La battaglia della Firenze operaia

Il percorso ripercorre gli interminabili giorni dopo la Liberazione della città, avvenuta l’11 agosto 1944, degli abitanti nelle zone tra il Mugnone e il Terzolle; in quelle settimane due luoghi, in particolare, divennero il simbolo delle opposte fazioni, la Manifattura Tabacchi e il Casone dei Ferrovieri. Ubicati a poca distanza l’uno dall’altro, da lì, si percorrono le vie del quartiere in cui tedeschi e partigiani si fronteggiarono in azioni di combattimento. Il percorso inizia proprio alla Manifattura Tabacchi, l’ex fabbrica di tabacco di cui ricostruiamo la sua storia durante la Guerra e valorizziamo la sua dimensione nella realtà attuale, volta a dar vita a un nuovo quartiere della città animato da energia creativa e complementare al centro storico: una destinazione contemporanea per cittadinanza e turismo. Posta al limite della parte occidentale della città, tra le Cascine e il Mugnone, a partire dalla mattina dell’11 agosto la Manifattura era diventata fortino dei paracadutisti tedeschi contrapposto al vicino Casone dei Ferrovieri, un edificio tra le vie Rinuccini, Petrella e Ponchielli, destinato fin dalla sua costruzione alle famiglie dei ferrovieri spesso di tradizione antifascista e importante base strategica per i partigiani durante le giornate per la Liberazione della città. Il percorso procede poi lungo il Mugnone, una zona protagonista di diverse vicende legate alla seconda linea del fronte e ai suoi ponti, per terminare al cippo in memoria dei caduti della patria posto vicino alla Casa della Cultura e della ricreazione di Ponte di Mezzo, altra zona chiave dei giorni caldi dell’agosto 1944.

Durata del tour: circa due ore

  • Itinerario 3. Quartiere 5 percorso 2:

           Le ferite della guerra: fra occupazione e lotta per la libertà

Il percorso inizia davanti al cippo per il decennale della Resistenza al centro di Piazza Dalmazia. Proseguendo ci si trova davanti alle ex Officine Galileo, storico stabilimento operaio nel Viale Morgagni n.19, caposaldo della classe operaia fiorentina i cui operai, assieme a quelli della Pignone e di altre industrie fiorentine, si resero protagonisti dello sciopero del 3 marzo 1944. Durante la Liberazione della città fu un luogo di combattimenti conteso tra pattuglie tedesche e reparti ciellenisti, che le occuparono in modo alterno con perdite su entrambi i fronti. Avanzando per il Viale Morgagni, teatro di rastrellamenti di civili, si ripercorrono le vicende degli ultimi giorni della battaglia di Firenze fino alla liberazione dell’Ospedale di Careggi, avvenuta il 31 agosto 1944 con cui la città potè dirsi completamente liberata. Ancora oggi è davvero difficile credere che l’intera struttura sanitaria sia stata al centro dei combattimenti, presidiata giorno e notte da mitragliatrici tedesche che la “puntavano a vista”.

Penultima e doverosa tappa alla Pieve di Santo Stefano in Pane fulcro, durante gli anni della guerra, dell’assistenza ai cittadini della zona ad opera della Madonnina del Grappa di Firenze di don Giulio Facibeni conosciuto sia per l’impegno nell’ospitalità offerta agli ebrei che per la vicinanza con gli ambienti antifascisti. Il percorso termina allo Stabilimento Chimico Farmaceutico tristemente noto per i fatti che vi si sono svolti la notte del 5 agosto 1944. Nel cortile interno, infatti, una lapide ricorda le dodici vittime della strage tedesca in città.

Durata del tour: circa due ore


 

 

Sempre nell’ambito del bando per la promozione della Firenze Insolita, sono state ideate nuove passeggiate sperimentate nel 2023 grazie al sostegno dell’Assessorato al Turismo del Comune di Firenze, e di nuovo in collaborazione con l’Associazione culturale Regola d’Arte.

I nuovi itinerari sono stati progettati alla luce di documenti inediti conservati presso il nostro Istituto (Carte Mascherini recentemente rinvenute all’interno del fondo CTLN e contenente documentazione relativa ai progetti di edificazione del monumento ai 5 renitenti alla leva fucilati alla Stadio di Campo di Marte e di due lapidi a partigiani presenti nella stessa area), che hanno interessato il Quartiere 2 (le Cure e Campo Marte) e la zona tra la Fortezza da Basso e il Ponte Rosso. In particolare, la ricerca e la progettazione relativa a questi nuovi itinerari hanno riguardato gli effetti del passaggio della guerra e in particolare dei bombardamenti aerei, le azioni gappiste lungo la ferrovia, l’occupazione e le fucilazioni dei renitenti alla leva fascista, oltre alla scoperta delle lapidi ai partigiani e le vicende della battaglia per la Liberazione nella zona che si estende dalla Fortezza da Basso fino al Ponte Rosso. Sono stati così ideati due nuovi itinerari che consentono di attraversare con rinnovata consapevolezza questa parte della città: percorso Mugnone. Dalla Fortezza alle Cure: lungo la seconda linea di difesa e percorso Quartiere 2. Stadio. Campo di Marte, la guerra in città.

Infine, un ulteriore percorso – sperimentato in altre occasioni al di fuori del bando del Comune di Firenze – è quello che riguarda la zona di Sant’Ambrogio.


NUOVI ITINERARI

  • Itinerario 4. Mugnone. Dalla Fortezza alle Cure: lungo la seconda linea di difesa
  • Itinerario 5. Quartiere 2. Stadio. Campo di Marte, la guerra in città
  • Itinerario 6. Sant’Ambrogio: Storie di Resistenza



“Nel vento e nel ricordo”. Storie di bambini ebrei della Shoah in provincia di Lucca

www.nelventoenelricordo.it.

La mostra è online dal 23 gennaio e rappresenta, oltre che un prezioso veicolo di memoria, uno strumento a disposizione delle scuole di ogni ordine e grado. La realizzazione è avvenuta grazie alla collaborazione della provincia di Lucca e dei comuni di Lucca, Altopascio, Barga, Borgo a Mozzano, Camaiore, Capannori, Castiglione di Garfagnana, Gallicano, Minucciano, Montecarlo, Porcari, Stazzema e Viareggio.




I luoghi della memoria nella provincia di Lucca

Cosa accadde il 6 gennaio 1944 alla stazione di Lucca? Perché la località Merlacchiaia è conosciuta anche fuori dal comune di Castelnuovo Garfagnana? Oppure, ancora: qualcuno ha letto un libro in cui si racconta di un eccidio di monaci certosini. Ma dove, di preciso è avvenuto tutto ciò?

L’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in provincia di Lucca ha voluto iniziare un percorso che potremmo definire di “memoria condivisa”: la mappatura dei luoghi più significativi in cui rimangono tracce lasciate dagli uomini e dalle donne che hanno partecipato alla Resistenza antifascista nella provincia di Lucca

Un percorso multimediale. Che da una piccola targa lasciata su questi “luoghi della memoria”, grazie a uno smartphone o a un tablet puntato su un QR Code, introduce a una pagina web con le principali informazioni e approfondimenti su quanto avvenuto in quel luogo negli anni drammatici della seconda guerra mondiale.
Oppure, al contrario, partendo da un luogo indicato sulla cartina geografica scoprire la storia – la memoria – che sta dietro a quel luogo.
L’obiettivo è avere una visione d’insieme del nostro territorio e conservarne la memoria storica.

Sul sito dell’ISREC Lucca, nella sezione dedicata ai Luoghi della memoria si possono leggere le storie dei luoghi a partire dalla mappa.

Un itinerario consigliato:

Lucca centro: 

Partenza dalla stazione, distrutta da un pesante bombardamento alleato il 6 gennaio 1944. Si passerà poi per la Casa degli Oblati, punto di riferieto per la Resistenza senz’armi; a Porta Elisa invece si ricorda il sacrificio di Don Aldo Mei, ucciso il 4 agosto 1944 dai nazisti perchè sospettato di dare aiuto ai partigiani; si passerà poi per la Pia Casa dove transitarono 70 mila persone deportate nei campi di lavoro in Germania; si passerà poi per via del Panificio dove una targa ricorda lo scrittore, Giorgio Petroni, premio Strega nel 1974, ma anche partigiano; per giungere infine a Porta San Pietro da dove il 5 settembre 1944 gli alleati entrarono nella città per liberarla.

Sul sito dell’ISREC Lucca molti altri luoghi da scoprire, per visitare con uo sguardo nuovo il territorio della Versilia, della Garfagnana e della lucchesia.