L’eccidio di piazza Ferrucci ad Empoli

Sono 29 persone in marcia verso la morte in una mattina di luglio a Empoli.

Prima di addentrarci nella narrazioni dei fatti di piazza Ferrucci ad Empoli del 24 luglio 1944, è doveroso spiegare il contesto che portò alla fucilazione di 29 civili da parte delle forze armate tedesche. La popolazione toscana è stata vittima – dal 1943 al 1944 – di brutali eccidi perpetrati dall’esercito tedesco, aiutato delle squadre della Repubblica sociale, durante l’occupazione del territorio italiano in seguito all’armistizio. In particolare, le stragi nazifasciste nel territorio toscano si sono intensificate tra l’aprile e il settembre del 1944, in concomitanza con la ritirata tedesca dovuta all’avanzamento degli eserciti alleati. Da ricordare in questo caso vi è  l’Operazione Diadem, che portò allo sfondamento del fronte di Montecassino e di tutte le successive linee di difesa approntate da Kesselring tra la Linea Gustav e la campagna romana. Inoltre il 23 maggio, anche le truppe anglo-americane, ferme sul fronte di Anzio, iniziarono la loro marcia verso la capitale. Dopo il cedimento del fronte, le due armate tedesche iniziarono una disordinata ritirata, che si fece ancor più repentina dopo la liberazione di Roma – tra il 4 e il 20 giugno – dove gli alleati si spinsero fino alla linea del lago Trasimeno, venendo di fatto a mancare una linea di fronte stabile.

Le difficoltà delle truppe tedesche derivavano dalla difficile difesa che presentava il territorio posto sopra Roma. Con l’apertura delle valli del Tevere e dell’Arno il percorrimento si faceva assai ostico. Il Tevere non offriva alcuna protezione, rendendo solo difficili le comunicazioni. Solo l’Arno – dopo Firenze – rappresentava una linea di difesa naturale accettabile per le forze tedesche, oltre ad essere l’ultima difesa prima dell’arrivo alla Linea Gotica. Fu così che l’esercito tedesco mise in atto un riassetto organizzativo totale della linea difensiva che potremmo così riassumere: fu inizialmente costruita la cosiddetta  Linea Dora (Orbetello – lago di Bolsena – Narni – Rieti – L’Aquila – Pescara) e successivamente la Linea Albert (Grosseto – lago Trasimeno – Numana)[1]. La riorganizzazione tedesca riuscì inizialmente nel suo intento, rallentando l’avanzamento alleato e ritardando quindi la liberazione del territorio toscano, con conseguenze atroci per la parti civili. L’inizio di queste azioni di violenza inaudita contro le popolazioni locali va ricondotta anche all’interno di una logica di guerra psicologica viste le difficoltà dell’esercito tedesco nella gestione dei civili. Il casus belli  che portò al cambiamento dell’atteggiamento nei confronti della compagine civile può esser ricondotto all’attentato di via Rasella a Roma del 23 marzo, effettuato dal gruppo di Azione Patriottica (GAP), che portò alla morte di 33 soldati tedeschi e al ferimento di 53. Un’azione così marcata contro l’esercito tedesco in una delle principali capitali europee controllate dal Reich venne percepito a Berlino come un’onta indelebile che portò ad un cambio radicale di atteggiamento di cui l’eccidio delle fosse Ardeatine rappresentò solo l’inizio.

La tragedia di Empoli va quindi inserita in questo contesto storico, all’interno di una situazione già tesa da mesi a causa degli scioperi del marzo 1944, che ad Empoli avevano riguardato la storica vetreria Taddei e che avevano portato a deportazioni di massa in tutto il territorio circostante. Da un punto di vista bellico invece, con il cambiamento ulteriore del teatro di guerra nel luglio del 1944, vi era stato lo spostamento delle truppe tedesche sulla sponda meridionale dell’Arno in attesa dell’offensiva alleata proveniente dalla Val d’Elsa. Il fronte stava rapidamente cambiando. Con la liberazione di Grosseto (metà giugno) e Siena (3 luglio), gli Alleati risalivano verso Pisa e Livorno, e il fronte si avvicinava sempre più al territorio empolese. Ad ulteriore riprova va riportato l’ordine di evacuazione del centro cittadino diramato dall’occupante tedesco per i territori di Empoli e delle località limitrofe: Tinaia, Pontorme, Cortenuova, Avane, Santa Maria, Pagnana, Marcignana, Spicchio e Sovigliana, Capraia e Limite, Montelupo, Fucecchio, San Miniato e Castelfiorentino[2].

In concomitanza con ciò, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) empolese aveva invece invitato le formazioni partigiane sparse nel territorio a convergere sulla città, per ostacolare gli spostamenti delle truppe tedesche nei dintorni di Empoli. Durante questa mobilitazione, il 23 luglio, un gruppo di partigiani – intenti a sistemare le proprie armi all’interno di una capanna nei pressi di Pratovecchio – vennero scoperti da un’unità tedesca in perlustrazione appartenente al 29 Grenadier-Regiment. Ne nacque uno scontro a fuoco che portò alla morte di sei, forse sette, soldati tedeschi. I superstiti riuscirono a raggiungere il comando tedesco, situato presso il Terrafino, dove comunicarono l’accaduto al capitano Lutz del 2° Battaglione, il quale informò prontamente il generale Hecker, comandante della 3. Panzer-Grenadier. La rappresaglia tedesca non si fece attendere. Già nel corso della serata vi fu l’arresto di alcune persone, che vennero però rilasciate dopo poche ore, in uno scenario di un’Empoli deserta. La vera reazione tedesca arrivò il giorno seguente, quando gli uomini della 3. Panzer-Grenadier prelevarono numerosi civili per poi condurli a Pratovecchio, nella stessa capanna della sparatoria del giorno precedente. Mentre gli ostaggi aspettavano nervosamente la punizione tedesca, un pagliaio andò a fuoco, probabilmente opera di un civile per cercare di creare un diversivo, ed effettivamente qualcuno riuscì a fuggire. Nel frattempo, oltre all’arrivo di altri soldati, iniziarono ad essere piazzate le mitragliatrici. L’intento era quindi chiaro, la fucilazione degli ostaggi come piena risposta delle azioni partigiane. Proprio durante la fine delle preparazioni, la scena venne notata da un ricognitore inglese, il quale si affrettò subito ad avvertire dell’accaduto l’artiglieria inglese, la quale sparò qualche colpo in zona di avvertimento, consentendo così ad altri civili di scappare. Nonostante le numerose problematiche, l’esercito tedesco, deciso a portare a termine l’operazione, scortò gli ostaggi rimasti nel centro cittadino. Alcuni di essi riuscirono a fuggire durante il tragitto, ma ne verranno catturati di nuovi[3].

Arrivati ad Empoli, i civili furono fatti sostare sotto il portico del mercato e condotti a gruppi di tre o quattro in piazza Ferrucci dove furono fucilati tra i due alberi di platano. In questa rappresaglia, la 3. Divisione uccise ben 29 persone:

– Bagnoli Luigi (31/05/1883);

– Bargigli Mario Bruno (12/10/1921);

– Bartolini Guido (05/05/1916);

– Bitossi Arduino (10/08/1885);

– Boldrini Orlando (24/07/1880);

– Capecchi Pietro (19/07/1883);

– Cerbioni Bruno (27/02/1926);

– Cerbioni Francesco (25/10/1887);

– Cerbioni Giulio (11/10/1915);

– Chelini Gaspero (26/09/1897);

– Chelini Gino (04/03/1892);

– Ciampi Giuseppe (10/05/1891);

– Ciampi Pietro (16/08/1896);

– Ciampi Virgilio (03/05/1893);

– Cianti Giulio (16/09/1911);

– Gimignani Pasquale (19/09/1898);

– Gori Corrado (30/12/1879);

– Martini Giulio (08/06/1878);

– Martini Pietro (10/04/1885);

– Morelli Mario Gino (15/08/1888);

– Nucci Palmiro (20/03/1888);

– Padovani Gaspero (22/10/1865);

– Parri Alfredo (02/05/1910);

– Parrini Antonio (56 anni);

– Peruzzi Carlo (02/11/1881);

– Piccini Gino (13/08/1895);

– Pucci Alfredo (06/10/1892);

– Taddei Gino (11/12/1906);

– Vizzone Domenico (03/03/1904)[4].

 

I loro cadaveri rimarranno in piazza fino al giorno seguente. Soltanto uno di loro riuscì a salvarsi, Arturo Passerotti. Tentò la fuga prima dell’esecuzione e, nonostante fosse stato colpito alla gamba destra e alla testa, riuscì a scappare[5]. Nei giorni successivi Empoli resterà teatro di altre manifestazioni di rappresaglia tedesca, questa volta tramite minamenti e bombardamenti, fino alla sua definitiva liberazione, il 2 settembre.

Oggi quei 29 nomi sono dignitosamente ricordati nella stessa piazza F. Ferrucci ad Empoli, rinominata piazza “XXIV luglio” in loro onore.

 

 

Note

 

[1] C. Gentile, Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-45. 4. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, Carocci Editore, Roma, 2005, pp. 89-90.

 

[2] L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, Editore Riuniti, Roma, 1970, p. 487.

 

[3] G. Fulvetti, Ucciere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), regione Toscana, Carocci editore, Roma, 2009, pp. 157-159.

 

[4] Atlante delle stragi nazifasciste in Italia

https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2395

 

[5] Per leggere la sua testimonianza si rimanda a Empoli negli ultimi cento anni: notizie, figure, personaggi: antologia di testi letterari e di varia documentazione, a cura di A. Morelli, Empoli, Comune di Empoli, 1977, pp. 96-99.

 

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.




Le deportazioni dell’8 marzo 1944 nell’empolese

92 lavoratori in viaggio verso il campo di concentramento di Mauthausen. La loro unica colpa? Aver scioperato, aver cercato di rivendicare i propri diritti. Un atto ritenuto di un oltraggio tale, dall’autorità tedesca, che fu pagato con la vita.

Marzo 1944. Il fronte bellico interno presentava una situazione di assoluta impasse: era fallito il contrattacco tedesco di Anzio come l’avanzata alleata sul fronte del Cassino. Le notizie più entusiasmanti per la resistenza interna provenivano dal fronte orientale, con la liberazione dell’intera Ucraina da parte dell’Unione Sovietica e la loro repentina avanzata. Mentre i partigiani fantasticavano l’eventuale creazione di un secondo fronte di guerra alleato, paventato dagli entusiasmi di Radio Londra. È in questo contesto, di stallo italico ma di grande fervore internazionale che si inseriscono gli scioperi generali indetto dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per la rivendicazione di un aumento delle razioni alimentari, dei salari e contro la deportazione degli italiani in Germania.

Non doveva essere una semplice rivendicazione. Nei mesi che la precedettero, crebbe continuamente la mobilitazione alla lotta clandestina nei territori dell’empolese. Lo sciopero sarebbe dovuto essere una dimostrazione di forza da parte del CNL nei confronti di fascisti e tedeschi. La dimostrazione di esser in grado di mobilitare la maggior parte della popolazione, di rendere pubblica l’insoddisfazione per l’autorità. E così fu.

Lo sciopero, inizialmente previsto per il 3 marzo, nella zona dell’empolese fu rinviato al giorno successivo. La notte tra il 3 e il 4 marzo varie riunioni tra le squadre di SAP e GAP portarono alla decisione di organizzare alcune postazioni con mitragliatrici e casse di bombe per proteggere il corteo, che furono posizionati già a partire dall’alba. Alle otto del mattino un corteo di donne partì da Avane dando inizio alla manifestazione. Passando dalle frazioni di Mangolo e Santa Maria si unirono altre centinaia di donne, formando un’onda rosa che andò presto ad unirsi agli operai delle fabbriche e ai contadini, oltre che ai piccoli commercianti una volta chiusi i loro negozi. Per le strade del centro cittadino, ormai invase dalla mobilitazione, era alta la voce della protesta collettiva, manifestata da vari cori, da «Pace e Pane» a «Fuori lo straniero». Una rabbia popolare che aveva una chiara connotazione anti-fascista ed anti-tedesca, le cui autorità non ebbero la forza di interrompere. Gli intenti del CLN si realizzarono completamente, con i fascisti che presero dolorosamente atto della situazione, ben consci che una risposta armata alla protesta avrebbe potuto portare – oltre che ad una possibile guerriglia con le forze partigiane – ad una successiva mobilitazione in cui fosse presente l’intera popolazione. La piena riuscita dello sciopero si verificò anche nelle altre località dell’empolese, solo a Limite e Capraia ci fu il tentativo da parte dei carabinieri e dei fascisti locali di sedare la protesta tramite lacrimogeni, senza però successo[1].

La situazione più interessante la troviamo ad Empoli. Dove la riuscita della mobilitazione derivò dall’unione delle rivendicazioni portate avanti dai contadini – forti proteste per la consegna di ulteriori 15 kg di grano all’ammasso e la richiesta del diritto di libera macinazione – e dagli operai, rappresentati soprattutto dai lavoratori della vetreria Taddei, il complesso industriale più grande dell’empolese. L’unione di questi due ceti, storicamente divisi, creò la forza necessaria per dimostrare alle autorità locali la presenza di un dissenso strutturato e ormai impavido di fronte alle minacce fasciste. Una delegazione di scioperanti fu anche ricevuta in Comune per ricevere tutte le rassicurazioni di rito. Le autorità fasciste si dimostrarono così inermi e succubi della situazione, facendo percepire il loro netto disagio nel constatare la presenza di un dissenso non controllabile[2].

Le conseguenze dello sciopero furono chiare. Una situazione di ordine pubblico non più sostenibile e a cui andava posto un rimedio. La rappresaglia non ebbe però luogo nella stessa giornata, per le ragioni già scritte, ma arrivò qualche giorno più tardi. Il clamore della mobilitazione, che ricordiamo, ebbe una grande impatto in tutte le parti d’Italia sotto il controllo tedesco, ebbe una risonanza tale che arrivò direttamente alla scrivania dello stesso Hitler. Il quale, una volta informato, diede disposizione a Himmler, il comandante delle SS, di deportare il 20% di coloro che avevano partecipato agli scioperi in Germania per “lavorare”. Fu così che tra il 4 e l’8 marzo del 1944 i dirigenti locali repubblichini stilarono varie liste di nomi che avrebbero deportato da lì a breve. Decisione, questa, accolta con grande gioia e soddisfazione dai comitati fascisti locali, desiderosi di poter stilare liste arbitrarie più rivolte a connotazioni politiche e personali che riguardanti i fatti del 4 marzo (basti pensare che molti fra gli uomini che verranno deportati non avevano partecipato allo sciopero generale). Sorgeva però un problema logistico e di ordine pubblico. Vista la grande solidarietà della popolazione allo sciopero di quattro giorni prima, sarebbe stato assai rischioso svolgere queste operazioni di giorno, con il rischio di una nuova mobilitazione. L’operazione fu allora svolta la notte tra il 7 e l’8 marzo, dove i repubblichini locali, coadiuvati dalla GNR, dai poliziotti e dai carabinieri, iniziarono un rastrellamento mirato sul territorio dell’empolese. Per evitare troppe problematiche fu utilizzato un modus operandi assai semplificato: gruppi di persone armate si presentavano a casa della persona da prelevare invitandola a seguirli nella caserma più vicina dove, dicevano gli squadristi, ci sarebbe stato un maresciallo o un suo vice che aveva delle domande da porgli. L’incursione in piena notte, il sonno, la paura e la mancata conoscenza del fatto che non si trattasse di un fatto isolato ma di una deportazione generale, portò tutti gli uomini a seguire i poliziotti o chi per loro senza scappare o reagire. Un’operazione che nella sua malvagità fu gestita con rara lungimiranza e dove fu curato ogni particolare. A Montelupo, ad esempio, i fascisti, consci che sarebbe stato impossibile con questo metodo prelevare chi era già scappato dal paese – la maggior parte si rifugiò nella zona di Botinaccio – organizzarono l’imboscata utilizzando un’ambulanza per evitare ogni tipo di sospetto. Un’altra tattica diversificata fu utilizzata per i lavoratori della vetreria Taddei di Empoli, i quali furono direttamente prelevati in azienda con una retata. Stessa sorte sarebbe dovuta toccare anche agli operai di un’altra vetreria empolese, la CESA. In questo caso però, intuendo la situazione che si stava creando, il capo fabbrica Betti Rinaldo ebbe la lungimiranza di azionare l’allarme che fece scappare tutti gli operai, i quali vennero a conoscenza soltanto il giorno seguente di esser sfuggiti non ad un guasto all’impianto ma ad una deportazione di massa[3].

Come dicevamo, esclusa la CESA, il rastrellamento riuscì perfettamente. Ad Empoli, oltre ai 26 operai della Taddei, furono arrestate altre 30 persone, a Montelupo gli arrestati sono 22, a Limite sull’Arno 11, a Vinci 7, a Fucecchio 9 e a Cerreto Guidi 7[4]. L’indomani, tra lo sgomento e l’incredulità della popolazione, ignara della sorte dei loro concittadini, gli arrestati furono trasferiti con dei pullman a Firenze, precisamente alla Scuole Leopoldine, in piazza Santa Maria Novella. Qui, dopo esser stati registrati, ed in alcuni casi interrogati, furono scortati dalle forze tedesche presso la Stazione Centrale. Lì si trovarono di fronte alcuni carri ferroviari, quelli usati per il trasporto del bestiame, dove furono costretti a salire. Dopo tre giorni interminabili di viaggio, ammassati, senza dormire né mangiare, l’arrivo ad una stazione ferroviaria austriaca. Stanchi, impauriti e sprovvisti di un abbigliamento adeguato alla neve pungente furono costretti ad intraprendere una marcia di sei chilometri fino ad una fortezza abnorme, con due torri unite da un muro in pietra al centro del quale si trovava una grande portale di legno. In pochi di loro riuscirono, in quelle condizioni, a scorgere una scritta che inaugura il campo: «Il lavoro rende liberi!». Erano arrivati a Mauthausen.

Dei 92 lavoratori ed antifascisti prelevati la notte tra il 7 e l’8 marzo e spediti al campo di concentramento, soltanto 5 o 6 avrebbero successivamente fatto ritorno alle loro famiglie, tutti gli altri non riuscirono a sopravvivere alle condizioni disumane dei campi.

 

 

Note:

 

[1] L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, Editore Riuniti, Roma, 1970, pp. 469-470.

 

[2]  A. Dini, La notte dell’odio, Editore Nuova Fortezza, Livorno, 2000, p. 23.

 

[3]  Ivi, pp. 26-29.

 

[4]  L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, p. 472.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel luglio 2024.




Il sentiero della memoria dei Monti Scalari e Pian d’Albero

Grazie al lavoro di ricostruzione storica, condotto in particolare da Matteo Barucci intorno alle vicende della Brigata Sinigaglia e alla strage di Pian d’Albero, è stato realizzato un percorso ad anello di circa 11 km che parte e si conclude a Poggio alla Croce, nei territori dei comuni di Figline – Incisa Valdarno e Greve in Chianti.

Rispetto a precedenti percorsi CAI, il sentiero, adatto a chiunque abbia una minima esperienza, consente di scoprire luoghi poco noti che rievocano episodi della lotta di Resistenza in questa zona, oltre in noto casolare della famiglia Cavicchi teatro della strage di fine giugno del ’44.

Il sentiero attraversa, infatti, i colli di Poggio La Sughera e Poggio Tondo dove si muovevano gli uomini della Sinigaglia, costeggia i ruderi di Casa al Monte dei Venturi dove veniva cotto il pane della brigata, quindi passa dal Pianello, luogo di ricezione dei lanci alleati: una conca naturale, al riparo dai pericoli di avvistamento, nella quale fra il maggio e il giugno la brigata ricevette da parte probabilmente dell’esercito inglese almeno due lanci fondamentali per equipaggiare i partigiani fino ad allora in drammatica carenza di armi.

Il sentiero costeggia anche l’Abbazia San Cassiano o Badia Montescalari dove trovarono rifugio le truppe tedesche, il Casolare di Monte Moggio, dove si trovava un secondo forno per cuocere il pane per i partigiani, Poggio La beccheria, uno dei luoghi segnati dall’allestimento della linea difensiva Mädchen, realizzata dai nazisti per rallentare l’avanzata nemico e teatro di serrati scontri nel luglio del 1944.

Per approfondimenti: Wikiloc | Percorso Sentiero della memoria Monti Scalari e Pian d’Albero

 

 

 

 

 

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

 




Percorsi tra Storia e memoria sul Monte Giovi

La Città Metropolitana fiorentina, assieme alle comunità montane “Montagna Fiorentina” e “Mugello” e ai comuni di Pontassieve, Borgo San Lorenzo, Vicchio e Dicomano hanno istituito sul Monte Giovi un parco dedicato alla guerra di Liberazione, chiamato Parco culturale della Memoria, una sorta di «museo diffuso».

Come primo atto della costituzione del Parco culturale della Memoria, per il 60° Anniversario della Liberazione, l’ANPI di Firenze, con il gruppo escursionisti “Geo”, ha promosso una serie di “itinerari partigiani sul monte Giovi”, utilizzando in gran parte la sentieristica attivata dal CAI (Club Alpino Italiano) e intitolando i singoli sentieri a personalità o a gruppi di azione protagonisti dell’antifascismo e della Resistenza.

Il progetto è stato concepito in attuazione della Legge regionale N. 38/02 contenente “Norme in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico, politico e culturale dell’antifascismo e della Resistenza e di promozione di una cultura di libertà, democrazia, pace e collaborazione tra i popoli” [1].

Oltre alla finalità principale, cioè, promuovere la memoria degli eventi della Resistenza, il progetto si propone di recuperare la viabilità rurale che collega i quattro comuni compresi nell’accordo per valorizzare e rendere nuovamente fruibile la viabilità “secondaria” di un tempo. Il progetto comprende inoltre obiettivi di diffusione e di animazione culturale e sociale e precisi interventi sul territorio, tra i quali la costruzione di un monumento alla Memoria sulla vetta del monte Giovi. L’iniziativa, di alto valore culturale, coinvolge un territorio importante nella guerra di Liberazione, della quale tuttavia non conserva permanenze consistenti. Non meno rilevanti la salvaguardia della flora e della fauna locali, come il Cisto laurino (detto anche fiore della Madonna), unica presenza di tale arbusto in Italia.

Il Parco culturale è stato presentato a Firenze il 12 dicembre 2008 presso la sede della Provincia a Palazzo Medici Riccardi e prevede cinque diversi percorsi tematici:

 

MugelloToscana.it

Sentiero 1

Pievecchia-Acone [2]:

Acone (Pontassieve) – Galiga – Passo Aceraia – Prati Nuovi – Acone

Accesso principale da Pontassieve a Le Colline (8,5 chilometri); da Scopeti ad Acone (6 km). Durante questo itinerario si ricorda la rappresaglia della Pievecchia, quando i tedeschi uccisero 14 innocenti l’8 giugno 1944.

  • Lunghezza anello: 16,5 km
  • Dislivello anello max: 333 m ca. in salita, 627 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 5,30 ore
  • Difficoltà: medio-alta

Sentiero 2

Barbiana-Padulivo [3]: Accesso principale da Dicomano a Tamburino (7,0 chilometri). Anche in questo itinerario, che porta ai luoghi cari a Don Milani, si ricorda l’eccidio di Padulivo, quando il 10 luglio 1944 i tedeschi trucidarono 15 persone.

Mulino di Baldracca (Vicchio)- San Martino a Scopeto – Tamburino – Piramide Brigate Partigiane – Barbiana – Padulivo – Mulino di Baldracca

  • Lunghezza anello: 14 km
  • Dislivello anello max: 530 m ca. in salita, 631 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 4,20 ore
  • Difficoltà: medio-alta

La località mugellana è inoltre parte dell’itinerario denominato “Sentiero della Resistenza”, realizzato grazie a una convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri – che parte dal cippo che commemora la strage nazifascista di Padulivo a Vicchio e si compone di 33 pannelli, disegnati da studenti e studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e di altre scuole. I pannelli richiamano importanti episodi storici e stralci di lettere dei condannati a morte della Resistenza locale, nazionale ed europea (https://www.donlorenzomilani.it/sentiero-della-resistenza/) [4].

Sentiero 3

Madonna del Sasso: Accesso principale da Polcanto alla cascina di Monterotondo (5,2 chilometri). In questo itinerario si ricorda un evento del 1945 quando, presso il Santuario della Madonna del Sasso, vennero uccisi un maresciallo dei Carabinieri, suo figlio ed un militante comunista. Questi fatti ispirarono il romanzo di Carlo Cassola, La ragazza di Bube.

Santa Brigida (Pontassieve) – Madonna del Sasso – Monte Rotondo – Passo dell’Aceraia – Croce di Aceraia – Santa Brigida

  • Lunghezza anello: 11,5 km
  • Dislivello anello max: 495 m ca. in salita, 398 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 5,15 ore
  • Difficoltà: medio-alta

Sentiero 4

Monte Giovi: Recenti ritrovamenti hanno accertato che qui, in epoche remote, esisteva un luogo di culto, probabilmente dedicato a Giove. Lungo questo itinerario, si trova anche la piramide delle Brigate partigiane e Casa al Cerro (una delle basi più utilizzate dei partigiani). Presso Fonte alla Capra si tiene ogni anno, nella seconda domenica di luglio, il Raduno dei Partigiani e dei giovani di Monte Giovi.

Tamburino – San Giusto – Prati Nuovi – Casa Cerro – Monte Giovi – Piramide Brigate Partigiane – Tamburino

  • Lunghezza anello: 6 km
  • Dislivello anello max: 188 m ca. in salita, 188 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 2,10 ore anello (+ 3 ore con l’ingresso da Dicomano – Celle – Fostia – Pruneta – Tamburino)
  • Difficoltà: media

Piramide Brigate Partigiane (Acone)

 

Sentiero 5

Monte Rotondo: Accesso Principale da Sagginale all’intersezione con il sentiero CAI 3. In questo itinerario si trova villa Cerchiai, attaccata verso la metà dell’agosto 1944, dai tedeschi che tentarono un accerchiamento delle forze partigiane.

(San Cresci – Borgo San Lorenzo) – Innesto sentiero 3/A – Villa Cerchiai – Passo dell’Aceraia – Monte Rotondo – Montepulico – Poggio Santa Margherita – Campiano – Innesto sentiero 9 – (San Cresci)

  • Lunghezza anello: 16 km (da innesto sentiero 3/A a innesto sentiero 9)
  • Dislivello anello max: 530 m ca. in salita, 290 m ca. in discesa
  • Tempo di percorrenza: 5,10 ore anello+ 1 ora da San Cresci
  • Difficoltà: media

 

Il 25 aprile 2009 è stato inoltre inaugurato il Sentiero della Memoria, percorribile anche a cavallo ed in mountain-bike, che unisce Pontassieve alla Consuma passando da Rufina e da tre luoghi ove nel 1944 sono avvenute stragi di civili. Il sentiero, voluto dai Comuni di Pelago, Pontassieve e Rufina e dalla Comunità Montana della Montagna Fiorentina, è stato realizzato dal Gruppo Escursionisti Organizzati di Sieci e dalla Sottosezione di Pontassieve.

Riguardo a quel che avvenne in quei tragici giorni e alle vittime, è stata stampata una Cartoguida, distribuita gratuitamente dai Comuni, dal GEO, dalla Sottosezione di Pontassieve e scaricabile anche da https://www.caipontassieve.it/sentiero-della-memoria/, insieme alle tracce GPS.

Cartoguida lato carta, Sentiero della Memoria, CAI, Sezione di Firenze, sottosezione di Pontassieve “Romano Pini”

Cartoguida lato guida, Sentiero della Memoria, CAI, Sezione di Firenze, sottosezione di Pontassieve “Romano Pini” [5]

Il sentiero è lungo complessivamente circa 29 km e, percorrendolo da Pontassieve verso la Consuma, ha un dislivello complessivo di circa 1680 metri in salita e 800 in discesa.

In estrema sintesi. La partenza è nelle vicinanze del municipio di Pontassieve; il primo tratto, in comune con il sentiero 7, salendo conduce fuori dal paese. Dopo un tratto in prevalenza boscoso, ma non privo di scorci panoramici, si giunge alla Pievecchia. Il sentiero prosegue fino alla strada asfaltata proveniente da Monterifrassine, che seguirà fino a Montebonello, con il massiccio del Monte Giovi sulla sinistra a dominare in distanza la scena, mentre quello della Secchieta che fa capolino sulla destra. Superato il paese di Rufina, s’imbocca la vallata di Pomino, fino al piccolo borgo di Pinzano. Da lì, in breve, si perviene poi a Pomino, sino a Berceto, ove avvenne la strage del 17 aprile 1944 [6]. Passato il bosco e preso il sentiero 5, si giunge alla strada regionale per la Consuma [7], fino alla fattoria di Podernuovo, per arrivare poi alla villa, luogo della terza strage, compiuta il 25 agosto 1944. Proseguendo, si giunge alla villa di Lagacciolo. Il Sentiero della Memoria incontra quindi il sentiero 6, a cui si sovrappone fino alla Consuma, dove arriva anche il 5.

Tornando al Monte Giovi, dunque, esso è ricco di percorsi per gli amanti del trekking che della Storia. Questi, infatti, hanno la possibilità di raggiungere e osservare alcuni dei luoghi chiave e dei siti della Resistenza, segnalati da panel descrittivi. È comunque bene ricordare che Monte Giovi è noto anche per le burraie (percorso delle burraie) e per il parco archeologico, con i relativi ritrovamenti etruschi.

Una menzione particolare va fatta per il paese di Acone, piccola frazione nel comune di Pontassieve, dove ogni anno si organizza una festa per commemorare i fatti del 1944.

 

Note

  1. Nel Parco culturale di Monte Giovi, MugelloToscana.it, https://www.mugellotoscana.it/it/details/3-ristoranti/146-trattoria-lago-azzurro.html?mlt=ja_purity&tmpl=component [consultato nel maggio 2024]
  2. Atlante stragi nazifasciste, Pievecchia, Pontassieve, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2400 [consultato nel mese di maggio 2024]; cfr. Biagioni, Massimo, Achtung! Banditen! L’eccidio di Pievecchia a Pontassieve, Polistampa, Firenze, 2008
  3. Atlante stragi nazifasciste, Ponte a Vicchio e Strada Padulivo-Vicchio, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2412 [consultato nel mese di maggio 2024]
  4. Sentiero della Resistenza, Fondazione Don Lorenzo Milani, https://www.donlorenzomilani.it/sentiero-della-resistenza/
  5. Sentiero della Memoria, CAI Sezione di Firenze Sottosezione di Pontassieve “Romano Pini”, https://www.caipontassieve.it/sentiero-della-memoria/ [consultato nel mese di maggio 2024]
  6. Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]
  7. Atlante stragi nazifasciste, Consuma, Pelago, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2371 [consultato nel mese di maggio 2024]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel giugno 2024.




PASSEGGIATE NELLA FIRENZE DELLA LIBERAZIONE. Ideazione e realizzazione di itinerari sulla Firenze del 1943-’44: tra Guerra e Liberazione

L’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, per suo patrimonio e competenze, fornisce strumenti e conoscenza per ripercorrere la storia della Resistenza. La progettazione di itinerari legati al contesto della Resistenza e della Guerra si inserisce in un lavoro di tipo culturale svolto da anni dall’ISRT che ha portato a risultati importanti sul Quartiere 1 e il Quartiere 5.

Il progetto, svolto in collaborazione con l’Associazione culturale Regola d’Arte di Firenze e sostenuto dall’Assessorato al Turismo del Comune di Firenze nell’ambito del bando per la promozione della Firenze Insolita, valorizza la città andando a inglobare anche il territorio circostante, centrando l’attenzione sulla sua storia più recente e promuovendo percorsi meno noti nei luoghi della Firenze del Novecento, focalizzando l’interesse sui punti inusuali e meno conosciuti per incoraggiare un turismo diversificato e capace di comprendere anche la cittadinanza.

La prima fase del progetto è stata caratterizzata dallo sviluppo e dalla messa a disposizione, nel periodo compreso tra i mesi di settembre e ottobre, di progettualità di itinerari meno conosciuti del contesto urbano fiorentino ripresi dalla sezione “itinerari” del portale ToscanaNovecento e la progettazione e messa online degli itinerari nel mese di novembre; il progetto, poi, ha previsto un seminario di formazione online il 9 novembre 2021 svolto in collaborazione con l’Associazione Liberation Route Italia di Lucca, a cui hanno partecipato oltre 70 guide turistiche professioniste di Firenze per formarle approfonditamente sugli avvenimenti che riguardano le tappe degli itinerari; infine, la terza ed ultima fase è stata caratterizzata dalla sperimentazione di un primo calendario di percorsi previsto per novembre, con 3 itinerari ripetuti (2 uscite per ogni itinerario) per un massimo di 6 uscite totali. I trekking urbani sono stati condotti dalle due  guide professioniste, Ilaria Masi e Angela Russo di Regola d’arte, e arricchiti da brevi pillole di storia in luoghi significativi a cura di storici o storiche dell’ISRT e sono stati impreziositi da ospiti a sorpresa come il Direttore dell’Istituto – Matteo Mazzoni – e la cantautrice fiorentina Letizia Fuochi.

Lo svolgimento degli itinerari è stata anche un’occasione per promuovere le attività storiche presenti sul territorio e valorizzare i cambiamenti dei luoghi e degli edifici di cui descriviamo gli eventi del passato. Aspetto originale del progetto è stata la volontà di unire i percorsi culturali proposti alla promozione di realtà significative presenti all’interno degli itinerari, ad esempio il Conventino nel quartiere centrale dell’Oltrarno, e quindi incoraggiare la conoscenza di un aspetto inedito della città a sostegno dell’artigianato fiorentino, parte integrante della realtà cittadina ma che spesso rimane nascosto e per questo ha difficoltà a essere scoperto sia dai/dalle turisti/e che dal mercato locale, soprattutto dai/dalle più giovani. Inoltre, nell’ottica di un coinvolgimento culturale, abbiamo puntato a pubblicizzare luoghi che hanno una storia e una memoria importante per la città e che ora rappresentano un particolare aspetto della vita sociale, artistica e urbana come la Manifattura Tabacchi, culla di numerosi eventi e importanti iniziative per Firenze.

L’offerta di tipo storico-culturale, mira a raggiungere target differenziati ed è capace di coinvolgere tutta la cittadinanza, giovani compresi/e, e sostenere un accrescimento culturale incoraggiando la partecipazione delle persone alla vita sociale della città, soprattutto nei luoghi poco fuori dal centro storico, e sensibilizzare la comunità locale. Proponendo questi percorsi alternativi validi, anche i/le turisti/e che decidono di soggiornare in città possono usufruire di questo servizio con l’auspicio di migliorare e arricchire il loro soggiorno cittadino.

I percorsi all’interno della storia della Guerra, della Resistenza e della Liberazione cittadina, che sono stati pubblicizzati sul sito di Feel Florence pagina ufficiale del turismo del Comune di Firenze e della Città Metropolitana, ci aiutano a riscoprire radici e guardare con occhi diversi la città di oggi.


ITINERARI

  • Itinerario 1. Oltrarno:

Le vicende della Resistenza a Firenze sono quelle di tanti quartieri ma l’Oltrarno ne è certamente protagonista e avanguardia politica nonché simbolo del riscatto della città. Questo percorso ripercorre la strada fatta dagli Alleati dal momento del loro ingresso in città nel 1944; il punto di partenza è Porta Romana, dove entrò la prima pattuglia inglese, per poi proseguire il tour seguendo il loro avanzamento nelle strade del quartiere. Il percorso segue varie tappe del loro passaggio nei luoghi importanti e noti di Firenze come Palazzo Pitti, Ponte Santa Trinita, Ponte Vecchio e Piazza Santo Spirito per terminare, passando davanti al Convento del Carmine e per Piazza Tasso, infine al Conventino, un complesso storico situato nel cuore del quartiere popolare di San Frediano che per vocazione e identità accoglie artisti e artigiani e che fu frequentato da ferventi ed attivissimi antifascisti.

Il volto dell’Oltrarno oggi è cambiato ma le sue strade, quelle strade percorse dai protagonisti della Resistenza cittadina rimangono, anch’esse al pari delle opere d’arte, un patrimonio vivo che riemerge ancora oggi nella vita sociale e politica del quartiere ed è testimonianza, dal punto di vista storico e umano, della Resistenza italiana.

Durata del tour: circa due ore

  • Itinerario 2. Quartiere 5 percorso 1:

           La battaglia della Firenze operaia

Il percorso ripercorre gli interminabili giorni dopo la Liberazione della città, avvenuta l’11 agosto 1944, degli abitanti nelle zone tra il Mugnone e il Terzolle; in quelle settimane due luoghi, in particolare, divennero il simbolo delle opposte fazioni, la Manifattura Tabacchi e il Casone dei Ferrovieri. Ubicati a poca distanza l’uno dall’altro, da lì, si percorrono le vie del quartiere in cui tedeschi e partigiani si fronteggiarono in azioni di combattimento. Il percorso inizia proprio alla Manifattura Tabacchi, l’ex fabbrica di tabacco di cui ricostruiamo la sua storia durante la Guerra e valorizziamo la sua dimensione nella realtà attuale, volta a dar vita a un nuovo quartiere della città animato da energia creativa e complementare al centro storico: una destinazione contemporanea per cittadinanza e turismo. Posta al limite della parte occidentale della città, tra le Cascine e il Mugnone, a partire dalla mattina dell’11 agosto la Manifattura era diventata fortino dei paracadutisti tedeschi contrapposto al vicino Casone dei Ferrovieri, un edificio tra le vie Rinuccini, Petrella e Ponchielli, destinato fin dalla sua costruzione alle famiglie dei ferrovieri spesso di tradizione antifascista e importante base strategica per i partigiani durante le giornate per la Liberazione della città. Il percorso procede poi lungo il Mugnone, una zona protagonista di diverse vicende legate alla seconda linea del fronte e ai suoi ponti, per terminare al cippo in memoria dei caduti della patria posto vicino alla Casa della Cultura e della ricreazione di Ponte di Mezzo, altra zona chiave dei giorni caldi dell’agosto 1944.

Durata del tour: circa due ore

  • Itinerario 3. Quartiere 5 percorso 2:

           Le ferite della guerra: fra occupazione e lotta per la libertà

Il percorso inizia davanti al cippo per il decennale della Resistenza al centro di Piazza Dalmazia. Proseguendo ci si trova davanti alle ex Officine Galileo, storico stabilimento operaio nel Viale Morgagni n.19, caposaldo della classe operaia fiorentina i cui operai, assieme a quelli della Pignone e di altre industrie fiorentine, si resero protagonisti dello sciopero del 3 marzo 1944. Durante la Liberazione della città fu un luogo di combattimenti conteso tra pattuglie tedesche e reparti ciellenisti, che le occuparono in modo alterno con perdite su entrambi i fronti. Avanzando per il Viale Morgagni, teatro di rastrellamenti di civili, si ripercorrono le vicende degli ultimi giorni della battaglia di Firenze fino alla liberazione dell’Ospedale di Careggi, avvenuta il 31 agosto 1944 con cui la città potè dirsi completamente liberata. Ancora oggi è davvero difficile credere che l’intera struttura sanitaria sia stata al centro dei combattimenti, presidiata giorno e notte da mitragliatrici tedesche che la “puntavano a vista”.

Penultima e doverosa tappa alla Pieve di Santo Stefano in Pane fulcro, durante gli anni della guerra, dell’assistenza ai cittadini della zona ad opera della Madonnina del Grappa di Firenze di don Giulio Facibeni conosciuto sia per l’impegno nell’ospitalità offerta agli ebrei che per la vicinanza con gli ambienti antifascisti. Il percorso termina allo Stabilimento Chimico Farmaceutico tristemente noto per i fatti che vi si sono svolti la notte del 5 agosto 1944. Nel cortile interno, infatti, una lapide ricorda le dodici vittime della strage tedesca in città.

Durata del tour: circa due ore


 

 

Sempre nell’ambito del bando per la promozione della Firenze Insolita, sono state ideate nuove passeggiate sperimentate nel 2023 grazie al sostegno dell’Assessorato al Turismo del Comune di Firenze, e di nuovo in collaborazione con l’Associazione culturale Regola d’Arte.

I nuovi itinerari sono stati progettati alla luce di documenti inediti conservati presso il nostro Istituto (Carte Mascherini recentemente rinvenute all’interno del fondo CTLN e contenente documentazione relativa ai progetti di edificazione del monumento ai 5 renitenti alla leva fucilati alla Stadio di Campo di Marte e di due lapidi a partigiani presenti nella stessa area), che hanno interessato il Quartiere 2 (le Cure e Campo Marte) e la zona tra la Fortezza da Basso e il Ponte Rosso. In particolare, la ricerca e la progettazione relativa a questi nuovi itinerari hanno riguardato gli effetti del passaggio della guerra e in particolare dei bombardamenti aerei, le azioni gappiste lungo la ferrovia, l’occupazione e le fucilazioni dei renitenti alla leva fascista, oltre alla scoperta delle lapidi ai partigiani e le vicende della battaglia per la Liberazione nella zona che si estende dalla Fortezza da Basso fino al Ponte Rosso. Sono stati così ideati due nuovi itinerari che consentono di attraversare con rinnovata consapevolezza questa parte della città: percorso Mugnone. Dalla Fortezza alle Cure: lungo la seconda linea di difesa e percorso Quartiere 2. Stadio. Campo di Marte, la guerra in città.

Infine, un ulteriore percorso – sperimentato in altre occasioni al di fuori del bando del Comune di Firenze – è quello che riguarda la zona di Sant’Ambrogio.


NUOVI ITINERARI

  • Itinerario 4. Mugnone. Dalla Fortezza alle Cure: lungo la seconda linea di difesa
  • Itinerario 5. Quartiere 2. Stadio. Campo di Marte, la guerra in città
  • Itinerario 6. Sant’Ambrogio: Storie di Resistenza



“Nel vento e nel ricordo”. Storie di bambini ebrei della Shoah in provincia di Lucca

www.nelventoenelricordo.it.

La mostra è online dal 23 gennaio e rappresenta, oltre che un prezioso veicolo di memoria, uno strumento a disposizione delle scuole di ogni ordine e grado. La realizzazione è avvenuta grazie alla collaborazione della provincia di Lucca e dei comuni di Lucca, Altopascio, Barga, Borgo a Mozzano, Camaiore, Capannori, Castiglione di Garfagnana, Gallicano, Minucciano, Montecarlo, Porcari, Stazzema e Viareggio.




Rete ecomuseale del Casentino

Breve storia e finalità della Rete ecomuseale del Casentino
L’Ecomuseo del Casentino è ubicato nella prima Valle dell’Arno, in Provincia di Arezzo. L’iniziativa è nata alla fine degli anni Novanta su iniziativa della Comunità Montana con finanziamenti comunitari e tramite il coinvolgimento diretto di alcune amministrazioni comunali. Dal maggio 2002, la gestione del progetto è passata al Servizio CRED (Centro Risorse educative e Didattiche) della Comunità Montana.
L’architettura generale del progetto con l’articolazione in sistemi e poli museali, che ritroviamo presso altre esperienze nella Regione, rappresenta una sorta di “modello toscano” nella definizione di sistemi museali a scala locale. L’Ecomuseo del Casentino, nella sua concezione originaria, è stato strutturato in sei sistemi (archeologico, civiltà castellana, acqua, bosco, agro pastorale, manifatturiero), attraverso i quali è possibile ripercorre la dinamica del rapporto uomo-ambiente nel tempo e nello spazio. Ogni sistema si articola attraverso una serie di “antenne” tematiche con specifici ruoli e caratteristiche che suggeriscono anche tempi, spazi e modalità di fruizione diversificate. Attualmente si sta abbandonando tale chiave di lettura tematica in favore di un’interpretazione focalizzata sulle differenze tipologiche che nel corso degli ultimi anni di gestione si sono andate delineando (musei, poli didattici, collezioni, ecomusei, ecc.).
Raccogliere, documentare, conservare, interpretare, mettere a confronto, comunicare, educare, sono alcune delle funzioni esplicitate dalle varie strutture, che, pur nella loro diversità, concorrono, tuttavia, al raggiungimento della medesima missione: la tutela e la salvaguardia del patrimonio territoriale nelle sue componenti ambientali, storico-culturali, produttive etnografiche.

Fra le varie strutture, si segnalano le seguenti – di particolare interesse storico-documentario:

a) Molin di Bucchio
Sedi e contatti
Indirizzo: Strada comunale Molino di Bucchio, Vallucciole, Stia (Arezzo)
Telefono: 0575 582680, 3381007610
E-mail: consultare il sito web (http://www.molindibucchio.it/)
Sito web: http://ecomuseodelcasentino.it/content/molin-di-bucchio, http://www.molindibucchio.it/
Orari di apertura: informazioni e visite su richiesta

Organi direttivi
Gestito dalla Famiglia Bucchi

Molin di Bucchio è il primo mulino che si incontra nel fiume Arno. Sin dal Medioevo questa zona è stata segnata dalla presenza di opifici idraulici controllati molto probabilmente dalla famiglia feudale dei conti Guidi. Oltre all’attività di molitura portata avanti per secoli dalla famiglia Bucchi, la località è stata anche sede di un’importante troticoltura. Il mulino ha funzionato regolarmente fino al 1955 e saltuariamente fino al 1960. L’ultimo mugnaio è stato Pietro Bucchi, detto “Pietrone”.
Annualmente il mulino ospita iniziative di vario genere: spettacoli, attività per bambini, concerti e si presta molto bene quale luogo di sosta e di riferimento per escursioni.
La zona di Molin di Bucchio è stata teatro di particolari episodi legati alla Resistenza (da segnalare, la lapide al partigiano Pio Borri, primo partigiano caduto nella lotta di resistenza nel territorio aretino).
Il complesso è di proprietà della famiglia Bucchi e attualmente oggetto del progetto Antica Aquacoltura Molin di Bucchio, nato dall’intento di Alessandro Volpone e Andrea Gambassini di far rinascere l’antico mestiere dell’acquacoltura montana, unendo salvaguardia della biodiversità, sostenibilità ambientale, educazione e storia.
Nel mulino sono presenti ancora tutte le attrezzature (pale orizzontali, tramogge, macine). Tutto il complesso architettonico (di particolare rilievo la cucina lastricata con il grande camino) risulta conservato nelle sue caratteristiche originarie venendo così a costituire un luogo di particolare interesse storico-documentario.

b) Museo dello Sci – Museo del Bosco e della Montagna – Collezione ornitologica “Carlo Beni”
Sedi e contatti
Indirizzo: Vicolo de’ Berignoli, Stia (Arezzo)
Telefono: 0575 583965, 0575 529263, 3477341266, 3382720488 (Sci Club Stia)
E-mail: federicococchi44@gmail.com
Sito web: http://ecomuseodelcasentino.it/content/museo-dello-sci-museo-del-bosco-e-della-montagna-collezione-ornitologica-carlo-beni
Orari di apertura: 10-12:30, 16-19 (tutto l’anno la Domenica e festivi)

Il complesso, ospitato all’interno di antichi spazi del centro storico di Stia, si articola in più sezioni e spazi:
Museo dello Sci: la raccolta, curata dall’associazione Sci Club, raccoglie diversi esemplari di sci e ne illustra l’evoluzione da mezzo di trasporto, indispensabile per le genti di montagna, a strumento per lo sport agonistico. Arricchisce la sezione anche materiale fotografico riferito all’area e alla montagna casentinese.
I lavori alla macchia, il trasporto e le piccole industrie forestali: la sezione è organizzata in due sale e illustra l’uso delle risorse forestali nell’economia montana preindustriale.
La collezione, attraverso numerosi strumenti di lavoro e oggettistica, documenta anche l’ingegno e la creatività delle popolazioni di montagna nel rispondere alle esigenze lavorative. Un approfondimento viene dedicato anche alle piccole industrie forestali, ubicate in montagna, che in passato occupavano molte comunità nella manifattura di piccoli oggetti in legno.
Collezione Ornitologica “Carlo Beni”: la collezione, articolata su due sale, comprende 520 esemplari di 176 specie di uccelli, tutte italiane e rappresentative dell’avifauna presente nel territorio casentinese all’epoca della sua costituzione ad opera di Carlo Beni (ultimi decenni dell’Ottocento). Il valore scientifico e didattico della collezione si è rivelato notevole in quanto permette ai visitatori di osservare da vicino quasi tutti gli uccelli del territorio casentinese che molto spesso sono difficilmente avvicinabili in natura.
Il giardino pensile e il laboratori del collezionista: la parte più “segreta” della struttura, visitabile solo su richiesta, è costituita dal piccolo giardino pensile, utilizzato per gli incontri e le attività didattiche del museo, dove si affaccia anche il “Laboratorio di Lando”. Il collezionista, proprietario della maggior parte degli oggetti conservati nel museo (sezione bosco), è artefice di molti interventi creativi disseminati lungo il percorso.

c) Ecomuseo del Carbonaio – Banca della Memoria di Porto Franco “Giuseppe Baldini” – Casa dei Sapori
Sedi e contatti
Indirizzo: Loc. La Chiesa, Cetica, Castel S. Niccolò (Arezzo)
Telefono: 0575 555280, 3287252458, 3471980098 (Pro Loco “I tre confini”)
E-mail: info@cetica.it, proloco@cetica.it
Sito web: http://ecomuseodelcasentino.it/content/ecomuseo-del-carbonaio-banca-della-memoria-di-porto-franco-giuseppe-baldini-casa-dei-sapori
Orari di apertura: Sabato e Domenica 15.30-18.30 (da maggio a settembre)

L’Ecomuseo del Carbonaio di Cetica nasce dalla necessità di conservare la memoria di un’attività strettamente correlata al manto boschivo ed alle sue risorse.
Il mestiere del carbonaio è stato una delle attività più rappresentative dello stretto legame che per secoli ha legato l’uomo al bosco e alle sue risorse. Praticati anche in ambiti territoriali molto distanti dal Casentino, i lavori del taglio della legna e della cottura del carbone, costituirono importanti occupazioni per molte comunità montane della valle fino alla metà del XX secolo. Le particolari tecniche, trasmesse di generazione in generazione, sono ancora messe in pratica, per lo più a scopo didattico-dimostrativo, in alcuni paesi del Pratomagno, come Cetica. Il complesso universo della cultura del carbonaio, della vita solitaria alla macchia, con i suoi atteggiamenti e modi di vita arcaici e quasi antagonisti al mondo civile, sono invece tramontati inesorabilmente.
L’Ecomuseo del Carbonaio si propone quindi come laboratorio attivo della storia, come momento nel quale, insieme allo studio e alla conservazione dei saperi, dei racconti delle esperienze di vita di ieri, si sperimenta anche un nuovo modo di interagire con la società e l’ambiente attuale.
Il museo è allestito nei locali della vecchia scuola del paese, prospiciente l’antica chiesa romanica di Sant’Angelo. Il percorso di visita si articola in quattro sezioni:
Carbonai: all’interno della vecchia scuola la prima sezione fornisce informazioni e suggestioni intorno al mestiere del carbonaio con pannelli didascalici, esposizioni di strumenti di lavoro e allestimenti scenografici.
Sala Polivalente: dalla Banca della Memoria alla comunità: fa parte integrante del percorso anche la sala polivalente dedicata alla proiezione di audiovisivi. La sala è concepita come luogo di consultazione decentrato dell’archivio audiovisivo conservato presso il CRED (Banca della Memoria dell’Unione dei Comuni del Casentino). Qui è possibile visionare alcuni video dedicati alla cultura materiale, alle pratiche silvopastorali e alle tradizioni popolari dell’area.
La sala ospita anche pannelli che, in seguito alla realizzazione della Mappa di comunità dell’Alta Valle del Solano, raccontano le peculiarità del territorio e della comunità, dalla ripresa di particolari forme di ritualità itineranti alle storie e leggende.
“La Casa dei Sapori”: laboratorio didattico e spazio per degustazioni alla riscoperta degli antichi sapori. Pannelli illustrano i prodotti agroalimentari locali con particolare riferimento alla patata rossa di Cetica, antica cultivar recuperata e adesso tutelata dal Consorzio Patata Rossa di Cetica.
Area Verde: carbonaie e arte ambientale: l’itinerario prosegue nella vicina area verde dove sono stati ricostruiti a scopo dimostrativo, a cura della Pro Loco, una capanna e una carbonaia. L’area verde ospita anche alcune installazioni realizzate all’interno del progetto “Boschi ad Arte”. Da qui si può procedere alla visita del paese, delle “piazze” ancora utilizzate per la cottura della legna, dell'”imposto” del carbone ma anche dei mulini ad acqua ancora funzionanti, delle colture tipiche, dei fabbri, dei pastori.

d) Ecomuseo della polvere da sparo e del contrabbando
Sedi e contatti
Indirizzo: Loc. San Vincenzo, Chitignano (Arezzo)
Telefono: 3396617113 (Ass. “I Battitori”), 0575 596713 (Comune di Chitignano)
E-mail: ecomuseo@casentino.toscana.it
Sito web: http://ecomuseodelcasentino.it/content/ecomuseo-della-polvere-da-sparo-e-del-contrabbando
Orari di apertura: luglio, agosto, Sabato e Domenica 16-19

L’Ecomuseo documenta l’attività di produzione e commercio di due particolari prodotti: la polvere da sparo e il tabacco.
Gli opifici addetti alla produzione di polvere pirica, ubicati lungo il torrente Rassina, con macchinari mossi grazie alla forza idraulica, conobbero il loro maggiore sviluppo tra il XIX e il XX secolo. I due maggiori polverifici furono quello dei Prati e quello del Ciofi, di cui rimangono ancora significative testimonianze. L’attività, oltre che all’interno di strutture autorizzate, veniva svolta anche attraverso i numerosi “pilli” (cavità scavate nella pietra per il pestaggio delle componenti) disseminati nei boschi al di fuori del controllo degli organi di sorveglianza e la cui produzione alimentava il mercato del contrabbando.
Altre vicende conobbe la coltivazione del tabacco, praticata fino al 1779 all’interno della Contea dei Conti Umbertini e poi anche in seguito (grazie ai privilegi concessi dal Granduca Pietro Leopoldo), che assicurò un certo benessere alla comunità locale. Dopo la soppressione del privilegio, avvenuta nel 1830, il commercio del tabacco continuò clandestinamente. La materia prima veniva recuperata nelle zone della Valtiberina e dell’Umbria e trasportata a Chitignano per la trasformazione in trinciato e sigari mediante la lavorazione delle sigaraie, donne specializzate in questa particolare manifattura. Il prodotto finito era quindi smerciato attraverso il contrabbando. Le vie tracciate dai contrabbandieri andavano sul versante romagnolo, verso Firenze, Pisa e Livorno, verso la Maremma toscana e laziale, verso l’Umbria e le Marche.
A integrazione degli itinerari all’aperto (polverifici, “pilli”, ecc.), l’Ecomuseo dispone di un Centro di documentazione dove sono collocati alcuni strumenti di lavoro e pannelli esplicativi riferiti alle due lavorazioni, oltre a uno spazio video nel quale poter fruire di alcune testimonianze raccolte nell’ambito del progetto “La banca della memoria”.

e) Centro di documentazione e Polo didattico dell’Acqua
Sedi e contatti
Indirizzo: Loc. La Nussa, Capolona (Arezzo)
Telefono: 0575 421370 (Comune di Capolona), 0575 507272 (Centro Servizi Rete Ecomuseale)
E-mail: ecomuseo@casentino.toscana.it
Sito web: http://ecomuseodelcasentino.it/content/ecomuseo-della-polvere-da-sparo-e-del-contrabbando
Orari di apertura: informazioni e aperture su richiesta

L’acqua e il bosco hanno rappresentato per la valle, nel corso dei secoli, un binomio di fondamentale importanza. Le trasformazioni del manto forestale operato dalle comunità monastiche e lo sfruttamento delle risorse idriche da parte delle comunità civili segnano in maniera consistente il paesaggio della prima valle dell’Arno. Il Centro, ricavato all’interno dell’abitazione del vecchio custode della Centrale idroelettrica “la Nussa”, tutt’ora in attività, si propone di presentare e conservare la memoria delle molteplici modalità d’impiego delle acque messe in atto da una comunità delimitata geograficamente, ma anche di promuovere la conoscenza e il rispetto, soprattutto da parte delle nuove generazioni, di questo importante elemento.
Il percorso museale illustra le molteplici modalità d’impiego dell’acqua, da risorsa indispensabile nell’alimentazione alla produzione di energia per muovere macchine come mulini, gualchiere e ferriere. Il centro si rivolge in particolare al mondo della scuola attraverso la realizzazione di esperienze didattico-educative dedicate all’acqua guidate da specifici operatori.




I luoghi della Resistenza e della guerra civile a Pistoia

Si avvicina il 25 aprile e, con questa data, si avvicinano anche le rievocazioni storiche della Resistenza e della Liberazione. Tuttavia, a Pistoia come nel resto d’Italia, ci sono luoghi che più di altri ci permettono di ricordare la Resistenza tutti i giorni. Qui di seguito ne riportiamo tre: per un elenco più dettagliato, si rimanda al volumetto Sulle tracce della memoria pubblicato dall’I.S.R.Pt nel 2015.

Piazza San Lorenzo

Piazza San Lorenzo è il luogo dove, il 12 settembre 1943, ebbe luogo una delle prime esecuzioni di civili da parte delle truppe tedesche in Toscana. Il pretesto fu dato dagli eventi della caserma Marini, abbandonata dalle truppe italiane e perlustrata da alcune persone del quartiere San Marco in cerca di cibo e suppellettili. Le truppe tedesche, dopo aver compiuto un vero e proprio raid, arrestarono Alfio Puglia, Gino Puglia (padre del primo, catturato dopo esser andato a cercare il figlio), Ivo Bovani, Dino Chiti, Lino Lotti e Maria Tasselli (sostituitasi alla figlia incinta) e li uccisero allineandoli davanti al muro della chiesa.

Piazzetta degli Umiliati e Corso Gramsci

La stazione e il Campo di Volo erano gli obiettivi del bombardamento alleato. Ma nell’oscurità della notte la scarsa visibilità portò i bombardieri alleati a sbagliare obiettivo e a colpire Corso Gramsci e Piazzetta degli Umiliati, dove la maggior parte della popolazione stava dormendo. Ancora non si conosce con precisione il numero delle vittime del bombardamento della notte del 24 ottobre 1943, 144 secondo le più recenti ricostruzioni. I danni furono ingenti anche all’architettura e all’edilizia: furono colpite la chiesa di San Domenico e l’intero Corso Gramsci fu sventrato. La paura dei bombardamenti spinse nei giorni successivi la maggior parte dei pistoiesi a rifugiarsi nelle campagne, lasciando la città semideserta fino alla ritirata dei tedeschi.

Fortezza Santa Barbara

Dare alla cittadinanza e agli altri renitenti una lezione esemplare era lo scopo dei nazi-fascisti quando il 31 marzo 1944 i ventenni Alvaro Boccardi, Aldo Calugi, Lando Vinicio Giusfredi e Valoris Poli furono uccisi da uno squadrista di Larciano (Pistoia). Erano stati scovati il giorno prima nei loro rifugi dalle truppe d’occupazione e condannati per non aver risposto al bando di reclutamento della RSI. Nelle tasche di Valoris Poli il fratello trovò un biglietto: “mamma, fatti coraggio, si vede che avevo questo destino addosso. Prega per me; sarò vendicato. Se ci saranno i funerali venite ad accompagnarmi perché sono innocente e muoio con onore”.