1960-1974. Il primo piano regolatore di Fiesole.
Un convegno e la presentazione di Fiesole salvata, il secondo “Quaderno di FD”, a Fiesole il 15 novembre
Il lavoro di ricerca storica promosso da FD offre un’occasione di approfondimento sulla gestione del territorio a partire dalla complessa esperienza della prima pianificazione urbanistica fiesolana: un’esperienza di rilievo territoriale, che si fa episodio d’interesse più generale. La ricerca, svolta da Sandro Nannucci, consente di ricostruire l’intera vicenda urbanistica del territorio di Fiesole. Il tema viene approfondito con Fiesole salvata, il secondo dei “Quaderni di FD”, e un convegno sulla gestione del territorio che si svolgerà nel pomeriggio del 15 novembre 2024, dalle 15:00 ale 19:30, nella Sala del Basolato a Fiesole.
Il Quaderno, edito da Angelo Pontecorboli Editore, e il convegno sono in ricordo di Adriano Latini, Sindaco di Fiesole dal 1965 al 1980.
L’ISRPT conclude riordino e digitalizzazione del “fondo manifesti”

Si è concluso il lavoro di riordino, inventariazione e digitalizzazione del fondo manifesti conservato presso l’archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Pistoia. Si tratta di un patrimonio ricco ed eterogeneo, che spazia su un’ampia spanna temporale e si caratterizza per la varietà di enti produttori e temi trattati o rappresentati. Il fondo conta un totale di 826 esemplari unici di vario formato (A0, A1, A2, A3).
Gran parte del materiale è originale; sono per lo più ristampe solo i giornali murali emessi da comuni, prefetture e altri organi pubblici fra gli anni ’10 e gli anni ’50 del ‘900. Fra i nuclei documentari più rilevanti e consistenti si segnala una raccolta proveniente dal fondo archivistico appartenuto all’ex sindaco di Pistoia Francesco Toni, con materiale risalente agli anni ’60, ’70 e ’80 che è riconducibile in parte ai movimenti per i diritti civili, per il disarmo, per la pace, per la cooperazione internazionale e per la solidarietà con i popoli del terzo mondo, in parte si lega a questioni inerenti alla politica locale quali elezioni, partiti e lotte sindacali.
La storia dell’Istituto, di altri istituti della rete Parri, della rete stessa e di molte altre organizzazioni assimilabili o prossime – quali, ad esempio, l’ANPI – è ampiamente documentata, con innumerevoli locandine riferibili a iniziative e attività, così come alle politiche memoriali elaborate dagli enti pubblici comunali, provinciali e regionali nella seconda metà del secolo scorso.
Non mancano infine serie di manifesti inerenti alla storia d’Italia, pubblicati a scopo divulgativo e propagandistico.
Si tratta dunque di un corpus di fonti primarie utili ai fini della ricerca relativamente alla storia del ‘900 e alla storia locale, rilevanti inoltre in un’ottica di conservazione della memoria storica dell’ISRPt.
L’opera di catalogazione e digitalizzazione ha richiesto l’impegno assiduo e prolungato nel tempo di professionisti, tirocinanti e ricercatori. I manifesti sono stati suddivisi per formato e disposti in un’apposita cassettiera metallica all’interno dei locali che ospitano l’archivio dell’ente. L’inventario è consultabile in formato excel sul sito dell’Istituto alla pagina “fondo manifesti” .
La consultazione è liberamente garantita in sede nei giorni di apertura dell’Istituto, segnatamente il lunedì, martedì e giovedì pomeriggio dalle ore 15:00 alle ore 19:00.
Emilio Bartolini è dottorando in scienze storiche presso l’Università del Piemonte Orientale. Collabora con l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Pistoia nella gestione della biblioteca dell’ente e in attività e progetti inerenti la didattica e la divulgazione storica. Il suo principale interesse di ricerca è la storia ambientale in età contemporanea.
Luca Cappellini è laureato in Scienze Storiche all’Università di Firenze ed è studioso dell’età contemporanea. È docente presso le scuole superiori Mantellate di Pistoia. Fa parte dell’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia, dove è responsabile della biblioteca e con cui collabora come ricercatore e divulgatore. Ha pubblicato “Genova 2001. Una memoria multimediale” in «Farestoria», III, n.1, 2021; ha pubblicato con Stefano Bartolini e Francesco Cutolo Public History: laboratori partecipativi e memoria pubblica”, in «Clionet», Vol. VII, (2023).
I crimini nazisti effettuati durante la ritirata da Poppi

Nel corso dell’occupazione tedesca in Italia si verificarono numerosi episodi di violenza ai danni dei civili. Malgrado fossero azioni estremamente violente ed indiscriminate queste rispondevano frequentemente a specifiche esigenze dei comandi nazisti, aventi l’obbiettivo di limitare la presenza partigiana nel territorio, di allentare il legame che univa le popolazioni alle bande ribelli e di ribadire attraverso l’esecuzione di azioni efferate la centralità della presenza tedesca nella penisola. Gli interventi potevano essere frutto di ampie azioni ideate e coordinate dagli alti comandi, come nel caso del rastrellamento che investì alcuni centri del Casentino nell’aprile del 1944, oppure rappresentare azioni localizzate in risposta ad attacchi subiti da parte delle truppe che operavano nel territorio.
Nelle fasi finali della guerra a tale impostazione si affiancarono numerosi episodi nei quali i soldati nazisti iniziarono a rendersi protagonisti di azioni che esulavano dagli ordini forniti dai comandi o dalle precipue funzionalità militari. In concomitanza con l’avanzata alleata e il progressivo spostamento del conflitto nelle regioni settentrionali del nostro paese si assistette ad una generale diminuzione del controllo da parte dell’autorità militare, ad un allentamento della disciplina e ad una maggiore libertà dei soldati operanti sul territorio. In una sorta di “rompete le righe” molti militari si lasciarono andare a furti, stupri ed uccisioni nei confronti delle popolazioni inermi, riversando su di loro l’odio e il nervosismo che avevano accumulato nel corso del conflitto, accresciuto in questo caso dall’andamento negativo della guerra. Come se non bastasse l’incombere degli Alleati costringeva le truppe naziste ad agire in maniera risoluta e decisa, senza badare ai danni collaterali che generavano i loro interventi. Talvolta l’incalzare dei nemici determinò l’utilizzo di mezzi energici, altre volte invece si tramutò in veri e proprie ritorsioni ai danni dei civili innocenti.
Una zona che venne particolarmente colpita da questo genere di violenza fu l’area nei dintorni di Poppi, un comune del Casentino settentrionale distante circa trentacinque chilometri da Arezzo. Nelle settimane prossime alla liberazione – il periodo a cavallo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1944 – si registrò in questa porzione della vallata un elevato numero di uccisioni di civili. Nei pressi di Poppi le violenze di questo genere non si limitarono all’eliminazione degli abitanti che venivano intercettati mentre attraversano le zone di guerra interdette al passaggio dei civili o alla fucilazione di coloro che non rispettavano l’ordine di sfollamento e cercavano di fuggire, ma vedevano la presenza di azioni più ampie che portarono all’uccisione contemporanea di decine di persone.
Uno degli episodi più eclatanti avvenne il 31 agosto 1944, quando un colpo di cannone proveniente da sopra Moggiona causò la morte di alcuni civili che erano scesi a Poppi per raccogliere l’acqua a una fontanella. Il comune casentinese, ormai prossimo alla liberazione, era stato abbandonato dai soldati tedeschi e i civili nell’euforia dell’imminente liberazione si recarono ad una sorgente in via della Costa per raccogliere l’acqua di cui necessitavano. Don Cristoforo Mattesini, sfollato a Poppi, ricorda in questo modo quell’orribile scena: “L’artiglieria tedesca vide tutto questo movimento e scaricò dal Montanino e da Camaldoli un diluvio di cannonate contro il gruppo. La seconda granata prese in pieno quel ciuffo di persone. Si schiantò sul lastricato. Strage! Tutta la Costa da Poppi alla stazione fu coperta da una cortina di fumo. Nel fracasso infernale: pianti, lamenti, urli disperati. Persone che si chiamavano, parenti accorsi al grido dei loro cari, spettacolo straziante! Il fumo non faceva vedere niente, ma la tragedia era terribile!”[1]. In tutto furono quindici le persone che persero la vita a causa delle esplosioni, in maggioranza ragazzi tra i sette e i quindici anni che si erano solamente recati a raccogliere l’acqua ad una sorgente[2].
Nonostante la notevole distanza dall’obbiettivo possiamo affermare con relativa certezza che i colpi di cannone provenienti dalle alture circostanti non furono un errore di valutazione compiuto da parte dei nazisti, ma furono un deliberato attacco ai danni dei civili intenti a recarsi a raccogliere l’acqua in via della Costa. Ad avvalorare questa tesi contribuiscono le informazioni che i comandi tedeschi possedevano in merito agli alleati, attestati in quei giorni ad alcuni chilometri di distanza dal comune casentinese e ritenuti poco interessati alla conquista di quest’ultimo, visto che gli Alleati vi giungeranno solamente il 13 settembre, quasi due settimane dopo[3].
Nel luogo dove un tempo sorgeva la fontanella è stato eretto un monumento in ricordo delle vittime. Situato nella via che un tempo univa Poppi alla frazione di Ponte a Poppi, il monumento è composto da una colonna in pietra alla cui base è stata posta una targa recante i nomi delle vittime, attorniata agli angoli da quattro pietre che richiamano la forma dei proiettili dell’artiglieria. L’epigrafe riporta solamente i nominativi di coloro che persero la vita il giorno stesso dell’episodio, senza includere all’interno del numero complessivo delle vittime Antonio Grazzini e Milena Pietrini, morti nei giorni successivi per le ferite riportate[4].
Mentre Poppi veniva liberata dai partigiani il 2 settembre, molti degli abitati posti sulle vicine alture continuavano ad essere ancora in mano dei tedeschi. Questo era il caso di Moggiona, un piccolo paese montano situato ai piedi del monastero di Camaldoli. Rispetto agli altri centri del Casentino Moggiona aveva vissuto in modo più intenso l’arrivo della guerra, a causa della presenza della Linea Gotica in tutto il territorio circostante: dal novembre 1943 l’area era stata interessata dall’arrivo di centinaia di operai che avevano incessantemente lavorato alla costruzione delle fortificazioni, composte da depositi, rifugi antiaerei postazioni per mitragliatrici e artiglieria pesante. A questa cospicua presenza di operai si aggiunse nel corso della guerra la costante presenza dei soldati della Wehrmacht, che all’inizio del 1944 installarono nel paese perfino un comando[5].
Nel periodo che precedette l’avvicinamento del fronte non si registrarono momenti di frizione fra gli abitanti e gli occupanti. Le prime tensioni iniziarono a verificarsi nell’estate del 1944, ad ormai pochi giorni dalla liberazione di Arezzo e dal conseguente arrivo della guerra nel Casentino. Il 13 luglio vennero affissi per le strade di Moggiona e dei paesi limitrofi dei manifesti che ordinavano agli abitanti di abbandonare le loro case e di dirigersi a nord della vallata, poiché a breve quelle zone sarebbero divenute luoghi di combattimento. In realtà furono pochi coloro che rispettarono il comando: molti preferirono nascondersi nei boschi o nella vicina Camaldoli per non allontanarsi eccessivamente dalle loro proprietà. Coloro che rimasero a Moggiona, circa una cinquantina di persone, vennero infine rastrellate e trasferite forzatamente in Romagna il 26 agosto. A due famiglie, i Meciani e gli Innocenti, utili allo svolgimento di alcune attività relative alla cura delle truppe, come cucinare, lavare e cucire, venne invece permesso di poter rimanere in paese[6].
Gli ultimi che lasciarono il paese furono infine i soldati della 5ª Divisione Alpina, stabilitisi a Moggiona verso la metà di agosto. Ormai incalzati dall’avanzata alleata i tedeschi abbandonarono il paese nel tardo pomeriggio del 7 settembre portandosi dietro masserizie, mobilio e cibo depredati dalle case degli abitanti. Mentre la Divisione stava lasciando Moggiona sopraggiunsero in paese tre soldati provenienti da Poppi, ai quali venne consigliato di andare alla casa del Meciani per ricevere un po’ di pane. Dopo essersi rifocillati e probabilmente ubriacati i tre tornarono nella casa e falciarono con la mitragliatrice le cinque persone presenti, dopodiché si recarono in un edificio nel rione Prato, e dopo aver fatto scendere tutti quanti in cantina li uccisero a colpi di mitragliatrice. Undici furono in tutto le vittime. Nei pressi del ponte di Moggiona si verificò infine l’ultimo atto di quest’immane tragedia con l’uccisione di una madre e della figlia di dieci anni.
Fino all’undici settembre i corpi delle diciotto vittime rimasero sotto le macerie degli edifici dove erano avvenuti gli eccidi. Le truppe tedesche che giunsero successivamente minarono volontariamente i luoghi dei delitti per mascherare l’accaduto e far ricadere la responsabilità della morte dei civili sui bombardamenti Alleati. I primi soccorsi giunsero solamente grazie all’intervento di Aurelio Cecchini, un bambino di dodici anni sopravvissuto all’accaduto, che dopo aver accudito la madre ed aver visto morire due fratelli riuscirà a raggiungere il monastero di Camaldoli ed allertare il Padre Superiore dell’accaduto: “Giunge da Moggiona un bambino sui nove anni, che ha attraversato la linea del fuoco e a stento, tra singhiozzi e lacrime, riesce a chiedere aiuto per la sua povera mamma, essa pure gravemente ferita al seno e ad una coscia, che tuttora giace in una stanza”[7].
Le testimonianze raccolta dall’Intelligence britannico nei mesi successivi confermarono che l’azione non aveva nessuna correlazione con la presenza partigiana in paese e non aveva nessun tipo di spiegazione logica. Lo stesso Giuseppe Salvi, allora ragazzo, ribadisce che a Moggiona non vi furono mai partigiani e che questi transitavano raramente nelle vicinanze del paese solo per recarsi in Romagna o sulla costa adriatica[8]. Questa affermazione è estremamente probabile visto che nel paese dal novembre 1943 fino alla liberazione era presente un gran numero di soldati tedeschi che avrebbe reso estremamente difficoltosa la presenza di ribelli.
Sebbene la vicenda di Moggiona rientri nella tragica realtà di routine di un esercito in ritirata, quanto accade la sera del 7 settembre ha dell’eccezionale: la violenza che si scagliò contro diciotto civili inermi, oltretutto autorizzati dai comandi tedeschi a rimanere presso le proprie abitazioni, non nacque da un ordine superiore e non trova nessun tipo di spiegazione logica, se non quella di voler di coprire con l’omicidio una serie di crimini commessi in sodalizio con la truppa. Non è dunque un caso che la decisione di voler eliminare i testimoni dei propri misfatti si materializzi proprio in concomitanza con le operazioni di ritirata verso nord della Divisione. Le nuove truppe che giunsero a Moggiona sin dall’8 settembre si ritrovarono pertanto a gestire, nel proprio settore ormai incalzato a pochi chilometri dal nemico, gli esiti visibili e infamanti della violenza del reparto precedente: questo determinò la decisione di evitare, nella prospettiva di imminenti rese, un comportamento punitivo da parte degli inglesi reso più duro dalla conoscenza dei misfatti. Risultato di questa strategia fu dunque il minamento dei luoghi del delitto con l’intento di simulare un bombardamento che giustificasse le vittime di Moggiona, appositamente lasciate all’interno delle abitazioni per rendere ancora più reale lo scenario impancato.
Una situazione analoga si verificò pochi giorni dopo a Lonnano, un piccolo paese distante una quindicina di chilometri da Moggiona. Il 10 settembre un gruppo di tedeschi irruppe nella casa colonica della “Chiesa Vecchia” ed uccise quattro ultrasettantenni che si erano nascosti all’interno di essa, dopodiché diedero alle fiamme l’edificio con l’intento di nascondere le prove del crimine[9].
Rispetto ad altre stragi avvenute in Casentino (Vallucciole, Partina e Moscaio) l’episodio di Moggiona è rimasto a lungo avvolto nell’oscurità, forse volontariamente dimenticato dalle comunità locali intente a rimuovere certe vicende piuttosto che ricordarle. A determinare questa sorta di damnatio memoriae hanno probabilmente contribuito i numerosi abusi che le truppe di stanza a Moggiona commisero ai danni delle donne del paese e la volontà della popolazione di voler proteggerle da quella che un tempo era ritenuta un’infamia[10].
Le pubblicazioni del secondo dopoguerra come quelle del Sacconi[11] e del Curina[12] hanno poi accresciuto la confusione in merito a questo episodio, con ricostruzioni vaghe e spesso imprecise. Solamente dagli anni Novanta si è assistito ad un rinnovato interesse nei confronti di questa storia, grazie in particolar modo all’apertura dell’armadio della vergogna che nel 1994 ha stimolato il riesame di alcune stragi nazifasciste. Contemporaneamente all’arrivo di nuove informazioni provenienti da Roma la Biblioteca Comunale di Poppi decise di acquistare una serie di documenti dall’ Archivio di Guerra inglese, mentre la Pro Loco di Moggiona si impegnò nella raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti dell’accaduto. Lo sforzo culminerà infine nel 2014 con la pubblicazione del saggio 7 settembre 1944. La strage di Moggiona[13].
In linea con il crescente interesse per la vicenda il 25 aprile 1997 l’Amministrazione Comunale di Poppi ha collocato una targa in ricordo delle vittime della strage sull’edificio della Pro Loco situato in via Camaldoli; sulla stessa parete è poi presente un’epigrafe posta l’anno precedente in memoria delle vittime militari e civili del paese[14]. Addentrandoci maggiormente dentro Moggiona troviamo poi in piazza 7 settembre 1944 la “Mostra permanente della guerra e della Resistenza nel Casentino”, appartenente al progetto della rete ecomuseale del Casentino: i visitatori potranno ammirare alcuni manifesti o ritagli di giornale dell’epoca e degli oggetti militari come elmetti o materiali bellici rinvenuti nell’area dove un tempo era presente la Linea Gotica. Su un lato dell’edificio che ospita l’esibizione è stata ricavata una nicchia all’interno della quale è stato posto un monumento in terracotta che ricorda le vittime della strage nazista: l’opera riproduce una scena dell’eccidio all’interno di una abitazione, mentre quattro colombe simbolo di pace spiccano il volo. Sempre in piazza 7 settembre 1994 è stato collocato nel 2014 un pannello che informa i visitatori sull’accaduto[15]. In conclusione ricordiamo che negli ultimi anni è stato promosso da parte della Pro Loco e dalla rete ecomuseale del Casentino un sentiero ad anello della lunghezza di 4,5 chilometri che ripercorre i luoghi che un tempo erano attraversati dalla Linea Gotica.

L’edificio della Pro Loco che contiene due lapidi in onore dei caduti durante la seconda guerra mondiale
Note:
[1] C. Mattesini, Guerra e pace, Fruska, Stia 2003, pp. 112-116.
[2] A. Brezzi (a cura di), Poppi 1944. Storia e storie di un paese nella Linea Gotica, Regione Toscana, Firenze 2018, pp. 97-98.
[3] Ibid.
[4] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-alle-vittime-civili-delleccidio-della-costa-poppi/.
[5] A. Brezzi (a cura di), Poppi 1944, cit., pp. 98-100.
[6] Ivi, p. 100.
[7] A. Buffadini, Camaldoli nel Casentino in fiamme, Barbera, Firenze 1946, pp. 75-76.
[8] Testimonianza di Giuseppe Salvi, https://perlamemoria.it/i-luoghi/poppi/moggiona/.
[9] G. Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009, p. 240.
[10] A. Brezzi (a cura di), Poppi 1944, cit., p. 99.
[11] Cfr. R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp. 152-153.
[12] Cfr. A. Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Badiali, Arezzo 1957, pp. 510-511.
[13] Cfr. Centro di Documentazione sulla Guerra e la Resistenza in Casentino (a cura di), 7 settembre 1944. La strage di Moggiona, Pro Loco di Moggiona 2014.
[14] Resistenza Toscana, https://resistenzatoscana.org/monumenti/poppi/lapidi_dei_caduti_di_moggiona/.
[15] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-alle-vittime-della-strage-del-7-9-44-moggiona-di-poppi/.
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo pubblicato nel novembre 2024.
L’itinerario dei luoghi della memoria a Prato

I bombardamenti, le macerie, le deportazioni e la sofferenza di una popolazione. Questa è Prato durante la guerra e l’occupazione nazifascista. Una città che soprattutto nell’anno che precede la liberazione si vede stretta tra due paure: i bombardamenti alleati incombenti e i rastrellamenti ad opera delle forze naziste di occupazione, soprattutto dopo lo sciopero generale del marzo del 1944. L’idea di questo percorso è di guidare il visitatore alla scoperta dei luoghi della memoria che maggiormente hanno caratterizzato il periodo descritto. In un viaggio che possa portare sia alla conoscenza che al ricordo di persone che diedero la vita per la libertà e che non meritano di essere menzionate solo durante anniversari e commemorazioni.
Percorso
- Percorso: Piazza Santa Maria delle Carceri, Prato (Castello dell’Imperatore) – Piazza del Comune, Prato (Lapide ai caduti nei campi di concentramento) – Via Galcianese 17/2, Prato (Cripta dei deportati) – Via di Cantagallo 250, Prato (Museo della Deportazione e Resistenza) – Via 29 Martiri, Prato (Monumento ai 29 martiri di Figline)
- Distanza: 7,4 km
- Dislivello: pianeggiante (+ 61 m – 9 m)
Il nostro percorso inizia da Piazza Santa Maria delle Carceri. Siamo nel pieno centro di Prato, e qui ci troveremo davanti al Castello dell’Imperatore. Chiamato anche Fortezza di S. Barbara o Castello Svevo, la sua costruzione fu iniziata nel 1248 per volere dell’imperatore Federico II di Svevia, nell’ambito di un progetto finalizzato a porre sotto controllo militare le principali vie di comunicazioni che dal sud del paese portavano in Germania. Eppure, quella che può essere considerata come la più importante testimonianza architettonica del XIII° secolo presente nella città di Prato, è invece ricordata per l’eccidio che ne porta il nome, riconducibile alle esecuzioni subite dai fascisti locali da parte di una popolazione travolta dalla rabbia nelle ore seguenti alla liberazione. Spostandoci di qualche centinaio di metri arriveremo a Piazza del Comune dove potremmo osservare la Lapide ai caduti nei campi di concentramento. Da qui ci spostiamo verso il cimitero della Misericordia, in via Galcianese, dove è doveroso andare a commemorare la cripta dei deportati. Inaugurata nel 1948, la cripta si trova nel sottosuolo del cimitero, ponendo di fronte al visitatore tutte le vittime dei campi di concentramento, in un’atmosfera di assoluta sacralità. Per raggiungerla bisogna entrare dal secondo ingresso del cimitero, qui c’è una porta a vetri che conduce a delle scale, la cripta è a metà della galleria di Santa Caterina. Se questa porta fosse chiusa è possibile accedere alla cripta entrando dal primo ingresso e scendendo le scale che si trovano sulla sinistra, si percorre tutta la galleria La Pira e poi a destra lungo la galleria Santa Caterina.
Una volta usciti dal cimitero doverosa è una visita al Museo della Deportazione e Resistenza pratese.
Fondato nel 2002, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, grazie al lavoro dell’ANED, e dell’allora suo Presidente Roberto Castellani, e al Comune di Prato. È una delle poche strutture museali in Italia a essere dedicata alla conservazione della memoria della deportazione. Nel 2008 il Museo è diventato Fondazione con il nome di Fondazione Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana, nel 2012 è stato accreditato come museo di rilevanza regionale. Presso il Museo vengono organizzate visite guidate, proiezioni di film/documentari, laboratori di indagine sulle fonti storiche. Il percorso all’interno del Museo è concepito come un viaggio simbolico in un campo di concentramento e di sterminio nazista. Nella prima sala sono esposti pannelli di carattere storico con schede, documenti e cartine sul sistema concentrazionario nazista, sull’organizzazione interna del lager, sulla deportazione dall’Italia, sulla persecuzione degli ebrei in Toscana e sulla vicenda regionale della deportazione politica con testi, foto e cartine dedicate al campo di Ebensee. La seconda sala del Museo introduce invece il visitatore al contatto con la realtà e i simboli del campo di concentramento. I vari oggetti esposti posseggono un indubbio valore di testimonianza e sono illustrati da didascalie con citazioni tratte dalla memorialistica, da interviste di superstiti prevalentemente toscani e anche dai libri di Primo Levi. Un’altra iniziativa lodevole da parte del Museo, volta all’integrazione storica con tutta la vasta popolazione cinese nel territorio, è stata la realizzazione di una guida-catalogo del museo interamente in cinese – già presente, oltre che in italiano, anche in inglese e in tedesco – oltre che i sottotitoli – già presenti in inglese e in italiano per non udenti – nel percorso museale audiovisivo dove, in sette postazioni video con sistema audio a infrarossi, si possono ascoltare video-interviste a 23 sopravvissuti ai lager nazisti.
Una visita obbligatoria per capire al meglio la sofferenza che la popolazione pratese dovette subire e la forza con cui riuscì a rialzarsi e liberare la città. Ultima, ma non per importanza, tappa del nostro percorso è via 29 Martiri, dove ci troveremo davanti al Monumento ai 29 martiri di Figline. È la mattina del 6 settembre 1944, i vari gruppi partigiani si stanno dirigendo in massa verso Prato, la quale sarà liberata il pomeriggio seguente quando si insedierà in Comune la giunta unitaria designata dal CLN locale. Il gruppo partigiano tra Coiano e Figline di Prato viene però intercettato da un’unità della 334° Divisione di fanteria tedesca, ne nasce un conflitto a fuoco durissimo e impari, con perdite da entrambe le parti. I partigiani, sorpresi ed in evidente inferiorità numerica, si disperdono. Mentre alcuni riescono fortunosamente a mettesi in salvo, una trentina di loro vengono fatti prigionieri dai tedeschi a seguito di un minuzioso rastrellamento seguito allo scontro e vengono quindi condotti a Villa Nocchi, sede del comando. Qui, il maggiore Karl Laqua improvvisa un processo farsa, al termine del quale viene pronunciata una condanna a morte per impiccagione. I condannati vengono allora portati a Figline e allineati lungo Bardena, di fronte all’arco di via Maggio. I tedeschi prelevano dalle abitazioni anche tre cittadini come testimoni dell’esecuzione della sentenza. Vengono impiccati ventinove partigiani, ed, a riprova di una crudeltà inaudita, alcuni vengono fatti impiccare dai loro stessi compagni. I cadaveri vengono lasciati dai tedeschi appesi per un giorno intero, prima che alcuni abitanti di Figline, vincendo la paura, provvedono a dar loro una prima sommaria sepoltura[1]. Una tragedia inaudita che rappresenta al meglio la spietatezza delle forze occupanti e il dolore che i pratesi dovettero subire per rialzarsi.
Note
[1] M. Di Sabato e G. Gregori, Fatti e personaggi della Resistenza di Prato e dintorni: dalla caduta del fascismo alla Liberazione (luglio 1943-settembre 1944), Pentalinea, Prato, 2014, pp. 91-103.
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo pubblicato nel novembre 2024.
Percorsi di guerra in Casentino

Dal settembre 1943 alla fine dell’estate del 1944 il Casentino è stato interessato in vario modo dall’arrivo della seconda guerra mondiale. A grandi linee possiamo suddividere la presenza del conflitto nella vallata in due grandi momenti: una prima fase, dall’autunno 1943 all’estate dell’anno successivo e una seconda fase, dal luglio 1944 fino alla liberazione del Casentino, avvenuta alla fine di settembre dello stesso anno.
Nell’autunno 1943 la percezione e il confronto diretto con la realtà della guerra giunsero attraverso l’occupazione nazista: l’arrivo dei tedeschi determinò un crescente clima di tensione tra la popolazione e le forze occupanti che si tradusse in una serie di azioni criminali ai danni dei civili. In questa fase il conflitto assunse i tratti tipici della guerriglia e vide le formazioni partigiane e le truppe naziste fronteggiarsi in uno scontro a bassa intensità fatto di imboscate e sabotaggi. Con la liberazione di Arezzo, avvenuta il 16 luglio 1944 la guerra entrò nella fase successiva ed assunse le caratteristiche proprie di uno scontro militare; malgrado ciò gli eserciti non si fronteggiarono in rilevanti battaglie, prediligendo anche in questo caso azioni dal limitato potenziale sulle alture intorno alla vallata. Con l’arrivo delle truppe britanniche la situazione delle forze in campo si ribaltò e i nazisti si trovarono costretti ad attuare una lenta ritirata dalla vallata che li portò ad abbandonare l’ultima città del Casentino il 22 settembre 1944.
Come abbiamo visto il Casentino non fu una zona particolarmente interessata dal secondo conflitto mondiale, ma nonostante ciò i suoi territori e le sue popolazioni vennero segnati dal passaggio della guerra.
In questo articolo abbiamo dunque deciso di riportare cinque sentieri che in vario modo sono testimonianza dei dolori e delle sofferenze che la vallata fu costretta a vivere dal settembre 1943 al settembre dell’anno successivo. Sono in prevalenza percorsi facili, accessibili a tutti i tipi di escursionisti.
Cetica
Percorso ad anello che da Cetica sale in direzione del Pratomagno per poi scendere nuovamente verso la frazione nota per lo scontro che vi combatterono il 29 giugno 1944 gli uomini del Brigata “Lanciotto” e i soldati della Brandenburg.
- Percorso: Cetica – Cristo del Castagno – Pian dei Ciliegi – Cetica
- Distanza: 14 km
- Tempo di percorrenza: 3 ore e 10 minuti
- Difficoltà: media
- Dislivello: ±526 m
Lunga e agevole salita che attraverso il sentiero CAI 54 porta prima al Cristo del Castagno e successivamente a Pian dei Ciliegi (1.130 m), il punto più alto dell’itinerario. Il percorso si svolge quasi interamente all’ombra dei faggi e dei castagni. Da Pian dei Ciliegi si perde progressivamente quota e dopo una discesa non troppo ripida si giunge a Cetica, dove sarà infine possibile visitare i cippi e i monumenti dedicati alla battaglia.
Moggiona, “Il sentiero della Linea Gotica”
Percorso ad anello che ripercorre le fortificazioni che i tedeschi costruirono durante la seconda guerra mondiale. Le postazioni, debitamente indicate attraverso dei pannelli, sono oggi delle buche e degli avvallamenti, un tempo utilizzate per posizionarvi l’artiglieria o costruirvi le trincee.
- Distanza: 4,5 km
- Tempo di percorrenza: 2 ore
- Difficoltà: facile
- Dislivello: ±280 m
Per giungere all’inizio del percorso è necessario intraprendere la strada che da Moggiona porta all’Eremo di Camaldoli e svoltare a sinistra dopo circa tre chilometri, prendendo la strada sterrata che porta ad Asqua; dopo meno di un chilometro ci si imbatte in un pannello che indica l’inizio del sentiero. La prima parte del percorso è in lieve salita, seguita da un tratto pianeggiante che lascia poi spazio alla discesa che porta alla località La Rota. L’ultimo tratto dell’itinerario è in leggere discesa e percorre il “sentiero dei tedeschi”, chiamato in questo modo poiché durante il secondo conflitto mondiale venne frequentemente utilizzato dalle truppe naziste.
Nella zona, oltre alle postazioni presenti lungo il sentiero, ve ne sono altre due, situate sul ciglio della strada che da Moggiona porta a Lierna. A Moggiona – vittima nel settembre 1944 di una terribile strage – è inoltre possibile poter visitare la Mostra permanente sulla guerra e la Resistenza in Casentino, facente parte della Rete Ecomuseale del Casentino.
Moscaio
Sentiero che attraversa l’abitato di Moscaio, vittima tra il 12 e il 13 aprile 1944 di un rastrellamento nazista. Il percorso offre inoltre la singolare possibilità di poter attraversare e visitare alcuni borghi, due dei quali sono ormai disabitati e in stato decadente. Questo itinerario può essere percorso sia in bicicletta che a piedi.
- Percorso: Banzena – Moscaio – Buca di Giona – Giona – Rovine di Giona di Sopra
- Distanza: 7,4 km
- Tempo di percorrenza: 2.05 ore
- Difficoltà: facile
- Dislivello: ±223 m
Da Banzena si procede in direzione nord-est per circa un chilometro fino ad arrivare a Moscaio, un abitato composto da poche abitazioni; nella via che attraversa la frazione sarà possibile osservare una lapide che ricorda le vittime che tra il 12 e il 13 aprile 1944 persero la vita in un rastrellamento tedesco. Si prosegue il cammino e dopo poco più di un chilometro si arriva a Buca di Giona, un paese disabitato, seguito dal borgo di Giona. Dopo essere arrivati a Giona il sentiero vira a sinistra e sale fino ad arrivare alle rovine di Giona di Sopra, dove si conclude il sentiero.
Partina
Il sentiero che proponiamo percorre un tratto della ciclopedonale “Buonconte da Montefeltro”, che da Bibbiena giunge fino a Camaldoli. Invece dell’itinerario tradizionale suggeriamo un percorso più “dolce”, adatto a tutte le categorie di escursionisti. Il nostro itinerario ha inizio da Partina, dove sarà possibile poter visitare i monumenti dedicati alle vittime della strage del 13 aprile 1944. Il sentiero è ideale per le biciclette ma può essere percorso anche a piedi.
- Percorso: Partina – Casa il Sasso – località Castagnoli
- Distanza: 3,6 km fino al bivio con la Sr 71; 7,9 km fino a Camaldoli
- Difficoltà: facile
Il sentiero prende avvio da Partina e più precisamente da via di San Francesco, situata lungo l’argine del torrente Archiano; qui sarà possibile poter visitare due monumenti in onore delle vittime della seconda guerra mondiale: uno inserito all’interno di un’area verde, dedicato a tutti gli abitanti che sono venuti a mancare durante il conflitto e uno posto poco più avanti, in direzione nord-est, interamente dedicato agli otto operai della Todt che vennero uccisi il 13 aprile 1944. Dopo aver visitato i monumenti si continua a percorrere via di San Francesco, per prendere la ciclopedonale che costeggia sul lato est l’Archiano. Nella fase iniziale il percorso è prevalentemente pianeggiante e rettilineo; superata l’ex centrale idroelettrica i visitatori giungeranno a Casa il Sasso, da dove inizierà un tratto in lieve salita seguito da una discesa. Il percorso termina dopo poco più di tre chilometri e mezzo all’altezza dell’incrocio con la strada asfaltata (località Castagnoli): giunti a questo punto i più prudenti potranno tornare a Partina seguendo in senso opposto l’itinerario precedentemente percorso, oppure percorrendo la Strada Regionale 71 Umbro Casentinese; invece i più allenati e temerari potranno continuare percorrendo il tratto conclusivo della “Buonconte da Montefeltro”, fino ad arrivare a Camaldoli.
Vallucciole, “Il sentiero della libertà”
Sentiero che da Molin di Bucchio sale fino al borgo di Vallucciole, teatro il 13 aprile 1944 di una strage. Nel corso dell’ascesa si attraversano i luoghi che vennero inesorabilmente colpiti dalla furia nazista.
- Percorso: Molin di Bucchio – Serelli – cimitero di Vallucciole – Vallucciole – Monte di Gianni
- Distanza: 6,9 km
- Tempo di percorrenza: 2 ore
- Difficoltà: facile
- Dislivello: ±220 m
Molin di Bucchio si raggiunge prendendo la strada che da Stia porta a Londa. Una volta giunti nel paese i visitatori potranno osservare i monumenti presenti nel paese, due dedicati a Pio Borri, prima vittima della Resistenza aretina e uno alla strage di Vallucciole. Dopo aver visitato Molin di Bucchio si torna sulla strada provinciale e si continua a procedere in direzione del Londa, per poi svoltare a destra dopo pochi metri, in concomitanza di una strada sterrata dove sono presenti le indicazioni per “Vallucciole” e “Capo d’Arno”. Durante la salita si attraversa il luogo dove un tempo sorgeva Serelli, distrutta da una frana nel 1992 e il cimitero di Vallucciole, dove riposano molte delle vittime della strage. Infine si giunge al borgo di Vallucciole, dove è presente la chiesa dei santi Primo e Feliciano, all’interno della quale è presente una lapide recante i nomi delle 108 vittime. Il sentiero prosegue per mezzo chilometro, concludendosi all’abitato di Monte di Gianni, anch’esso teatro della violenza nazista.
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo pubblicato nel novembre 2024.













