“I Giusti tra le nazioni”. Mostra.

Dal 24 gennaio al 28 febbraio

Sala Accademia I – Palazzo Ducale, Lucca

“I Giusti tra le nazioni”

Mostra itinerante curata dall’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme e presentata dall’Associazione Figli della Shoah.

Questo progetto espositivo, grazie ai documenti tratti dagli archivi dell’Istituto Yad Vashem, desidera rendere omaggio a coloro che, viceversa, si prodigarono attivamente per prestare assistenza agli ebrei e per salvare loro la vita e che costituirono, in termini numerici, un fenomeno marginale. La mostra è dedicata a loro.

L’esposizione sarà integrata e arricchita da alcuni pannelli che approfondiranno le storie dei Giusti tra le nazioni in provincia di Lucca.

 

La mostra sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00

Aperture straordinarie sabato 25 e domenica 26 gennaio dalle 15.00 alle 18.00.




Gli Internati militari italiani. Tra prigionia e Resistenza

3 febbraio  ore 17.00 

Sala del Trono, Palazzo Ducale – Lucca 

Gli Internati militari italiani. Tra prigionia e Resistenza

Incontro con Filippo Masina, assegnista di ricerca all’Università di Siena, co-autore del libro “Una straziante incertezza, Internati militari italiani fra guerra, morte e riconoscimenti da parte della Repubblica”

L’oblio e il silenzio sembrano essere caduti, nei decenni della Repubblica, sulla vicenda delle centinaia di migliaia di Internati militari italiani, cioè i soldati prigionieri dei tedeschi chiusi nei lager di prigionia o costretti al lavoro coatto fra il settembre del 1943 e la primavera del 1945: decine di migliaia vi persero la vita e i loro parenti incontrarono grosse difficoltà, dopo la guerra, per cercare di ottenere i giusti risarcimenti.




I Triangoli Rosa: la persecuzione degli omosessuali nella Germania nazista

31 gennaio  ore 17.00 

Sala del Trono, Palazzo Ducale – Lucca 

I Triangoli Rosa: la persecuzione degli omosessuali nella Germania nazista

Incontro con Francesca Cavarocchi, Ricercatrice di Storia Contemporanea all’Università di Firenze

L’incontro approfondirà il tema della persecuzione degli omosessuali nella Germania nazista.




La persecuzione dei rom e dei sinti nell’Italia fascista

Sabato 18 gennaio alle ore 16.00 

Palazzo delle Esposizioni – Auditorium Fondazione Banca del Monte di Lucca, Piazza San Martino, Lucca 

si terrà l’incontro  “La persecuzione dei rom e dei sinti nell’Italia fascista”

con la Dottoressa Paola Trevisan autrice del libro.

 

Quale fu l’atteggiamento del fascismo verso coloro che definiva “zingari”? Come si articolò la persecuzione dei rom e dei sinti e come mai la sua memoria non ha trovato spazio nell’Italia repubblicana?

Raramente, nel dopoguerra, le memorie delle persecuzioni subite sono uscite dallo stretto ambito delle famiglie rom e sinti e il loro mancato riconoscimento come vittime del regime fascista ha contribuito a rendere possibile la negazione dei diritti di cittadinanza a coloro che oggi vivono in Italia.




Ma la divisa di un altro colore. Cinema contro la guerra.

21 gennaio ore 18.30 anteprima della rassegna di cinema e cultura promossa da ANEI Firenze, Teatro della Compagnia.




Giorno della Memoria 2025: Presentazione del volume di C. Sonetti “Attraversare il tempo con le parole” (23.01.25)

Il 23 gennaio 2025, alle ore 17, nella Sala conferenze del Polo Le Clarisse (Via Vinzaglio, Grosseto) sarà presentato da Elena Vellati (Isgrec) il volume di Catia Sonetti “Attraversare il tempo con le parole. Lettere di una famiglia ebraica da Livorno per Asmara, 1937-1947” (il Mulino, 2023). Il libro, che ha vinto il 1 premio Fiuggi storia 2023 per la sezione epistolari, illumina le vicende di una famiglia di ebrei di Livorno, appartenente alla media borghesia. Nel 1933 una delle figlie si trasferisce in Eritrea col marito dando il via a una nutrita corrispondenza con i familiari: oltre 700 lettere, scritte in un decennio fondamentale per le sorti del mondo e soprattutto per la minoranza ebraica. Oltre alla quotidianità si ritrovano in quelle pagine i temi della Storia: le leggi razziali e le loro conseguenze, i bombardamenti, la faticosa ricostruzione, il referendum del 1946. Ma tra le righe si affacciano anche tematiche sociali, come il passaggio da una famiglia di stampo patriarcale a una famiglia più ristretta e moderna, il desiderio di emancipazione economica delle donne e il ridimensionamento economico legato alla persecuzione.




Cattolici e RSI in Toscana (1943-1944)

Il rapporto tra Chiesa cattolica e fascismo è oggetto di una lunga stagione di studi che, culminata nella monografia di L. Ceci (L’interesse superiore, 2013), ha gettato luce sui momenti, i protagonisti e i caratteri essenziali di quella relazione; ciò detto, perfino a ottant’anni dalla Liberazione le conoscenze restano a tratti lacunose.

Uno dei problemi principali concerne quella parte – esigua sul piano numerico ma assai attiva, rumorosa e influente – del laicato e soprattutto del clero che, lungi dal limitarsi all’obbedienza nei confronti delle autorità civili, militari e religiose, aderì con entusiasmo alla RSI. Alcuni esempi sono noti: pensiamo ai cappellani militari, oggetto di un volume fondamentale di M. Franzinelli (1991); oppure a quanti animarono periodici come «Italia e civiltà» (Firenze), «L’Italia cattolica» (Venezia) e soprattutto «Crociata italica» (Cremona), diretta da don Tullio Calcagno e studiata già negli anni Settanta da A. Dordoni. Nel complesso, però, la storiografia, inclusa quella di matrice cattolica, ha mostrato un interesse assai limitato e i contorni del gruppo restano vaghi, rendendo opportune indagini più approfondite.

Per quanto concerne l’area toscana, teatro di episodi tra i più violenti e drammatici della guerra di Liberazione, il caso più eclatante ebbe per protagonista il vescovo di Massa C.A. Terzi, che dopo la Liberazione fu accusato di acquiescenza eccessiva ai tedeschi e finì – unico nell’episcopato italiano – per dimettersi. Che dire però di altri attori, scivolati in parte o del tutto nell’oblio? Al fine di evidenziare il carattere trasversale del consenso alla RSI, capace di interessare le diverse componenti della compagine ecclesiale, questo intervento si soffermerà brevemente su quattro figure di diversa natura: un cappellano militare, un delatore, un parroco di campagna e un intellettuale.

Il cappellano militare

Originario di Bologna, Sergio Baccolini (1913-1997) entrò nell’ordine benedettino vallombrosano con il nome di Gregorio. La notizia della belligeranza lo colse a Roma, nel monastero di S. Prassede, da dove – animato da fervente patriottismo e da profonda ammirazione nei confronti del Duce e del Führer – chiese invano di essere nominato cappellano militare. Trasferito a Pescia e quindi a Firenze, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 funse da collegamento tra le SS e la famigerata Banda Carità e quindi, nell’aprile 1944, ottenne l’agognata nomina a cappellano. Forte della nuova posizione, Baccolini avviò un’intensa opera propagandistica sui fogli della RSI, culminata in un violentissimo articolo contro i chierici “traditori” apparso nel giugno 1944 su «Repubblica» (l’organo del Partito fascista repubblicano a Firenze). All’inizio del luglio 1944, quando la battaglia per la liberazione della città era ormai imminente, l’autore fu assegnato alla Polizia repubblicana di Toscolano Maderno (Brescia), dove continuò a dispiegare lo zelo politico abituale, collaborando con i fogli farinacciani «Crociata italica» e «Il Regime fascista» e riuscendo a farsi ricevere da Mussolini. Baccolini rimase nelle fila della Polizia repubblicana fino alla fine del gennaio 1945, quando a seguito di una denuncia anonima rassegnò le dimissioni da cappellano. La sua vicenda durante gli ultimi, concitatissimi mesi di guerra resta poco chiara; certo è che dopo l’insurrezione generale fu arrestato e internato nel campo di Bresso (Milano), da dove fu liberato nel 1946 grazie anche all’intervento del cardinale-arcivescovo di Milano A.I. Schuster. Sospeso a divinis ed espulso dall’ordine, visse a Milano, aderì alla massoneria e in seguito si convertì all’ortodossia, contribuendo alla realizzazione del primo viaggio di La Pira in URSS (1959). Dopo una serie di spostamenti si stabilì infine a Torino, divenendo una figura di riferimento per la comunità ortodossa locale e nazionale. Nel 1984, a Lisbona, fu consacrato vescovo del capoluogo piemontese dal metropolita Gabriele, della Chiesa ortodossa autonoma del Portogallo, e mantenne l’incarico fino alla morte.

Il delatore

Un altro esponente dell’ordine vallombrosano a Firenze fu il romano Epaminonda Troya, in religione Ildefonso (1915-1984). Da vicario cooperatore della parrocchia di S. Trinita, collaborò per un breve periodo con gli azionisti fiorentini ma nel novembre 1943 fu arrestato dalla Banda Carità e decise di passare dalla parte dei fascisti. La sua carriera di delatore e “confessore” al servizio della Banda Carità fu breve ma le sue azioni restarono impresse nella memoria delle vittime, turbate dalla freddezza, dal sadismo e dal cinismo del frate. Pienamente soddisfatte, nel gennaio 1944 le autorità fasciste gli consentirono di operare a Roma, dove il mese successivo il religioso svolse un ruolo essenziale nell’irruzione della Banda Koch nell’abbazia benedettina di San Paolo fuori le mura, rifugio di decine di ebrei e antifascisti. Sospeso a divinis dai superiori, egli si recò a Milano e quindi a Cremona, con l’incarico di spiare Farinacci e il suo entourage per conto del ministro degli Interni Buffarini Guidi. La missione ebbe successo, al punto che Troya pubblicò su «Crociata italica» diversi articoli in cui difendeva apertamente la delazione come strumento legittimo di lotta politica e religiosa da parte di chierici e laici. Benché screditato agli occhi della S. Sede, egli sfruttò la confusione generale e i contrasti ai vertici dell’Ordinariato militare per divenire, nonostante la sospensione a divinis, tenente cappellano della GNR prima a Trieste (dove ebbe diversi scontri con il vescovo A. Santin) e quindi a Verona. Al termine delle ostilità fu arrestato, processato e condannato insieme ai superstiti della Banda Koch, restando in carcere fino al maggio 1953. Il carcere non ne mutò le idee, come attestano le lettere di protesta scritte ancor dopo la liberazione per protestare contro l’iscrizione al Casellario politico centrale. Dopo il 1962, le tracce dell’ex delatore si perdono: sappiamo solo che visse nel paese natale, in provincia di Roma, e che poco prima di morire fu riammesso al sacerdozio.

Il parroco di campagna

Uomo di pensiero più che d’azione, il parroco della chiesa di S. Lucia a Terzano (una frazione di Bagno a Ripoli) Leone Frosali (1892-1972) è una figura diversa e decisamente meno nota rispetto a Baccolini e Troya. La mancanza di documenti impedisce di gettare luce sulla sua condotta tra l’entrata in guerra dell’Italia e l’armistizio di Cassibile; dopo l’8 settembre, però, egli aderì con convinzione alla repubblica di Mussolini, destando una certa sorpresa tra la popolazione. Tale adesione prese la forma di un’intensa campagna giornalistica, che lo portò a divenire una firma familiare ai lettori di «Repubblica» e «Crociata italica». Nei suoi scritti si ritrovano i capisaldi del discorso portato avanti dall’area ecclesiale incarnata da don T. Calcagno: l’opposizione irriducibile a ebrei, comunisti, protestanti, massoni e “traditori”; lo sprezzo per l’ignavia della maggioranza del clero; il connubio tra fede e patria; la lettura del conflitto in termini apocalittici, come una lotta tra bene e male; e naturalmente la netta scelta di campo in favore della RSI. A colpire è soprattutto la polemica nemmeno tanto implicita con il cardinale-arcivescovo di Firenze E. Dalla Costa, che sul piano pubblico si fece promotore di riconciliazione e su quello riservato si impegnò a fondo nel soccorso agli ebrei perseguitati. Pur senza nominarlo, infatti, Frosali rigettò come insufficienti se non ambigui gli appelli alla concordia lanciati dall’episcopato, stigmatizzando l’anglofilia di larga parte del clero italiano e spingendo tutti a cooperare al successo dell’Asse. La curia vescovile tollerò queste dichiarazioni fino all’aprile 1944, quando (anche per scongiurare ritorsioni partigiane) sollevò Frosali dall’incarico e in seguito gli impedì di pubblicare alcunché senza l’esplicita approvazione dei superiori. Il sacerdote, che nell’ultimo articolo aveva esortato la GNR a incidere il «bubbone cancrenoso» della Resistenza, si dovette rassegnare. A questo punto, le sue tracce si perdono quasi del tutto. Non pare che egli sia stato processato per il sostegno alla RSI, ma esigenze di sicurezza personale indussero i superiori ad allontanarlo dalla regione. Ancora nel 1959, infatti, Frosali era cappellano presso l’ospedale-ricovero “Anacleto Bonora” di S. Pietro in Casale (Bologna). Tornò in Toscana solo più tardi per essere ricoverato presso la Casa cardinale Maffi a Cecina (Pisa) e morì a Firenze.

L’intellettuale

Rampollo di una famiglia nobile e benestante di origine veneta, il fiorentino Antonio Marzotto Caotorta (1917-2011) si laureò in Giurisprudenza e combatté con gli Alpini sul fronte greco, restando gravemente ferito e ottenendo una medaglia d’argento al v.m. Congedato dal R. Esercito in quanto mutilato di guerra, tornò all’Università, militando nelle fila dei GUF e laureandosi in Scienze politiche nel 1942. Il profilo intellettuale lo portò a concentrarsi anzitutto sulla scrittura di articoli che, apparsi principalmente sugli organi dei GUF di Forlì («Pattuglia») e Firenze («Rivoluzione»), spiegavano come i principi corporativi avrebbero strutturato la comunità nazionale e internazionale dopo la vittoria dell’Asse. All’indomani dell’8 settembre, egli scelse la RSI, pubblicando una serie di articoli su «Italia e civiltà» – la rivista fiorentina fondata e diretta da Barna Occhini che, sia pure con toni meno virulenti e un taglio più intellettuale rispetto a «Crociata italica», prese nettamente le distanze dalla monarchia sabauda. Qui Marzotto continuò a sviluppare le sue riflessioni sul corporativismo, confermando di ritenerlo uno dei portati essenziali del fascismo. Rispetto al passato, però, il suo discorso si allargò alla difesa del papa e del cattolicesimo da posizioni non solo conservatrici ma intransigenti, rivelate da cenni a De Maistre e soprattutto alla catena degli errori moderni (Riforma protestante, illuminismo, Rivoluzione francese, ecc.) che avrebbero portato all’apostasia del mondo contemporaneo. Alla fine del conflitto, Marzotto non subì arresti né processi ma il clima politico-culturale della Firenze del dopoguerra lo indusse a tenere un profilo basso e a concentrarsi sulla ditta di famiglia fino alla fine degli anni Cinquanta, quando si trasferì a Milano per occuparsi del servizio personale di aziende come la Compagnia generale di elettricità o la Finanziaria Ernesto Breda. Nel capoluogo lombardo egli intraprese una carriera pubblica di grande successo, che lo portò a divenire, tra le altre cose, presidente nazionale di Federtrasporti (1968-1992) e deputato nelle fila della DC (1972-1983). Negli ultimi anni della sua vita tornò a dedicarsi alla scrittura, pubblicando diversi volumi. Morì a Milano in età molto avanzata.

 

Giovanni Cavagnini si è addottorato alla Scuola normale superiore di Pisa e all’École pratique des hautes études di Parigi, ed è attualmente assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Economia e finanza dell’Università di Roma Tor Vergata ed è tra i collaboratori della Biblioteca F. Serantini. I suoi lavori si sono concentrati sul cattolicesimo europeo, la Grande guerra, il colonialismo e, più recentemente, la storia della fisica nel Novecento. 

Articolo pubblicato nel gennaio 2025.




La deportazione politica a ottant’anni dalla Liberazione dei Campi di concentramento

All’interno del programma di incontri promosso da Regione Toscana, ISRT, Museo della deportazione e della Resistenza in occasione del Giorno della Memoria

ANED sez. Firenze e Regione Toscana
con il patrocinio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze
vi invitano a

La deportazione politica a ottant’anni dalla Liberazione dei Campi di concentramento

Martedì 4 febbraio 2025, ore 16.30-18.30
Sala Pegaso Regione Toscana

Saluti
Alessandra Nardini, assessora Regione Toscana

Opposizione, dissenso politico, deportazioni: dagli anni Venti alla Costituente
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