
Mariella Gori balla con Leto Morvidi primo sindaco di Manciano, 1 maggio 1945 (©️Archivio Bellezzi)
Nasce a Manciano il 29 maggio 1923 da Giuseppe Gori, antifascista, e Aminta Balestrelli. Nella casa di suo padre, in via del Ponticino, viene fondata una delle primissime bande della Maremma grossetana. Mariella, appena sedicenne, partecipa alle molte riunioni fatte fra l’8 settembre e l’ottobre 1943 e giura in nome della democrazia e della libertà insieme al futuro comandante della formazione della zona, Sante Arancio, e agli altri partigiani.
Da qualche giorno prima del Natale 1943 a fine marzo 1944 Mariella è alla macchia proprio con la banda guidata da Arancio: la giovane passa tre mesi alla Capriola, sotto Montauto dove è il comando, insieme alla moglie del comandante, Virginia Cerquetti, e poi è a Macchia Sugherona, al Podere Crociani.
Per la banda svolge la funzione di staffetta. Gira armata di una pistola Beretta che porta sempre con sé, anche quando deve rientrare di nascosto in paese per prendere i vestiti per i partigiani che vengono raccolti da Maria Pascucci, per conto della San Vincenzo, un’associazione cattolica. Insieme ai vestiti, Mariella riceve informazioni che riporta all’accampamento. Inoltre, è proprio lei a contattare, per conto del capobanda, i medici di Manciano affinché si rendano disponibili per le esigenze della formazione.

Mariella Gori, 1 maggio 2007 (©️Archivio Bellezzi)
Dopo la guerra è riconosciuta partigiana combattente dalla Commissione regionale Toscana nel Raggruppamento Amiata, VII gruppo bande, settore B per la Banda armata maremmana comandata da Sergio Salvetti. Nella relazione che è invece presentata alla Commissione del Lazio da Sante Arancio per la Banda Arancio Montauto, viene descritta in maniera paternalistica come “fedele ancella della moglie del capobanda”, con cui sa dividere le ansie e i pericoli della lotta, ma anche come “informatrice instancabile, [che] seppe arrischiare più volte la galera perché la sua missione fosse quanto mai più precisa”; e ancora, il comandante Arancio di lei vuole ricordare che “nessun lavoro le è mai sembrato duro quando poteva essere di sollievo a tutti”.
Nel dopoguerra è sempre attiva nella comunità di Manciano da cui è molto apprezzata. In un’intervista, però, dichiarerà che al contrario, durante il periodo della Resistenza, “alla macchia c’era una grandissimo rispetto per noi donne, mentre in paese ci consideravano delle poco di buono”. Muore il 13 maggio del 2010, all’età di 87 anni, dopo aver a lungo testimoniato la sua vita da partigiana.
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🟧Le madri del futuro libero
Episodio della serie podcast dell’Isgrec “Racconti Resistenti: le vite di partigiani e partigiane della Maremma” dedicato a Mariella Gori, nata a Manciano (GR) il 29 maggio 1923. Dopo l’8 settembre 1943, nella casa di suo padre nacque la Banda Armata Maremmana, guidata dal Comandante Sante Arancio. Tra i membri spicca un gruppo di donne coraggiose, tra cui Virginia Cerquetti. Racconto basato su documenti Isgrec, scritto da Silvia Meconcelli, interpretato da Irene Paoletti.
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🟥Intervista realizzata da Franco Dominici il 26 aprile 2005, pubblicata in Giulietto Betti, Franco Dominici, “Banda Armata Maremmana 1943-1944. La Resistenza, la guerra e la persecuzione degli ebrei a sud di Grosseto“, Arcidosso, Effigi 2014, pp. 250-2.
– Cosa ricorda delle riunioni tenute a casa di suo padre Giuseppe nel settembre del 1943 da cui nacque la prima formazione partigiana della Maremma?
– In casa di mio padre, in via del Ponticino, sono siate fatte più riunioni, fra settembre e ottobre, dalle quali nacque la banda partigiana. Ricordo che vi parteciparono Arancio, Aldo Ricci, Clito Pratesi, Leo Sbrulli e la sera del giuramento c’erano anche i tenenti Gino e Antonio. Giurammo tutti in nome della democrazia e della libertà.
– Cosa ricorda di Gaspare Arancio?
– Abitava a Manciano e la moglie era romana, conosciuta quando lei era in collegio. Si chiamava Virginia Cerquetti e il figlio di Arancio, Mario, non era suo. Alla macchia, alla fine di febbraio del 1944, nacque la loro figlia Annabella. Arancio era una specie di avventuriero, aveva un bel carisma, un po’ autoritario, ma era una persona molto decisa. Quando partivano per qualche azione io e la moglie pregavamo, avevo imparato a dire i rosari con Virginia Cerquetti, una donna fine, intelligente e molto religiosa. Già da tempo Arancio era un amico di famiglia perché mi aveva guarito le mani. Mi si erano ammalate e lui con sapone fatto con il grasso di maiale, alcune pomate prese in farmacia e della carta con cui mi isolò le dita, riuscì a guarirmi.
– Quanti erano i partigiani e gli stranieri a Montauto?
– All’inizio una cinquantina di partigiani, ricordo poi 2 indiani, un tenente francese e lo spagnolo Juan. Alla macchia c’era un grandissimo rispetto per noi donne, mentre in paese ci consideravano delle poco di buono. […]
– Quanto tempo è stata con i partigiani?
– Più di 3 mesi, da dicembre del 1943, qualche giorno prima di Natale, alla fine di marzo del 1944. Sono stata alla Capriola, sotto Montauto, dove era il comando, a Macchia Sugherona, al podere del Crociani, in prossimità del quale un gruppo di russi aggregati ai partigiani uccise il loro connazionale Ivan, un violento che non obbediva a nessuno. Poi sono stata ai magazzini di Secondo Bianchini, al suo podere, e non seppi altro della banda fino alla Liberazione. Quando tornai a Manciano fui subito chiamata dalla segretaria del fascio femminile […] perché sapeva che ero stata coi partigiani.
– Lei girava armata?
– Sì, il periodo che ero alla macchia avevo una pistola Beretta che portavo sempre con me, anche quando di nascosto mi trovavo a Manciano, per prendere i vestiti raccolti da Maria Pascucci per conto della San Vincenzo, un’associazione cattolica. I vestiti li portavo alla macchia io. A volte andavo a Manciano anche per ricevere qualche informazione. Svolgevo il lavoro di staffetta. […]
– E per le armi e le munizioni come facevate?
– Per le armi e le munizioni venivano assaltate le caserme da carabinieri, anche se spesso ce le davano loro.
– Cosa mangiavate alla macchia?
– Ci aiutavano i contadini che facevano il pane anche per noi. Quando sono arrivata alla Capriola non c’era nemmeno il sale e si mangiava il bollito di pecora. Le amministrazioni, cioè i proprietari terrieri, davano quello che potevano.