Primavera/estate 1944: le vallate aretine grondano sangue

Dopo lo sfondamento di Montecassino degli Alleati, la ritirata delle truppe tedesche dalla Linea Gustav alla Linea Gotica si è portata dietro una lunga scia di sangue con una serie raccapricciante di eccidi, molto spesso pianificati da una strategia stragista.

La sensazione, che man mano diventava realtà, di non essere più un esercito invincibile, che il sogno di conquistare il mondo sarebbe rimasto tale, che la guerra si sarebbe persa, rese i nazisti, da Hitler all’ultimo soldato semplice, sempre più violenti e disumani. In più vi era quell’azione di guerriglia portata avanti dalle formazioni partigiane, atte a contrastare la loro ritirata, che logorava fino allo sfinimento il morale tra le file dei militari; militari già esasperati dalle condizioni di una guerra che per molti di loro si stava protraendo da quasi cinque anni, in giro per il mondo, lontano da casa e con la morte sempre ad un passo. E dall’alto del comando giungeva l’ordine di usare la mano pesante per debellare l’attività di coloro che venivano definiti “banditi”, ai quali, non essendo militari, non veniva riconosciuto nessun diritto delle leggi di guerra. Lo stesso Kesserling, comandate delle forze tedesche in Italia, era andato oltre auspicando un contegno durissimo ed intransigente anche verso i civili in quanto fiancheggiatori o possibili partigiani. Per lui il problema consisteva nel fatto che i partigiani non portassero la divisa per cui si poteva supporre che ogni civile fosse pronto a colpire facendo vivere i soldati tedeschi sotto continua minaccia. Il famoso “Befehl” del 17 giugno 1944, a sua ispirazione, redazione e firma che dice: “uccidete, e qualsiasi cosa vi accada vi difenderò, e se non vi scatenerete contro gli italiani vi punirò”, costrinse tutti i militari tedeschi a strafare.

E durante il passaggio del fronte di guerra nella provincia aretina il “Befehl” di Kesserling fu messo in pratica con una ferocia disumana che probabilmente andò anche oltre le intenzioni del comandante tedesco. Nessuna pietà né per donne, anziani e bambini, perfino un neonato di due settimane fu trucidato con una sventagliata di mitra. Nessuna pietà neanche per quella donna incinta che durante il tragitto della “marcia della morte” da Molin dei Falchi a San Polo stanca per il cammino si accasciò a terra e fu uccisa con il suo bimbo in grembo con un colpo alla pancia. Una follia rabbiosa che trovava nell’eccidio di esseri umani inermi la sua massima espressione e che a volte non aveva bisogno neanche di giustificazioni (se possono esistere giustificazioni) di ritorsioni per uccisioni nelle file tedesche. Si uccideva barbaramente per il solo gusto di uccidere, si uccideva solo perché gli italiani venivano considerati traditori: dal nonno al nipotino seppur innocenti ed estranei alla guerra per il solo fatto di essere italiani meritavano la morte…

Nel territorio aretino non avvennero grandi stragi per numero di vittime come a Marzabotto (oltre 800 vittime) o a Sant’Anna di Stazzema (560 vittime), ma si susseguirono una serie di eccidi, 42 per la precisione, sparsi per le colline e le campagne che nella primavera/estate del ‘44, in soli quattro mesi causarono quasi 1500 morti. Quel territorio costituiva l’ultimo baluardo per contrastare l’avanzata degli Alleati e dovevano resistere fintantoché non fosse ultimata la costruzione della Linea Gotica e quando le truppe tedesche lentamente si ritiravano facevano terra bruciata dietro a loro.

 

PERCHE’ LA MEMORIA NON SI CANCELLI

Nell’anno dell’ottantesimo Anniversario della Liberazione della provincia aretina, perché si tenga sempre alta l’attenzione e vivido il ricordo di ciò che è avvenuto, abbiamo individuato una sorta di “Sentiero Resistente” inteso come caduti per la Resistenza, dove narriamo e ripercorriamo alcune stragi meno note compiute nell’aretino. Nel corso di questo percorso andremo a visitare i vari monumenti dedicati alle vittime di quelle violenze compiute dai nazifascisti nell’estate del ‘44.

L’itinerario è lungo complessivamente 39 km, percorribili in automobile in circa un’ora, in bicicletta in due ore, oppure per i più “coraggiosi” amanti del trekking è possibile effettuarlo a piedi impiegando circa 8 ore di cammino.

 

Mappa del percorso

 

Le Tappe: Monumento ai caduti dell’eccidio di Badicroce – Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo-Palazzo del Pero – Monumento ai caduti di Staggiano – Carcere di Arezzo – Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio – Monumento ai caduti di San Leo – Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo – Murales della Chiassa Superiore.

 

1° tappa: Monumento ai caduti dell’eccidio di Badicroce

Il nostro percorso inizia con la visita al monumento in ricordo delle 17 vittime civili trucidate dai tedeschi nella fattoria di Badicroce e nei suoi dintorni. Il monumento si trova in uno spiazzo al lato della strada provinciale che unisce Gambaronica a Palazzo del Pero.

Dalla metà di giugno questa era un’area di passaggio delle truppe tedesche che facevano la spola tra il fronte e il presidio di Arezzo. Una sera un ufficiale dopo essersi fermato a cenare alla fattoria aveva sparato in aria un colpo di pistola ottenendo come risposta una raffica di mitra in lontananza, segno inequivocabile che nella zona ci fossero uomini armati. Questo fu sufficiente a sospettare che il proprietario della fattoria, il dottor Alberto Lisi, fosse coinvolto con la Resistenza e a considerare la zona un ricettacolo di partigiani protetti dalla popolazione civile, cosicché nei giorni seguenti la morte di un soldato fece scattare subito la rappresaglia in quel luogo. Iniziarono mettendo a fuoco le case di contadini e boscaioli all’interno della tenuta eccetto la colonica detta “Aia vecchia”, che fu occupata dai tedeschi diventando la loro base logistica per i crimini dei giorni a seguire. Le stalle della casa furono adibite a centro di raccolta e detenzione, ma anche luogo di interrogatori e torture (e non mancarono in quelle stanze anche stupri per le malcapitate donne), per tutti gli abitanti e gli sfollati che furono presi in ostaggio durante le azioni di rastrellamento.

Il 3 luglio cominciava l’emorragia di civili: le prime vittime furono tre uomini arrestati a Palazzo del Pero e condotti a Badicroce per essere giustiziati e fino al 10 luglio caddero sotto i colpi nazisti diciassette persone (sei anziani, sette adulti, due donne e due bambini). Una delle donne era Olga Badini, giovane sposa sfollata ad Arezzo, la cui colpa fu solo quella di impedire, opponendosi energicamente, a due soldati tedeschi di usare violenza su alcune ragazze. I due inizialmente desistettero ma dopo alcune ore tornarono nella stalla dove erano reclusi gli sfollati, presero la Badini e la condussero fuori. Il suo cadavere fu trovato insieme ad altre vittime il giorno dopo la liberazione nel bosco con incredibili segni di violenza e con un fazzoletto alla gola, causa probabile di morte per asfissia[1].

L’opera in ricordo dell’eccidio è stata realizzata dagli studenti di terza dell’Istituto d’Arte “Piero della Francesca” di Arezzo, ed è stata inaugurata il 26 marzo 2011. La scultura rappresenta una donna che cerca di rialzare il corpo di un uomo, con accanto anche quello giacente di una ragazza. Sul basamento sono poste due targhe in metallo, una, quella a destra, in cui sono incisi i nomi dei caduti, l’altra, quella a sinistra, ha invece inciso il simbolo della Repubblica italiana, la dedica alle vittime e gli autori dell’opera.

 

Monumento eccidio Badicroce, a Pian di Usciano.

 

2° tappa: Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo-Palazzo del Pero

Badicroce – Palazzo del Pero 3,4 km (4 minuti in auto, 46 minuti a piedi).

Proseguendo in direzione nord si oltrepassa l’abitato di Palazzo del Pero, in direzione Molin Nuovo e si arriva, dopo circa tre chilometri e mezzo, al monumento ai caduti dell’eccidio di Palazzo del Pero, posto in un ampio spazio nella parallela della strada statale 73.

In uno scontro a fuoco il 23 giugno, nelle vicinanze della fattoria Bianchini a Palazzo del Pero, fu ucciso un soldato della Wehrmacht. Immediata fu la reazione dei tedeschi che arrestarono il proprietario Domenico Bianchini insieme al figlio ed al nipote. Il mattino seguente furono rilasciati, ma un reparto tedesco, probabilmente appartenente alla polizia militare, tornò alla fattoria, catturò i contadini che stavano tranquillamente mietendo il grano e dettero fuoco ai loro poderi. Dal modo di comportarsi dei soldati si comprese fin da subito la gravità della situazione e che la loro azione di rappresaglia sarebbe stata molto dura e luttuosa. Infatti nove contadini vennero prelevati e portati nei pressi di una chiesa in località il Muraglione per essere giustiziati. A niente valsero le grida disperate dei parenti e le loro invocazioni di pietà per i propri cari cercando soprattutto di mettere in rilievo la loro innocenza. Il comandante del reparto fece rispondere all’interprete: “anch’io sono convinto della loro innocenza, come pure sono convinto che noi abbiamo perduto la guerra, però dobbiamo farli fucilare egualmente[2]. Quegli uomini vennero fatti allineare lungo la strada ed al comando uccisi con scariche di mitra.  La decima vittima, Giulio Bacci, fu sorpresa mentre tentava la fuga sulla via fra Maiano e Le Lastre. Sarà la madre il giorno dopo a ritrovare il corpo straziato del figlio sul ciglio della strada.

Due manufatti sono stati posti in tempi diversi in memoria della fucilazione di 10 uomini, tra civili e partigiani, avvenuta in questo luogo il 24 giugno del ‘44 per mano dei soldati tedeschi. Il primo, collocato a breve distanza dall’accaduto, è un cippo di pietra con incassata una lapide di marmo sulla quale sono riportati i nomi dei dieci caduti. L’altro monumento invece, posto nel cinquantesimo anniversario dall’eccidio, è costituito da un masso di pietra in cui è incastonato un bassorilievo che raffigura una Pietà in bronzo.

 

Monumento ai caduti dell’eccidio dell’Intoppo.

 

3° tappa: Monumento ai caduti di Staggiano

Palazzo del Pero – Staggiano 9,5 km (12 minuti in auto, un’ora e mezzo circa a piedi).

Dal monumento dell’eccidio di Palazzo del Pero torniamo indietro per pochi metri sulla strada provinciale e svoltiamo a destra prendendo la strada statale 73, per poi uscire dalla strada principale all’altezza del bivio con indicazione “Poti”; infine proseguiamo fino a Staggiano, una piccola frazione del comune di Arezzo, vittima di un altro eccidio nazista nel luglio del ’44.

Lungo la strada di fronte alla chiesa delle Sante Flora e Lucilla, in via Santa Fiora, si trova il monumento ai caduti di Staggiano, due lapidi di marmo nelle quali sono incisi i nomi dei caduti della prima e della seconda guerra mondiale.

L’11 luglio una pattuglia di soldati tedeschi giunse alla casa colonica Torri, situata in collina sopra il paese di Staggiano, in cui abitava la famiglia Carboni che aveva ospitato alcuni sfollati. Quel giorno era presente in casa anche un giovane capitato lì per caso che possedeva una pistola. Alla vista dei tedeschi egli si allontanò precipitosamente nascondendo l’arma sotto un covone di grano. Quel gesto non passò inosservato: il giovane fu catturato e la sua arma ritrovata. Ma nelle vicinanze vi era una compagnia della formazione “Pio Borri” guidata da Siro Rossetti, che si era attestata su Poggio Tondo, sopra Staggiano per prepararsi alla calata sulla città di Arezzo. I partigiani intervenuti prontamente per risolvere la questione riuscirono ad avere la meglio respingendo la pattuglia tedesca anche se nello scontro a fuoco persero la vita due suoi uomini. Inevitabilmente la ritorsione non tardò ad arrivare e dopo qualche ora i tedeschi ritornarono incendiando la fattoria, considerata una base dei partigiani, sterminarono il bestiame e fermarono sei uomini: i fratelli Angelo e Ferdinando Carboni, intenti a pascolare il gregge; Manlio, Alfonso e Alberto Mazzi, che si trovavano in casa ed il giovane Piero Poretti, il proprietario della rivoltella. Tutti quanti furono portati a villa Sacchetti, sede del comando tedesco, e qui barbaramente uccisi.  I loro corpi vennero rinvenuti quattro giorni dopo, il 16 luglio, giorno della liberazione di Arezzo, in una buca a Santa Fiora: “I corpi da quanto si poté constatare erano stati calcati a forza nella buca. In tasca a ciascuno era stata messa una quantità di esplosivo e si poté anche constatare che per rendere più tremenda la morte erano state sparate addosso a loro alcune fucilate con cartucce di pallini[3].

 

Monumento ai caduti di Staggiano

Nomi dei sei uomini caduti a Staggiano durante la Resistenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

4° tappa: Carcere di Arezzo

Staggiano- Arezzo carcere 5,5 km (10 minuti in auto, un’ora circa a piedi).

Da Staggiano proseguiamo in direzione nord-ovest verso Arezzo, prendendo via Anconetana fino a giungere nella zona del centro storico della città.

In via Garibaldi, distante dieci minuti dalla cattedrale dei Santi Pietro e Donato, troviamo la casa circondariale di Arezzo, dove il 15 giugno del ’44 vennero barbaramente trucidati, da componenti della Guardia Nazionale della Repubblica di Salò, Santino Tani (anima della Resistenza aretina), suo fratello don Giuseppe Tani e Aroldo Rossi, catturati il precedente 30 maggio nei pressi di Montauto (Anghiari)[4].

La cella dove i tre partigiani vennero sottoposti ad inaudite violenze e poi massacrati con decine di proiettili è oggi monumento nazionale. Nella lapide posta accanto alla cella sono raffigurati i loro volti, ritratti nei tre ovali apposti sulla sommità della lapide, che recita: “In odio alla libertà, qui furono imprigionati, straziati, uccisi Santino Tani, don Giuseppe Tani, Aroldo Rossi. La libertà risorta ne addita la fede e il sacrificio agli italiani”.

 

Targa posta accanto alla cella nel carcere di Arezzo dove vennero trucidati i tre partigiani.

 

5° tappa: Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio

Arezzo carcere – Mulinaccio 2,3 km (6 minuti in auto, mezz’ora a piedi).

Si continua percorrendo via Giuseppe Garibaldi in direzione sud, per poi svoltare a destra all’altezza dell’incrocio con via San Lorentino e continuare per più di un chilometro fino ad arrivare al bivio con via Antonio Stoppani, svoltiamo a destra e proseguiamo fino a via Camillo Golgi, dove è visibile, prendendo una rampa pedonale, segnalata da un apposito cartello, che scende verso il torrente Castro, il cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio.

Il monumento inaugurato nel dopoguerra è stato restaurato, grazie ai parenti delle vittime, nel 2008.

La strage del Mulinaccio venne compiuta il 6 luglio del 1944, a dieci giorni dalla liberazione di Arezzo. Quindici uomini che stavano lavorando nei campi, residenti presso il podere il Mulinaccio, vennero presi dai tedeschi. Nonostante i giorni precedenti avessero intrapreso rapporti amichevoli con loro, i soldati quel 6 luglio li divisero dalle loro mogli e madri e li fecero camminare lungo il sentiero che porta verso il torrente Castro. Qui, poco oltre il guado, vennero uccisi a colpi di mitraglia e gettati in una fossa. Il giorno successivo gli stessi soldati ritornarono al podere intimando alle donne la partenza dalle case coloniche e comunicando loro la morte dei familiari, dicendo ripetutamente “Partisanen kaputt!”.  Le donne, non conoscendo la lingua, non capirono, e soltanto una settimana dopo si resero conto del crimine che era stato consumato scoprendo la fossa dei cadaveri.

Ancora oggi non si riesce a capire le motivazioni dietro a quella strage: la memoria locale suggerisce la motivazione della rappresaglia, ma per il partigiano e scrittore Enzo Droandi si tratta invece di “violenza ingiustificata” e non si esclude la possibilità che si possa parlare di “terra bruciata”: “i tedeschi erano esasperati e catturavano chiunque, vedendo partigiani un po’ ovunque e nelle donne vedevano delle informatrici ribelli[5].

 

Cippo ai caduti dell’eccidio del Mulinaccio.

 

6° tappa: Monumento ai caduti di San Leo

Mulinaccio- San Leo 2 km (cinque minuti in auto, venti minuti a piedi).

Procediamo in direzione est percorrendo via Fiorentina poi via San Leo e giunti all’angolo con via Gaetano Donizzetti scorgiamo in un’area verde al lato della strada il monumento ai caduti di San Leo.

Il 6 giugno 1944 in località San Leo la gendarmeria tedesca catturò tre giovani che riteneva partigiani e li passò immediatamente per le armi. Questi ragazzi, secondo il racconto del parroco di San Leo, don Guido Terziani, che li conosceva di persona, erano stati mobilitati contro la loro volontà dai repubblichini ed aggregati – come tanti altri giovani – all’esercito tedesco[6]. Successivamente decisero di disertare e andare in montagna con i partigiani, ma vennero catturati dai fascisti e consegnati ai tedeschi. Condannati alla fucilazione per diserzione furono condotti lungo il canale della Chiana (nei pressi della Chiusa dei Monaci), in una piccola valle: uno alla volta furono legati ad un palo, bendati e fucilati al petto.

Le vittime: Aldo Esalti di Rovigo, Bruno Greggio di Villadosa, Luigi Guerra di Bosco di Rubano, tutti ventenni, furono sepolti nel cimitero di San Leo. Sopra la tomba vennero poste tre croci di legno con i loro nomi incisi.

Nella lapide commemorativa figurano i nomi di altri tre giovani anche loro disertori che furono fucilati presso il ponte della Chiassa.

Il monumento ai caduti è composto da tre grandi stele rettangolari di pietra che poggiano su un comune basamento in muratura. Nella prima stele, dedicata ai sei disertori italiani fucilati dai tedeschi il 6 giugno ’44, vi è raffigurato un angelo che depone dei fiori in un prato costeggiato da dei cipressi e un’epigrafe che riporta i nomi dei fucilati. Le altre due stele invece sono dedicate, quella centrale, ai caduti della Grande guerra e, la terza, ai caduti della seconda guerra mondiale.

 

Monumento ai caduti di San Leo.

Stele in memoria dei sei disertori italiani fucilati dai tedeschi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7° tappa: Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo

San Leo – San Polo 8 km e mezzo (12 minuti in auto, un’ora e cinquanta circa a piedi).

Dal monumento a San Leo prendiamo a ritroso via Fiorentina fino ad arrivare all’incrocio con viale Giovanni Amendola, dove svoltiamo a sinistra e proseguiamo in direzione nord-est percorrendo viale Filippo Turati. Giunti all’incrocio con via Buonconte da Montefeltro proseguiamo fino al bivio con via Fontebranda che percorriamo fino ad arrivare a San Polo.

La strage di San Polo  avvenne il 14 luglio del  ’44, due giorni prima della liberazione di Arezzo, e conta complessivamente 63 vittime. Fu un eccidio che si consumò a più riprese in diversi luoghi della stessa zona ed ebbe l’epilogo finale a San Polo presso villa Gigliosi. Rimane impressa nella Storia la terribile, raccapricciante violenza con cui si perpetrò questa strage ad opera dei nazisti che non risparmiarono neanche un neonato di due settimane.

 

Monumento in memoria della strage di San Polo.

 

8° tappa: Murales della Chiassa Superiore

San Polo – Chiassa Superiore 7,3 km (9 minuti in auto, un’ora e quaranta a piedi).

Da San Polo ci rechiamo ad Antria e intraprendiamo lo Stradone di Ca’ de Cio per svoltare successivamente all’altezza dell’incrocio della strada della Catona, che percorriamo fino ad arrivare al Murales della Chiassa, posto nel parco vicino al campo sportivo in ricordo dei due partigiani Giovan Battista Mineo e Giuseppe Rosadi, eroi della Chiassa che riuscirono ad evitare l’ennesima strage perpetrata dai tedeschi[7].

Una strage mancata:

Il 26 giugno del ’44 un colonnello tedesco, Maximilian Von Gablenz insieme al suo aiutante, vennero rapiti per la strada della Libbia da una banda partigiana autonoma capitanata da “il Russo” (erano partigiani slavi scappati dal campo di Renicci). Come rappresaglia il comando tedesco organizzò un rastrellamento di 500 civili (scesi poi a 209) che vennero rinchiusi nella chiesa della Chiassa, dando un ultimatum di 48 ore affinché fosse liberato l’ufficiale tedesco pena la fucilazione dei cittadini.

Il comando partigiano guidato da Siro Rossetti incaricò il partigiano siciliano Giovan Battista Mineo di farsi concedere una proroga di 24 ore e di riuscire a scoprire dove la banda partigiana teneva nascosto il colonello. Ottenuta la proroga, Mineo partì immediatamente alla ricerca dei partigiani che tenevano in ostaggio l’ufficiale tedesco riuscendo a trovarli nei pressi di Montercole, ad Anghiari, e dopo una lunga trattativa convinse “il Russo” a liberare il colonnello. Mineo con Giuseppe Rosadi e Bruno Zanghi, appartenenti alla banda del Russo, si misero in marcia verso la Chiassa portandosi appresso i due tedeschi. Dopo molte peripezie, quando ormai sembrava impossibile arrivare in tempo, i partigiani si fecero scrivere una lettera dal colonnello dove dichiarava che era stato liberato e presto sarebbe giunto presso il reparto tedesco. Mineo si mise subito in viaggio correndo verso la Chiassa e arrivò proprio mentre i primi ostaggi venivano portati fuori per la fucilazione. La lettera di Von Gablenz fermò così la strage e poco dopo arrivarono i partigiani con i due tedeschi.

 

Murales dedicato a Gianni Mineo e Giuseppe Rosadi.

 

Pieve di Santa Maria alla Chiassa. Qui possiamo trovare sulla sinistra della chiesa un’abitazione (si vede nella foto) con un’iscrizione che ricorda l’eroico gesto.

 

Ma in questo luogo, pochi giorni prima dalla strage mancata della Chiassa, il 23 giugno, i tedeschi avevano già giustiziato sei persone in segno di rappresaglia per l’uccisione di tre soldati tedeschi.

 

Lapide ai caduti dell’eccidio de “La Casina”, si trova affissa sulla parete esterna della villetta “La Casina”, un’abitazione privata ubicata sulle colline sovrastanti la Chiassa Superiore, dove si consumò la strage.

 

 

Questo fu il pegno da pagare per la popolazione della provincia aretina durante la ritirata delle truppe tedesche. Un sacrificio di vite umane per la Resistenza che sembrava interminabile: vittime di una violenza inaudita che non risparmiava niente e nessuno. Su su, paese per paese, borgo per borgo, porta per porta la furia barbarica nazista passava e livellava come una falce. In ogni luogo come belve feroci e affamate i tedeschi arrivavano balzando con i loro lanciafiamme, con i loro capestri, con i loro strumenti di sterminio, pronti ad impiccare, a fucilare, a torturare, ad incendiare, a massacrare, lasciando dietro di loro una lunga scia di sangue, di cenere e macerie.

 

NOTE:

[1] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009, p. 134.

[2]Citato in Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957. p. 486.

[3]Ivi, p. 505.

[4]La vicenda dell’uccisione dei fratelli Tani e Aroldo Rossi è stata ricostruita nelle pagine di “Una lira per tre vite” il libro scritto da Enzo Gradassi e Santino Gallorini.

[5]G. Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 133.

[6]A. Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino Toscano, cit., pp. 482-483.

[7]Sull’eroica vicenda della Chiassa Superiore cfr. il libro di Martinelli Renzo, I giorni della Chiassa, Arti grafiche Cianferoni, Firenze 1946 ed il libro di Santino Gallorini, Vite in cambio: Gianni Mineo, il partigiano infiltrato, che salvò dalla strage la popolazione della Chiassa, Effigi, Arcidosso 2014.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di ottobre 2024.

 




Camminare ricordando a Castiglion Fiorentino (Ar)

Sentieri resistenti nel Castiglionese (Ar)


Gita di un giorno

A piedi 15,4 km, 3,40 h.

Castiglion Fiorentino sorge su un colle a 342 m s.l.m., 17 km a sud-est di Arezzo. Delimitata a est dai Preappennini, l’area comunale si estende in parte sulla Valdichiana e sulle alture ad essa prospicienti. Il territorio confina con i comuni di Arezzo a nord, Cortona a est e a sud, Foiano della Chiana a sud-ovest e Marciano della Chiana a ovest.

Durante la Resistenza, fu dunque luogo per un importante transito da e verso gli Appennini, fatto questo che portò Castiglion Fiorentino a subire danni materiali e umani notevoli. Il passaggio del fronte fu causa di devastazioni, sia al centro storico che a buona parte del territorio comunale, colpito da bombardamenti che provocarono centinaia di morti, anche tra i civili. Particolarmente grave fu il bombardamento alleato cui Castiglion Fiorentino fu sottoposta il 19 dicembre 1943, che causò la morte di 71 civili, in buona parte donne e bambini. Per quell’episodio, il 26 gennaio 2004 Castiglion Fiorentino è stata decorata con la Medaglia d’argento al merito civile [1].

Ottanta anni fa, inoltre, il 4 luglio 1944, quattro giovani persero la vita alla Nave, zona “Tre Acque-Ceppeto”: Giovanni Milighetti, 24 anni, Vera Buracchi, 18 anni, Zita Moretti, 17 anni e Walter Milighetti,11 anni, furono dilaniati da una mina lasciata dai tedeschi nella campagna castiglionese per assicurarsi la fuga. Il minamento dei territori, delle vie di comunicazione, ma anche di accessi a chiese o altri edifici è una tendenza diffusa nei comportamenti delle truppe naziste in ritirata, non solo per motivi militari ma anche per attuare una volontà di vendetta nei confronti di una popolazione spesso giudicata come ostile nei loro confronti. La presenza delle mine con i loro tragici effetti è uno degli aspetti che evidenzia maggiormente la “lunga durata” del conflitto al di là della data effettiva di conclusione dei combattimenti.

In quello stesso giorno alcuni residenti di Manciano, sotto la minaccia dei mitra tedeschi, vennero costretti a minare la chiesa del paese. Un tonfo sordo e la vita della piccola frazione cambiò all’istante. Eventi tragici che colpirono profondamente un’intera comunità e che segnarono, comunque, l’inizio della libertà [2]. La comunità di Castiglion Fioretino fu infatti liberata proprio quel giorno dagli Alleati.

 

Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html

Ripercorrendo in breve i mesi antecedenti la Liberazione, questi appaiono piuttosto concitati. Per tale motivo, dunque, le notizie non sono sempre chiare e facili da ricostruire.

Riguardo alla situazione del movimento di Resistenza a occidente del Tevere, la Guardia Nazionale Repubblicana (forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana l’8 dicembre 1943 con compiti di polizia interna e militare) aveva informazioni assai confuse sulle bande attive nel territorio. Una di queste era comandata dal conte Ferretti di Ortona. Secondo i fascisti, vi era un’altra formazione partigiana tra Palazzo del Pero e Castiglion Fiorentino, della quale però non si conosceva la consistenza. A confondere le idee al nemico era la stessa tattica messa in atto dai partigiani.

L’incapacità del regime di avere un’idea precisa di quanto stava avvenendo sulle montagne, ne sottolineava le difficoltà politiche e militari. In realtà, tra le valli del Cerfone, dell’Aggia, del Nestoro, del Minima e del Niccone, gli affluenti di destra del Tevere, operavano le bande della “Pio Borri” di Morra, Monte Santa Maria, Badia Petroia e Cortona, oltre al Centro “Poti” e ai partigiani dell’Aretino che facevano capo a Marzana. La loro forza complessiva era assai inferiore a quella stimata dai fascisti e il loro comando strategico gravitava su Arezzo. Con la fucilazione di Venanzio Gabriotti era stata eliminata l’unica persona che, nella valle, poteva garantire un qualche coordinamento con le forze partigiane a oriente del Tevere, soprattutto con la Brigata “San Faustino”.

Le bande partigiane non trovarono grandi ostacoli nelle loro azioni: dal 27 maggio al 27 giugno se ne verificarono una cinquantina di carattere militare. A giugno, le tre formazioni di Morra, Monte Santa Maria Tiberina e Badia Petroia effettuarono incursioni quasi quotidiane. Per quanto si debbano in genere considerare con cautela i dati segnalati sulle perdite inflitte al nemico, quando mancano i dati della parte avversa, fonti della Resistenza hanno valutato in più di 20 i tedeschi uccisi nel corso di tali attacchi e in 23 quelli catturati. Per quanto riguarda i prigionieri, solitamente internati nel campo di concentramento di Marzana, il numero non appare esagerato, infatti, quando venne sgomberato, all’inizio di luglio, i partigiani ne condussero 53 oltre le linee, per consegnarli agli Alleati.

Tedeschi e fascisti avevano ormai la consapevolezza di correre seri pericoli nel percorrere le arterie che risalivano gli affluenti di destra del Tevere. L’aggressività partigiana fu particolarmente intensa a ridosso della strada che, dall’Alta Valle del Tevere, attraverso San Leo Bastia, si inerpica verso Cortona e il Valdarno. Lì le formazioni cortonesi della “Pio Borri” sferrarono dall’8 al 26 giugno una ventina di attacchi. Anche gli altotiberini giunsero talvolta a supporto dei partigiani di Cortona e di Castiglion Fiorentino. Non si trattò solo di una fastidiosa attività di sabotaggi e di disturbi al traffico. A giugno, gli agguati agli automezzi in transito sulla strada provinciale da Cortona a Città di Castello, costarono ai tedeschi 13 morti, 5 feriti, 9 prigionieri.

Ombre sull’operato della Resistenza le gettò il comportamento di una banda alla macchia sul tratto appenninico tra Cortona e Città di Castello, che “viveva di violenze e di rapine”, e di alcuni esponenti della banda di Badia Petroia. A quattro di questi non sarebbe infatti stata riconosciuta la qualifica di partigiano combattente, per “indegnità”: li si accusò di “furto commesso durante l’azione partigiana”.

Il territorio castiglionese, dunque, venne messo a dura prova, fino alla Liberazione avvenuta il 4 luglio 1944.

Prima di passare alla descrizione del percorso resistente del Comune di Castiglion Fiorentino, voglio qui citare “Il sentiero dei papaveri”, inaugurato nel 2021 [3] e composto da 18 monumenti e cippi commemorativi della Prima e Seconda guerra mondiale, dislocati nel centro storico e nel territorio. L’itinerario, lungo circa 50 chilometri, comincia da palazzo San Michele e termina al monumento dedicato ai caduti, situato ai giardini pubblici.

Il percorso resistente che intendo proporre toccherà, invece, i cinque luoghi dove vennero uccisi dai nazifascisti alcuni civili inermi. Il tratto, percorribile a piedi o in bicicletta è lungo 15,5 km e dura circa 3 ore e mezzo (a piedi). Ogni tappa potrà però costituire una meta a sé, raggiungibile singolarmente.

 

Prima tappa:

Ponte delle Fontanelle, presso località La Foce

Coordinate: 43°21’46.5″N 11°57’01.5″E

Lungo la strada che da Castiglion Fiorentino sale al Passo della Foce, si trova un monumento in ceramica smaltata dedicato alla donna belga Gabriella De Rosée in Brogi, allora trentunenne, che il 7 luglio 1944 cadde sotto il fuoco dei tedeschi nel tentativo di mediazione per liberare alcuni ostaggi di guerra. La donna era staffetta partigiana. Non si hanno altre notizie dell’accaduto [4].

Targa intitolata a Gabriella de Rosée Brogi Bruxelles, 1913 – Castiglion Fiorentino, 1944 Loc. Foce (S.P. Palazzo del Pero) – Castiglion Fiorentino, AR

 

2 tappa:

Mammi

La seconda tappa porterà alla località di Mammi, territorio, quale quello di Castiglion Fiorentino, importante via di transito, segnato dalla vicinanza del fronte e dalla sua importanza strategica e con una presenza partigiana costante, l’8 luglio 1944 venne qui ucciso da raffiche di mitra, insieme ad un militare inglese, Aurelio Casi, cinquantaduenne. Non si capisce tuttavia se il militare facesse parte delle avanguardie alleate avanzate o se fosse un prigioniero di guerra fuggito [5].

Coordinate del cippo: 43°21’24.4″N 11°55’53.4″E

Terza tappa:

Fornaci

Qui tra il 28 giugno 1944 e il 2 luglio 1944, nell’area di Castiglion Fiorentino, tra la Toscana e l’Umbria, le azioni partigiane si erano intensificate. A seguito di una serie di attacchi partigiani condotti in zona il 28 giugno a San Egidio (Perugia), uomini furono catturati sulla strada che va da Cortona (Arezzo) a Portole (frazione di Cortona)[6]. Furono portati in località Pianelli alla Villa Bertocci, dove vennero interrogati e rinchiusi in una lavanderia per un giorno e una notte. La maggior parte di loro venne poi rilasciata, ma tre delle persone coinvolte furono portate a Pergo di Cortona (Arezzo) alla Villa Passerini, dove aveva la base il comando tedesco. Furono condannate a morte e mandate alla Feldgendarmerie di stanza a Castiglion Fibocchi. Le vittime sono Antonio Bartolini, manovale di Cortona, Luigi Gnerucci, operaio cortonese con quattro figli, nato nel 1902 e Luigi Guerri, anch’egli cortonese, elettricista, nato nel 1914. Il giorno della loro esecuzione non è certo, ma probabilmente avvenne tra il 1 e 2 luglio. I loro corpi furono trovati successivamente in una fossa durante gli ultimi giorni di agosto. Non si conosce il motivo per cui erano stati condannati a morte. Non è da escludere la rappresaglia, secondo alcune fonti, avvenuta a seguito di un ulteriore attacco partigiano. Forse i tre furono fucilati in località Senaia. Nella stessa zona e nello stesso anno, altri due partigiani aretini, Sabatino Capacci e Giulio Rossi, entrambi ventenni, catturati a Favalto, vennero fucilati i primi di luglio nel letto di un ruscello nella zona della Noceta, dove forse sono stati sepolti [7].

Lapide del Municipio di Cortona https://resistenzatoscana.org/monumenti/cortona/lapide_del_municipio/

 

Cerimonia in memoria dei partigiani aretini [8] Il nuovo monumento si trova qui: 43°21’08.8″N 11°56’22.2″E

 

4 tappa:

Cimitero comunale della Misericordia di Castiglion Fiorentino

Ad un mese dalla liberazione da parte degli Alleati dell’Aretino, le forze partigiane rendevano dura la vita alle truppe tedesche dislocate nel territorio castiglionese, che aveva subito già gravi bombardamenti con stragi di civili. Il 18 giugno 1944, infatti, Espartero Bartolomei, quarantaseienne originario di Foligno, venne ucciso da colpi di arma da fuoco sparati da alcuni soldati tedeschi mentre era nell’aia della casa dove era sfollato, presso Cozzano [9]. L’altra vittima, Luigi Galoppi, quarantaseienne castiglionese, morì nelle stesse circostanze. Tutt’oggi non si conosce il motivo di queste due uccisioni.

La lapide in loro ricordo è posta nel Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino, meta del percorso memorialistico.

6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali – Cimitero comunale di Castiglion Fiorentino All’interno del Cimitero lapidi con nomi e date in onore dei Caduti di tutte le guerre [10].

 

5 tappa:

La quinta ed ultima tappa riguarda il cippo in via Dante Brocchi, a Castiglion Fiorentino.

Il 29 giugno 1944, Dante Brocchi di 52 anni venne ucciso da una raffica di mitra, ufficialmente per rappresaglia. Pare però che il luogo dell’uccisione fosse nei pressi della piccola frazione di Santa Cristina [11].

 

Coordinate 43.333310269695275, 11.92133425067086

 

Note:

  1. Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Il 19 dicembre 1943, alle ore 13,24 Castiglion Fiorentino subisce il primo bombardamento da parte delle forze aeree alleate. Le bombe vengono dirette contro il Collegio Serristori e l’Ospedale. La zona di Porta Romana viene pressoché distrutta. In tutto muoiono una settantina di persone, di cui 16 erano bambine e personale del Collegio Serristori.

Sui bombardamenti e i fatti legati al passaggio del fronte, vedi anche Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

  1. Castiglion Fiorentino, 80 anni fa la liberazione grazie agli Alleati, in Arezzo Notizie, 4 luglio 2024, https://www.arezzonotizie.it/attualita/castiglion-fiorentino-liberazione-alleati.html
  2. Camminando, in Experience Castiglion Fiorentino, https://www.experiencecastiglionfiorentino.it/Experience/Storie/Castiglion-Fiorentino_645/sentiero_memoria; cfr. Presentato il progetto “Il Sentiero dei Papaveri Rossi”, Comune di Castiglion Fiorentino, 24 aprile 2021, https://comune.castiglionfiorentino.ar.it/notizie/410117/presentato-progetto-sentiero-papaveri-rossi
  3. Gabriella de Rosée Brogi, in Chi era costui? https://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=9124
  4. Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271
  5. Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226
  6. [1]L’eccidio dimenticato, dopo 76 anni il Comune commemora i giovani morti di Senaia, in SR71, 1 Luglio 2020, https://www.sr71.it/2020/07/01/liberazione-senaia-castiglion-fiorentino/
  7. Cerimonia in memoria dei partigiani aretini, in it, https://www.quinewsvaldichiana.it/partigiani-guerra-memoria-seconda-guerra-mondiale-tedeschi-nazismo-castiglion-fiorentino.htm
  8. Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198
  9. 6579 – Lapidi ai Caduti delle guerre mondiali, Castiglion Fiorentino, Pietro della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapidi-ai-caduti-delle-guerre-mondiali-e-per-lunita-ditalia-castiglion-fiorentino/
  10. Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Bibliografia e sitografia:

Enzo Droandi, Castiglion Fiorentino 19 dicembre 1943 – ore 13,24, Quaderni della biblioteca, Comune di Castiglion Fiorentino, Castiglion Fiorentino, 1993.

Pietro Pancrazi, La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano, giugno-luglio 1944, F. Le Monnier, 1946.

Carmelo Serafini (a cura di), Per non dimenticare. Castiglion Fiorentino 1943-45 nei diari del M. Gino Grifoni e di D. Angelo Nunziati, Comune di Castiglion Fiorentino. Ente Biblioteca. Quaderni della Biblioteca n. 2, Ed. Grafica l’Etruria Cortona, Arezzo.

Cozzano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italiahttps://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3198

Fornaci, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3226

Mammi, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3271

Ponte delle Fontanelle, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3446

Santa Cristina, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,  https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3515

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di ottobre 2024.




Percorsi tra Storia e memoria nel Comune di Civitella in Val di Chiana (Ar)

Le tappe:

  • Viciomaggio
  • Civitella in Val di Chiana
  • Ciggiano

circa 5.15h, 21 km circa [escluso il percorso interno a Civitella]

Immagine dall’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia dove -in rosso- sono evidenziate le stragi. Come ben si nota, sono tutti paesi alle pendici o nelle aree più collinari degli Appennini. https://www.straginazifasciste.it/?page_id=363

 

Percorso tra Viciomaggio, Civitella e Ciggiano, passando per Cornia

Percorso interno a Civitella

Civitella in Val di Chiana, nota anche come Civitella della Chiana, è un comune italiano della provincia di Arezzo. Sorge sulle Colline delle lepri a 500 m s.l.m., 15 km a sud-ovest di Arezzo. Il territorio comunale si può dividere in due zone: una di bassa montagna, dove è situata la stessa Civitella, circondata dai boschi; una pianeggiante, che forma la parte settentrionale della Val di Chiana. Il territorio civitellino, delimitato a sud dal comune di Monte San Savino e a nord-est da quello di Arezzo, giunge fino ai primi comuni del Valdarno, Laterina a Nord Est, Bucine e Pergine a Nord-Ovest.

La prima tappa del percorso della memoria per ripercorrere, passo dopo passo, le crudeltà del 1944, sarà Viciomaggio, non distante da Civitella in Val di Chiana. Lì, il 29 marzo 1944 avvenne una strage di matrice fascista, nella quale rimase coinvolto un uomo, Mario Mannelli, ucciso dalle truppe fasciste senza un apparente motivo, con un colpo di arma da fuoco. Tale data non è sicura, come sottolinea l’Atlante delle Stragi. Altrettanta divergenza c’è sull’età: per alcuni Mannelli avrebbe avuto 44 anni, per altri 39. Per mancanza di informazioni non si può essere più precisi [1].

Eleonora Antonelli 2012 – Cippo non distante dalla SP di Pescaiola

La seconda tappa del percorso sarà invece la tristemente celebre Civitella in Val di Chiana, dove il 29 giugno 1944 ebbe luogo una delle più cruente stragi naziste verificatesi in Toscana, con 146 i morti tra donne, uomini, bambini e anziani [2].

Nei giorni antecedenti l’eccidio, varie formazioni partigiane attive sulle colline di Civitella, tra cui la “Renzino”, guidata dal giovane Edoardo Succhielli, tesero agguati ad alcuni tedeschi con l’obiettivo di disarmarli [3]. Spesso tali azioni si conclusero con la morte o il ferimento dei soldati e si sommavano ad altre più piccole che, insieme, avrebbero dato ai tedeschi il pretesto per operare contro la popolazione civile.

Passarono i giorni e gli abitanti di Civitella si convinsero che la rappresaglia non ci sarebbe stata, rassicurati in questo senso anche dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni ufficiali tedeschi al parroco e al podestà.

Civitella si trovava in quel momento al confine fra la zona controllata dal 76° Corpo corazzato della 10° e della 14° Armata, responsabile del territorio compreso tra la Val di Chiana e l’Adriatico. A partire dalla seconda metà di giugno, il centro si trovava nel territorio d’operazione della Divisione Corazzata Paracadutisti “Hermann Göring”, il cui quartier generale era allocato nei pressi di Monte San Savino: è da lì che, secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti inglesi, arrivarono le truppe responsabili del massacro, in un numero compreso fra le 300 e le 400 unità. Non si esclude il coinvolgimento di reparti minori, né di una squadra di brigate nere (fascisti), operanti a San Pancrazio nel Comune di Bucine e a Cornia.

Ciò che si era temuto, si verificò il 29 giugno, quando i tedeschi, dopo aver iniziato ad uccidere alcuni civili alle porte del paese, rastrellarono Civitella, allora affollata per la festa dei patroni Pietro e Paolo, e le vicine frazioni, procedendo in alcuni casi ad omicidi nelle case, raccogliendo la popolazione nella piazza del paese e dividendola per sesso e per età: le donne e i bambini furono spinti fuori dall’abitato, in direzione di Poggiali, gli uomini, radunati in gruppi di cinque, vennero portati sul retro della scuola e colpiti, ognuno, da un colpo di pistola alla nuca. Due riuscirono a scampare fuggendo. Rastrellati alcuni contadini nelle case coloniche sotto il paese, li mitragliarono nei pressi di un ponte vicino a Civitella. I cadaveri vennero presi dal mucchio e gettati negli androni delle abitazioni in fiamme.

Quel 29 giugno, infatti, per la festa patronale, il centro di Civitella era pieno di persone. Molti non si erano recati nelle campagne o nei boschi per lavorare, restando così a casa o andando a messa. La chiesa di Santa Maria Assunta era colma di fedeli, giunti anche dalle frazioni. L’episodio più truce si consumò proprio qui, mentre si stava celebrando la messa. Il sacerdote, don Alcide Lazzeri, immaginando cosa sarebbe accaduto, benedisse la popolazione e la fece chiudere dentro l’edificio religioso. I tedeschi, trovando la porta della chiesa chiusa, lanciarono una bomba a mano per aprila e trascinarono fuori i fedeli che si erano rinchiusi sperando così di sfuggire ai soldati. Quindi, indossati grembiuli mimetici in gomma per non sporcarsi di sangue, li freddarono con dei colpi alla nuca.

A servire la Messa quella mattina vi erano tre chierichetti, uno dei quali era Luciano Giovannetti, futuro Vescovo di Fiesole, da poco scomparso. Come egli stesso ha raccontato, quando i soldati irruppero nella Chiesa, prima di compiere quella che sarà una vera e propria “profanazione”, don Lazzeri si presentò dicendo: “Sono io il responsabile di quanto è accaduto. Uccidete me e lasciate libero il mio popolo”», riferendosi probabilmente all’uccisione di tre soldati tedeschi, morti durante un blitz dei partigiani avvenuto qualche giorno prima, il 18 giugno [4]. Il tentativo fu però inutile. Gli uomini furono infatti separati dai familiari, portati a lato della chiesa e uccisi a gruppi di cinque. Ad essi vennero uniti coloro che erano stati rastrellati nelle case. Lo stesso don Alcide Lazzeri, rimasto accanto al suo popolo, morì nell’eccidio. Scamparono al massacro un seminarista e chierichetto, Daniele Tiezzi, divenuto sacerdote nel 1950, gettandosi dalle mura insieme al fratello Dino, il piccolo Giovannetti con la sua mamma e un padre con una bambina in braccio, fatto fuggire di nascosto da un soldato. L’ufficiale nazista ucciderà anche uno dei suoi soldati che si era rifiutato di partecipare al massacro. A Daniele Tiezzi è stata dedicata la Campana del Ricordo della Chiesa di Civitella e la statua nella terrazza del paese.

Compiuta la strage, i tedeschi incendiarono le case, provocando così la morte anche di coloro che avevano disperatamente tentato di salvarsi, nascondendosi nelle cantine o nelle soffitte. Solo pochi abitanti riuscirono a scampare al massacro. Si contarono 244 morti: 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio [5].

Parallelamente, i tedeschi riproposero un identico modus operandi nella frazione di Gebbia [6]. A Cornia, al contrario, il massacro fu indiscriminato: vennero colpiti donne e bambini e probabilmente ci furono casi di stupro. Cornia è proprio il luogo dove i partigiani, il 21 giugno, avevano aperto il fuoco contro i soldati della Feldgendarmerie.

L’eccidio di Civitella, Cornia e San Pancrazio fu sicuramente uno dei più efferati. Nell’area aretina, la divisione coinvolta, l’Hermann Goering aveva trucidato, nel mese di Aprile del ’44, tutta la popolazione di Vallucciole, nell’alto Casentino, rubricando poi come Banditen gli uomini, le donne e i bambini, spesso infanti, sorpresi nelle proprie case. Alla Divisione, il 29 giugno, appartenevano anche i membri di un ex Corpo musicale che durante il 1942 si era esibito in varie città italiane, venendo sciolto nel ’43 quando le truppe tedesche presenti in Italia necessitavano di rinforzi.

Il 10 ottobre 2004 fu emessa presso il Tribunale militare di La Spezia la sentenza di primo grado n. 49, con la quale oltre alla condanna all’ergastolo a carico del sergente Max Josef Milde del corpo musicale divisionale, implicato nei massacri, fu condannata, quale responsabile, anche la Repubblica Federale di Germania. Decadde invece il procedimento a carico del tenente Böttcher Siegfried per il decesso dell’imputato durante il dibattimento.

A Roma, la sentenza n. 72 del 18.12.2007 segnò il rigetto dell’impugnazione riguardante la responsabilità civile della Repubblica Federale di Germania.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1072 del 21.10.2008 rigettò invece il ricorso da parte della Repubblica Federale di Germania sull’illegittimità della condanna della stessa.

Il TPI Aja, sentenza n. 143 del 03.02.2012 accolse tutti i punti di ricorso presentati dalla Germania.

Riguardo la stesura di un elenco completo e preciso delle vittime, si dovettero affrontare grandi difficoltà. Quello riportato si rifà alla sentenza del 2006 Tribunale militare di La Spezia e risulta il più attendibile dato che si mettono in evidenza gli errori riportati negli stessi atti di morte dell’epoca. Inoltre, l’elenco presentato nella scheda è il frutto di un incrocio con più fonti quali bibliografie, nominativi su lapidi e monumenti. Rimane tuttavia un elenco lacunoso almeno per quanto riguarda la mancanza dell’età di alcuni caduti. Il numero dei sopravvissuti è maggiore di quello riportato, ma mancano informazioni anagrafiche per risalire ai nomi.

Ogni anno, il 29 giugno, si ricordano le vittime della strage con una commemorazione pubblica.

La comunità di Civitella è stata insignita nel 1963 della Medaglia d’Oro al Valor Civile per le vittime e le violenze subite durante l’occupazione nazifascista. Il parroco don Alcide Lazzeri è stato insignito di Medaglia d’Oro al Valor Civile (alla memoria), e a lui è intitolata la piazza centrale di Civitella, da dove inizierà il percorso memorialistico di Civitella.

Persino la denominazione della Scuola Media statale commemora quel tragico eccidio, ricordando le vittime col nome Istituto comprensivo Martiri di Civitella.

Tanti i monumenti, le targhe o le lapidi sparse nella cittadina e nel territorio.

Partiamo da via Madonna di Mercatale, dove si trova il sepolcro, presso il cimitero di Civitella, realizzato nel 1962 dall’Associazione vittime civili di guerra che custodisce i resti di 144 caduti che nell’estate del 1944 rimasero vittima delle rappresaglie tedesche nel territorio di Civitella in Val di Chiana. La cappella, ubicata all’interno del cimitero, è un vero e proprio sepolcro: si tratta infatti di un ossario che custodisce i resti di 144 vittime della strage di Civitella in Val di Chiana del 29 giugno 1944. L’edificio è stato realizzato nel 1962 dalla stessa Associazione. Nel corso degli anni, in occasione del 40° e poi del 50° anniversario dell’eccidio, l’amministrazione comunale insieme all’Associazione ha collocato nella facciata esterna due lastre commemorative [7] [8].

Lapidi della chiesa di Civitella Giovanni Baldini 2003

 

Via Madonna di Mercatale, cimitero: Cappella dei martiri. Giovanni Baldini 2007

 

Giovanni Baldini 2007 Monumento ai partigiani

Sempre entro il cimitero troviamo il cippo ai martiri Paggi e Morfini:

Giovanni Baldini 2007

Monumento ai partigiani

Passiamo poi attraverso Piazza don Alcide Lazzeri. La decisione del parroco di morire accanto ai fedeli di Civitella, nella memoria locale, è stata letta in chiave di martirologio, cioè come altruistica offerta della propria vita in cambio di quella dei parrocchiani. Per questo la Cittadina ha intitolato la piazza del paese al parroco, insignito della medaglia d’oro al valor civile, come detto in precedenza [9].

Qui si trova anche la lapide per la 8th British Army.

Poco lontana la Chiesa di Santa Maria Assunta a Civitella. Sulla sinistra un monumento ricorda le vittime della strage [10].

Giovanni Baldini 2007

Jhon Percival Morgan era allora capitano dell’esercito britannico.

Tra la piazza e la via principale del centro abitato di Civitella, intitolata ai caduti della strage (via martiri di Civitella) si erge una lastra commemorativa a muro: il monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR). Il memoriale, inserito sul muro accanto alla chiesa, comprende un bassorilievo in bronzo e una lastra in marmo che ricordano la strage del 29 giugno 1944: nel primo è raffigurata la scena di donne e bambini che riuscirono a scappare dal paese in fiamme, nella seconda è inciso il testo della poesia “Pietà del giugno 1944”. Non distante vi è la “Porta della Pace” di Civitella in Val di Chiana [11].

Giovanni Baldini 2003

Pietà del 1944!

La mattina del 29 era festa in parrocchia

per i santi Pietro e Paolo

ma il giorno che si apriva bellissimo

diventò nebbia fumo fuoco sangue

fragore di mitraglia grida di uccisi

essere uomini significò morire

e gli uccisori non erano uomini ma fiere impazzite

Cadde il parroco sacrificato

benedicendo il suo popolo

bruciarono nel guscio delle case i vivi e i morti

– Addio Civitella che sarà di noi?

fu il lamento delle donne rimaste sole

Ora Civitella è risorta da roghi e da ortiche

i tumoli sono fioriti le lagrime seccate

i bambini che videro muti e pallidi sono cresciuti

il ricordo è cenere

che un vento di giorno in giorno disperde

Ma non sia dimenticato il delitto

che strazia anche l’inerme

sia fuggita la colpa

che macchia anche l’innocente

delitto e colpa che sono l’ingiusto guadagno e l’intolleranza

padre e madre della guerra

Franco Antonicelli

Passiamo dalla statua del chierichetto Daniele in via San Francesco a Civitella. La statua, in bronzo, dello scultore Bino Bini, posizionata nella terrazza del paese, ricorda i martiri dell’eccidio del 29 giugno 1944, avvenuto in tale luogo. Il monumento è in particolare dedicato al chierichetto Daniele che si trovava in chiesa insieme agli altri abitanti di Civitella. La statua lo rappresenta nel gesto estremo di lanciarsi nel vuoto per sfuggire ai tedeschi [12].

Comune di Civitella in Val di Chiana (AR), via San Francesco. Giovanni Baldini, 6-11-2007

L’iscrizione a lato riporta:

“In questo luogo di morte il chierichetto Daniele trovò la forza per volare verso la vita e ne fece dono per tutti”.

Giovanni Baldini, 6-11-2007 [13]

Ci spostiamo poi verso l’obelisco ai caduti di Civitella in Piazza Becattini.

Monumento ai caduti di Civitella in Val di Chiana. Allegoria della Patria. Eretto in memoria delle vittime della Prima Guerra mondiale, dopo il Secondo Conflitto furono aggiunti i nomi delle numerose altre vittime [14].

Poco distante da Civitella, si trova Selva Grossa, dove è stata posta una lapide ai caduti e un cippo che ricorda le vittime del 10 luglio 1944.

Solo dieci giorni dopo la strage compiuta a Civitella, fu perpetrato un altro terribile eccidio: alcuni uomini, già impiegati dai tedeschi per preparare le trincee, vennero costretti a scavare una fossa dove furono massacrati e sepolti. Tre giovani riuscirono a fuggire prima dell’esecuzione e uno, Otello Tavarnesi, che era stato ferito e sepolto nella fossa, riuscì a salvarsi. Questo ennesimo eccidio sarebbe stato compiuto in seguito all’uccisione di due tedeschi, avvenuta ad opera dei partigiani a S. Donato, oppure in seguito all’aggressione contro un tedesco avvenuta nello stesso giorno proprio nel bosco di Selva Grossa.

Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana [15]

Lì vicino si trova l’ennesimo cippo commemorativo, alle coordinate 43°23’49.0″N 11°43’46.6″E. Il monumento ricorda l’eccidio del 29 giugno 1944, durante il quale furono uccisi molti abitanti di Civitella in Val di Chiana e delle zone circostanti [16].

Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana

Terza tappa:

Raggiungiamo poi il cippo in località Cornia con nomi di alcune vittime.

Cippo all’eccidio di Cornia. Giovanni Baldini 2007 [17] via della Cornia (cimitero) Il comune di Civitella nel XXV° dell’eccidio di Cornia 1944- 1969

Presso il cimitero (non è chiaro a quale civico si trovi) vediamo la stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia [18].

63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana)

Presso Borgo Paradise, Via di Solaia, 9, vi è il cippo dedicato a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 a Solaia di Civitella in Val di Chiana.

Il cippo è intitolato alla partigiana Modesta Rossi, medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria, moglie del partigiano Dario Polletti, uccisa dai tedeschi in questo luogo il 29 Giugno 1944, col figlio Gloriano ed altri 4 civili. Si trova nel giardino del Relais “Borgo Paradise”. Si tratta di una scultura in bronzo dal titolo significativo di “Rinascita”, opera dell’artista Giancarlo Marini. Scostata rispetto al pilastro, si trova una pietra dal profilo sagomato a mo’ di triangolo rettangolo. Vi è applicata una piccola targa in bronzo con incisa la dedica del Comune di Civitella in Val di Chiana ai Martiri delle stragi del 29 Giugno.

 

[19]

A circa 40 minuti a piedi (9 in auto), presso la Chiesa di San Michele Arcangelo a Cornia, si trova una lastra commemorativa dei martiri di Cornia, dedicata alle vittime civili delle rappresaglie nazifasciste che colpirono il territorio di Civitella in Val di Chiana fra il 29 giugno e il 16 luglio 1944. La lastra riporta, su due colonne, i nomi dei 58 Caduti delle frazioni di Cornia, Burrone, Morcaggiolo, Solaia, Cellere, S. Pancrazio e Caselle. Realizzata in occasione dell’anniversario dell’eccidio 29 giugno 1969, è ubicata in una nicchia della navata laterale di destra della chiesa.

[21] 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/

 

[20]. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana

 

Quarta tappa:

La quarta ed ultima tappa del percorso sarà Ciggiano, frazione di Civitella in Val di Chiana [22].

La mattina del 16 aprile 1944 a Ciggiano, un gruppo di SS fermò due giovani partigiani, Marapitti e Marmo che stavano requisendo un camion di legna e carbone, e li passò immediatamente per le armi.

Qui si trova un monumento ai caduti delle guerre di Ciggiano, in un giardino del centro abitato. Accanto all’altare, a sinistra rispetto a chi guarda, troviamo una stele in cemento con apposte tre distinte lapidi in marmo. La prima riporta indistintamente i nomi dei 30 Caduti e dei 2 Dispersi delle due Guerre mondiali, elencati per grado e ordine alfabetico. Segue una targa rettangolare dedicata ad Enrico Scapecchi, medaglia d’Argento al Valor Militare, caduto il 27 marzo 1944. Infine, la terza lastra riguarda i due partigiani Giovanni Marmo (“Boccanera”, “Napoli”) e Mario Marapitti (“Livorno”). Quest’ultima si trovava nel vecchio cippo posto nel luogo della loro morte, in Via Colombaia, sostituito nel 2014.

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44 [23] Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana

Via Matteotti

Via Colombaia, di fronte al numero civico 44

Alessandro Bargellini 2008 (vecchio monumento) https://memo.anpi.it/monumenti/159/lapide-della-terrazza-delleccidio-di-civitella/

Per concludere

Oggi l’Associazione “Civitella Ricorda”  ha allestito in Via Martiri di Civitella una “Sala della Memoria”. Ci sono i reperti rinvenuti sulle vittime, le fotografie del paese prima e dopo la distruzione, le testimonianze, i libri, le videocassette e i tanti residuati bellici.

Lo scorso 25 Aprile, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato a Civitella della Chiana per rendere omaggio alle vittime della strage nazifascista. Nell’anno in cui ricorrono gli 80 anni dalla strage del 29 giugno del 1944, il Capo dello Stato ha infatti scelto il piccolo borgo toscano per celebrare la Festa della Liberazione. Alla cerimonia era presente lo stesso Giovannetti, Vescovo emerito.

29 giugno 1944. La strage di Civitella: https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2024/06/29-giugno-1944-La-strage-di-Civitella-2e9f37a0-f154-461b-a98d-3c2186efbe5b-ssi.html

Bibliografia sull’argomento:

– Edoardo Succhielli, La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979

– Romano Moretti, Il giorno di san Pietro: l’eccidio di San Pancrazio, le memorie e la storia: l’eccidio nazifascista del 29 giugno del 1944 a Civitella in Val di Chiana, Cornia, San Pancrazio, provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005

– Enrico Biagini, Civitella: un paese, un castello, un martirio, Centro Stampa, Arezzo,  1981

– Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013

– Romano Moretti, Ricordi della Seconda guerra mondiale: Cornia di Civitella in Val di Chiana, Monte San Savino, San Pancrazio di Bucine, con la collaborazione di Luciano e Piero Romanelli, Effigi, Arcidosso, 2019

– Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta : memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944, Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Siena, 2008

– Ida Balò Valli (a cura di), Giugno 1944: Civitella racconta, L’Etruria, Cortona, 1994

 

Note:

  1. Viciomaggio, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3583
  2. Civitella in Val di Chiana, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia,

https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3211

  1. Santino Gallorini, La memoria riunita: il partigiano Renzino e Civitella tra bugie, silenzi e verità, Effigi, Arcidosso, 2013.

L’opera offre anche una ricostruzione approfondita del tragico eccidio.

Sulla vicenda prese parola lo stesso Edoardo  Succhielli (a cura di), La Resistenza nei versanti tra l’Arno e La Chiana, Tip. Sociale, Arezzo, 1979.

  1. Giacomo Gambassi, Il testimone. Giovannetti: «Io, oggi vescovo, sopravvissuto alla strage nazista», in «Avvenire», 27 giugno 2019, https://www.avvenire.it/agora/pagine/vescovo-giovannetti-sopravvissuto-eccidio-civitella
  2. Romano Moretti, Il giorno di san Pietro. L’eccidio di San Pancrazio (le memorie e la storia) provincia di Arezzo, Le balze, Montepulciano, 2005.
  3. Enzo Gradassi, L’ingiustizia assoluta: memoria di un progetto di vita e della sua distruzione, Gebbia di Civitella in Valdichiana 1944; Provincia di Arezzo, Comune di Civitella in Val di Chiana, Fondazione Conservatorio San Girolamo, Il mio amico, Roccastrada, 2008.
  4. 43184 – Cappella dei martiri della strage di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cappella-dei-martiri-della-strage-di-civitella-in-val-di-chiana/
  5. Cappella dei Martiri, ResistenzaToscana.it, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cappella_dei_martiri/
  6. 63198 – Lastra d’intitolazione della piazza a don Alcide Lazzeri – Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-dintitolazione-della-piazza-a-don-alcide-lazzeri-civitella-in-val-di-chiana-ar/
  7. Civitella in Val di Chiana, https://www.ns-taeter-italien.org/it/stragi/civitella-cornia-e-san-pancrazio/civitella-in-val-di-chiana
  8. 5517 – Monumento “Pietà del Giugno 1944” di Civitella in Val di Chiana (AR), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-pieta-del-giugno-1944-di-civitella/
  9. 4727 – Monumento al chierichetto Daniele – Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/statua-del-chierichetto-daniele/
  10. 6552 – Lastra a ricordo eccidio di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-delleccidio-di-civitella-in-val-di-chiana/
  11. 5200 – Monumento ai Caduti di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-delle-due-guerre-mondiali-di-civitella/
  12. Cippo ai Caduti di Selva Grossa – Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-ai-caduti-di-selva-grossa-civitella-in-val-di-chiana/
  13. 7421 – Cippo alle vittime eccidio di Civitella Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/obelisco-ai-caduti-di-civitella-val-di-chiana/
  14. Cippo dell’eccidio di Cornia, ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/civitella_in_val_di_chiana/cippo_dell_eccidio_di_cornia/
  15. 63509 – Stele a Rosa Pontenani e ai martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/stele-a-rosa-pontenani-e-ai-martiri-di-cornia-civitella-in-val-di-chiana/
  16. 122321 – Cippo a Modesta Rossi Polletti e ai Martiri del 29/6/1944 – Solaia di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-modesta-rossi-polletti-e-ai-martiri-del-29-6-1944-solaia-di-civitella-in-val-di-chiana/
  17. Chiesa di San Michele Arcangelo <Cornia, Civitella in Val di Chiana>, le Chiese delle Diocesi italiane, https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=50719&Chiesa_di_San_Michele_Arcangelo__Cornia,_Civitella_in_Val_di_Chiana
  18. 43194 – Lastra commemorativa dei martiri di Cornia (Civitella in Val di Chiana), Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-dei-martiri-di-cornia/
  19. Ciggiano, in Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=3186
  20. 111075 – Cippo a Giovanni Marmo e Mario Marapitti – Ciggiano di Civitella in Val di Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-a-giovanni-marmo-e-mario-marapitti-ciggiano-di-civitella-in-val-di-chiana-2/

 




Gli eccidi nazifascisti nel Comune di Cortona (Ar): itinerari di conoscenza

 

Tracciando un percorso escursionistico – da fare a piedi o in bicicletta – che tocchi gli eccidi del 1944 del Comune di Cortona, in provincia di Arezzo, proponiamo questo itinerario, visibile dalla mappa. Le persone interessate potranno così ripercorrere i vari luoghi della memoria nel territorio.

Il percorso non tiene conto dell’ordine cronologico, bensì della raggiungibilità delle diverse località.

Ogni tappa del sentiero, infatti, potrà essere visitata indipendentemente dalle altre e potrà essere raggiunta con i mezzi privati (talvolta anche pubblici), permettendo così agli escursionisti di selezionare i luoghi a seconda dei propri interessi o possibilità.

Il Comune di Cortona si estende dalla zona della bonifica della Valdichiana attraverso l’Appennino occidentale fino alla Valle del Tevere. Eccetto Cortona stessa e uno o due abitati di qualche entità, lungo la strada che va dal Lago Trasimeno ad Arezzo, la maggior parte delle comunità è costituita da paesini o da borghi. Alcuni di questi sono nascosti tra le colline e sono collegati a Cortona ed a Città di Castello per mezzo di stradine di montagna piuttosto tortuose, che passano attraverso i boschi. In questa zona vari gruppi di partigiani combatterono contro i nazisti [1].

Prima tappa:

La prima tappa del nostro percorso è dunque Cortona. Proprio qui, infatti, tra giugno e luglio 1944 si verificarono alcuni importanti eccidi [2].

Mappa 2 in Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, Città di Castello, 2014.

Lunga è stata la scia di sangue nel territorio cortonese dove, come in altre parti d’Italia, si consumarono atroci eccidi. Ripercorriamo insieme i “luoghi resistenti” di Cortona. Ogni paese ebbe delle vittime. Verranno qui toccati solo alcuni luoghi, i più rappresentativi.

Nella cittadina è possibile vedere, ancora oggi, la lapide con i martiri della “ferocia teutonica”. È dunque in Piazza della Repubblica che ha inizio il sentiero della memoria cortonese. Da qui partiamo (a piedi, in bicicletta o in auto) verso le varie tappe.

Giovanni Baldini, 23-10-2007

Seguiamo così il percorso intracittadino della Via Crucis da Porta Berarda alla Basilica di Santa Margherita, patrona della città, inaugurato il 15 giugno 1946, in apertura delle feste per il settimo centenario margaritiano, quando il Vescovo Giuseppe Franciolini, per festeggiare la liberazione di Cortona, decise di sciogliere il voto fatto alla Santa il 22 febbraio 1944, quando era stata invocata la sua protezione dai bombardamenti. Il vescovo commissionò all’artista cortonese Gino Severini i disegni delle quattordici stazioni (i cui cartoni sono oggi al Museo diocesano), che vennero poi messe in opera a mosaico entro edicole in pietra. Una quindicesima edicola, all’inizio del percorso, ricorda invece santa Margherita nei pressi della Porta Berarda da dove essa entrò in città per la prima volta. Il cartone di questa scena venne donato dalla Diocesi di Cortona a papa Paolo VI nel 1973 e si trova oggi esposto nella Collezione d’arte religiosa moderna dei Musei Vaticani. Possiamo quindi lasciare la città per raggiungere la tappa successiva.

2 tappa:

SANTA CATERINA CORTONA

Cortona stava vivendo gli ultimi giorni di giugno in prossimità del fronte. Il 30 fu occupata dalle SS in ritirata dalla battaglia di Castiglion del Lago, ma gli attacchi dell’aviazione inglese li fecero arretrare verso l’argine del torrente Mucchia, preparato per la difesa con postazioni di mitragliatrici e artiglierie leggere. All’interno del martellante cannoneggiamento dei primi giorni di luglio, l’uccisione di un soldato tedesco nelle campagne di Santa Caterina causò una rappresaglia appesantita dalla frustrazione dell’imminente sconfitta e dal conseguente desiderio di vendetta.

I tedeschi incendiarono le case di tre coloni e uccisero 31 capi di bestiame. Incontrati cinque contadini sulla strada, li fucilarono nei pressi di una casa colonica. Altri 7 ostaggi vennero rinchiusi in una casa: il proposito di farli saltare in aria con la gelatina, tuttavia, fu abbandonato per la fuga, cui i soldati furono costretti dall’incalzante mitragliamento alleato. La fuga di quelle ultime retroguardie segnò la liberazione definitiva del paese.

Il cippo è dedicato a 5 civili fucilati dai tedeschi il 2 luglio 1944 per rappresaglia alla morte di un loro commilitone. È posto lungo la Strada Provinciale 28 in un’area lastricata in pietra e delimitata da sei alberi di cipresso. In origine si trovava nel luogo della fucilazione, presso il Podere Vagnetti, a circa 200 metri dalla collocazione attuale, avvenuta il 27 gennaio 2004.

La memorialistica ci parla di una rappresaglia, attuata per punire la morte di un soldato tedesco. L’operazione, tuttavia, va inserita nel contesto di una frenetica ritirata dell’esercito tedesco, incalzato dall’esercito alleato e frustrato dalle continue sconfitte.

Giovanni Baldini, 23-10-2007

3 tappa:

MONTANARE

Lasciata Santa Caterina, la meta della terza tappa è Montanare, piccola località ai piedi degli Appennini, prima di giungere in località Valecchie, “la Torre”, Ca’ de’ Santi.

Qui il 6 giugno 1944 ebbe luogo una schermaglia tra un gruppo di partigiani e alcune truppe tedesche a Palazzo Patrizi, vicino alla casa del prete, in cui un tedesco rimase ucciso. La mattina successiva, verso mezzogiorno, i tedeschi ordinarono al prete di lasciare la sua casa poiché stavano per incendiarla. All’alba dell’8 varie proprietà tra Valecchie e Montanare furono messe al fuoco. Un partigiano russo di nome Ber Bdont e un croato detto “Moscova” furono catturati mente dormivano in località Pianelli. Secondo il prete di Valecchie, li uccisero a colpi di fucile insieme ai loro compagni italiani Marco Vigi, Pasquale Attoniti, Pasquale Gallorini e Domenico Baldoni. Alla casa della famiglia Baldoni fu appiccato il fuoco, mentre Lazzaro Gallorini fu preso in ostaggio e portato al comando tedesco di San Angiolo in Metelliano per poi essere rilasciato per intercessione di un certo Luigi Valli. Altra vittima italiana fu Giuseppe Cuculi.

Il partigiano russo Vassili Belof venne invece portato su un autocarro a La Dogana a Pergo e impiccato ad un pino prima di essere finito con due colpi al collo. Il suo corpo fu lasciato appeso come monito per i passanti e non fu tirato giù fino al giorno successivo, quando venne seppellito nel cimitero locale.

A pochi giorni dalla liberazione di Cortona, tra il 27 e il 28 giugno, in località Casale, il giovane pastore Ferdinando Ferri venne ucciso mentre badava al suo gregge. Da un blindato tedesco di passaggio, i due occupanti, avvistati due giovani seduti in un campo, cominciarono a sparargli con una mitragliatrice. Sentendo gli spari, i due tentarono di cercare riparo, ma un proiettile colpì Ferri alla testa e una raffica successiva lo uccise mentre i tedeschi sopraggiungevano. L’altro giovane fu interrogato e poi rilasciato dopo che ebbe mostrato i suoi documenti.

I tedeschi si spostarono quindi ad Armari, vicino Portole, dove presero il quindicenne Santino Bruni sotto gli occhi della famiglia, che da quel giorno non lo rivide più.

Lunga la scia di sangue nelle giornate successive. Il 1° luglio 1944 vi fu l’omicidio di Donati, uccisione compiuta sul territorio dall’esercito in ritirata. Le uniche informazioni di cui disponiamo sono gli elenchi reperiti presso l’archivio comunale che segnalano la causa di morte: Donati è era stato punito per aver offerto dell’acqua a militari inglesi.

Lo stesso giorno furono uccisi Giulierini e Mantelli. Anche in questo caso, si trattò con ogni probabilità, di uccisioni compiute sul territorio dall’esercito in ritirata, solo che Giulierini e Mantelli vennero uccisi perché si rifiutarono di andare con i tedeschi.

 

Giovanni Baldini, 23-10-2007

 

Giovanni Baldini, 23-10-2007

 

4 tappa:

FALZANO

Si consiglia l’uso di un’auto per raggiungere la località di Falzano, piccolo borgo in collina e non facilmente raggiungibile. Ci vogliono circa 35 min. in auto da Cortona.

Proprio qui, il 27 giugno 1944 si verificò un importante eccidio.

Stando alla ricostruzione, nei giorni antecedenti, alcuni partigiani avrebbero ripetutamente danneggiato dei ponti, talvolta arrivando a scontarsi con le truppe tedesche.

Il 26 giugno 1944 una pattuglia tedesca, formata da tre soldati, fu trovata a compiere una razzia nei pressi di una fattoria da un gruppo di partigiani. Ne nacque uno scontro a fuoco, che costò la vita a due dei soldati e portò al ferimento del terzo. Quest’ultimo, tuttavia, riuscì a fuggire e a raggiungere un ponte vicino, dove si trovava un gruppo di genieri dell’esercito tedesco. Costoro appartenevano all’818° “Battaglione Pionieri di Montagna” della Wehrmacht, posto a guardia di un gruppo di civili incaricati della riparazione del ponte medesimo.

Avvertiti dell’agguato, il gruppo di soldati mosse immediatamente in direzione di Falzano. Lungo la strada, venne ucciso un giovane del luogo e la sua casa venne data alle fiamme. A questo punto il gruppo tedesco entrò nuovamente in contatto coi partigiani, che riuscirono a bloccarli per la notte. Il mattino seguente i nazisti ripartirono in direzione di Falzano e lungo il percorso, vennero uccise altre tre persone, mentre undici furono catturate e successivamente rinchiuse in un’abitazione precedentemente data alle fiamme. A questo punto la casa fu fatta esplodere e solo un giovane, allora quindicenne, Gino Massetti, riuscì miracolosamente a salvarsi grazie ad una trave caduta poco prima dello scoppio, che lo riparò dall’esplosione.

Dietro richiesta della popolazione locale, i partigiani del ‘Poggioni’ sospesero le attività per diversi giorni e nascosero le loro armi.  Questa fu forse la seconda occasione in tutta la provincia – la prima era stata a Partina – in cui un gruppo di partigiani riconobbe la propria responsabilità nella catena degli eventi che condussero ad un massacro.

Il 16 febbraio 2004 il Tribunale militare di La Spezia rinviò a giudizio l’ex maggiore Herbert Stommel, 88 anni, già comandante del reparto pionieri di montagna, responsabile del massacro, e Josef Scheungraber, all’epoca sottufficiale dello stesso battaglione. Nel processo, il Comune di Cortona e la provincia di Arezzo si sono costituite parti civili.

Gli imputati furono condannati all’ergastolo nel 2006, sentenza confermata poi dal Tribunale militare d’appello di Roma, nel novembre del 2007.

Nel 2008 anche il Tribunale militare di Monaco di Baviera condannò i due all’ergastolo.

Falzano è stato infatti il paese più martoriato della zona [3], luogo di un’azione antipartigiana ai danni della popolazione civile.

Interessante è l’opera di Alessandro Eugeni, Il falegname di Ottobrunn: processo a un criminale di guerra (con lettera-prefazione di Andrea Camilleri), dove si racconta la storia attorno a Josef Scheungraber, il boia di Falzano, scomparso nel 2015.

Ricordo anche i fatti di Ossaia, Riccio, Pietraia, S. Angiolo a Metelliano, San Lorenzo Rifrena, S. Bartolomeo a Pergo, Metelliano e Montanare narrati dai parroci di allora nel libro di Pancrazi. Si tratta di eventi spesso simili, uccisioni di civili, per lo più accusati di connivenza con i partigiani, scontri tra partigiani e tedeschi, esempi della diffusa realtà di uccisioni anche individuali che segnano l’occupazione nazista, in particolare nella fase della ritirata, oltre i più noti eccidi.

Giovanni Baldini, 23-10-2007

https://www.letruria.it/attualit%C3%A0/verso-gli-ottaanni-della-strage-nazifascista-di-falzano-del-27-giugno-1944-9977

Bibliografia:

Agostino Coradeschi e Mario Parigi (a cura di), Arezzo dalla dichiarazione di guerra al referendum istituzionale. 1940-1946, Carocci, Roma 2008.

Janet Kinrade Dethick, The Trasimene line: june-july 1944, Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, Perugia 2002

Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, 2014

Alessandro Eugeni, Il falegname di Ottobrunn: processo a un criminale di guerra, Pacini, Pisa 2011

Renata Orengo, Diario del Cegliolo: cronaca della guerra in comune toscano, giugno-luglio 1944, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1965

Pietro Pancrazi ( a cura di), La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano: Giugno-Luglio 1944, Monnier, Firenze 1946

 

Note:

  1. Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, Città di Castello, 2014, pp. 13-14. L’opera in questione è un’ottima fonte per approfondire le vicende del cortonese.
  2. Sulle vicende del 1944 nella Val di Chiana e non solo, rimando a Janet Kinrade Dethick, The Trasimene line: june-july 1944, Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, Perugia 2002
  3. Pietro Caporali, la strage di Falzano, in Pietro Pancrazi (a cura di), La piccola patria: cronache della guerra in un comune toscano: Giugno- Luglio 1944,  Monnier, Firenze 1946, pp. 31-34.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di settembre 2024.




Itinerari alla “scoperta” dell’eccidio del Padule

Un eccidio spietato, una delle pagine più buie della storia toscana. Una violenza feroce, che non si fermò neanche davanti ad anziani e bambini. Questo fu l’eccidio al Padule di Fucecchio.
Prima di addentrarci in una breve spiegazione dell’evento è doveroso contestualizzare le peculiarità della zona presa ad interesse. Il Padule è la più estesa pianura interna italiana, e, con i suoi quasi 2000 ettari di terreno, si trova a confine con le province di Pistoia e Firenze. Quello che dovrebbe rappresentare una delle maggiori forme di attaccamento ai valori della terra e della natura è ricordato invece come teatro di una delle stragi più cruente e inumane della seconda guerra mondiale in Toscana. Un eccidio – quello del 23 agosto del 1944 – che rientra a pieno titolo nel contesto delle “stragi di desertificazioni” avvenute lungo l’Arno da parte del contingente tedesco, con l’obiettivo di ripulire l’area retrostante il fronte di guerra, che vedeva a sud del fiume gli alleati e a nord i nazifascisti [1]. Un massacro vile e sconcertante, deciso il giorno precedente dal generale Eduard Crasemann, comandante della 26. Panzer-Grenadier-Division, e a cui parteciparono le quattro compagnie del 26° battaglione esplorante, il secondo battaglione del 67° Reggimento corrazzato e l’unità dell’artiglieria [2].

I morti furono 174. Le zone maggiormente colpite furono i comuni di Monsummano Terme (frazione di Cintolese), Larciano (frazione di Castelmartini), Ponte Buggianese (zona di Capannone e Pratogrande), Cerreto Guidi (frazione di Stabbia) e Fucecchio (frazioni di Querce e di Masserella). Il lutto e l’immenso dolore provocato da tale tragedia portarono i singoli comuni a dotarsi di una serie di monumenti, targhe, lapidi e parchi volti al ricordo delle vittime e di una strage la cui ferita non fu mai completamente rimarginata da parte degli abitanti della zona. Questa “onda del ricordo” portò alla luce una moltitudine di zone di interesse, con il conseguente rischio che però esse siano dimenticate nel tempo, se non a seguito di ricorrenze e commemorazioni. Proprio per questa ragione tale articolo si pone l’obiettivo di creare un sentiero che ne colleghi la maggior parte, per poter realizzare una passeggiata volta al ricordo e alla riflessione. Vista, però, la moltitudine di luoghi, la scelta più logica è stata scomporre il percorso in due distinti itinerari volti a ripercorre i luoghi della memoria maggiormente suggestivi.

Sentiero 1

  • Percorso: Piazza dei Martiri, Monsummano Terme, località Cintolese (Monumento ai caduti) – Strada Regionale 436 Francesca, Larciano, località Castelmartini (Giardino della memoria) – Via delle Morette, Larciano, località Castelmartini (Monumento “Lo Stupore”) – Via Don Franco Malucchi, Larciano, località Castelmartini (Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio) – Via Leonardo Da Vinci, Fucecchio (Padule di Fucecchio)
  • Tempo di percorrenza: 1 ora e 15 minuti
  • Distanza: 5,4 km
  • Dislivello: pianeggiante (+ 15 m – 21 m)

Il nostro percorso inizia da Piazza dei Martiri, dove troviamo il Monumento ai caduti. Monsummano, specificatamente la località di Cintolese, fu la zona maggiormente colpita, con ben 84 vittime.

Monumento ai caduti Cintolese

La statua si pone l’obiettivo di ricordare i caduti e la spietata crudeltà nazifascista. Fu costruita nell’immediato dopoguerra su iniziativa del parroco di Cintolese don Renato Quiriconi.  Il monumento raffigura una donna che sorregge due bambini mentre è chinata su un uomo avvolto da un serpente, simbolo della violenza nazista. Ai lati troviamo da una parte i nomi dei caduti, mentre dall’altra un uomo inginocchiato intento a pregare e una donna con un crocifisso speranzosa mentre guarda il cielo. Sopra i bassorilievi troviamo un angelo con la testa rivolta verso l’alto come simbolo di libertà. Un significato e un’immagine impattante, che ci forniscono ancor di più l’esempio di come questo episodio abbia segnato irrimediabilmente queste comunità.

Uscendo da piazza Dante Desideri ci dirigiamo verso il Giardino della memoria, lungo la strada Regionale 436. Inaugurato il 23 agosto del 1996, nel luogo in cui sorgeva un ex cimitero, il giardino si compone di due rappresentazioni artistiche: “Paysage” di Andrea Dami, e “Mio fratello è qui”, curato da Simone Fagioli. Il primo è un dipinto di forma triangolare realizzato con tante formelle quante sono le vittime. Il secondo è formato da nove pedane a mosaico che rappresentano altrettanti simboli universali collegati ai temi della solidarietà e della pace. A pochi passi dal giardino, precisamente a Via delle Morette, ci troveremo davanti a “Lo Stupore”, monumento ad opera di Gino Terreni inaugurato nel 2002, e dedicato a tutte le vittime del Padule.

Continuando il nostro percorso ci dirigiamo verso via Don Franco Malucchi, sede del Centro Visite della Riserva Naturale, gestito dal Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio. Agisce principalmente come punto d’informazione turistica e centro di educazione ambientale. Al suo interno sarà possibile trovare aule, laboratori didattici, bookshop, esposizioni di attività, di prodotti e una mostra permanente delle opere preparatorie del monumento di Gino Terreni, donate dallo scultore al Comune di Larciano. Organizza varie attività di visita del Padule volte alla scoperta delle zone per birdwatching ma anche per varie zone di interesse storico come il Casotto del Criachi, lapide in ricordo delle vittime. Il sentiero proposto arriva fino all’inizio del Padule, sia che ci si voglia avventurare singolarmente sia che si voglia seguire degli itinerari già presenti e collaudati dal Centro di Ricerca.

 

Sentiero 2

  • Percorso: Piazza Dante Desideri, Via Vittorio Veneto, Cerreto Guidi (MuMeLoc) – Via della Prata, Cerreto Guidi (Giardino della meditazione) – Piazza Sette Martiri 11, Fucecchio, località Massarella (Lapide sulla chiesa di Santa Maria) – Via delle Cerbaie, Fucecchio, località Massarella (Parco della Rimembranza) – Piazza Martiri del Padule, Ponte Buggianese, località Anchione (Monumento alle vittime del Padule di Fucecchio)
  • Tempo di percorrenza: 4 ore
  • Distanza: 18,5 km
  • Dislivello: con dislivelli (+ 69 m – 153 m)

Questo secondo itinerario è indubbiamente più lungo e faticoso, vista anche la presenza di qualche dislivello. Il punto di partenza è Piazza dei Desideri a Cerreto Guidi, dove ci troveremo davanti al MuMeLoc, il museo della memoria locale. Caratterizzato per la sua peculiarità multimediale, il MuMeloc è un centro culturale dove non viene dato priorità ai cimeli, agli oggetti, ma alle storie, alle voci, alle immagini e alle esperienze. Il centro del museo è rappresentato proprio dalla narrazione dell’eccidio del Padule, con peculiarità uniche e storie strazianti pronti ad immergere completamente il visitatore.

Giardino della meditazione “Livio Lensi” a Stabbia, Cerreto Guidi

Sempre a Cerretto, precisamente a Stabbia, troviamo poi il Giardino della meditazione “Livio Lensi”, che riporta i ceppi dei morti dei morti di Cerreto e Fucecchio, ponendosi quindi come punto di ricordo e commemorazione collettiva, in un’atmosfera cullata dalla calma e dal silenzio.

Ci spostiamo poi a Fucecchio, precisamente in piazza dei Sette Martiri, dove potremmo vedere la lapide dedicata ai sei civili ed un carabiniere di Massarella posta sulla parete esterna della Pieve di Santa Maria.

Sempre a Massarella, ci spostiamo a via delle Cerbaie dove troviamo il Parco della Rimembranza. Si tratta di un giardino molto esteso con due lastre di ferro rettangolare dove sono riportati 7 nomi, lungo un viale ci sono poi una serie di strutture in metallo a forma di cuore in cui sono scritti i nomi dei deceduti, in fondo al viale vi è infine una lapide in marmo con una dedica.

Concludiamo infine il nostro itinerario dirigendoci a Piazza Martiri del Padule a Ponte Buggianese, nella frazione di Anchione. Qui troveremo il Monumento alle vittime del Padule di Fucecchio, dove sono incisi i nomi delle 44 vittime della zona, divise tra residenti, non residenti e militari.

 

Note

 

[1] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), regione Toscana, Carocci editore, Roma, 2009, p. 162.

 

[2] M. Battini e P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Marsilio, Venezia, 1997, p. 143.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

 

Articolo pubblicato nel settembre 2024.




Scolpiti nella memoria

 Dietro ogni cippo, una storia.

Dietro ogni pietra, una vita.

 

Oggi più che mai di fronte ad un certo revisionismo storico spalleggiato da una parte della classe politica che mal sopporta il dichiararsi antifascista si ha la necessità di continuare a parlare di quei valori della Resistenza da cui ha tratto origine la nostra costituzione e di raccontare le storie di coloro che hanno combattuto per liberare l’Italia dal nazifascismo e soprattutto di coloro che hanno dato la propria vita per sconfiggere la dittatura e farci riassaporare la democrazia. Ed è proprio per mantenere viva la memora che è stato utile negli anni, per circoscrivere come in un fermo-immagine il ricordo di chi è caduto per il nobile ideale di libertà, erigere monumenti o affiggere targhe commemorative. Scomparsa quasi del tutto la generazione protagonista di quella stagione storica, in un tempo in cui si sta perdendo o si tenta di offuscare la memoria di quegli avvenimenti che hanno dato vita alla Resistenza, i monumenti rimangono lì “immobili” a testimoniare il sacrificio ed il martirio di coloro che hanno combattuto per la liberazione del nostro paese. Monumenti e lapidi hanno il compito di tenere desta la memoria di quei fatti che hanno segnato il drammatico passaggio dalla caduta del fascismo all’Italia repubblicana, attraverso la conquista della libertà democratiche. Ed oggi assumono forse una nuova valenza ed una rinnovata importanza nella loro funzione di tramandare alle giovani generazioni il ricordo della Resistenza e dei suoi caduti. Ma spesso durante il passaggio per le vie e le piazze, distratti dal via vai della città, immersi nello stress della vita quotidiana o nei propri pensieri, questi monumenti rimangono quasi invisibili, se non addirittura per alcuni incomprensibili perché ne ignorano il significato. Purtroppo, sono targhe, lapidi e monumenti che spesso solo nel giorno dell’anniversario riprendono vita con fiori, corone, commemorazioni, bandiere, stendardi e bande musicali… ma il resto dell’anno sembrano perdere il loro valore simbolico rientrando in una sorta di anonimato e di indifferenza. Ed è per questo che abbiamo pensato, prendendo l’occasione dall’ottantesimo Anniversario della Liberazione di Arezzo, di creare un itinerario attraverso i monumenti dedicati alla Resistenza sparsi per la città, in modo tale da far conoscere a chi ne ignora la storia o a rammentarla agli altri l’esistenza ed il loro valore simbolico e di memoria.

 

Monumenti, lapidi e cippi che raccontano le tracce della guerra, della Resistenza e della Liberazione della città

 

“La storia si fa arredo urbano

e l’arredo urbano muta

con il variare delle fasi storiche…”

Mario Isnenghi

 

Mappa dell’itinerario.

 

  • Percorso: Piazza Poggio del Sole (Monumento ai caduti della Resistenza) – via Cavour (Liceo classico-musicale Francesco Petrarca) – Piazza della Libertà (Palazzo del Municipio) – Cimitero Urbano (Monumento ai caduti nella guerra di Liberazione) – via Francesco Severi (Lapide del Fiume) – via Anconetana (Cippo ad Eliseo Brocherel) – viale Giotto (Monumento ai caduti dell’artiglieria) – largo Inigo Campioni (Monumento ai caduti del mare) – piazzetta San Niccolò (Cippo a Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti).
  • Tempo di percorrenza: 1 ora e 45 minuti circa
  • Distanza: 7,3 km
  • Dislivello: + 91 m – 64 m

 

Iniziamo il nostro percorso da Piazza Poggio del Sole, dove troviamo il Monumento ai caduti della Resistenza, testimonianza significativa del sacrificio e del coraggio dimostrato dai partigiani e dai cittadini durante la lotta contro l’occupazione nazifascista. Arezzo e la sua provincia furono particolarmente colpiti dalla strategia stragista degli occupanti subendo l’impressionante cifra di 3110 caduti fra combattenti e popolazione civile. La provincia è stata insignita della medaglia d’oro per “l’irriducibile opposizione al nemico da parte di agguerrite formazioni armate e delle patriottiche popolazioni di città e campagna, sui monti e le valli…”[1]. I partigiani aretini, un esercito di poco più di 3500 uomini e donne, riuscirono ad impegnare, sottraendoli dal fronte alleato, ingenti forze nazifasciste infliggendo loro pesanti perdite.

Il Monumento ai caduti della Resistenza è posto all’interno dei giardini antistanti la Prefettura, una collocazione strategica, facilmente accessibile, situata in prossimità della stazione e del centro storico.

 

“Il Popolo delle vallate aretine ai caduti per la Resistenza”.

 

L’opera fu commissionata dal Comune di Arezzo e realizzata dallo scultore brasiliano di origini italiane Bruno Giorgi intorno al 1975. Il monumento è dominato da una figura centrale di bronzo che si protende nell’aria con le braccia alzate appoggiata a due “X” bronzee. Colpiscono nel monumento questi arti alzati al cielo, che troveremo successivamente anche nel monumento ai caduti nella guerra di liberazione all’interno del Cimitero Urbano, che simboleggiano un atto di estrema violenza “per uscire dall’età e dal periodo che ha visto troppe persone divenire corpi senz’anima e troppi corpi divenire caduti”[2].

 

Uscendo da piazza Poggio del Sole ci dirigiamo verso piazza Guido Monaco e procediamo in direzione nord-est percorrendo l’omonima via fino all’incrocio con via Cavour. Giunti al bivio svoltiamo a sinistra e dopo pochi metri ci troviamo di fronte al liceo Classico-Musicale Francesco Petrarca. All’interno vi sono una lastra e un monumento che commemorano studenti e professori caduti durante la prima e la seconda guerra mondiale e la guerra civile spagnola.

 

Monumento agli studenti del liceo ginnasio Francesco Petrarca di Arezzo.

Il monumento è costituito da una struttura a nicchia in travertino al cui interno è collocata la scultura in bronzo di un eroe accompagnato in cielo da un angelo, sopra un’altra figura alata che porta, correndo, una fiaccola e in basso un soldato nudo morente giace al suolo con la spada rivolta all’indietro. Ai lati della nicchia vi sono due lastre rettangolari che riportano i nomi dei caduti nella Grande Guerra e successivamente è stata aggiunta una lastra con i nomi dei caduti del secondo conflitto mondiale. Tra gli allievi del liceo rimasti vittime durante la guerra del 1940-45 si annoverano Sante Tani, animatore e martire della Resistenza aretina (a cui è dedicato anche un bassorilievo che visiteremo successivamente), e Pio Borri, primo caduto della Resistenza ad Arezzo.

 

Lastra in ricordo degli alunni del liceo Francesco Petrarca caduti nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza.

 

A Pio Borri è stata dedicata anche l’aula magna del liceo in cui sono presenti in una parete dei cimeli che ricordano lo studente, compresa la motivazione della medaglia d’argento.

 

Cimeli in onore di Pio Borri.

 

Pio Borri fu il comandante della prima brigata partigiana formatasi spontaneamente, la “Vallucciole”, che nel corso di uno dei primi rastrellamenti in grande stile dei nazifascisti in Casentino, proprio in località Vallucciole l’11 novembre del 1943 fu arrestato, torturato, giustiziato e gettato in un fosso in mezzo alla neve. Successivamente in onore del proprio comandante la formazione partigiana prese il nome di XXIII Brigata garibaldina “Pio Borri”.

 

Continuando il nostro percorso in direzione nord-ovest prendiamo via Andrea Cesalpino e dopo cinque minuti si arriva al Palazzo del Municipio in Piazza della Libertà. Qui all’interno si trova una Lastra in ricordo delle forze Alleate entrate in città il 16 luglio 1944 e un bassorilievo in pietra dedicato a Sante Tani.

 

Lastra in ricordo delle forze Alleate.

Questa lastra posta in una parete interna del Municipio è un importante simbolo della liberazione della città dall’occupazione nazifascista. La mattina del 16 luglio 1944 alle ore sette l’antico campanone posto sulla torre del comune cominciò a suonare a distesa, seguito dopo poco dalle altre campane cittadine e della campagna circostante, valido segnale per gli Sherman, i carri armati alleati, che nella tarda mattinata entrarono nella città ormai libera. Sulla targa è riportato un messaggio, scritto sia in italiano che in inglese, di gratitudine verso le forze Alleate per il loro fondamentale contributo.

 

Nel cortile del Municipio troviamo il bassorilievo dedicato a Sante Tani, primo fondatore e capo indiscusso dell’antifascismo aretino. Nato a Rigutino in provincia di Arezzo il 3 aprile 1904 e barbaramente trucidato sempre ad Arezzo il 15 giugno 1944, insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Cortile del Municipio.

Bassorilievo dedicato a Sante Tani: “A Sante Tanti, animatore e martire della Resistenza, la Democrazia Cristiana al comitato antifascista nel trentesimo della liberazione”, 1974, Palazzo comunale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figlio di Angiolo Tani ed Elisa Meacci, Sante Tani fin da giovane fu aperto oppositore del fascismo. Si laureò in giurisprudenza a Roma e una volta rientrato ad Arezzo operò come agitatore e cospiratore in contatto con esponenti di tutti i partiti politici clandestini. Il 25 aprile del 1942 venne processato per le sue idee politiche e assegnato per quattro anni al confino in provincia di Benevento. Il fascismo cadde prima della conclusione della sua condanna ed egli, tornato ad Arezzo, dopo l’8 settembre del 1943 fu nominato presidente del Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista (CPCA). Prese anche parte direttamente alla lotta armata dirigendo alcune formazioni partigiane. Caduto in mano ai tedeschi, il 30 maggio 1944 a Casenovole insieme al fratello don Giuseppe e all’amico Aroldo Rossi – ventinovenne, commerciante aretino -, riuscì a resistere per diciassette giorni alle torture, alternate alle offerte di libertà in cambio di informazioni. Il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale (CPLN) organizzò la loro evasione dal carcere per il successivo 15 giugno, ma l’operazione fallì e lo stesso giorno Sante insieme al fratello e al giovane Rossi furono barbaramente trucidati nella cella dove erano rinchiusi. Morirono anche due partigiani, il tenente belga Jean Mauritz Justin Meuret (al quale è stato eretto un cippo commemorativo ad Arezzo nella strada che porta verso San Domenico) e Giuseppe Oddone, che insieme ad altri avevano tentato inutilmente di attuare il piano di evasione.

 

Usciti dal Municipio costeggiamo il Prato della Fortezza Medicea percorrendo viale Bruno Buozzi per circa un chilometro fino ad arrivare al Cimitero Urbano dove è presente all’ingresso il Monumento ai caduti nella guerra di Liberazione.

 

Monumento ossario dei caduti per la libertà, “Arezzo ai 792 caduti durante la guerra di liberazione, partigiani, vittime per rappresaglia nazifascista, caduti per fatti di guerra settembre 1943 luglio 1944”.

Il monumento è un’opera commemorativa dedicata a tutti i combattenti che persero la vita durante la seconda guerra mondiale. Esso è composto da un muro nel quale da una parte vi è un bassorilievo che raffigura i caduti in guerra e per rappresaglia nazifascista con una lastra dedicatoria, dall’altra vi sono grosse lastre con i nomi dei caduti, oltre 700 nomi.

Nel 1973 si formarono due comitati per l’erezione dei più conosciuti monumenti ai caduti di Arezzo, l’Ossario ai caduti per la libertà, opera dello scultore Firenze Poggi ed il Monumento alla Resistenza dello scultore Bruno Giorgi (primo monumento incontrato durante il nostro itinerario). Entrambi i monumenti furono inaugurati in occasione delle celebrazioni del trentennale della Liberazione di Arezzo.

La scelta di collocare il monumento all’interno del cimitero urbano aggiunge un ulteriore livello di solennità e rispetto: questo luogo, già dedicato alla memoria dei defunti, diventa anche un santuario per ricordare i caduti della Resistenza. Colpisce in questa scultura la rappresentazione di questi corpi senza volto che sembrano voler lottare per liberarsi dall’agonia che li costringe[3]. Sono corpi addossati l’uno all’altro, chi in movimento, chi accasciato, chi con le braccia protese in alto “come a voler rompere il momento di disperazione”, le stesse braccia che si allungano, come abbiamo visto, nel monumento alla Resistenza in Piazza Poggio del Sole.

 

Dal Cimitero Urbano procediamo in direzione sud-est e percorriamo via Francesco Redi per circa 20 minuti, svoltando a sinistra in via Francesco Severi possiamo scorgere in un edificio all’altezza del primo piano, posta sul muro esterno, la Lapide del Fiume, una lapide marmorea con elementi di rilievo collocata a perenne ricordo dei partigiani Giuseppe Mugnani, Corrado Luttini e Quinto Genalti. I primi due furono partigiani di Sansepolcro della formazione “Eduino Francini” fucilati a Villa Santinelli di San Pietro (Città di Castello), il 27 marzo 1944 (ad entrambi è stata conferita la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria)[4];  mentre il terzo Quinto Genalti, perse la vita nella strage di San Polo, l’eccidio commesso dalle truppe naziste in ritirata dall’aretino il 14 luglio 1944, due giorni prima della liberazione della città.

Dopo la guerra, nel 1961, la comunità di Arezzo decise di onorare la memoria di questi partigiani non ancora ventenni, nati ad Arezzo, con una lapide per mantenere vivo il ricordo di questi eroi locali che combatterono contro l’oppressione nazifascista, spesso a costo della propria vita.

(Alzando lo sguardo quando siamo lì dedichiamoli un pensiero).

 

Lapide del Fiume, “Il fiume ai partigiani, Giuseppe Magnani, Corrado Luttini, Quinto Genalti, caduti eroicamente per la libertà nel 17° del proprio sacrificio”.

 

Tornando indietro per via Francesco Severi, all’incrocio con Viale Redi svoltiamo a sinistra in via Eugenio Calò fino ad arrivare all’incrocio con via Anconetana, giunti al bivio svoltiamo a destra e percorriamo poche centinaia di metri fino a quando sulla sinistra troviamo il cippo commemorativo ad Eliseo Brocherel.

 

Cippo ad Eliseo Brocherel.

 

Giovane partigiano di appena 23 anni ucciso da un fascista repubblichino, Domenico Pancacci, per essersi rifiutato di fornire informazioni sui partigiani e sugli esponenti della Resistenza. Era il 6 giugno 1944 quando Eliseo Brocherel fu ammazzato con due colpi alla schiena. In sua memoria nel luglio 1964 in via Anconetana – luogo in cui avvennero i fatti – venne eretto un cippo. La stele che non versava in un buono stato di conservazione, come possiamo vedere dalla foto, è stata restaurata nel giugno del 2023.

 

Anche se non riguardano propriamente la Resistenza, ma sempre commemorativi ai caduti della seconda guerra mondiale, abbiamo inserito nel tour altre due tappe per rendere più uniforme il nostro percorso: il Monumento ai caduti dell’artiglieria e il Monumento ai caduti del mare.

Lasciato alle spalle il cippo di Brocherel proseguiamo in direzione nord-ovest, svoltiamo a sinistra e dopo pochi passi in via del Pantano ci immettiamo in via Raffaele Sanzio che percorriamo in direzione sud-ovest fino ad arrivare ad una rotonda dove svolteremo a destra su Viale Giotto. Dopo aver percorso pochi metri troviamo sulla sinistra una piccola area verde al cui interno è collocato il Monumento ai caduti dell’Artiglieria. Si tratta di un cannone in bronzo e ferro di colore verde militare che poggia su una piattaforma di cemento. Il monumento vuole rendere omaggio a tutti coloro che hanno dato la vita per difendere il paese combattendo contro mezzi terrestri e aerei per proteggere i confini.

 

Monumento ai caduti dell’artiglieria.

 

Poi percorriamo viale Giotto fino ad arrivare all’incrocio con viale Luca Signorelli, dove giriamo a destra fino a giungere largo Inigo Campioni, qui vi è un piccolo parco all’interno del quale è posto il Monumento ai caduti del mare. Il monumento è costituito da una base di pietra triangolare, su cui è posta un’altra pietra di forma piramidale simile ad uno scoglio, che sostiene una grande ancora di ferro, con la sua catena. Su una lastra di pietra posta davanti vi è la scritta “Arezzo ai caduti del mare”.

 

Monumento ai caduti del mare.

 

 

 

 

 

 

L’itinerario prosegue in direzione nord prendendo il viale Andrea Sansovino e svoltando poi a sinistra giungiamo in piazzetta San Niccolò dove si trova il Cippo in memoria di Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti, due donne, madre e figlia, vittime della ferocia della guerra. Un monumento inaugurato nel settantesimo anniversario dall’eccidio, che ricorda una vicenda terribile, legata ad uno dei tanti crimini compiuti dai nazisti nel territorio aretino.

 

 

Il Cippo di San Niccolò: “Isolina Boldi e Anna Lisa Innocenti, madre e figlia, il 3 luglio 1944 nel difendersi con coraggio caddero vittime della ferocia nazista nell’eccidio di Toppo Fighine di Policiano, per non dimenticare la figlia Vanda Innocenti dona al comune di Arezzo, 3 luglio 2024”.

 

Le truppe tedesche, sospinte dall’avanzata degli alleati, si ritiravano verso nord attestandosi su linee difensive sempre più arretrate con l’unico scopo di ritardare quanto più possibile la linea del fronte, così da ultimare la costruzione della Linea Gotica, ultima risorsa tedesca per bloccare l’avanzata degli angloamericani. Durante la ritirata i tedeschi, come lupi affamati, razziavano portandosi via generi alimentari, animali, e qualsiasi bene materiale che trovavano nelle case coloniche sparse per la campagna. In una di queste case dove si era rifugiata, scappando dai bombardamenti nella città di Arezzo, la famiglia Innocenti, il 3 luglio del ’44 fecero irruzione due soldati tedeschi. In quel momento in casa c’erano le figlie Adriana e Anna Lisa e la madre Isolina. Quest’ultima intuendo le intenzioni dei due uomini, che avevano invitato le ragazze a seguirli in camera da letto, tentò di opporsi ma una mitragliata la colpì insieme alla figlia Anna Lisa che rimasero inermi sul pavimento. Anche Adriana rimase ferita alle gambe ed uno dei due tedeschi volendole dare il colpo di grazia le sparò con la pistola all’addome. I due militari credendole tutte e tre morte se ne andarono via. Ma Adriana rimase solo ferita in quanto la pallottola perforandole il rene uscì dalla schiena. Solo nella tarda mattinata del giorno successivo fu trovata dagli abitanti della zona e fu portata all’ospedale di Cortona. La ragazza si salvò e raccontò questa sua terribile storia in un manoscritto inedito da cui Enzo Gradassi ha riportato l’avvenimento nel testo “Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944”, edito da “Le Balze”[5].

 

Lasciando l’ultimo monumento alle spalle delle due donne barbaramente uccise, nella via di ritorno molto probabilmente le tristi e sofferenti storie dei caduti della Resistenza rimbalzeranno nella mente rendendoci consapevoli che la memoria è necessaria: dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano potrebbero ritornare (Mario Rigoni Stern).

 

Questo “percorso-resistente” si effettua in circa due ore di cammino che può variare in conseguenza al tempo che ognuno di noi decide di soffermarsi davanti ai vari luoghi della memoria.

 

NOTE:

[1] Motivazione di concessione della Medaglia d’oro per attività partigiana.

[2] Massimo Baioni e Camillo Brezzi (a cura di), Memorie scolpite. Itinerari tra i monumenti alla Resistenza nella provincia di Arezzo, Maschietto e Musolino, Arezzo 2000, p. 30.

[3] Ibidem.

[4] Nella notte dal 24 al 25 marzo un gruppo di partigiani toscani della formazione di Eduino Francini, che agiva sui monti di Sansepolcro e che era di passaggio per la zona, occuparono per qualche giorno Villa Santinelli. Scoperta la loro presenza, furono assediati e costretti alla resa da ingenti truppe fasciste e da un reparto corazzato tedesco. Dei 18 componenti della banda, 9 furono fucilati, 4 incarcerati, gli altri riuscirono a sfuggire alla cattura.

[5] Enzo Gradassi, Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944, Le Balze, Montepulciano 2006.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel settembre 2024.

 

 

 




Sulle tracce della Linea Gotica nelle Apuane

Nel 2019 il Parco delle Alpi Apuane ha promosso un progetto di valorizzazione del territorio e di commemorazione del passato attraverso il recupero e la creazione di sette sentieri di diversa difficoltà che ripercorrono i luoghi e le zone attraversate dalla Linea Gotica. Costruita dai tedeschi sul finire del secondo conflitto mondiale la Linea aveva lo scopo di arrestare e rallentare l’avanzata delle truppe alleate che erano nel frattempo sbarcate nella penisola. Si trattava di una struttura fortificata che da Massa (affacciata sul Mar Tirreno) fino a Pesaro (posta sul Mar Adriatico) attraversava orizzontalmente il paese, sbarrando l’accesso alla Pianura Padana. Come le altre zone e catene montuose attraversate dalla Linea le Apuane divennero teatro di violenti scontri che contrapposero da un lato le truppe nazifasciste e dall’altro gli Alleati e le formazioni partigiane che operavano nella zona.

Grazie a questa rete di sentieri coloro che vorranno visitare il Parco e le sue montagne potranno ripercorrere luoghi dall’importante valenza storica, visitando postazioni fortificate come bunker e trincee, attraversando i paesi vittime delle stragi nazifasciste e ripercorrendo gli stessi itinerari che intraprendevano i civili che volevano sfuggire dalla guerra. L’iniziativa – realizzata attraverso il contributo di diversi enti e associazioni culturali della zona – mira a coniugare la divulgazione storica con il piacere di poter visitare luoghi dall’immensa bellezza naturalistica.

 

Mappa dei sentieri

 

 

Sentiero 1

Attraverso i luoghi della “zona bianca” (itinerario circolare)

Ripercorre i luoghi che furono teatro di uno dei peggiori crimini compiuti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale

  •  Percorso: Sant’Anna di Stazzema – Vaccareccia – Focetta – Ossario – Sant’Anna di Stazzema
  • Tempo di percorrenza: 1 ora
  • Difficoltà: turistico / escursionistico
  • Dislivello: ± 113 m

Il sentiero (n. 2 arancione) prende avvio dallo spiazzo situato di fronte alla chiesa di Sant’Anna, dove il 12 agosto 1944 vennero uccisi 132 innocenti . Dopo aver superato l’abitato il percorso prosegue in direzione della borgata di Vaccareccia, anch’essa vittima nell’estate 1944 della violenza nazista, e continua fino ad arrivare al punto panoramico di Focetta. L’ultima parte del sentiero attraversa il Monumento dedicato alle vittime della strage, realizzato dall’architetto Tito Salvatori nel 1948 e si conclude dopo circa un’ora di marcia al Museo Storico della Resistenza, situato a poche centinaia di metri dalla chiesa di Sant’Anna. Oltre al sentiero appena descritto, nella zona sono presenti altri percorsi che permettono ai visitatori di poter ampliare la loro visita e di recarsi  nelle altre borgate vittime delle stragi, come ad esempio i “Sentieri di Pace”, sei percorsi storico-naturalistici creati nel 2012 che ripercorrono i luoghi attraversati dalle truppe nazifasciste.

 

 

Sentiero 2

Dove l’ultimo assalto alleato spezzò la Linea Gotica

Il sentiero attraversa i luoghi dove il 5 aprile 1944 le truppe alleate insieme ai partigiani assaltarono le posizioni nemiche, aprendo il primo varco nella parte occidentale della Linea Gotica e creando le premesse per l’imminente liberazione di Montignoso, Massa e Carrara

  • Percorso: Pasquilio di Montignoso – Monte Folgorito – Cerreta San Nicola – Passo della Canala – Seravezza
  • Tempo di percorrenza: 3.20 ore andata, 3.50 ore ritorno
  • Difficoltà: escursionistico (per “escursionisti esperti” in alcuni tratti lungo il crinale)
  • Dislivello: + 171 m, – 931 m

Pasquilio di Montignoso dista poco più di venti minuti di macchina da Massa. Prima di intraprendere il cammino meritano una breve visita il monumento eretto in memoria della guerra di Liberazione e la chiesetta dei partigiani, entrambi posti all’inizio del sentiero. Dopo una prima parte ascensionale, che termina con l’arrivo sulla cima del Monte Folgorito (911 m), il percorso perde progressivamente quota, fino ad arrivare a Seravezza (65 m). Lungo il percorso sono presenti numerose tracce che testimoniano lo scontro che contrappose gli Alleati e i partigiani con le truppe nazi-fasciste, come bunker, trincee o caverne adibite al riposo dei soldati. Il percorso può essere compiuto anche in senso contrario, partendo da Seravezza ed arrivando a Pasquilio di Montignoso.

 

 

Sentiero 3

Sulla via della libertà dei “patrioti apuani”

Sentiero che ripercorre in parte il percorso gestito dal “Gruppo Patrioti Apuani” che i civili compivano per sfuggire alla guerra e “sconfinare” nell’Italia liberata

  • Percorso: Antona di Massa – Tecchia – Passo della Greppia – La Polla – Azzano di Seravezza
  • Tempo di percorrenza: 4.30 ore
  • Difficoltà: escursionistico / per escursionisti esperti ( per “escursionisti esperti con attrezzature” dal Passo della Greppia all’innesto del sentiero CAI 32)
  • Dislivello: + 885 m; – 835 m

Il percorso può essere iniziato ad Antona, distante otto chilometri da Massa, oppure dal “Sacrario della Tecchia”, raggiungibile in automobile proseguendo in direzione di Arni. Dopo un’iniziale tratto caratterizzato dalla presenza di saliscendi, il percorso diviene più arcigno fino ad arrivare al Passo della Greppia (1.209 m). Superato questo tratto l’itinerario non presenta rilevanti difficoltà altitudinali, ripercorrendo l’antico “Sentiero della Libertà” fino ad arrivare ad Azzano di Seravezza.

 

 

Sentiero 4

Lungo l’antica via di transumanza dei Liguri Apuani

Il sentiero ripercorre le antiche vie della transumanza che i Liguri Apuani utilizzavano prima della colonizzazione romana

  • Percorso: Forno di Massa – Case del Vergheto – Foce Luccica – Foce di Vinca – Foce Rasori – Vinca di Fivizzano
  • Tempo di percorrenza: 5.30 ore da Forno di Massa; 4 ore da Case del Vergheto
  • Difficoltà: escursionistico
  • Dislivello: da Forno di Massa + 1.275 m, – 657 m; da Case del Vergheto + 611 m, – 657 m

La frazione di Forno dista solamente sette chilometri dal centro storico di Massa ed è facilmente raggiungibile con la macchina. Poco prima di giungere nel piccolo paese si incontra il monumento dedicato alle 68 vittime che il 13 giugno 1944 persero la vita a causa di un eccidio nazifascista. Il percorso può essere intrapreso sia partendo da Forno di Massa, sia proseguendo con la macchina e incominciando il cammino da Case del Vergheto. Lungo il percorso, in particolar modo nel tratto da Foce di Vinca a Foce dei Rasori, sono individuabili trincee e gallerie che vennero costruite dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Nell’ultima parte del sentiero, poco prima di giungere a Vinca di Fivizzano, si attraversa Prada-Maestà di Doglio, paese che tra il 24 e 27 agosto fu vittima di un eccidio nazista nel quale persero la vita 173 persone, in maggioranza donne, bambini ed anziani.

 

 

Sentiero 5

Le trincee e i rifugi della “Monterosa”

Il sentiero attraversa le trincee e i rifugi presidiati dagli Alpini della “Monterosa” che nel corso della seconda guerra mondiale combatterono nelle fila della Repubblica Sociale Italiana (RSI) 

  • Percorso: Levigliani di Stazzema – Antro del Corchia – Passo dell’Alpino – Foce di Mosceta
  • Tempo di percorrenza: 2 ore da Levigliani di Stazzema; 1 ora da Antro del Corchia
  • Difficoltà: escursionistico
  • Dislivello: da Levigliani di Stazzema + 658 m, – 58 m; da Antro del Corchia + 380 m, – 58 m

L’itinerario prende tradizionalmente avvio da Levigliani, ma può essere anche intrapreso partendo da Antro del Corchia, raggiungibile in auto o con il bus navetta (negli orari di apertura della grotta). Da Antro del Corchia inizia un ripido tratto, caratterizzato dalla presenza di 20 tornanti che dopo 40 minuti portano al Passo dell’Alpino (1.095 m), chiamato in questo modo per la presenza su queste alture degli alpini della “Monterosa” durante l’inverno 1944-1945. In questa porzione del sentiero sono presenti indicazioni e pannelli illustrativi che aiutano il visitatore ad individuare le cinque postazioni militari presenti lungo il cammino. Percorrendo il sentiero sono inoltre presenti alcune lapidi dedicate ai civili che persero la vita nel secondo dopoguerra a causa delle mine presenti nella zona. Giunti a Foce di Mosceta (1.182 m) si trova il cippo dedicato ai caduti della guerra di Liberazione. Arrivati al termine del sentiero i visitatori percorreranno l’itinerario in direzione opposta, impiegando approssimativamente 45 minuti per giungere ad Antro del Corchia e 1.15 ore per raggiungere Levigliani di Stazzema.

 

 

Sentiero 6

Sui passi del “Gruppo Valanga” (itinerario circolare)

Sentiero che attraversa i luoghi teatro dello scontro che oppose i partigiani del gruppo “Valanga” e le truppe nazifasciste

  • Percorso: Foce di Piglionico – Colle a Panestra – Casa Trescola – Monte Rovaio – Pasquigliora – Colle a Panestra – Foce di Piglionico
  • Tempo di percorrenza: 3.20 ore
  • Difficoltà: escursionistico (per “escursionisti esperti” per un breve tratto)
  • Dislivello: ± 270 m

Rispetto alle altre località di partenza Piglionico non è altrettanto vicina alle principali città della zona e dista poco più di un’ora di macchina da Lucca ed oltre un’ora e mezzo da Massa. Giunti nella località di partenza i visitatori potranno visitare la cappella dedicata ai 19 ragazzi del “Gruppo Valanga” che nell’agosto 1944 persero la vita nella battaglia del Monte Rovaio. Partiti da Piglionico gli escursionisti giungeranno al Colle a Panestra (1.011 m), da dove la strada si biforcherà ed avrà inizio il sentiero ad anello che si sviluppa fuori dalla sentieristica del CAI. Generalmente il sentiero viene percorso in senso orario, svoltando a sinistra in direzione di Casa Trescola, dove Violante Bertoni Mori forniva rifugio e soccorso ai giovani partigiani. Nella località un pannello ed una lapide ricordano i nomi dei 19 membri del “Gruppo Valanga” e ripercorre i principali momenti della loro presenza sulle Alpi Apuane. Dopo aver superato Casa Trescola una deviazione si stacca dal sentiero principale e sale sulla cime del Monte Rovaio (1.060 m) dove nell’agosto 1944 si combatté la battaglia poc’anzi citata. Dopo questa breve sosta si ritorna sul percorso principale e si continua il cammino attraversando Pasquigliora, giungendo successivamente a Colle Panestra da dove sarà possibile poter prendere il sentiero iniziale che riporterà a Foce di Piglionico.

 

 

Sentiero 7

Bunker e camminamenti della Linea Gotica

Visita delle strutture difensive create nella Valle del Serchio durante la seconda guerra mondiale

  • Percorso: Borgo a Mozzano – Anchiano – Domazzano – monte dell’Elto
  • Tempo di percorrenza: da Borgo a Mozzano ad Anchiano 2 ore; con l’escursione al monte dell’Elto 5 ore (a/r)
  • Difficoltà: turistico / escursionistico
  • Dislivello: ± 10 m da Borgo a Mozzano ad Anchiano; ± 165 m con l’escursione al monte dell’Elto

Borgo a Mozzano dista circa 20 chilometri da Lucca e può essere raggiunto impiegando 20 minuti sia in automobile che in treno. Per il sentiero n. 7 viene proposto un percorso differente rispetto a quelli precedentemente descritti, caratterizzato dalla pressoché totale assenza di dislivello e dalla visita di alcune strutture militari presenti nel fondovalle. Inoltre l’itinerario può essere svolto a piedi o utilizzando l’automobile. Dopo aver visitato il Museo della Memoria di Borgo a Mozzano i visitatori possono proseguire in direzione di Domazzano e raggiungere dopo meno di un chilometro la località Madonna di Mao, dove sono presenti i resti di un muro anticarro, alto più di due metri. In prossimità del muro sono inoltre situati i bunker di Madonna di Mao e Pozzori, accessibili solamente con l’accompagnamento di una guida. L’itinerario prosegue poi verso Anchiano, sull’altra sponda del fiume Serchio, dove è presente il continuamento del muro precedentemente visitato. In aggiunta alla visita di Borgo a Mozzano ed Anchiano è possibile raggiungere in auto Domazzano e compiere un piccolo sentiero che permette di osservare le fortificazioni presenti sul monte dell’Elto. In questo caso i riferimenti cronologici sono puramente indicativi, visto che il tempo impiegato da ciascun escursionista dipenderà dalla decisione di voler percorrere il percorso in auto o a piedi e dal tempo impiegato per visitare i luoghi d’attrazione.

 

Prima di concludere poniamo l’attenzione su due importanti aspetti che meritano una breve analisi. Per quanto riguarda la difficoltà riportata per ciascun sentiero abbiamo fatto riferimento ai parametri utilizzati dal Parco delle Alpi Apuane e dal CAI, che possono essere facilmente consultati sul sito del Club Alpino Italiano. In modo sommario possiamo affermare che i sentieri “turistici” sono classificabili come sentieri facili, quelli di livello “escursionistico” equivalgono ad un livello di media difficoltà, mentre quelli per “escursionisti esperti” con o senza attrezzature speciali sono itinerari di elevata difficoltà, adatti a trekkers abili e competenti. Infine prima di intraprendere un sentiero invitiamo gli escursionisti a controllare lo stato e le criticità dei percorsi sul sito del Parco delle Alpi Apuane, cliccando la voce “percorribilità dei sentieri CAI”. In questo modo gli escursionisti potranno conoscere l’attuale stato dei sentieri che sono intenzionati a percorrere, evitando spiacevoli sorprese.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.




L’eccidio di Berceto tra luci ed ombre: quando la Storia non è univoca

Una delle vicende forse più tristi, dal forte impatto morale e ancora controverse, verificatasi nelle campagne tra Monte Giovi e Pratovecchio, verso gli Appennini, è sicuramente quella di Berceto, piccola località del comune di Rufina, in provincia di Firenze, tappa del Sentiero della Memoria.

Immagine satellitare di Berceto. Fonte: Google Maps

Nel periodo tra marzo e aprile del 1944, sul Monte Giovi si riunirono pian piano vari nuclei di combattenti, fra cui il gruppo Lanciotto Ballerini proveniente da Monte Morello. Per tutto l’inverno dovettero sopportare non solo il freddo, ma soprattutto le varie marce forzate di spostamento, rese necessarie dai continui rastrellamenti operati dalle milizie repubblichine e dai reparti nazisti della divisione Hermann Goering, fatti giungere nel centro Italia con funzioni antipartigiane [1].

Ai primi d’aprile, tedeschi e repubblichini misero in atto un rastrellamento su vasta scala nella zona tra la Calvana e il monte Falterona. Incendi, distruzioni ed uccisioni indiscriminate caratterizzarono quell’operazione di polizia con l’intento di dissuadere i contadini della zona a dare aiuto ai partigiani.

Furono proprio costoro a subire le più gravi conseguenze per il sostegno dato alla causa della Resistenza. I contadini, inoltre, erano spesso succubi di un apparato agrario dominato dai grandi latifondisti, coadiuvati da fattori asserviti al regime, controllori attenti del territorio [2].

È in tale clima che avvenne l’eccidio di Berceto.

Lunedì 17 aprile del 1944, infatti, a Berceto, non distante da Pomino, sempre nel comune di Rufina, arrivarono sette uomini, che si definirono partigiani sbandati. In quei giorni, nella zona di Pomino, era presente in perlustrazione una formazione partigiana comandata da Pietro Corsinovi detto “Pietrino” (a cui faceva capo il gruppo Lanciotto Bellerini). La formazione aveva lasciato ad inizio aprile il Monte Morello, spostandosi in direzione del Falterona. Dopo i fatti di Vallucciole (frazione di Stia, in provincia di Arezzo) di Pasqua, stava rientrando verso Rufina. Corsinovi dette ordine di muoversi verso il passo della Consuma, attraverso il quale sperava di giungere al Pratomagno. Durante il trasferimento però, la squadra di Romolo Moretti “Capitan Tempesta” rimase indietro: lui riuscì a ricongiungersi con i compagni, ma sette dei suoi uomini si erano fermati in una casa colonica di Berceto, all’alba del 17 aprile [3].

Questi uomini, tutti tra i 19 e i 22 anni, erano saliti sul Monte Morello dopo l’8 settembre: tre erano fiorentini, Osvaldo Toci del Medico, detto “Sindic”, il suo futuro cognato Dino Bolognesi “Onid” e Carlo Uttummi; due erano di Carmignano, come Mauro Chiti e Adelindo Bocci; uno di Campi Bisenzio, tale Guglielmo Chiti “Teotiste”. Il settimo era un disertore austriaco della Wermacht, che si era unito agli altri solo da poco [4].

Questi chiesero al signor Lazzaro Vangelisti, uno dei coloni della vicina fattoria di Pomino dei marchesi Frescobaldi, cibo e ospitalità e pernottarono lì, nonostante Vangelisti stesso e i paesani, anch’essi coloni, avessero detto loro di non trattenersi a lungo, onde evitare rischi.

Vecchia foto di Lazzaro Vangelisti a Berceto Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [2ª edizione]

 

Vangelisti nei giorni precedenti si era già mostrato solidale con i soldati alleati e i partigiani, fatto forse noto ad Uttummi e al Tesi. Quel giorno però Vangelisti si mostrò diffidente. Era infatti noto che i soldati della Divisione Göring fossero impegnati sui rilievi dei monti Morello, Falterona, Giovi e nell’area del Casentino in una grande operazione di rastrellamento antipartigiano.

I partigiani non si decisero a ripartire e, anzi, si fermarono a farsi rammendare e sistemare i vestiti dalle donne del posto, mostrandosi -secondo la testimonianza di Vangelisti- ostili, fatto che aveva destato in lui, ex post, sospetti sulle reali intenzioni dei ribelli.

Come temuto però, poco dopo, giunsero a Berceto gli uomini della Göring, tra i quali alcuni militi della 92° Legione GNR di Firenze, distaccati a Dicomano [5]. Cinque partigiani vennero catturati, due dei quali, Guglielmo Tesi e Mauro Chiti, fucilati all’istante. Gli altri, stando ai loro racconti, colpiti da un calcio, avrebbero perso l’equilibrio e sarebbero caduti, evitando così le raffiche di mitra che uccisero gli altri due ragazzi. Furono dapprima portati alla Consuma, poi a Firenze, nella Fortezza da Basso, quindi alle Murate, dove sarebbero stati torturati, prima di riuscire a fuggire, per ricongiungersi con i ribelli [6].

Nel frattempo, a Berceto, la furia dei soldati si era abbattuta sulla famiglia Vangelisti, ritenuta fiancheggiatrice dei partigiani: la moglie di Lazzaro, Giulia, assieme a quattro figlie, vennero seviziate e uccise , mentre la loro abitazione fu data alle fiamme. Lo stesso copione venne adottato nei confronti delle famiglie Ebicci e Soldeti, vicine dei Vangelisti: furono uccisi i coniugi Alessandro e Isola Ebicci, poi Fabio e Iolanda Soldeti, rispettivamente nonno e nipote, e le loro case date alle fiamme [7]. Sopravvissero solo coloro che al momento dell’eccidio si trovavano al lavoro nei campi.

Giulia Vangelisti con le quattri figlie. Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [2ª edizione]

I due partigiani colpiti a morte. Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi

Gli Ebicci e i Soldeti. Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi

Elina Vangelisti, una delle figlie di Vangelisti sopravvissuta alla strage, così racconta le ore successive:

«I corpi delle vittime furono sistemati al coperto e ricomposti con la collaborazione della Signora Ada Barducci, una vedova amica di famiglia, giunta nel primo pomeriggio a dare aiuto» [8]. I corpi delle vittime, come lo stesso Vangelisti ha raccontato, era stati infatti martoriati [9].

Più tardi, sempre durante i rastrellamenti antipartigiani per indebolire la popolazione civile, i tedeschi uccisero a Cigliano, non distante da Berceto, un pastore, Giuseppe Poggiolini, e un partigiano non identificato.

Il giorno seguente, il 18 aprile, le salme furono sistemate nelle casse di castagno e il giorno successivo sepolte in un’unica fila al cimitero di Pomino come testimonia l’atto di morte della parrocchia redatto dal sacerdote don Fanetti [10].

Non erano ancora stati identificati però i due partigiani uccisi, quindi furono tumulati senza nome. Sette mesi dopo, terminata la guerra, le autorità del C.L.N. invitarono degli esponenti della Resistenza campigiana a riconoscere i due partigiani morti nella strage di Berceto. Guglielmo Tesi era infatti originario di Campi Bisenzio e fu identificato per le sue fattezze fisiche [11].

Molte le polemiche sorte dopo la fine della guerra sui fatti di quel triste giorno. Secondo Corsinovi si sarebbe trattato di una «malvagia rappresaglia» dei nazifascisti, in risposta a quello che chiamò un «combattimento» armato, a causa del quale la formazione partigiana avrebbe subito ingenti perdite [12]. In realtà non ci sarebbe stato un vero e proprio conflitto a fuoco precedente, bensì, come ha scritto Fusi, l’eccidio rientrerebbe nella «guerra ai civili», oramai in atto da settimane nel territorio toscano [13].

Secondo la testimonianza di Lazzaro Vangelisti, mosso dalla voglia di vendetta e per il grande dolore, nel gruppo di partigiani che aveva trovato rifugio presso il suo capanno, vi erano una o più spie (“falsi partigiani”) al servizio dei tedeschi, forse allertati dall’allora fattore, poi portato a processo dallo stesso Vangelisti. Basandosi sui propri ricordi, sulle spiegazioni ricevute e suggestionato da varie illazioni, Vangelisti accusò di aver ordito tale vendetta, coadiuvato da alcuni dei sette partigiani, il marchese Frescobaldi, proprietario della tenuta di Pomino e il suo fattore, Giuliano Franciolini, animati da simpatie fasciste e, a suo dire, desiderosi di fargli pagare il suo sostegno alla Resistenza [14].

Aveva mosso già tali accuse nell’aprile del 1945, quando venne interrogato allo Special Investigation Branch britannico che indagava sul caso. Lo stesso farà poi con le autorità italiane nel dopoguerra. Ne nacque una vicenda giudiziaria, sia nei confronti dei tre partigiani superstiti, sia verso il Frescobaldi e il fattore, che sfociò in un processo durante il quale «L’Unità», organo ufficiale del Pci, difese il partigiano Sindic e gli altri due accusati con un’inchiesta molto documentata. La sentenza del processo non lasciò adito a dubbi perché Sindic e gli altri vennero assolti con la formula più ampia, ovvero «per non aver commesso il fatto» [15]. Nel novembre del 1948, infatti, la sezione istruttoria della Corte di Appello di Firenze concluse che le accuse mosse verso il Frescobaldi, il fattore e i partigiani di Corsinovi erano infondate [16].

Nessuna giustizia, dunque, ha ripagato per i dolori di quel giorno, mentre luci e ombre caratterizzano , anche perché la verità giudiziaria non ha sostenuto la tesi di Vangelisti. La vicenda di Berceto è, difatti, caratterizzata da «reticenze giudiziarie e operazioni politico-culturali di rimozione di fatti ed episodi», storie troppo scomode nel secondo dopoguerra, come ha scritto l’oramai ex sindaco di Rufina Mauro Pinzani [17].

Come chiaramente scrive Fusi, si può dubitare -come fece Vangelisti- che le accuse da lui mosse fossero state insabbiate per motivi politici, dovuti alle forti polarizzazioni della politica italiana d’allora, come avvenne per altri crimini dei nazifascisti. Tuttavia, in mancanza di prove verificabili, resta lacunosa la ricostruzione dei fatti e resta difficile ipotizzare che un simile eccidio sia stato pianificato così nel dettaglio [18].

Come per molti altri eccidi, le popolazioni martirizzate hanno sempre cercato verità, senza contestualizzare però l’evento, difficile da accettare e metabolizzare, ricercando cause razionali.

Vera Vangelisti con una vecchia foto del padre Fonte: Vangelisti Lazzaro, Immagini, in Una vita trascorsa sotto tre regimi

Lazzaro Vangelisti, per avere una qualche giustizia, ha lottato a lungo con la figlia Vera, sopravvissuta alla strage e autrice di un libro, La strage di Berceto (DEA, Firenze, 2013), mentre lui ha affidato le proprie memorie biografiche e i ricordi di quel giorno ad un altro testo, intitolato Una vita trascorsa sotto tre regimi (Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [1ª edizione 1979]). Il titolo parla da sé: Vangelisti racconta la vita che aveva vissuto durante la Prima Guerra mondiale, poi sotto il fascismo e con la Seconda Guerra mondiale, infine, quando aveva dovuto lottare ancora per avere giustizia [19].

Copertina della prima edizione del testo di Vangelisti, presentato da Vasco Pratolini, che conobbe tale testo grazie a Don Masi, prete molto vicino a Lazzaro Vangelisti.

Il libro di Vangelisti va dunque letto come una testimonianza delle atrocità commesse dai nazifascisti e come «esempio di una lacerante ricerca personale di una spiegazione e di un senso di giustizia in grado di lenire in qualche modo il peso angosciante di un’incolmabile perdita subita; ma non possono però essere intese come una ricostruzione provante delle presunte responsabilità di cui egli al tempo, pur coscienziosamente, si convinse» [20].

A proposito delle vicende di Berceto così le introduce:

«Era il 17 aprile 1944. Quel giorno ci fu troncata definitivamente la felicità che ci restava [21]».

Nel 1978, quando uscì il libro, l’autore ripropose le sue idee e le sue verità, accusando nuovamente i tre partigiani sopravvissuti, il Frescobaldi e il Franciolini.

Così parla Marzia Toci del Medico, la figlia di Sindic: «Ho scoperto solo molti anni dopo questo libro e da quel momento ho cominciato a lottare in difesa della memoria di mio padre, ritrovando documenti e sentenze e iniziando una battaglia legale che ha portato al ritiro del libro di Vangelisti. Adesso con questo volume spero che finalmente la verità sia ristabilita e accettata da tutti, anche se fino ad adesso non ho trovato disponibilità da parte di Anpi che è rimasta arroccata sulla versione del Vangelisti» [22].

Come ricordato da Francesco Fusi, Marzia Toci del Medico ha pubblicato una ricostruzione dei fatti, supportata da materiale archivistico dell’Archivio di Stato di Firenze, per riabilitare la memoria del padre, oramai scomparso (Marzia Toci del Medico, Sindic, la storia non si cambia! Albatros, Roma, 2022) [23].

Le memorie contrapposte, segnate dal tremendo trauma, restano quindi divise. La Storia deve rispettarle e soprattutto può restituire la complessità degli eventi entro cui questo episodio si è svolto, pur senza pretesa di offrire soluzioni alle legittime aspirazioni dei singoli né tanto meno sentenze.

Unidici le vittime di quel giorno, tra luci ed ombre: nove civili, tra donne, uomini e bambini e due partigiani.

Ebicci Alessandro, 78 anni

Ebicci Isola, 49 anni

Soldeti Fabio, 81 anni

Soldeti Iolanda, 19 anni

Vangelisti Giulia, 46 anni

Vangelisti Iole, 9 anni

Vangelisti Anna Maria, 3 anni

Vangelisti Angelina, 22 anni

Vangelisti Bruna,  23 anni

Chiti Mauro, 19 anni

Tesi Guglielmo, 19 anni

 

Il 17 aprile 1945, il comune di Rufina pose a Berceto una lapide in ricordo delle vittime su di una parete del casolare dei Vangelisti, teatro dell’eccidio e, nel Sessantesimo anniversario della strage, una seconda lapide in loro memoria. Infine, il 25 aprile 1972, lo stesso comune fece erigere nel centro di Pomino un cippo-monumento in ricordo delle vittime dell’eccidio [24].

Lapide per il 60° dell’eccidio di Berceto, Comune di Rufina (FI) Fonte: Giovanni Baldini, Lapide per il 60° dell’eccidio di Berceto, 2005, https://memo.anpi.it/monumenti/1615/lapide-per-il-60-delleccidio-di-berceto/

Giovanni Baldini, Monumento per la strage di Berceto, in ResistenzaToscana.it, 2 ottobre 2006

Giovanni Baldini, Monumento per la strage di Berceto, in ResistenzaToscana.it, 2 ottobre 2006

Il nome del partigiano Mauro Chiti è riportato anche su una lapide in ricordo dei cittadini caduti, posta sul Municipio di Carmignano, presso Prato, luogo da cui proveniva [25].

Lapide del municipio, Comune di Carmignano (PO). Fonte: Giovanni Baldini, Lapide del municipio di Carmignano, Memo, 2007, https://memo.anpi.it/monumenti/59/lapide-del-municipio/

Nell’aprile del 2013, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito al comune di Rufina la Medaglia di Bronzo al Merito Civile per l’opposizione al fascismo e per il sacrificio pagato con l’eccidio di Berceto, «nobile esempio di spirito di sacrificio e di amor patrio» [26].

Ogni anno, in occasione dell’anniversario dell’eccidio, l’amministrazione comunale di Rufina organizza a Berceto una commemorazione delle vittime.

Tomba delle donne di Berceto, Comune di Rufina (FI). Fonte: Giovanni Baldini, tomba delle donne di Berceto, 2005, https://memo.anpi.it/monumenti/430/tomba-delle-donne-di-berceto/

Il 4 gennaio 1945, qualche mese dopo la liberazione di Firenze, al partigiano Guglielmo Tesi venne intitolata una strada a Campi, quella che un tempo era Via delle Lame [27] e dal 1947, in suo ricordo, si organizza una corsa ciclistica, la cosiddetta Coppa Guglielmo Tesi [28]. Il suo nome compare, inoltre, sul monumento ai caduti di Campi.

Monumento ai caduti e ai deportati, Comune di Campi Bisenzio (FI) Fonte: Fulvio Conti, Monumento ai caduti e ai deportati del Comune di Campi Bisenzio, 2007, https://memo.anpi.it/monumenti/51/monumento-ai-caduti-e-ai-deportati/

Stando a recenti notizie di cronaca, a Berceto potrebbero essere effettuati presto lavori di restauro per conservare la memoria di quel luogo, come Vangelisti desiderava e come la figlia Vera ha a lungo sperato [29].

Berceto oggi (https://ecomuseomontagnafiorentina.it/siti-di-interesse/berceto/)

Note:

  1. Bernardi Renzo, Conti Fulvio, Risi Mendes, Rizzo Vincenzo (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, Comune di Campi Bisenzio, Campi Bisenzio, [2005], pp. 30-31
  2. Ivi, p. 31
  3. Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, Pacini, Pisa, 2024, pp. 313-314
  4. Ivi, p. 314
  5. La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) fu una forza armata istituita dalla Repubblica Sociale Italiana l’8 dicembre 1943 con compiti di polizia interna e militare.
  6. Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, 315-316
  7. Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, Francesco Fusi (a cura di), https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]; sulla vicenda vedi anche Casalini, Giovanna, L’eccidio nazifascista di Berceto a Rufina, in Del Buffa, Roberto (a cura di), Cronache di guerra fra Arno e Sieve (1943-1944), Pagnini, Gorgonzola, 2011, pp.63-65
  8. Bernardi R., Conti F., Risi M., Rizzo V. (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, cit., p. 37
  9. Vangelisti Lazzaro, Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014, p. 75
  10. Bernardi R., Conti F., Risi M, Rizzo V. (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, 37
  11. Ivi, , p. 37
  12. Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, , p. 316
  13. Ivi, cit., p. 317
  14. Ivi, pp. 317-318
  15. s., “Un libro verità sulla morte di Guglielmo Tesi. La strage di Berceto dell’aprile 1944 ha avuto sorprendenti strascichi giudiziari”, in PrimaFirenze, https://primafirenze.it/altro/un-libro-verita-sulla-morte-di-guglielmo-tesi/ [consultato nel mese di giugno 2024]
  16. Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, 318
  17. Pinzani, Mauro, Prefazione, in L. Vangelisti, Una vita trascorsa sotto tre regimi, p. 9
  18. Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, 321-322
  19. Vagelisti Vera, La strage di Berceto, DEA, Firenze, 2013; Vangelisti Lazzaro, Una vita trascorsa sotto tre regimi, Firenze, Consiglio regionale della Toscana, 2014 [1ª edizione 1979]
  20. Fusi, Francesco, Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944,, p. 322
  21. Vangelisti L., Una vita trascorsa sotto tre regimi, cit., p. 70
  22. Citazione di Marzia Toci del Medico, in A.s., “Un libro verità sulla morte di Guglielmo Tesi. La strage di Berceto dell’aprile 1944 ha avuto sorprendenti strascichi giudiziari”
  23. nota 61, in Fusi, F., Comunità in guerra. Valdisieve 1940-1944, p. 322
  24. Atlante stragi nazifasciste, Berceto, Rufina, Francesco Fusi (a cura di), https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2308 [consultato nel mese di maggio 2024]
  25. Ibidem
  26. Ibidem
  27. Bernardi R., Conti F., Risi M., Rizzo V. (a cura di), Guglielmo Tesi nella memoria di Campi Bisenzio, pp. 47-50
  28. Ivi, pp. 51-77
  29. Bartoletti, Leonardo, “La casa di Berceto restaurata dalla proprietà Frescobaldi”, La Nazione, 23 aprile 2023, https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/la-casa-di-berceto-restaurata-dalla-proprieta-frescobaldi-f730c3b4 [consultato nel mese di maggio 2024]

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di luglio 2024.