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Le Scuole Leopoldine, scenario di violenze e anticamera della deportazione nei lager nazisti.

Nei resoconti che parlano della secolare storia delle Scuole Leopoldine di piazza Santa Maria Novella a Firenze, dove oggi si trova il Museo Novecento, difficilmente si scopre ciò che vi accadde nel 1944, quando l’edificio fu requisito dalle truppe germaniche di occupazione. Pochi sanno che qui, come reazione furente allo sciopero generale dei primi di marzo del 1944 indetto dal Comitato di Liberazione nazionale, furono concentrati, interrogati, registrati e quindi deportati nel lager nazista di Mauthausen le lavoratrici e i lavoratori scioperanti, arrestati dai militi della Repubblica Sociale Italiana insieme a persone rastrellate per strada in modo indiscriminato a Firenze e in provincia, in particolare nel pratese e nell’empolese[1].
Prima esplicita opposizione di massa al fascismo, questo sciopero è considerato dagli storici, per le sue dimensioni e ripercussioni, uno degli eventi più straordinari della resistenza civile europea. Alcune fonti stimano circa 500.000 aderenti. Gli organizzatori parlarono di un milione di partecipanti, le autorità nazifasciste di circa 200.000[2]. Le reazioni dei nazisti e dei fascisti repubblicani furono immediate. Nonostante la rinuncia ad eseguire l’ordine di Hitler di deportare il 20% degli scioperanti, derivante dalle condizioni in cui si trovavano le forze occupanti e dalla volontà di evitare azioni che avrebbero prodotto sollevazioni popolari ancora maggiori[3], i costi umani furono elevati, anche a causa della complicità e fattiva collaborazione della milizia fascista e di una parte dei dirigenti d’azienda.
Per i nazisti, ogni occasione di repressione e pretesto di rappresaglia era utile per deportare in massa uomini e donne in grado di lavorare a favore dell’industria bellica del Reich. Oltre a costituire un forte deterrente da possibili ulteriori azioni di lotta o resistenza civile, le deportazioni avevano infatti anche l’obiettivo di trasferire in massa manodopera da ridurre in schiavitù.
In Toscana[4], come nel resto dell’Italia centro-settentrionale, la repressione fu dura: i rastrellamenti furono indiscriminati, si arrestarono gli operai che avevano scioperato ma anche quelli che non avevano scioperato, nonché impiegati, professionisti e perfino ignari passanti[5]. I fascisti effettuarono i rastrellamenti a Empoli, a Prato e nel centro di Firenze, soprattutto nel rione di San Frediano. Del rastrellamento e «invio in Germania di alcune centinaia» troviamo traccia nel rapporto della Militärkommandantur (Comando militare) di Firenze del 13 marzo 1944, in cui si parla dell’arresto di «elementi perturbatori pericolosi» e si sottolinea «l’energico intervento delle autorità italiane». Inquietante è inoltre il riferimento alla preparazione di «liste»[6], che furono in effetti messe a punto da molte aziende in cui erano avvenute astensioni dal lavoro[7].
Centinaia furono i fermati in provincia, arrestati per strada, prelevati da casa o direttamente dalle fabbriche e rinchiusi in luoghi di raccolta (spesso nelle caserme dei Carabinieri o nelle Case del Fascio, a Prato nella Fortezza medievale del Castello dell’Imperatore, sede della Guardia Nazionale Repubblicana), dove avvennero le prime selezioni. Gli arrestati in provincia furono poi portati a Firenze con i pullman o con degli autocarri, e «scaricati» davanti al grande edificio delle Scuole Leopoldine in Piazza Santa Maria Novella, centro di raccolta regionale dove erano state già condotte le persone rastrellate in città. Molti sopravvissuti al loro ritorno dai lager hanno riferito del grande beffardo cartello che era affisso sul palazzo: «Operai volontari per la Germania».
Documenti originali che si trovano all’Archivio Storico del Comune di Firenze, emersi solo molto recentemente grazie alla collaborazione dell’Archivio stesso, attestano che le autorità tedesche di occupazione che avevano requisito l’edificio, lo avevano classificato come «Sammellager», cioè letteralmente ‘campo di raccolta’[8], facendo sì che anche questo edificio entrasse a far parte dell’articolato sistema concentrazionario nazista. Alle Scuole Leopoldine si svolsero nei giorni 7 e 8 marzo 1944 le prime schedature e i primi interrogatori da parte delle SS, aiutati da un interprete. Ebbe un ruolo importante anche il Reparto Servizi Speciali della RSI comandato dal criminale fascista Mario Carità, che molti testimoni dicono di aver visto in quei giorni nei corridoi e nelle aule dell’edificio. Alcuni fermati furono rilasciati grazie ad interventi vari, altri ancora riuscirono a fuggire. La mattina dell’8 marzo 1944 la piazza era gremita di persone alla ricerca di notizie dei propri familiari. Le donne, pur avendo partecipato in gran numero allo sciopero, vennero escluse dalla deportazione[9] e rilasciate, mentre 338 uomini furono portati nel pomeriggio alla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella poco distante e, stipati nei vagoni piombati già predisposti, deportati nel lager di Mauthausen (dove arrivarono l’11 marzo) e nei suoi sottocampi, tra i più terribili dell’intero sistema concentrazionario nazista. Sopravvissero in 64, cioè il 19%.
Poco è pubblicato nei libri di storia locale sull’argomento delle Scuole Leopoldine come centro di raccolta degli arrestati nel marzo 1944, la cui vicenda è documentata al Museo della Deportazione e Resistenza di Prato[10]. Molto si trova però nella memorialistica, in particolare all’interno del corpus di interviste ad ex-deportati raccolte dal Prof. Andrea Devoto alla fine degli anni ’80 in collaborazione con l’ANED[11], l’Associazione Nazionale Ex-Deportati nei campi nazisti, nelle sezioni di Firenze, Prato, Empoli e Pisa, che si adopera da decenni per conservare la memoria della deportazione politica.
Il 6 marzo 2017, la Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato, in collaborazione con l’ANED Toscana, l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, il Comune di Firenze/Museo Novecento e la Regione Toscana, ha realizzato per la prima volta negli spazi del Museo Novecento (Ex Scuole Leopoldine) un evento di approfondimento storico dal titolo La memoria di un luogo: marzo 1944, arresti e deportazione, cui è seguita la lettura teatrale, a cura del Teatro d’Almaviva, di brani di interviste a testimoni sopravvissuti ai lager. Tra queste si ricorda quella di Roberto Castellani, per molti anni presidente della sezione ANED di Prato:

Noi (di Prato) ci presero e ci portarono in Fortezza, lì dai repubblichini, poi ci prese un pullman e ci portarono in piazza Santa Maria Novella alle Scuole Leopoldine, la sera; s’arrivò lì e trovai altre persone che erano già state prese a Prato e tra questi ci trovai anche il Pitigliani, che lui era ebreo, pensi che situazione! Lo conoscevo. Disse «Oh Castellani, ci sei anche te?» E io ebbi un po’ di paura e dissi: «Icché ci fanno?» «Eh, non ci fanno nulla, stai tranquillo domani ci mandano via tutti, o forse, dice, ci manderanno a fare dei fossati a fare delle trincee». Viene la mattina presto un maresciallo delle SS e ci fanno un interrogatorio, persona per persona. Mi chiamano, e mi domandano «Te che hai fatto lo sciopero?» «Sì», I’avevo fatto, non avevo mica nulla da nascondere, dice «Che mestiere tu fai?» «Lavoro alle filande» «Va bene, lo sai, dice, che è proibito fare lo sciopero?» «Mah, io non lo so, mi dissero di fare festa e feci festa, ecco», e basta. Mi dissero «Vai via» e mi mandonno via; suppergiù le solite domande le fecero a tutti. La mattina dell’8 marzo arrivarono tanti altri, tanti tanti, più che la sera, furono presi nelle fabbriche…[12] .

Fiorello Consorti, altro testimone, ricorda:

E invece la mattina dissero: «Mettetevi lì!» Ci si mise lì, ce n’era degli altri: s’aspettò e poi ci portarono via. Fui uno degli ultimi ad essere preso, e ci portarono in fortezza … poi ci portarono a Firenze, in questa scuola qui, c’era scritto «Lavoratori volontari», un cartellone di propaganda … fanno come tutti, vede: loro fanno uguale: mettono i cartelli per far credere quello che vogliono ma invece non è in quella maniera. Ci scaricarono tutti lì, perché gli autobus li appoggiarono a quegli scalini, aprivano gli sportelli, un repubblichino fuori col mitra, e ci scaricarono tutti sul sagrato e ci misero dentro, e dentro c’era un cortile col loggiato[13].

Anche Alberto Ducci, per molti anni presidente della sezione ANED di Firenze, era stato portato alle Scuole Leopoldine. Questi i suoi ricordi:

E così la mattina ci han fermato in piazza Dalmazia a Firenze e ci hanno chiesto i documenti a tutti e tre: gli altri due li hanno rimandati, e me mi hanno detto che dovevo seguirli perché il prefetto mi doveva parlare. Questi documenti li han controllati in un elenco che avevano questi repubblichini, dopo di che mi han fatto salire su un camion militare, dove ho trovato altri repubblichini con tanto di mitra, e altri sventurati, una decina o 12, ci hanno portato giù alle Scuole Leopoldine in piazza Santa Maria Novella. C’erano tantissime persone, mi ricordo questo: di un certo Ballerini, di Campi, che fin dall’inizio cercò di farci un po’ di coraggio. Ricordo ci trovai un repubblichino di Bagno a Ripoli, un certo Calosi, e mi permisi di dirgli, «Guardi, la mi conosce, io non ho fatto nulla» e lui mi gridò che ero un traditore, insomma, e roba del genere, e quindi non ci fu nulla da fare: anzi, poi dissero che ci avevano messo nel gruppo delle facce sospette, giù, mentre si scendeva dalle aule che eravamo ai piani superiori, ci sistemarono a gruppi giù in questa specie di giardino al piano terra, e di lì dissero che eravamo delle facce sospette, ci fecero partire a gruppi, non mi ricordo, di 15, di 20, per farci salire sui camion, e quando passavamo davanti ci sputavano addosso, insomma, ce ne facevano di tutte[14].

Questo invece il racconto di un altro presidente della sezione ANED di Firenze, Mario Piccioli:

Fui preso, perché il giorno avanti presero mia madre che lavorava alla cartiera Cini in via Arnolfo. Lì c’era una grande fabbrica di cartotecnica e grafica, e appunto per gli scioperi che fecero furono prese diverse, che erano quasi tutte donne. E difatti la sera noi s’era a casa, e questa donna la ‘un tornava. E allora, che si fa, che non si fa? Dopo la mia zia ci avvisò che queste donne erano state portate alle Scuole Leopoldine in Piazza Santa Maria Novella. […] Quando siamo dentro alle scuole (un repubblichino) mi porta su; queste donne l’erano tutte in un’aula, no? e quelle altre erano piene di uomini che avevano preso da Prato, da Empoli, dalle fabbriche. Mi buttarono dentro un’aula con loro. Dopo un poco, gli fo a un carabiniere. «Per piacere, sento piangere, c’è una stanza dove ci sono delle donne, ci deve essere anche la mi’ mamma, sicché già che sono qui …». M’accompagnò. Difatti c’erano tutte le donne della fabbrica e c’era anche mia madre ma passarono solo due minuti perché mi sentii riacchiappare per il colletto e portare via. Poi mi portarono da una signorina a una macchina da scrivere, era tedesca, ma parlava un poco d’italiano, e ci chiedeva i connotati e scriveva. Verso mezzogiorno ci dettero, a quell’epoca c’era i filoncini lustri di 300 grammi, un filoncino per uno e un pochino di formaggio. Allora si cominciò a dire, non ci lasciano andare, perché ci danno da mangiare! E difatti dopo un po’ venne uno della milizia: «Voi traditori della patria pagherete caro!». Chiamarono 20 di noi, io non c’entrai fra questi, loro andarono via e noi si aspettò. Dopo quello della milizia ritorna, la solita musica: altri 20 e io entrai in questa mandata. La piazza era piena e c’era preparato un camion con quattro Tedeschi, uno per lato, e noi 20 ci buttarono sopra; imboccarono da piazza Santa Maria Novella, quella stradina lì, Via degli Avelli, poi al bagagliaio della stazione dalla parte di dietro, di via Alamanni. Salirono su con questo camion e s’andette proprio dentro alla stazione. E lì c’era un mare di Tedeschi, una tradotta bell’e preparata, tutto il convoglio, e ci buttarono dentro un vagone bestiame[15].

Tra gli arrestati c’era inoltre Piero Scaffei, che a proposito delle vicende del marzo 1944 ricorda:

Ecco, una volta entrato nelle Scuole Leopoldine, dove c’è gli archi, dove ora c’è la nostra lapide, non si riuscì più. Mi presentai lì, c’era una signorina a un tavolo, tedesca, non so, o italiana che parlava il tedesco, questo non lo so. Dalle Scuole Leopoldine montai sul camion anch’io e mi portarono alla stazione di Santa Maria Novella […]. C’era i carri bestiame già tutti pronti, brum. Carri bestiame, niente, nudi e crudi. Tutti s’aspettava, tutti pensavano, «Ci manderanno a Cassino a fare trincee” perché il fronte era a Cassino in quel momento. Poi quando vidi che si andava verso Prato dissi “ma qui si va in su, si va al nord»[16].

È importante che cittadini, turisti e studenti conoscano questo luogo della memoria, poco noto come tale. Nonostante una piccola targa, posta sulla parete interna del loggiato, renda il giusto omaggio alle vittime, occorre spiegare cosa avvenne al suo interno. La memoria passa infatti anche attraverso la conoscenza di edifici che, come questo, furono scenario di persecuzione e anticamera dell’estrema violenza e della morte nei lager.

 

Note

1. Si veda sul tema il saggio da cui sono tratte parti del presente contributo: C. Brunelli e G. Nocentini, La deportazione politica dall’area Firenze, Prato ed Empoli, in Il libro dei deportati. Volume II. Deportati, deportatori, tempi, luoghi, a cura di B. Mantelli, Mursia, Milano 2010, pp. 620-658.
2. L’importanza dello sciopero fu compresa già allora dalla stampa statunitense. Il 9 marzo 1944 il “New York Times” (che parlò di svariati milioni di scioperanti) scrive: «In fatto di dimostrazioni di massa non è mai avvenuto nulla di simile nell’Europa occupata che possa somigliare alla rivolta degli operai italiani». Anche il giudizio degli storici dei nostri tempi non differisce molto da questa analisi: «Come dimostrazione politica, lo sciopero generale ebbe una grandissima importanza. Fu la più grande protesta di massa con la quale dovette confrontarsi la potenza occupante: attuata dimostrativamente senza aiuti dall’esterno, senza armi ma con grande energia e sacrifici. Fu il più grande sciopero generale compiuto nell’Europa occupata dai nazionalsocialisti». Si veda L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 225.
3. Ivi, pp.221-222. Si veda anche, a questo proposito E. Collotti, L’occupazione tedesca in Toscana, in Storia della Resistenza in Toscana, vol. I., a cura di M. Palla, Carocci, Roma 2006, pp. 85-146.
4. Per maggiori informazioni sugli scioperi in Toscana si rinvia a: F. Taddei, Il Pignone di Firenze 1944/1954, La Nuova Italia Editrice (Toscana Sindacato), Firenze 1980; in particolare L. Malgalaviti, Il Pignone tra Resistenza e ricostruzione, pp.119-144, che a p.128 testimonia come alle famiglie dei deportati il Pignone avesse inviato il 27 marzo 1944 lettere di licenziamento per «assenza arbitraria dal lavoro». Si vedano inoltre: L. Mancini, Le sigaraie: lavoro e organizzazione produttiva nella Manifattura tabacchi di Firenze fra Resistenza e dopoguerra, in Ricerche storiche, Edizioni Polistampa, Firenze gennaio-aprile 2004; Era la Resistenza. Il contributo di Empoli alla lotta contro il fascismo e per la liberazione, a cura di P. L. Niccolai e S. Terreni, Giampiero Pagnini Editore, Firenze 1995; M. Carrai, Lotte sindacali e democrazia: 1919-1948, p. 122, in La tradizione antifascista ad Empoli 1919-1948, atti del convegno (Empoli, 23 aprile 2004), a cura di P. Pezzino, Pacini Editore, Pisa 2005; M. Di Sabato, Il sacrificio di Prato sull’ara del Terzo Reich, Editrice Nuova Fortezza, Livorno 1987.
5. Gli stessi occupanti, nel rapporto della Militärkommandantur di Firenze del 13 aprile 1944 a poco più di un mese dal giorno della deportazione, ammisero che «un notevole numero (…) di italiani, del tutto innocenti, è stato deportato in Germania senza ragione». Toscana Occupata. Rapporti delle Militärkommandanturen, introduzione di M. Palla, Leo S. Olschki, Firenze 1997, p.143.
6. «Incitati dalla propaganda nemica e inaspriti dalla penuria di generi alimentari i lavoratori hanno tentato di scioperare anche nella provincia di Firenze, particolarmente a Prato, ad Empoli e nella stessa Firenze in diverse fabbriche. L’energico intervento delle autorità italiane, sollecitate dal Comando militare, e in particolar modo l’invio in Germania di alcune centinaia tra gli elementi perturbatori più pericolosi hanno fatto sì che l’agitazione ben presto rientrasse e il lavoro venisse ripreso. Attualmente nelle aziende nelle quali si è scioperato si preparano liste di nominativi degli scioperanti e tra questi si segnalano in particolar modo i sobillatori, allo scopo di poter disporre di materiale per arresti per future occasioni». Ivi, p. 116.
7. Esempi di liste con nomi di operai scioperanti sono conservate in copia al Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza di Figline di Prato.
8. Si veda presso l’Archivio Storico del Comune di Firenze (ASCFi), Fondo Scuole Leopoldine, Affari spediti 1944, coll. SL 91, in particolare il documento a firma del tenente colonnello della Wehrmacht Gieseke del Comando germanico di Piazza di Firenze riguardante la «Requisizione di edifici per scopi di impiego nel lavoro» (Arbeitseinsatzzwecke). Di seguito la traduzione testuale della lettera datata 2 marzo 1944: «Le Scuole Leopoldine a Firenze Piazza Santa Maria Novella n. 10 sono da subito requisite per la Wehrmacht tedesca. La scuola è a disposizione della sezione amministrativa militare del lavoro come campo di raccolta (Sammellager) per manodopera italiana destinata al trasferimento in Germania».
9. Si veda il racconto di Mario Piccioli, contenuto in M. Piccioli, Da San Frediano a Mauthausen, a cura di B. Confortini, comune network, Firenze 2007.
10. Il museo, voluto fortemente dai sopravvissuti pratesi ai lager di Mauthausen ed Ebensee e inaugurato il 10 aprile 2002, è una delle poche strutture in Italia ad essere dedicata in modo specifico alla memoria della deportazione nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
11. cfr. La Speranza Tradita. Antologia della deportazione politica toscana, a cura di I. Verri Melo, Pacini Editore, Giunta regionale Toscana, Firenze 1992, con un’appendice inserita nella seconda edizione del febbraio 2014, a cura della Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato con le biografie dei testimoni intervistati, tra cui quelle che seguono nelle note.
12. Operaio al lanificio San Martino di Prato, fu arrestato in piazza San Francesco a Prato il 7 marzo 1944 nell’ambito di una retata effettuata in seguito agli scioperi. Come molti altri pratesi, Castellani si era recato nel centro cittadino per verificare gli effetti di un bombardamento alleato che si era abbattuto sulla città. Detenuto nella Fortezza di Prato (sede della Guardia Nazionale Repubblicana) e alle Scuole Leopoldine di Firenze, a Mauthausen fu classificato come deportato politico (Schutzhaft), ricevendo il numero di matricola 57.027. Il 25 marzo 1944 venne trasferito al sottocampo di Ebensee dove fu assegnato ad una squadra che curava i giardini delle SS. Successivamente, dopo aver disertato il lavoro per restare accanto ad un amico malato, fu inviato per punizione a lavorare nelle gallerie. Liberato ad Ebensee il 6 maggio 1945 dall’esercito americano, è stato un testimone instancabile, prodigandosi per l’istituzione del gemellaggio della pace tra Prato ed Ebensee e per la creazione del Museo della Deportazione di Prato. R. Castellani, Intervista del 20 aprile 1988, in Fonti, 4. 9. 14. 16. 20. 28.
13. Rivedibile alla visita di leva, Fiorello Consorti lavorava come operaio in una ditta tessile a Prato. Arrestato da un carabiniere e dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana l’8 marzo 1944 in via Mazzoni, fu detenuto nella Fortezza di Prato (sede GNR) e alle Scuole Leopoldine di Firenze. Arrivato a Mauthausen, fu classificato come deportato politico (Schutzhaft), ricevendo il numero di matricola 57.076. Trasferito al sottocampo di Ebensee, dove fu assegnato al lavoro nelle gallerie come operaio semplice, fu liberato il 6 maggio 1945 dagli americani. F. Consorti, Intervista del 24 giugno 1988, in Fonti, 4. 9. 14. 16. 20.
14. Ducci, che al momento dell’arresto lavorava come operaio, fu classificato come deportato politico (Schutzhaft) a Mauthausen, dove ricevette il numero di matricola 57.101. Il 25 marzo 1944 venne trasferito ad Ebensee, dove lavorò dapprima all’ampliamento del campo e successivamente nelle gallerie. Liberato il 6 maggio 1945 dall’esercito americano, si è adoperato attivamente per tenere viva la memoria della deportazione. A. Ducci, Intervista del 22 marzo 1988, in Fonti 4. 9. 16. 19. 20.
15. Commesso in una pizzicheria, Piccioli fu arrestato la mattina dell’8 marzo 1944 da un agente in borghese della Guardia Nazionale Repubblicana in piazza Santa Maria Novella, dove si era recato per cercare la madre, arrestata la sera prima per aver partecipato allo sciopero e reclusa nel centro di raccolta alle Scuole Leopoldine. La madre fu rilasciata insieme alle altre donne. Mario invece fu deportato lo stesso giorno nel campo di concentramento di Mauthausen. Numero di matricola 57.344, fu classificato come deportato politico (Schutzhaft). Il 25 marzo 1944 venne trasferito ad Ebensee, dove fu assegnato al lavoro nelle gallerie come operaio semplice. Il 10 settembre 1944 venne trasferito nel sottocampo di Linz III e impiegato in lavori esterni, soprattutto nel trasporto merci. Durante un bombardamento alleato alla fine del 1944 il rifugio della sua squadra di lavoro venne colpito. Di trentadue uomini se ne salvarono solo quattro, tra cui Mario, che, ferito ad una gamba, fu trasferito in infermeria. Liberato il 5 maggio 1945 dall’esercito americano, si è adoperato attivamente per tenere viva la memoria della deportazione. M. Piccioli, Intervista del 28 gennaio 1988, in Fonti 4. 8 n.3-5/2010. 9. 16. 20. 23. 28.
16. Arrestato l’8 marzo 1944 in piazza Santa Maria Novella, Scaffei fu deportato lo stesso giorno. Classificato come deportato politico (Schutzhaft), ricevette il numero di matricola 57.399. Il 25 marzo 1944 venne trasferito ad Ebensee, dove lavorò come manovale all’esterno delle gallerie. Il 16 maggio 1944 fu ricoverato in infermeria in seguito ad un’infezione alla mano e successivamente trasferito nel Sanitätslager (infermeria) di Mauthausen. Probabilmente a metà agosto 1944 venne nuovamente trasferito a Linz III. Liberato il 5 maggio 1945 dall’esercito americano, si è adoperato attivamente per tenere viva la memoria della deportazione. P. Scaffei, Intervista del 21 gennaio 1988, in Fonti 4. 9. 16. 20.




RAM: Rifugio Antiaereo della Martana – Massa Carrara

RAM – Rifugio Antiaereo della Martana

Che cos’è il RAM?

Il RAM è un rifugio antiaereo recuperato e riaperto dal Comune di Massa nel 2006, con la volontà di preservare un luogo di memoria legato alla Seconda guerra mondiale. Il rifugio antiaereo della Martana è uno dei rifugi pubblici costruiti durante la seconda guerra mondiale nella città di Massa con lo scopo di dare riparo alla popolazione durante gli attacchi aerei alleati. Situato in una delle zone più popolose del centro storico, il rione della Martana, a poca distanza dalla vecchia sede del municipio e dalla piazza del mercato cittadino, venne costruito a partire dalla metà del 1942 e completato poco più di un anno dopo.

Dov’è?
Il rifugio si sviluppa per circa 350 metri a partire da metà di via Bigini fino a metà di via Prado, è costituito da una galleria scavata nella roccia ed in parte rivestita di calcestruzzo. All’interno del rifugio sono esposti manifesti e bandi del ventennio fascista relativi ai comportamenti da tenere in caso di attacco aereo, e foto della città di Massa dopo i bombardamenti angloamericani.

È inoltre possibile vedere il dvd Di Terre Ferite realizzato dall’associazione culturale Sancio Pancia nell’ambito del progetto del Comune di Massa “Per non dimenticare – un ponte sulla memoria fra Italia e Polonia”, cofinanziato dall’Unione Europea. Il dvd raccoglie le interviste di quattordici testimoni dei bombardamenti avvenuti sulla città di Massa nel corso della II Guerra Mondiale.

 Orari di apertura:

Fino al 14 settembre 2019:
tutti i venerdì e sabato sera dalle ore 21 alle ore 24.
Dal 21 settembre al 28 dicembre 2019:
tutti i sabato pomeriggio dalle ore 16 alle ore 18.

Ingresso gratuito.

Info:
Comune di Massa
Ufficio della Memoria, Palazzo comunale via Porta Fabbrica, 1 – 54100 Massa
Telefono: 0585.490467 – fax 0585.45603   URP: numero verde 800 013846

Oppure:
Associazione Culturale Sancio Pancia
sanciop.ms@gmail.com
Cellulare: 329.0227861




Poggio alla Malva

L’11 giugno 1944, un gruppo di partigiani guidati da Bogardo Buricchi fece esplodere 8 vagoni carichi di esplosivo che si trovavano in sosta su un binario morto fra il paese di Poggio alla Malva e la piccola stazione ferroviaria di Carmignano.
L’esplosivo proveniva dallo stabilimento Nobel, situato appena al di là della stazione.Nel 1944 lo stabilimento Nobel produceva materiale bellico al servizio dei tedeschi nel loro estremo tentativo di bloccare l’avanzata degli alleati e di distruggere le realtà produttive dell’Italia. Il materiale esplosivo, in procinto di essere inviato a destinazione, avrebbe potuto servire, secondo alcune ipotesi, alla distruzione dei macchinari delle fabbriche di Prato, oppure ad obiettivi sulla costa toscana, facilmente raggiungibili per ferrovia.L’azione partigiana, a lungo meditata dal gruppo che faceva capo a Bogardo Buricchi, aveva l’obbiettivo di eliminare l’esplosivo e sventare i disegni distruttivi delle forze d’occupazione tedesche, favorendo, con questa ed altre precedenti azioni di sabotaggio (taglio di fili elettrici e telefonici, danneggiamenti alla ferrovia) l’avanzata degli alleati che, dopo la conquista di Roma (4 giugno 1944) si trovavano ormai ai confini della Toscana.L’azione riuscì, maquattro partigiani persero la vita: il capo del gruppo Bogardo Buricchi, il fratello Alighiero, Ariodante Naldi, tutti fra i 20 ed i 25 anni ed il più anziano del gruppo, Bruno Spinelli, 43 anni, morti per le conseguenze della violentissima esplosione.La SAP (squadra di azione partigiana) “Fratelli Buricchi”” si era formata nell’ottobre 1943 per iniziativa di Bogardo Buricchi; operò nella zona del Comune di Carmignano compresa fra il Montalbano e la valle dell’ Arno, ebbe contatti con i partiti politici del C.L.N. di Prato e di Firenze attraverso Loris Cantini, commissario politico di zona.Non ebbe contatti diretti con il Comando Italiano e con il Comando degli Alleati, agiva in conformità delle direttive impartite da Loris Cantini.Bogardo Buricchi ne fu il primo Comandante dal 1 ottobre 1943, data di costituzione, fino all’11 giugno 1944, giorno della sua morte.Dall’11 giugno 1944 al 3 settembre 1944 , data della Liberazione, ne fu Comandante Umberto Moretti.Ne fecero parte: Bogardo e Alighiero Buricchi, Lido Sardi, Bruno Spinelli e Mario Banci, abitanti alla Serra, Ariodante Naldi, Ruffo del Guerra, Enzo Faraoni, abitanti a Poggio alla Malva, e poi Giuseppe Cardini, Umberto Pinferi, Attilio Bellini, Umberto Moretti, Daniele Gori, Bruno Castagnoli, Rizzieri Buricchi, Emilio Mainardi, Silvano Borchi, Gualtiero Giovannelli,Giuseppe Cardini, tutti ad esclusione di Gori, di Carmignano.La squadra non aveva alcun equipaggiamento militare se non le armi (1 mitra, 11 moschetti, varie rivoltelle e bombe a mano) che furono in parte acquistate con un finanziamento del C.L.N.La squadra si specializzò in azioni di sabotaggio delle linee di comunicazione nemiche, nella stampa e diffusione di manifesti di propaganda antifascista. Nel marzo 1944 organizzò lo sciopero dei contadini che si rifiutarono di portare all’ammasso una rata supplementare di grano e per impedire le verifiche annonarie da parte delle autorità nazifasciste, incendiò l’ufficio accertamenti agricoli del Comune.La notte del 30 aprile 1944 Bogardo Buricchi, con il fratello Alighiero e Lido Sardi, issò la bandiera rossa sulla torre del Campano di Carmignano, divellendo nella discesa i pioli della scala, così la bandiera sventolò nella giornata del I° maggio come una sfida visibile a tutta la pianura.Dopo la liberazione di Roma (inizi di giugno 1944) i partigiani intensificarono le azioni di disturbo ed i sabotaggi in modo da favorire l’avanzata degli alleati.I tedeschi stavano invece attuando un piano di distruzioni. Alla distruzione delle fabbriche di Prato, o ad azioni consimili in qualche città della costa toscana, era destinato sicuramente anche il tritolo contenuto nei vagoni che uscivano dal polverificio Nobel, uno dei più importanti d’Italia.Gli Alleati, consapevoli del suo valore strategico cercarono più volte di colpirlo senza riuscirvi, anche le formazioni partigiane avevano pensato di farlo saltare, desistendo poi dall’intento per le conseguenze catastrofiche che tale azione avrebbe avuto per le popolazioni dei dintorni.Restava la possibilità di sabotare il materiale esplosivo portato fuori dal deposito e lasciato in sosta su un binario apposito prima di essere convogliato a destinazione.Nei primi giorni del giugno 1944 otto vagoni (Umberto Moretti, nella sua relazione datata 16 maggio 1945, parla di 13 vagoni di cui 8 pieni di casse di tritolo pressato per circa 140 tonnellate) sostavano sul binario morto a 400 metri dalla stazione di Carmignano.Quando Enzo Faraoni fece sapere a Bogardo che stavano per partire, Bogardo, che da tempo studiava questo sabotaggio, decise di agire.Si recò alla Catena per avvisare il commissario di zona Loris Cantini, forse anche per avere il permesso definitivo all’azione, ma Cantini era assente, Bogardo lo attese tutto il pomeriggio, poi a sera ripartì con la miccia ed una bomba a tempo che si era fatti consegnare, indispensabili per portare a termine l’azione che gli sarebbe costata la vita.La notte del 10 giugno 1944 si erano dati appuntamento a mezzanotte e mezza alla Cavaccia, una vecchia cava di pietraserena in disuso al di sopra del luogo dove erano fermi i vagoni.Là erano arrivati Bogardo Buricchi e il fratello Alighiero, Lido Sardi, Mario Banci e Bruno Spinelli che abitavano alla Serra, Ariodante Naldi, Enzo Faraoni e Ruffo del Guerra da Poggio alla Malva. Riuniti i suoi uomini, Bogardo li fece scendere in due gruppi in modo da controllare l’inizio e la fine del convoglio, per eliminare, nel caso vi fossero state, le sentinelle di guardia. Per fortuna quella sera c’era una festa alla Nobel ed i soldati tedeschi insieme ai fascisti erano andati tutti là a ballare.Raggiunti i vagoni, mentre gli altri stavano di guardia, Enzo Faraoni spiombò un vagone, Bogardo e Ariodante vi salirono per mettere la miccia e la bomba a tempo che doveva innescare l’esplosione, prelevarono anche una cassetta di esplosivo utile per successive azioni che fu consegnata a Bruno Spinelli che si avviò su per il sentiero che porta alla Cavaccia.Si dice che avessero con se’ anche un fascio di balistite e che aprissero alcune casse di tritolo forse per dare fuoco direttamente al materiale che si trovava nel vagone. Potrebbe anche essere stato questo il motivo dell’esplosione che avvenne prima del tempo.Mentre Bogardo dava il segnale luminoso convenuto per allontanarsi, avvenne la prima esplosione che colpì in pieno Bogardo, Alighiero e Ariodante, mentre Bruno Spinelli, che si trovava già nella strada soprastante, fu scaraventato dallo spostamento d’aria contro un masso dove batté violentemente la testa e morì poche ore dopo in ospedale.Dei tre che erano vicini ai vagoni vennero ritrovati solo poveri resti, disintegrati dalle esplosioni che si succedettero a catena comunicandosi da un vagone all’altro.
Invece Ruffo del Guerra, Enzo Faraoni, Lido Sardi e Mario Banci, anche se feriti ed assordati, riuscirono ad allontanarsi e a tornare alle proprie case.Ruffo del Guerra, ferito seriamente, fu trasportato in ospedale confondendosi con i feriti del paese, e benché sospettato e interrogato riuscì a non essere accusato dell’azione.Anche Enzo Faraoni ebbe bisogno di cure e il suo maestro e amico Ottone Rosai mandò un carro funebre a prelevarlo per portarlo a Firenze dove lo nascose in casa sua.Nel paese di Poggio alla Malva ed in una vasta zona intorno, i danni furono notevoli: le case ebbero i tetti scoperchiati e saltarono porte e finestre, l’esplosione fu sentita benissimo da Prato, Firenze e Pistoia.Venne fatta un’indagine che fu lunga e infruttuosa, non ci furono rappresaglie da parte dei tedeschi, probabilmente la morte dei presunti autori, le devastazioni della campagna e dei paesi intorno fu considerata punizione adeguata.
La linea ferroviaria, che tante volte inutilmente gli aerei degli alleati avevano cercato di colpire, fu definitivamente interrotta dalla larga e profonda voragine aperta dall’esplosione ed il polverificio Nobel, pur non avendo riportato danni gravi, venne chiuso per sempre lasciando l’esercito tedesco in questa zona e in questo momento cruciale della guerra, senza esplosivo. Ogni anno l’11 Giugno l’Amministrazione Comunale di Carmignano ricorda questo episodio con una serie di manifestazioni culminanti nel ricordo dei partigiani che morirono nell’azione, al cippo con i loro nomi, alla presenza dei rappresentanti e dei gonfaloni dei Comuni e delle Province di tutta la Toscana, della Regione, dell’ANPI e di altre istituzioni.
Bogardo ed Alighiero Buricchi, Ariodante Naldi e Bruno Spinelli furono insigniti della medaglia d’argento al valor militare alla memoria agli inizi degli anni 70.




Villa Le Fontanelle

La villa, situata nella parte alta di Careggi, fu un luogo che i tedeschi non violarono e gli Alleati salvaguardarono dai bombardamenti in quanto si trattava di una zona di extraterritorialità. Era la residenza dei marchesi Serlupi Crescenzi. Il critico d’arte di origine ebrea Bernard Berenson, dopo una visita alla villa, decise di rimanere ospite dei Serlupi per sfuggire alle persecuzioni tedesche, si trattenne per un anno.

L’unico evento drammatico che coinvolse la villa avvenne nel pomeriggio del 31 agosto 1944 nel giardino antistante. Sei paracadutisti della retroguardia tedesca trovandosi all’esterno della villa per cucinare un coniglio vengono ostacolati dalla pattuglia liberale di Aristo Ciruzzi, tre tedeschi vengono arrestati, uno muore e due restano feriti.




Teatro della Pergola

La mattina del 31 gennaio 1944  alle ore 11 al il Teatro la Pergola avvenne un attentato ad opera di un Gruppo di Azione Patriottica (GAP) composto da quattro persone tra cui una donna. Il teatro era pieno di fascisti e cittadini riuniti in una cerimonia pubblica per ascoltare le parole di commemorazione di Gino Meschiari sui “martiri delle foibe istriane”. Durante la cerimonia esplode una bomba all’interno del teatro ferendo alcuni fascisti e seminando paura. Tra gennaio e febbraio si susseguirono molti attentati ad opera di gappisti che misero in stato d’allarme e difficoltà i fascisti.




Stazione di Santa Maria Novella

Il 6 novembre 1943 i tedeschi fecero una grande razzia di ebrei e tre giorni dopo partì un convoglio carico di ebrei dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella. In novembre avvenne il maggior prelievo di ebrei ad opera di tedeschi, oltre le 70 persone. Mese dopo mese le deportazioni si aggiravano sull’ordine di 30-40 civili al mese. Vi erano arresti per motivi razziali o per motivi politici, i primi erano deportati ad Auschwitz mentre i secondi a Mauthausen.

Dopo l’ordinanza del Repubblica Sociale Italiana (RSI) del 30 novembre gli arresti diventarono di competenza delle forze italiane. Gli scioperi del 3 e 4 marzo 1944 provocarono l’arresto di un gran numero di persone sulla base delle liste di scioperanti e sovversivi, ma anche delle retate effettuate in strada nella provincia di Firenze e Prato. Un nuovo convoglio con 328 persone arrestate partì dalla stazione di Santa Maria Novella l’8 marzo con destinazione Mauthausen.

 




Stazione di Montorsoli

In questa piccola stazione localizzata nei pressi di Sesto Fiorentino, è avvenuto un fatto della storia partigiana che l’ha resa celebre.

Il 4 aprile del 1944 i partigiani del monte Morello occuparono la stazione e assaltarono un treno di viaggiatori (n°2328) che sarebbe dovuto arrivare alle 19.20. Il treno trasportava molti pendolari, studenti e lavoratori che tornavano da Firenze ed erano diretti nel Mugello.

L’azione fu ordinata dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale per bloccare una o più vetture che erano in coda al treno, cariche di militi repubblichini e militari tedeschi. Le vetture erano, con molta probabilità, indirizzate a compiere un rastrellamento anti-partigiano nella zona di Marradi.

Appena arrivò il treno in stazione fu assaltato dai partigiani. I tedeschi si difesero fino a quando non riuscirono a far ripartire il convoglio. Con questa azione i partigiani dimostrarono che le truppe tedesche potevano essere affrontate e il movimento acquisì più solidità rispetto alla fase iniziale.

Durante l’operazione tre partigiani, Carlo Carmonini, Dino Ciolli, Mario Lazzerini, vennero uccisi ed altri feriti.

Sulla parete esterna della stazione vi è una lastra commemorativa a ricordo dei partigiani caduti datata 25 aprile 1973.




Porta Romana

Il 4 agosto del 1944, durante i giorni della liberazione, alle 5 del mattino da Porta Romana arrivò la prima pattuglia degli Alleati. Il popolo entusiasta scese in strada ad accoglierli seguendoli lungo il cammino. Le truppe seguitarono ad entrare in città una dopo l’altra fino a sera. Nello stesso giorno dal rione d’Oltrarno della Colonna arrivò la Brigata Sinigaglia, la Divisione “Arno” guidata da Potente e la brigata Lanciotto.