Sempre per non dimenticare

Il nostro percorso storico, per mantenere viva la memoria, attraverso i luoghi che sono stati teatro della lotta per la Liberazione nella provincia aretina, iniziato con la città di Arezzo e proseguito via via con Molin dei Falchi, Pietramala, San Polo, Badicroce, Palazzo del Pero, Staggiano, Mulinaccio e Chiassa Superiore per giungere alla Valtiberina a Monterchi, Anghiari, Caprese Michelangelo e Badia Tedalda, si conclude, sempre in Valtiberina, con i comuni di Sansepolcro, Pieve Santo Stefano e Sestino, con gli ultimi due completamente rasi al suolo com’erano soliti fare i nazisti durante la loro ritirata verso nord, incalzati dall’avanzata degli Alleati, che costituiscono l’ennesima prova, se ce n’era ancora bisogno, dell’efferatezza e disumana azione messa in atto dai nazisti nelle vallate aretine. Vuoi per ostacolare l’arrivo delle truppe angloamericane, vuoi per vendicarsi di un paese ritenuto traditore, vuoi per la frustrazione che sentivano nel ritirarsi davanti al nemico o per ritorsione nei confronti della popolazione che appoggiava ed alimentava la Resistenza, i tedeschi quando si ritiravano facevano “terra bruciata” dei luoghi che si lasciavano dietro e spesso non solo dei luoghi ma anche di vite umane con stragi ed eccidi perpetrati senza alcuna pietà. E tutto ciò non era frutto di un’improvvisazione casuale, ma calcolato scientificamente dalle autorità germaniche: il famoso befehl di Kesserling del 17 giugno 1944 incitava le milizie tedesche ad uccidere senza ritegno e a mettere a ferro e fuoco tutti i paesi e le città che venivano lasciate alle spalle durante la ritirata.

 

Quest’ultimo itinerario che prende le mosse da Sansepolcro fino a giungere a Sestino percorre parte della Valtiberina toscana, una zona al confine con l’Umbria, le Marche e la Romagna, regioni con caratteristiche diverse che ne hanno influenzato la storia, la cultura ed il paesaggio, lasciando segni ancora tangibili. È un territorio a cavallo tra Tirreno e Adriatico, difficile da raccontare in poche parole poiché non è solo la valle dove è nato il Tevere, che ha designato per millenni la fertile pianura, ma è anche montagna, anzi possiamo dire che sia molto più montagna che pianura. Una specie di “terra di mezzo” ricca di contrasti e di diversità, di storia e di segni di una cultura rurale che in molte parti d’Italia è ormai scomparsa. Un territorio che in larga parte durante la seconda guerra mondiale è stato attraversato dalla Linea Gotica, quel fronte di fortificazioni che tagliava in due lo stivale, e che insieme a tutta la provincia aretina è stato in prima fila nella lotta di liberazione nazionale dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.

 

SANSEPOLCRO

Iniziamo il percorso da Sansepolcro, paese più grande della Valtiberina, che si trova lungo la Superstrada E45, collegamento tra la Romagna e l’Umbria. È velocemente raggiungibile anche da Anghiari, solo 8 chilometri di strada completamente dritta. Si trova a 34 chilometri dalla città di Arezzo ed è situato ai piedi dell’Alpe della Luna.

Il Paese ha dato i natali al pittore rinascimentale Piero della Francesca, nato intorno al 1416. Fra le opere che Sansepolcro ha ricevuto in eredità dal pittore, la Resurrezione è diventata lo stemma della città: un affresco realizzato nel 1460 circa che si trova all’interno del museo civico, a due passi dal Duomo e dal Palazzo Comunale. Ed è grazie a la Resurrezione se furono evitati i bombardamenti e la conseguente distruzione della città nell’estate del ’44 per l’intervento di un uomo innamorato dell’arte.

In Valtiberina sono in molti a conoscere la storia del capitano Antony Clarke, un giovane ufficiale inglese comandante di una batteria di artiglieria dislocata sulle colline a sud di Sansepolcro, che salvò la città dai bombardamenti. Egli, secondo la ricostruzione storica, disobbedì all’ordine di aprire il fuoco sulla città pierfrancescana perché si ricordò della lettura fatta in gioventù del saggio di Aldous Huxley nel quale narrava di un viaggio da Arezzo a Sansepolcro che meritava di essere fatto perché lì in quel paese vi era la Resurrezione di Piero della Francesca, che Huxley descriveva come “la più bella pittura del mondo”. E Clarke pur di non distruggere l’opera disobbedì agli ordini e grazie a questo gesto la città fu salvata dal cannoneggiamento alleato, proprio mentre i partigiani locali riuscirono autonomamente a respingere i tedeschi e prendere il controllo del suo centro storico[1].

Clarke in occasione del ventesimo Anniversario della Liberazione della città fu invitato a Sansepolcro dove fu accolto con grandi festeggiamenti. Ma sedici anni dopo a seguito di una lunga malattia il salvatore della Resurrezione morì e l’anno seguente, nel 1982, la Giunta comunale di Sansepolcro gli intitolò una strada.

 

Sansepolcro dopo l’8 settembre fino al giorno della Liberazione:

Dopo l’8 settembre Sansepolcro visse il dramma dell’occupazione tedesca con i conseguenti rastrellamenti e sfollamenti[2], inoltre la città venne invasa da sbandati di ogni sorta ai quali si unirono i circa 5.000 internati slavi evasi dal Campo di Renicci nella vicina cittadina di Anghiari, molti dei quali si dettero alla macchia per sfuggire dai rastrellamenti tedeschi e molti si arruolarono nelle file della Resistenza.

A Sansepolcro il 19 marzo del ‘44 in seguito all’aggressione di un fascista, con un’improvvisa ordinanza prefettizia, venne decretato il coprifuoco su tutto il territorio comunale con inizio alle ore sei del pomeriggio. Era un giorno di festa, l’ordinanza venne affissa in ritardo e i cittadini per protesta contro l’ennesimo ingiustificato sopruso si riunirono in piazza Berta per protestare, mentre un nucleo corposo di partigiani, per lo più appartenenti alla banda di Eduino Francini[3], avuta notizia, discesero dall’Alpe della Luna e riuscirono ad infiltrarsi in città nella tarda serata. I partigiani approfittarono dell’occasione per effettuare un’azione dimostrativa: assalirono la caserma dei carabinieri, occuparono il telefono pubblico e si appropriarono di un autobus scorrazzando per la città, ma successivamente con l’intervento delle autorità fasciste, che avevano ottenuto i rinforzi da Città di Castello, i partigiani furono costretti a ritirarsi[4].

Gli eventi del 19 marzo – come scrive lo storico Alvaro Tacchini – «suscitarono vasto eco, soprattutto per il significato politico della spontanea protesta di massa contro il regime fascista»[5], e ancora oggi, ogni 19 marzo, la popolazione di Sansepolcro ricorda ciò che successe ottant’anni fa.

 

Monumento che ricorda l’insurrezione del 19 marzo inaugurato nel 2014 nella strada intitolata a tale data.

 

Dopo la giornata del 19 marzo le formazioni partigiane che operavano sul territorio si divisero in tre gruppi: Eduino Francini si mosse verso l’Umbria insieme ai suoi compagni e ad altri ragazzi che si unirono a loro presso la zona di Molin Nuovo, costituendo un gruppo di 18 partigiani; altri tornarono sull’Alpe della Luna, mentre un gruppo si spostò sull’Alpe di Catenaia. Il gruppo di Francini diretto verso Perugia, lungo il tragitto, sostò a Villa Santinelli. Questi occuparono per qualche giorno, con uno stratagemma, la villa qualificandosi inizialmente come militi della Guardia Nazionale Repubblicana e solo dopo, una volta entrati, dichiararono di essere partigiani che avevano bisogno di riposare e di rifocillarsi per qualche giorno. In pratica presero “in ostaggio” l’intera famiglia, ma una volta scoperta la loro presenza, furono assediati e costretti alla resa dalle truppe fasciste coadiuvate da un reparto corazzato tedesco. Dopo un eroico scontro durato oltre diciotto ore, il 27 marzo 1944, Eduino Francini insieme ad altri otto compagni furono barbaramente trucidati, mentre altri riuscirono a fuggire[6].

Nel cimitero comunale di Sansepolcro è presente un sacrario realizzato dal Comune e dalla locale sezione ANPI per dare onorata sepoltura e per ricordare i partigiani fucilati nei rastrellamenti nazi-fascisti a Villa Santinelli; mentre nel luogo dell’eccidio è stata posta invece una lapide commemorativa.

 

Monumento ai partigiani, cimitero di Sansepolcro.

 

Lastra rettangolare di marmo apposta lungo la parete esterna di Villa Santinelli. L’epigrafe, oltre alla comune data di morte, reca incisi i nomi dei nove partigiani caduti.

 

Nell’estate del ‘44 il territorio di Sansepolcro si trovò sulla linea del fronte bellico e gran parte della popolazione si diresse verso le campagne per sottrarsi ai bombardamenti. In città restò il vescovo Pompeo Ghezzi, punto di riferimento per quella parte di popolazione non sfollata, unico autorevole interlocutore degli ufficiali tedeschi, che tentò di ridare un minimo di organizzazione alla vita civile e salvare il borgo dai sabotaggi nazifascisti. Ma, ciò nonostante, i suoi tentativi furono vani: i nazisti distrussero la stazione ferroviaria e l’industria Buitoni che dava benessere e prestigio alla città e demolirono, prima di lasciare il centro abitato, la storica Torre di Berta, uno dei simboli della storia e dell’identità di Sansepolcro[7].

Le truppe tedesche lasciarono il paese prima dell’arrivo degli Alleati che entrarono in Sansepolcro il 3 settembre del 1944.

Una lastra apposta sul muro in piazza Garibaldi nel quarantesimo anniversario dalla Liberazione della città ne ricorda l’evento.

 

Lastra commemorativa 40° anniversario liberazione della città di Sansepolcro, Piazza Garibaldi.

 

Negli anni Settanta vennero istituiti per volere dell’ANPI locale il museo e la biblioteca della Resistenza di Sansepolcro con lo scopo di ricordare quei tragici fatti legati al passaggio del fronte, alla Resistenza e alla Liberazione del paese. La sede del museo si trova oggi in via Matteotti all’interno di un edificio di proprietà comunale.

Sempre negli anni Settanta a Sansepolcro venne realizzato, nel cimitero comunale, il Monumento Ossario che raccoglie gli slavi caduti durante la seconda guerra mondiale nel territorio dell’Italia settentrionale e centrale. Tra gli jugoslavi internati in Italia vi furono i quasi 8.000 che trascorsero mesi in condizioni proibitive nel Campo di concentramento internati civili di Renicci, nel comune di Anghiari.

Da questa iniziativa nacque un rapporto di amicizia con la Jugoslavia che si concretizzò negli anni Ottanta con un patto di gemellaggio con la città croata di Sinj.

 

Sacrario commemorativo dei caduti jugoslavi in Italia, cimitero comunale, Sansepolcro.

 

Sansepolcro negli anni Novanta è stata insignita della medaglia d’argento al valor militare per l’attività partigiana.

 

Percorrendo in direzione nord la Strada statale 3 bis Tiberina (SS3bis) si giunge a Pieve Santo Stefano dopo circa quindici minuti. A nord di Pieve (circa dodici chilometri), in direzione di Verghereto, sono conservate alcune permanenze territoriali legate all’intervento dei cantieri della società di costruzione TODT per l’apprestamento della Linea Gotica.

 

PIEVE SANTO STEFANO E LA CITTA’ DEL DIARIO

Il paese sorge sulla riva destra del Tevere a cinquanta chilometri da Arezzo, situato quasi al confine tra la Toscana, l’Umbria e la Romagna. La cittadina è famosa soprattutto per il suo Archivio Diaristico che si trova all’interno del Palazzo Pretorio, in piazza Plinio Pellegrini, dove sono raccolti diari, epistolari, memorie autobiografiche di vario genere scritti dalla “gente comune”. Non a caso Pieve è denominata la “Città del Diario[8]. L’archivio è stato fondato nel 1984 da Saverio Tutino e si configura quale “vivaio di memorie”, in quanto oltre alla sua attività museale di conservazione vuol far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata. A tale scopo l’Archivio ha istituito un premio letterario volto ad incentivare l’invio di materiali “nascosti nei cassetti” da coloro che amano scrivere. Da allora ad oggi il concorso continua a svolgersi ogni anno in autunno ed ha portato alla premiazione di oltre venti scritti e alla raccolta di numerosi testi pubblicati da vari editori. Nel 2001 è stata inoltre intrapresa una collaborazione con la casa di produzione di Angelo Barbagallo e Nanni Moretti, la Sacher Film, per trasformare alcuni scritti qui conservati nei “Diari della Sacher”, un film-documentario distribuito dalla Warner Bros.

(Per informazioni più dettagliate sulla storia di questo prezioso archivio si consiglia di contattare la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Onlus situata sempre a Palazzo Pretorio).

 

 

 Pieve 1944: Il Paese cancellato

L’8 settembre la popolazione di Pieve Santo Stefano, credendo fosse finita la guerra, si riversò esultante nelle strade e molti osannavano pregando la Madonna dei Lumi che aveva accolto le loro richieste di pace (proprio l’8 settembre ancora oggi il popolo pievano la festeggia ed onora)[9]. Ma purtroppo la guerra non era finita e il peggio doveva ancora arrivare… L’Italia era divisa in due, da sud premevano gli Alleati, mentre al centro-nord la presenza dell’esercito tedesco divenne sempre più opprimente, e anche Pieve Santo Stefano visse il dramma dell’occupazione nazista con i conseguenti rastrellamenti. In più nel dicembre del ’43 si insediò in luogo del podestà un commissario prefettizio della Repubblica Sociale Italiana che andò ad affiancare nel controllo della popolazione e nella repressione il comando tedesco. Nello stesso periodo iniziarono in questa zona i lavori di costruzione della Linea Gotica con il conseguente reclutamento di manodopera locale da parte della società di costruzione Todt. E con la disfatta di Monte Cassino, Pieve Santo Stefano si ritrovò in prossimità del fronte, con i tedeschi in ritirata che attuarono ogni sorta di violenze e saccheggi nei confronti della popolazione. Poi alla fine di luglio il comando nazifascista impartì l’ordine di sfollamento: tutti i residenti dovevano essere deportati a nord, oltre la Linea Gotica, verso Rimini e Cesena e da qui verso la Val Padana; furono fatti viaggiare con convogli notturni per sfuggire ai bombardamenti alleati. La deportazione fu eseguita con particolare brutalità e molte persone furono uccise: «Le famiglie furono smembrate e disperse e obbligate a lasciare tutti i loro averi. La soldataglia si fece padrona di tutte le case, ne forzò i nascondigli, distrusse o sfregiò quello che non poté asportare. Un’intera colonna di autocarri fu addetta a svuotare le case. […] Né l’Ospedale, né il Ricovero per i vecchi furono rispettati: fatti sfollare, vennero adibiti rispettivamente a stazione radio e a deposito di munizioni»[10]. Inoltre, vi fu la distruzione completa del paese, ripetendo quello schema tristemente noto della ritirata, che nell’estremo tentativo di rallentare l’avanzata degli Alleati verso nord, prevedeva lo sbarramento di tutte le vie di transito distruggendo case e ponti. Il paese distrutto faceva parte di quel piano efferato del generale Kesserling: fare “terra bruciata” di tutto il territorio, ordine che riecheggiava ogni qual volta le truppe tedesche erano costrette a ritirarsi verso il nord Italia.  Il 99 percento delle abitazioni del capoluogo fu ridotto ad un cumolo di macerie, si salvarono solamente gli edifici ecclesiastici e parte del Palazzo Pretorio. Alla fine di agosto prima di evacuare il paese i tedeschi fecero saltare tutti i ponti sulla strada nazionale Tiberina 3Bis e posero delle mine nel palazzo comunale e nella torre campanaria che saltarono in aria dopo una decina di giorni che i tedeschi si erano ritirati. “Tra le granate e le bombe degli aerei dell’esercito che avanzava, (…), la nostra Pieve tutta coperta da una coltre di polverone e fumo nero, avrebbe rappresentato benissimo l’immagine più tetra dell’Apocalisse”[11].

Il 23 agosto ciò che rimaneva di Pieve venne raggiunto dalle truppe inglesi; il Paese completamente distrutto dalla furia nazista dovette pagare anche un tributo di 35 persone trucidate e 76 dilaniate dalle bombe.

A dimostrazione delle sofferenze patite dalla popolazione locale, nel 1957 il Comune fu insignito della “Croce di Guerra al Valor Militare” con la seguente motivazione: «Durante la guerra di liberazione sopportò, con la fiera tenacia della sua gente, persecuzioni, deportazioni ed intense offese aeree e terrestri che causarono numerose perdite tra la popolazione e gravi e dolorose distruzioni. Tanto sacrificio, serenamente affrontato con indefettibile dedizione alla propria terra, contribuì ad esaltare e a rinsaldare la fede nei destini della Patria»[12].

Una lapide apposta sul muro del Palazzo comunale in piazza Plinio Pellegrini ne ricorda l’evento.

 

Lastra in ricordo della Croce di Guerra al Valor Militare, Palazzo comunale, Pieve Santo Stefano.

 

Mentre una lastra commemorativa sempre sul muro del Palazzo comunale è stata posta in occasione del ventennale della Liberazione della città per ricordare le numerose vittime che si sacrificarono per la riconquista della libertà.

 

Lastra alle vittime delle rappresaglie tedesche, Palazzo comunale, Pieve Santo Stefano.

 

Presso i giardini pubblici Collacchioni possiamo invece scorgere il monumento ai caduti di Pieve Santo Stefano. Due blocchi distinti, il primo è il vecchio monumento ai caduti della Grande Guerra spostato da piazza Santo Stefano, affiancato dall’opera che ricorda “le vittime militari e civili di tutte le guerre”.

 

Monumento ai caduti di Pieve Santo Stefano, Giardini Collacchioni.

 

Usciti da Pieve Santo Stefano si prosegue l’itinerario in direzione di Sestino, percorrendo la Strada Provinciale Nuova Sestinese (SP50), per poi continuare in direzione est sulla Strada Statale Marecchia (SP258) ed infine arrivare a destinazione dopo un tratto della Strada Provinciale 49 (SP49). Il tragitto da Pieve Santo Stefano a Sestino è lungo complessivamente 40 chilometri e prevede almeno cinquanta minuti di macchina. Per chi volesse compiere una breve pausa lungo il percorso è poi possibile potersi fermare a circa metà del viaggio nel comune di Badia Tedalda, dove è presente il Parco Storico della Linea Gotica, ricco di sentieri che testimoniano le tracce delle fortificazioni costruite dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

 

SESTINO

Sestino, paese all’estremo margine della provincia aretina, praticamente immerso nel Pesarese, che durante la seconda guerra mondiale si trovava a ridosso della Linea Gotica. Nella primavera del ’44 la presenza militare dei tedeschi si fece sempre più massiccia con la conseguente crescita del calvario delle popolazioni che dovevano subire limitazioni di libertà, un continuo coprifuoco, prestazioni d’opera coatte per i lavori di fortificazione e requisizione di case per l’acquartieramento delle truppe e di mezzi di trasporto di materiale bellico[13]. La situazione era resa pesante anche da quella numerosa presenza di fuggiaschi provenienti dal campo di Renicci di Anghiari e da sfollati qui rifugiati per sfuggire dai bombardamenti. Come tutta la Valtiberina anche questa zona fu interessata da una forte presenza di formazioni partigiane che, loro malgrado, ebbero dei risvolti negativi per la popolazione civile per le dure misure di repressione adottate dai tedeschi e dai fascisti in risposta agli attacchi subiti. Negli scontri che si verificarono nei paesi di Monterone, Monteromano, Montecese, Palazzi e Sestino vi furono numerosi giovani caduti con un’età media di vent’anni. Merita una menzione particolare il sacrificio del giovane Ferruccio Manini, diciannovenne di Cremona, fucilato a Sestino il 27 luglio del ’44, che per unirsi ai partigiani disertò da un reparto fascista repubblicano quando fu mandato nella zona della Linea Gotica[14]. Fu poi catturato dai fascisti durante uno scontro a fuoco nel Sestinate e rifiutandosi di collaborare venne fucilato presso il cimitero del paese. Il Tribunale militare di Milano nel 1947 acclarò che a comandare il plotone di esecuzione fu il sottotenente Giorgio Albertazzi, futuro attore e regista, che venne però assolto perché «aveva agito in stato di necessità».

E in suo ricordo è stata posta una lapide presso il cimitero comunale di Sestino.

 


Lapide in ricordo di Ferruccio Manini, cimitero comunale, Sestino.

 

Anche a Sestino con l’avvicinarsi degli Alleati, i tedeschi costretti ad abbandonare la Linea Gotica, come ultima rappresaglia, il 24 settembre del ’44, fecero saltare in aria tutti i ponti sulle vie di comunicazione, strade, acquedotti, edifici pubblici e seminarono nel territorio una ventina di campi minati. Le macerie lasciate dalla guerra furono immense e tali da fare di Sestino uno dei paesi tra i più martoriati della Valtiberina. Soltanto il 1° ottobre il paese fu liberato dagli Alleati.

Nella Cappellina dei Caduti, eretta nel 1923 sul colle di Carletto, che domina Sestino, campeggia una targa con i nomi dei soldati sestinesi caduti sul fronte nella seconda guerra mondiale.

Due Lapidi commemorative sono invece poste in piazza Garibaldi sul muro del Municipio ai “caduti di tutte le guerre”.

 

Municipio, Piazza Garibaldi, Sestino.

 

Sestino. Caduti in tutte le guerre, Piazza Garibaldi, facciata del Municipio.

 

 

E in Piazza dei Martiri all’incrocio con via Roma sulla facciata di un edificio troviamo una lapide dedicata ai caduti della Resistenza, che così recita: “La popolazione sestinese pone questa lapide a ricordo dei partigiani caduti durante la Resistenza del 1944-45: Arcaro Danilo, Bragori Fermamdp, Chiarabini Gioseppe, Guazzolini Secondo, Nannini Adelfo, Santi Laurini Roberto. Sestino 26-6-1974”.

 

 

 

Lapide commemorativa ai caduti durante la Resistenza, Via VI Martiri, Sestino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

[1] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 53.

[2] Cfr. il testo di Giovanni Ugolini, E’ passata la rovina a Sansepolcro. Cronaca cittadina dall’8 settembre 1943 al 3 settembre 1944, Boncompagni, Sansepolcro 1945.

[3] Eduino Francini: giovane partigiano di Sansepolcro, ma originario di Massa Carrara, che arruolatosi in marina nell’ottobre del ’42, dopo l’8 settembre rientrò a Sansepolcro e pochi giorni dopo ottenne dal Comitato provinciale di concentrazione antifascista di Arezzo l’incarico di organizzare una formazione di partigiani nell’Alta Valle del Tevere, nonostante la giovane età, non ancora ventenne.

[4] L’episodio è raccontato da G. Ugolini nel suo libro del 1945 È passata la rovina a Sansepolcro, cit., pp. 20-25.

[5]  Alvaro Tacchini, La banda partigiana “Francini” e la rivolta di Sansepolcro, in La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, Quaderno n. 12 dell’Istituto di Storia Politica e Sociale “Venanzio Gabriotti”, Città di Castello 2017, https://www.storiatifernate.it/id/la-banda-partigiana-francini-e-la-rivolta-di-sansepolcro/

[6] Sulla fucilazione di Eduino Francini insieme agli altri otto partigiani a Villa Santinelli cfr. il libro di Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Tip. Badiali, Arezzo 1957, pp. 468-69.

[7]  I. Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana, cit. p.53.

[8] Ivan Tognarini, Da Pieve Santo Stefano a Poppi, in Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 105-6.

[9] I. Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana, cit. p.49.

[10] A. Tacchini, La distruzione di Pieve Santo Stefano, in Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, cit., https://www.storiatifernate.it/id/la-distruzione-di-pieve-santo-stefano/

[11] Onelio Dalla Ragione (a cura di), La guerra 1940-1945 a Pieve Santo Stefano. Deportazioni – Razzie – Devastazioni – Massacri, Amministrazione comunale di Pieve Santo Stefano, Pieve Santo Stefano 1996, p. 28.

[12] Ivi, p. 31.

[13] Giancarlo Renzi, Sestino. Quarant’anni di repubblica (1946-1986), Grafica Vadese, Sant’Angelo in Vado (PS), 1986, l’autore ripercorre la storia del comune dal dopoguerra ad oggi con un breve paragrafo dedicato proprio alle tragedie della guerra, pp. 11-20.

[14] Cfr. Biblioteca comunale di Sestino, 45° anniversario della fucilazione di Ferruccio Manini. Sestino – Domenica 23 luglio 1989, Stampa Artigrafiche, Sansepolcro 1989, p 4.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Sentieri partigiani sul Pratomagno

Nel corso della seconda guerra mondiale numerose formazioni partigiane operarono sul Pratomagno, il celebre massiccio che divide il Casentino dal Valdarno Superiore abbracciando sia la provincia di Arezzo che quella di Firenze. Data l’estensione della dorsale furono diversi i gruppi resistenziali che durante il secondo conflitto mondiale vi svolsero attività d’opposizione all’occupazione nazifascista: nella parte centrosettentrionale agì prevalentemente la Brigata “Lanciotto”, coadiuvata talvolta dalla Brigata “Pio Borri”, mentre nella zona meridionale del massiccio era presente una situazione più eterogenea caratterizzata dalla presenza di piccole formazioni autonome come la “Mameli”, la “Teppa” o dalla presenza dei paracadutisti inglesi del “Long Range Desert Group”.

Durante la guerra lo scontro sulle pendici del Pratomagno assunse differenti modalità a seconda dei protagonisti coinvolti e della fase del conflitto nella quale avvennero i combattimenti. Prima dell’arrivo del fronte i contendenti si fronteggiarono per acquisire il possesso di piccole porzioni di territorio ed impadronirsi del controllo della rete viaria. I partigiani miravano ad indebolire la presenza tedesca utilizzando i metodi della guerriglia, mentre i nazisti adoperavano le punizioni ai danni dei civili con l’intento di rompere il legame che univa le popolazioni locali e le formazioni ribelli.

Nell’estate del 1944 sia sul versante valdarnese che su quello casentinese si registrò un inasprimento dello scontro dovuto all’avvicinamento del fronte e all’imminente liberazione di Arezzo. In questa fase i partigiani, forti del sostegno alleato, assunsero un atteggiamento più audace ed attaccarono in diverse occasioni i tedeschi; mentre i nazisti, consci dello svantaggio, mantennero le loro posizioni, iniziando verso fine estate una lenta ritirata verso nord.

A livello militare, a parte la battaglia di Cetica avvenuta nel giugno 1944, lungo le pendici del Pratomagno non si verificarono combattimenti degni di nota e gli scontri che opposero le due fazioni furono in prevalenza contrasti di lieve intensità. Durante la seconda guerra mondiale l’importanza del massiccio risiedette prevalentemente nella sua funzione aggregante e protettiva, garantendo alle formazioni partigiane un’ampia superfice sulla quale potersi nascondere ed organizzare azioni ai danni degli occupanti, grazie anche al supporto delle popolazioni locali.

 

Il cammino del partigiano

Percorso inaugurato nell’aprile 2024 grazie all’impegno del comune di Loro Ciuffenna, dell’ANPI Valdarno e dell’associazione culturale Pepe Mujica di Arezzo.

  • Percorso: Pratovalle – cippo Mario Zamponi – il castagneto “le Salvinesi”
  • Distanza: 2,5 km
  • Durata: 1 ora e 30 minuti
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±90 m

Dopo aver parcheggiato l’automobile nell’abitato di Pratovalle proseguiamo in direzione di Faeto e intraprendiamo dopo poche centinaia di metri la strada sterrata che porta al locale cimitero. Il sentiero ci porta ad una grande bacheca in legno sulla quale sono riportate le informazioni relative all’itinerario e il segnale indicante l’inizio del percorso. Dopo pochi passi troviamo il cippo in ricordo di Mario Zamponi, scomparso nel luglio 1944 in seguito ad uno scontro con i nazisti, nel quale il suo compagno Luigi Fini riuscì invece a salvarsi gettandosi nel vicino corso d’acqua. Continuiamo a seguire il sentiero che costeggia il torrente Agna addentrandoci nel castagneto “le Salvinesi”, dove possiamo osservare gli imponenti alberi, testimonianza dell’importanza fondamentale di questo frutto per i territori circostanti. Sfortunatamente dopo circa un chilometro il tracciato viene progressivamente inghiottito dalla vegetazione circostante e diviene estremamente difficoltoso intuirne la direzione.

Cippo in ricordo di Mario Zamponi

Invitiamo dunque gli escursionisti meno esperti a tornare sui loro passi e a fare ritorno a Pratovalle. Una volta in paese consigliamo di visitare la chiesa di Santa Lucia; dopo la prima guerra mondiale l’esterno dell’edificio è divenuto un piccolo parco della rimembranza adibito al ricordo delle vittime della Grande Guerra di Pratovalle e Roveraia (paese disabitato, abbandonato dai suoi abitanti nella seconda metà del Novecento). Lo spazio vede la presenza di una colonna a memoria dei caduti della zona e di cinque cipressi (un tempo erano sette) ciascuno dei quali era stato piantato in ricordo delle vittime. Nel 2022 lo spazio antistante la chiesa è stato intitolato a don Dante Ricci, parroco di Pratovalle e Faeto, ucciso nel luglio 1944 per aver fornito aiuto ai partigiani e non aver svelato i loro nomi. All’ingresso della parrocchia sono presenti una piccola cornice recante alcune informazioni essenziali riguardanti l’operato di don Dante Ricci e una poesia dedicata a quest’ultimo.

La chiesa di Santa Lucia in piazza don Dante Ricci

 

“Il fiore del partigiano”

Sentiero che dalla strada panoramica giunge sul crinale del Pratomagno, transitando dalla Croce e dai cippi dedicati a Hinkler e alle formazioni partigiane che combatterono sul massiccio.

  • Percorso: Pian dei Lelli – crinale – Croce del Pratomagno – cippo di Hinkler – “Fiore del partigiano” – Pian dei Lelli
  • Distanza: 7,4 km
  • Durata: 2 ore
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±340 m

Il nostro sentiero ha inizio dall’area di sosta di Pian dei Lelli. Per raggiungere la partenza del percorso percorriamo la strada panoramica in direzione della croce fino al tratto che segna il passaggio dall’asfalto allo sterrato, a circa 3,5 chilometri di distanza dal traforo. A Pian dei Lelli parcheggiamo la nostra auto ed iniziamo il sentiero. Per i primi due chilometri il tracciato sale costantemente all’ombra dei faggi, per poi emergere improvvisamente dalla vegetazione in prossimità del crinale. Una volta giunti in cima al massiccio scorgiamo in lontananza la croce e ci avviciniamo a questa percorrendo il sentiero 00. Dopo meno di due chilometri giungiamo all’imponente struttura in metallo e ci fermiamo a godere della vista mozzafiato che ci permette di ammirare tutta l’area circostante. Dopo questa sosta compiamo una deviazione e continuiamo a procedere lungo il crinale avvicinandoci ad osservare due cippi in prossimità della croce. A mezzo chilometro di distanza troviamo il cippo in ricordo di Hinkler, l’aviatore l’australiano che nel 1933, nell’intento di stabilire un nuovo record dell’ora sulla tratta Inghilterra-Australia perse la vita cadendo con il suo piccolo aereo sul Pratomagno.

Cippo in onore di Herbert Hinkler

Continuando a procedere nella stessa direzione ci imbattiamo dopo alcune centinaia di metri nel “Fiore del partigiano”, il monumento creato dall’artista Venturino Venturi in onore dei partigiani che combatterono sul Pratomagno durante la seconda guerra mondiale. Il cippo è stato recentemente rinnovato a causa dei danneggiamenti dovuti alle intemperie che ha subito nel corso dell’inverno 2023-2024: la nuova struttura riproduce fedelmente il monumento precedente, con l’eccezione che quest’ultimo è stato prodotto in metallo, proprio per avere una maggiore resistenza al freddo e alle raffiche di vento dei mesi più rigidi. In particolare il cippo ricorda lo sforzo delle brigate “Pio Borri”, “Lanciotto”, “Mameli” e “Bande Esterne”.

Cippo il “fiore del partigiano”

Dopo questa deviazione torniamo sui nostri passi e ci dirigiamo nuovamente alla croce, da dove prendiamo il sentiero CAI 21 che ci porta nuovamente sulla strada panoramica dopo meno di un chilometro. Una volta sulla strada sterrata si procede per venti minuti in direzione est fino a tornare a Pian dei Lelli, il nostro punto di partenza.

 

Percorso della Memoria

Sentiero panoramico che si sviluppa sotto le pendici del Pratomagno. Inaugurato nel 2011 l’itinerario vuole omaggiare i caduti della Resistenza ripercorrendo i luoghi dove i giovani con il loro sacrifico ci indicarono la strada per la libertà.

  • Percorso: Pian di Scò – Casa di Biondo -Campiano – Pulicciano – Pian di Scò
  • Distanza: 13,6 km
  • Durata: 3 ore
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±400 m

Il sentiero ha inizio dall’ampio parcheggio situato di fronte alla Pieve Di Santa Maria A Scò. Dopo un breve tratto di strada provinciale Setteponti continuiamo a procedere in direzione nord-est fino a quando in prossimità di una curva non compare una strada sterrata che iniziamo a percorrere. Attraversato l’abitato di Campiano, proseguiamo per La Cella e passiamo da Casa Biondo, dove ci fermiamo ad osservare il cippo posizionato in un piccolo giardino pubblico della frazione dedicato ad Aligi Barducci e la sua Brigata.

Cippo in memoria di Aligi Barducci

Conclusa questa breve visita prendiamo il sentiero CAI 19, lungo il quale dopo poco ci imbattiamo nel cippo in memoria di Giorgio Cuccoli, caduto il 22 giugno 1944. Da lì ritorniamo sui nostri passi per poche centinaia di metri e prendiamo un sentiero alla nostra sinistra, che ci farà attraversare nuovamente Campiano ed arrivare a Villa Belvedere dopo un tratto in salita. Poco dopo raggiungiamo Pulicciano, passando davanti al cippo che ricorda l’eccidio del parroco Don Bianco Cotoneschi e del suo sacrestano, uccisi con l’accusa di aver sostenuto e favorito l’opposizione all’occupazione nazifascista; da lì prenderemo il sentiero CAI 33 che ci riporterà a Piandiscò. Il sentiero è interamente segnalato con la bandiera nazionale a tre colori.

Il luogo dove Giorgio Cuccoli perse la vita

 

Cippo dedicato a don Bianco Cotoneschi

 

Percorso ad anello sul Pratomagno

Itinerario circolare che tocca numerosi punti panoramici del massiccio.

  • Percorso: Oratorio di Ponticelli – Monte Acuto – Poggio Castelluccio – Uomo di Sasso – Valico di Gastra – Oratorio di Ponticelli
  • Distanza: 15 km
  • Durata: 3 ore e 30 minuti
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±850 m

Dall’oratorio di Ponticelli, distante tre chilometri da Reggello, imbocchiamo il sentiero CAI 17. Il percorso è inizialmente caratterizzato dalla presenza di una folta vegetazione che progressivamente degrada, facendo spazio ad un paesaggio brullo, fatto di sassi e piante a basso fusto. Giunti in cima al Monte Acuto (1.130 m) possiamo godere di una vista mozzafiato, con una visuale che spazia sui dintorni di Firenze ed Arezzo.  Proseguiamo per un brusco passaggio su alcune pietre e continuiamo per un arbusteto che ci porta a Poggio Castelluccio (1.381 m), dove sono presenti dei ruderi di una vecchia fortificazione. Da qui ci inoltriamo nella faggeta ed avanziamo fino a raggiungere ampi spazi prativi. Di fronte a noi troviamo il Poggio Uomo di Sasso (1.532 m), seconda cima del massiccio del Pratomagno e poco sotto scorgiamo la presenza di un piccolo ammasso di sassi accatastati uno sopra l’altro.

L’Uomo di sasso

Ora seguiamo il sentiero di crinale CAI 00 in direzione sud-est e dopo diversi saliscendi giungiamo al valico di Gastra (1.393 m). Sulla destra imbocchiamo il sentiero CAI 19 che con una ripida discesa ci conduce al monastero di Gastra. Arrivati al fabbricato svoltiamo a destra e proseguiamo a dritto lasciando il sentiero n 19. Superata casa La Pecoraccia la strada diventa un viottolo di bosco che ci conduce all’innesto con una stradella forestale proveniente dal Monte Acuto. Svoltiamo a sinistra e dopo poche curve troviamo davanti a noi il Poggio della Regina, monte che aggiriamo. Dopo poco giungiamo al punto di partenza dell’Oratorio di Ponticelli.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




Foiano della Chiana tra Fascismo e Resistenza. Breve percorso della memoria

Prima di procedere con il percorso resistente, voglio qui ricordare, seppur brevemente, la Storia di Foiano della Chiana, Comune della provincia di Arezzo, nella Valdichiana.

Foiano venne liberata il 4 luglio 1944, assieme con Marciano della Chiana e Monte San Savino. Due giorni prima era stato liberato Lucignano e il 3 luglio venne liberata Cortona, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Il Comune di Foiano ha subito particolarmente l’avvento del Fascismo, sino ai tragici eventi della Seconda Guerra mondiale e della Resistenza. Con il progressivo affermarsi del Fascismo, Foiano, la cui amministrazione aveva aderito in blocco al neocostituito Partito Comunista d’Italia, divenne un obiettivo primario per gli squadristi della zona, i quali nei primi mesi del 1921, iniziarono a devastare e terrorizzare la Valdichiana con spedizioni punitive. Il 12 aprile il municipio venne colpito da un attacco squadrista volto a far dimettere la giunta. Il 17 aprile, un camion con a bordo una ventina di fascisti, guidati da un ufficiale in forza al 70° fanteria di Arezzo, compì una seconda spedizione a Foiano e nei dintorni. Una volta terminato il raid, gli squadristi si fermarono nella cittadina per pranzare. Successivamente, il gruppo si divise: una parte rimase a Foiano, mentre una ventina partirono a bordo dell’autocarro alla volta di Arezzo. Poco dopo, in località Renzino [2], il camion cadde in un’imboscata tesa da alcuni contadini della zona, guidati da Bernardo Melacci e Galliano Gervasi. Nel corso dell’attacco, tre squadristi rimasero uccisi. I fascisti superstiti però, dopo essere riusciti a chiedere rinforzi dalle città vicine, contrattaccarono. Le campagne foianesi divennero così teatro di una caccia all’uomo che culminò con l’assassinio di due uomini ed una donna. Poco dopo, in paese, i fascisti giustiziarono un comunista che si era rifiutato di rinnegare i propri ideali. Il giorno seguente, una colonna di squadristi fiorentini e ferraresi, guidata da Tullio Tamburini, occupò il paese, costringendo il deputato socialista Ferruccio Bernardini, sequestrato ad Arezzo dalle stesse camicie nere, ad un elogio del fascismo sulla pubblica piazza. Poco dopo anche un socialista del luogo venne trascinato nella medesima piazza per compiere abiura. Al suo rifiuto, venne assassinato. Nei giorni seguenti, le violenze fasciste, nonostante una delegazione di contadini si fosse recata da Tamburini a supplicare la fine delle rappresaglie, continueranno indisturbate [3]. Quello che accadde a Renzino cento anni fa è stato sicuramente uno degli episodi di lotta allo squadrismo fascista tra i più rilevanti a livello nazionale.

Negli anni la situazione non migliorò. Messa a dura prova dalla Seconda guerra mondiale, la cittadina pagò un notevole prezzo a livello di vite umane e distruzioni. L’8 giugno 1944, tre partigiani vennero fucilati dai militi fascisti della GNR (Guardia nazionale repubblicana) in Piazza Garibaldi.

Quella stessa mattina, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi, detenuti presso la caserma dei Carabinieri di Foiano della Chiana, vennero prelevati dalla loro cella e condotti in quella stessa Piazza, dove furono fucilati da un plotone d’esecuzione composto da legionari della Compagnia OP della G.N.R. di Bergamo [4].

Il 2 luglio successivo, Foiano della Chiana fu liberata dagli alleati. Teatro di scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche, Foiano ospita oggi un cimitero militare inglese, in cui sono sepolti i soldati d’Oltremanica caduti nelle azioni militari locali.

L’Archivio storico dell’antifascismo locale, nato negli anni ’50 per iniziativa dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sezione Licio Nencetti, conserva una preziosissima raccolta di fonti storiografiche sulla Lotta di Liberazione in provincia di Arezzo.

Il giorno successivo alla liberazione di Foiano della Chiana da parte delle truppe anglo-americane, infatti, dalla locale casa del Fascio, parzialmente distrutta dalle truppe tedesche in ritirata, che avevano minato e fatto saltare la torre civica, vennero recuperati dai partigiani i documenti delle milizie mussoliniane. Nella stessa sede si insediò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituito su impulso di Galliano Gervasi, che fu tra i protagonisti della rivolta di Renzino e successivamente sindaco di Foiano e componente dell’Assemblea costituente. Quelle carte recuperate dalle macerie, insieme ai documenti del CLN, andarono a costituire il primo nucleo documentario dell’Archivio foianese.

Di lì a poco venne fondata la locale sezione dei partigiani, che riuniva combattenti antifascisti, patrioti e tutti coloro che avevano contribuito a liberare l’Italia dai nazifascisti durante il periodo Resistenziale. L’ANPI di Foiano della Chiana ereditò la sede del Comitato di Liberazione e gli associati si dedicarono alla raccolta delle informazioni per l’ottenimento di indennità, riconoscimenti di medaglie al valore, pensioni e forme di assistenza per gli ex combattenti e per le famiglie dei caduti [5].

 

Le tappe del percorso foianese

La prima meta nel percorso è Piazza Fra’ Benedetto, a Foiano della Chiana.

Qui il 2 luglio 1944, due giorni prima del ritiro definitivo dei tedeschi, venne ucciso senza apparente motivo il giovane Cesare Marchi.

  • A soli pochi passi, in Piazza Cavour, n.1, sulla facciata esterna del Municipio, è posta la targa ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi.

Pietre della Memoria, 5602 – Lapide ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi – Foiano della Chiana, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-partigiani-sarri-antonini-e-grazi/

  • Non molto distante, in via via Martiri della Libertà/ piazza Garibaldi, si trova anche questa lapide ad Antonini, Grazi e Sarri.

Giovanni Baldini, Lapide ad Antonini, Grazi e Sarri, in ResistenzaToscana.it,  23-10-2007, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_ad_antonini_grazi_e_sarri/

Facciata del Municipio

  • Tra Piazza Garibaldi e via Indipendenza troviamo invece la targa commemorativa di Igino Milani, capolega di 35 anni, lavoratore dell’agenzia tabacchi di Foiano, sequestrato sul posto di lavoro, torturato e seviziato, morto per mano dei fascisti nell’aprile 1921, nel corso della feroce rappresaglia che seguì lo scontro armato di Renzino.

Lapide a Milani, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_a_milani/

  • A cinque minuti a piedi, arriviamo al giardino pubblico comunale di piazza Caduti della Resistenza, dove, al centro, si erge il monumento-fontana ai martiri della resistenza. Il monumento ricorda la fucilazione di tre partigiani, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi per mano dei nazifascisti, avvenuta l’8 giugno 1944 durante la Festa del Corpus Domini. La fontana, circolare, presenta la forma di un giglio. La base è costituita da tre grandi massi in ognuno dei quali è inciso in rilievo il nome di un partigiano. Lungo il lastricato, che si trova tra la fontana e la recinzione in ferro battuto, è posta una lapide commemorativa in pietra.

5597 – Monumento-fontana ai martiri della resistenza – Foiano della Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/fontana-di-piazza-dei-caduti-della-resistenza-di-foiano-della-chiana/

  • A soli 15 minuti a piedi (4 in auto), si trova, in località Renzino, il Commonwealth War Cemetery, dove riposano le spoglie di 256 soldati. Progettato da Louis de Soissons, è un cimitero di guerra, che originariamente accoglieva i soldati della 4ª Divisione e che, in seguito fu ampliato per le sepolture dei militari caduti in tutta l’area della Valdichiana e del Valdarno [6]. La maggior parte delle sepolture nel cimitero risalgono comunque alle prime due settimane di luglio 1944.

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

Mappa del percorso escursionistico a Foiano della Chiana (Ar)

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/

  • In circa 1ora a piedi (8 minuti in auto), in direzione nord, si può raggiungere la località di Pozzo della Chiana, dove il 26 giugno 1944 si verificò una ribellione dei contadini arrabbiati per le requisizioni tedesche nella zona. A tale atto seguirono rappresaglie da parte delle truppe naziste. Quel giorno morirono, in due episodi diversi, due uomini: Nazzaro Biagini, sfollato con la famiglia, venne ucciso nella frazione di Pozzo, mentre nel pomeriggio, una casa colonica in località Pagliericcio (Comune di Castel San Niccolò, nel Casentinese) venne fatta saltare in aria e incendiata con il proprietario dentro, il giovane Alberto Ginestrini. La matrice era la stessa dell’episodio antecedente, una punizione, da parte dei tedeschi per la rivolta dei contadini.

A Pozzo, nessuna targa pare ricordare l’evento.

Da Pozzo si può proseguire, camminando, verso Marciano della Chiana, continuando così il sentiero nella Valdichiana.

 

Note

1. Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2.Sulla rivolta di Renzino si veda, Giulio Bigozzi, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

3. Cfr. Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

4. Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

5. Francesco Bellacci, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024].

6. Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Bellacci Francesco, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024]

Bigozzi Giulio, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]

Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/  [consultato  il 10 novembre 2024]

Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 Giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Camminando nella Resistenza tra i Comuni della Valdichiana aretina. Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino

Prima di procedere con il percorso resistente, è opportuno ricordare, seppur brevemente, la Storia dei Comuni interessati.

Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino sono Comuni della provincia di Arezzo, nella Valdichiana toscana, i primi ad essere stati liberati dagli Alleati nell’Aretino: il 2 luglio 1944, venne liberato Lucignano, il giorno successivo Cortona, il 4 luglio, Marciano della Chiana e Monte San Savino e Foiano della Chiana, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].

Vediamo più da vicino la loro storia durante e dopo il Fascismo.

Partiamo da Lucignano, piccolo Comune impegnato nella lotta di liberazione, liberato dagli alleati il 2 luglio 1944. Degno di nota è qui Licio Nencetti, il giovane capo partigiano lucignanese, insignito della Medaglia d’oro al valore militare, che fu fucilato dai fascisti a Talla, il 26 maggio del 1944[2]. Altri lucignanesi che si ribellarono ai nazifascisti sono Ugo Masini (15 gennaio 1923-3 luglio 1944) ed Augusto Toti (29 luglio 1921-17 luglio 1944), che pagarono con la vita la loro sete di libertà. Ugo Masini, giovane caporale, dopo l’8 settembre ’43, era riuscito a tornare a Lucignano dove iniziò l’attività clandestina collaborando con la “Teppa” di Licio Nencetti. Fu ucciso negli stessi giorni della Liberazione di Lucignano, quando la sua formazione, a seguito di una delazione, fu attaccata il 2 luglio dai nazifascisti nei pressi di Camagiura (Arezzo) ed interamente sterminata [3].

Augusto Toti, sottotenente, tornato a casa dopo l’8 settembre 1943, conobbe il maggiore Cesare Caponi, con il quale iniziò il lavoro per l’organizzazione di formazioni partigiane. Raggiunto il comando italiano del fronte sud, l’8 novembre 1943, per consegnare un messaggio segreto, prese parte ai combattimenti di Cassino, Balzo della Cicogna, Guardiagrele e morì il 17 luglio 1944, (il giorno dopo la liberazione di Arezzo) al comando di un’importante operazione nei pressi di Rustico.

Della banda di Nencetti faceva parte anche Ezio Raspanti [4], da poco scomparso, che – per anni- ha mantenuto viva nelle nuove generazioni la memoria di quegli eventi. Insignito della Medaglia d’argento al valore militare per le azioni della Resistenza, ottenne anche altre prestigiose onorificenze e riconoscimenti per il suo impegno: nel 2003 fondò l’Istituto storico per l’Antifascismo e la Resistenza in Valdichiana; l’11 luglio 2004 fu nominato cittadino onorario del Comune di Capolona e il 29 luglio 2006 del Comune di Castel Focognano. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2011, venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Ezio Raspanti, “Mascotte” nella “Teppa”, fu giovanissimo compagno di lotta e grande amico di Nencetti, ed ha raccontato in tutti questi anni attraverso disegni e scritti, con un costante lavoro di ricerca e ricostruzione storica, gli avvenimenti legati alla Resistenza ]5].

Il territorio di Marciano della Chiana, liberata il 4 luglio 1944, non subì invece particolari eventi tragici, almeno dalle fonti a mia disposizione. Si ricorda comunque la morte di Luigi Pecchi, ucciso il giorno prima della tanto agognata libertà, dai soldati tedeschi [6].

Più facile da ricostruire è invece la storia di Monte San Savino. Il ventennio fascista vede Monte San Savino calato nel «definitivo amalgama di quelle forze sociali che il fascismo era riuscito a coagulare e utilizzare, e che trovò espressione politica nella gestione delle amministrazioni comunali» (Galli). Già nel 1924, il Consiglio comunale, all’unanimità, conferì – su proposta di G. Veltroni, segretario politico del fascio locale – la cittadinanza onoraria a Mussolini “quale modesto significativo riconoscimento” della sua grandiosa opera per la “ricostruzione nazionale”, mentre più tardi, facendo eco alla diligente applicazione delle leggi razziali del ’38, appariva su “Giovinezza” del 13 febbraio 1939 un articolo a firma di P.F.V. che ricordava come i savinesi potessero ‘vantarsi’ d’aver già allontanato a suo tempo nel 1799, dando sfogo «alla loro giusta vendetta», tutti i membri dell’antica comunità ebraica savinese con esplicita dichiarazione che «oggi il paese non conta alcun ebreo!». Rimaneva però viva, durante gli anni della dittatura, una solida organizzazione antifascista che avrebbe dato un notevole contributo alla Resistenza.

Nel Secondo Conflitto mondiale, Monte San Savino ricorda 23 morti sul campo (fra cui Pietro Valeri), 22 dispersi, 15 persone decedute per cause belliche e 11 vittime per rappresaglie tedesche (fra cui due donne, Gina Valeri e Gesuina Sestini); particolare sgomento suscitarono la fucilazione del sottotenente Luigi Carletti, l’impiccagione di Del Bellino e, in seguito, l’imboscata che costò la vita a Giuseppe Civitelli. Fin dall’annuncio dell’arresto di Mussolini (25 luglio ’43) e dopo la resa dell’Italia (8 settembre)  si assistette a Monte San Savino alla distruzione dei fasci littori e alla smobilitazione di quant’altro simboleggiava il regime fascista. Ben presto fu creato il CLN comunale savinese. Il paese fu duramente colpito dalle truppe tedesche in ritirata che si abbandonarono a violenze ed uccisioni, tuttavia, coraggiosamente contrastate da elementi della resistenza locale. Le incursioni aeree alleate iniziate il 17 gennaio ’44 causarono, oltre che diversi feriti, tre morti in località Brancoleta. Dopo la liberazione del 4 luglio 1944, Monte San Savino ospitò il quartier generale tattico dell’VIII Armata, al comando del generale Oliver Leese, cui re Giorgio d’Inghilterra in persona fece visita il 26 luglio [7].

 

Alessandro Bargellini, lapide a re Giorgio, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_re_giorgio/ 43,331187N, 11,723721E | 43° 19.871N, 11° 43.423E

Il percorso escursionistico:

La prima meta del percorso è Badicorte, nel Comune di Marciano della Chiana.

Volendo unire tale percorso al sentiero di Foiano della Chiana, Badicorte si può raggiungere, proseguendo verso nord, da Pozzo della Chiana, in un’ora a piedi o in sei minuti in auto. Altrimenti, potrà essere raggiunta in auto autonomamente, cominciando da qui il percorso resistente.

Qui il 3 luglio 1944, alla vigilia della liberazione, venne fucilato Luigi Pecchi, che era stato trovato dai tedeschi in possesso di alcune armi, probabilmente facenti parte di un deposito dei partigiani. Nessuna targa o cippo ricordano l’evento (almeno da quel che ho potuto trovare).

La seconda meta del percorso resistente è Monte San Savino.

Nel Comune di Monte San Savino, dal 23 giugno 1944 al 30 giugno 1944, dopo una battaglia combattuta nella località di Montaltuzzo, nel Comune di Bucine (Arezzo) tra partigiani e tedeschi, reparti nazifascisti operarono un poderoso rastrellamento.

  • Per ricordare le tragiche vicende che avevano visto coinvolta la popolazione locale, la prima tappa del percorso sansavinese è Viale XXIV Maggio, dove si trova il monumento dedicato ai caduti per la resistenza, eretto nel trentennale della Liberazione.

 

Alessandro Bargellini, Monumento del trentennale, in ResistenzaToscana.it, 12-12-2008, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/monumento_del_trentennale/

A Monte San Savino, nel clima di rastrellamenti e di caccia al partigiano, tra il 2 e il 3 luglio 1944, tre uomini furono catturati nelle campagne, torturati e quindi fucilati da una pattuglia tedesca. Le vittime erano due civili, Mosè Gudini e Bruno Milaneschi e un partigiano, Luigi Carletti detto “Gigino”, senese residente a Monte San Savino, nonché sottotenente dell’Artiglieria contraerea del Regio Esercito e comandante di una squadra partigiana a Monte San Savino. Egli era già stato catturato il 28 giugno precedente con tutta la famiglia e lungamente interrogato. Gudini e Carletti furono ritrovati in un bosco dieci giorni più tardi.

  • La seconda tappa è, dunque, il Cimitero comunale, dove si trova il sepolcro dedicato a Luigi Carletti [8].

Alessandro Bargellini, Sepolcro di Carletti, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/sepolcro_di_carletti/ [consultato il 9 novembre 2024]

Presso il cimitero comunale di Monte San Savino (AR)

Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea

Luigi Carletti è un nome noto e centrale nella Storia locale. Cittadino savinese, partigiano del Raggruppamento “Monte Amiata”, ufficiale di artiglieria, membro dell’Azione Cattolica e laureando in Legge, fu trucidato dai nazisti nei boschi in località San Poerino a Monte San Savino a soli 23 anni, il 2 luglio del 1944.

L’8 settembre 1943, Carletti si trovava sul fronte francese in qualità di sottotenente dell’artiglieria contraerea. In seguito allo sbandamento generale, dopo parecchi giorni di faticoso cammino, giunse a Monte San Savino, ove poté riabbracciare i suoi cari. Animato da una fede incrollabile nella futura rinascita dell’Italia, cautamente, cominciò a svolgere la sua opera, preparando un piano di lotta contro i tedeschi. Assieme a diversi ex prigionieri alleati, si trovava nei pressi della sua proprietà, per procurare loro, a sue spese, vitto, vestiario, armi, onde agire al momento più opportuno, insieme coi partigiani.

Il 28 giugno 1944, un reparto della divisione Herman Goering fece irruzione nella villa, arrestando tutti i componenti della famiglia: essi, sotto l’accusa di antifascismo, vennero, per alcuni giorni, torturati, allo scopo di estorcere notizie precise sull’assistenza ai prigionieri alleati. Il padre fu ferito gravemente con le percosse e venne minacciato di fucilazione se entro due ore non avesse parlato. Riuscì miracolosamente ad evadere ed a mettersi in salvo nella notte del 30 giugno. I tedeschi infierirono maggiormente contro Luigi e, con incredibili torture, cercarono di strappargli, ad ogni costo, le notizie di loro interesse.

Le atroci torture durarono fino al mattino del 2 luglio, giorno in cui fu trascinato in un bosco e fucilato. Il suo corpo venne nascosto fra le frasche e fu ritrovato soltanto dopo nove giorni di ansiose ricerche con ancora evidentissimi i segni delle torture e delle sevizie subite. [Questi particolari sono stati narrati da testimoni oculari imprigionati anch’essi nella villa Carletti e le cui deposizioni, regolarmente firmate, furono consegnate al C.L.N. di Monte San Savino].

Anche la madre, Carolina Veltroni, e la sorella Licia, vennero deportate ed incarcerate a Firenze; riuscirono miracolosamente a salvarsi.

Villa Carletti

A Serarmonio, sulla via che va da Monte San Savino a Palazzuolo, si era infatti stabilita, verso la fine di giugno 1944, la Feldgendarmerie tedesca ed aveva installato nella villa dei Carletti quella che possiamo ritenere la sua “Villa triste”, come quella che i fascisti avevano organizzato a Firenze in funzione antipartigiana. La villa è ancora esistente.

È lì che il criminale nazista Heinz Barz, capitano della Wehrmacht, l’ufficiale nazista che svolse un ruolo di primo piano nella programmazione e nell’esecuzione delle stragi di Civitella, Cornia e San Pancrazio, faceva portare gli arrestati. Ed è lì che i nazisti conducevano i loro interrogatori, tra violenze e sevizie, come venne accertato dagli investigatori inglesi del SIB (Special Investigation Branch) che, a partire dall’estate 1944 – all’indomani di quei tragici eventi – condussero una vasta indagine avvalendosi anche della collaborazione dell’Arma dei Carabinieri italiani: decine e decine di testimoni vennero chiamati a riferire i fatti e a contribuire ad individuare i responsabili. Era la materia prima di un possibile processo che non si celebrò e che venne tenuta nascosta nell’ormai celebre “armadio della vergogna”. Il processo sarebbe poi stato avviato a La Spezia, soltanto 58 anni dopo, quando gran parte dei responsabili erano ormai deceduti.

A Villa Carletti venne portato Lorenzo Del Bellino, arrestato il 23 giugno 1944, mentre lavorava sul suo campo e che forse non comprese nemmeno ciò che gli veniva chiesto dai tedeschi e dunque non dette loro risposte soddisfacenti riguardo la cosiddetta battaglia di Montaltuzzo: dopo le sevizie, venne portato a Monte San Savino ed impiccato il 30 giugno 1944 ad un lampione nella Piazza del Legname. Sul corpo, che rimase esposto per due giorni, era stato messo un cartello con la seguente scritta: “così muoiono i partigiani della Cornia”.

  • La terza tappa sansavinese sarà dunque Piazza del Legname, al Porticciolo, dove è stata posta la targa dedicata a Del Bellino.

Alessandro Bargellini, Lapide a Del Bellino, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_del_bellino/

  • La quarta tappa è la Villa Serarmonio, la casa dove visse e dove morì Luigi Carletti e dove fu portato Del Bellino, distante 30 minuti a piedi dal Comune di Monte San Savino. Nella stessa villa vennero condotti i coniugi Cau, arrestati a Gebbia ed accusati di spionaggio a favore dei partigiani: il capitano Barz era stato avvisato, dunque sapeva benissimo che la signora Cau, al secolo Helga Elmqvist, era di nazionalità svedese e che godeva di immunità in base ai trattati fra Germania e Svezia. Eppure, dopo serrati interrogatori e maltrattamenti, la fece fucilare assieme al marito, il professor Giovanni Cau. I due corpi furono nascosti sotto la sabbia della Fornace Focardi, dove vennero rinvenuti, casualmente, solo nel 1950 e identificati dai parenti [9].
  • La quinta ed ultima tappa sansavinese è il tabernacolo intitolato a Carletti, in via di San Poerino [coordinate 43° 19.029N, 11° 42.266E].

Alessandro Bargellini, 12-12-2008 Tabernacolo a Carletti, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/tabernacolo_a_carletti/ [consultato l’11 novembre 2024]

Come riporta l’iscrizione:

Organizzatore comandante di patrioti

catturato dal nemico e seviziato

mentre riforniva i compagni

che rifiutò di tradire

LUIGI CARLETTI

ufficiale di artiglieria laureando in legge

il 2 VII 1944 a soli XXIII anni

cadeva per la salvezza d’Italia

ai genitori Antonio e Carolina

e alla sorella Licia

lasciando preziosa eredità di gloria

e un dolore che solo la fede lenisce.

 

Il lungo itinerario nella Storia e nella memoria dei Comuni di Marciano della Chiana, di Monte San Savino e, seppur solo di passaggio, nel Comune di Lucignano, potrà sia essere percorso per intero, sia per singoli Comuni.

 

Note

1.Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

2. Licio Nencetti, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

3.Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

4.Michele Lupetti, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

5.Cfr. Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

6.Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

7.Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

8.Cfr. Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

9.Claudia Failli, Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

 

Bibliografia e sitografia:

Carletti Luigi, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp  [consultato il 9 novembre 2024]

Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023,  https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]

Ead., Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]

Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].

Lupetti Michele, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]

Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]

Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]

Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]

Nencetti Licio, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo scritto nel mese di novembre 2024.




Percorsi di guerra in Casentino

Dal settembre 1943 alla fine dell’estate del 1944 il Casentino è stato interessato in vario modo dall’arrivo della seconda guerra mondiale. A grandi linee possiamo suddividere la presenza del conflitto nella vallata in due grandi momenti: una prima fase, dall’autunno 1943 all’estate dell’anno successivo e una seconda fase, dal luglio 1944 fino alla liberazione del Casentino, avvenuta alla fine di settembre dello stesso anno.

Nell’autunno 1943 la percezione e il confronto diretto con la realtà della guerra giunsero attraverso l’occupazione nazista: l’arrivo dei tedeschi determinò un crescente clima di tensione tra la popolazione e le forze occupanti che si tradusse in una serie di azioni criminali ai danni dei civili. In questa fase il conflitto assunse i tratti tipici della guerriglia e vide le formazioni partigiane e le truppe naziste fronteggiarsi in uno scontro a bassa intensità fatto di imboscate e sabotaggi. Con la liberazione di Arezzo, avvenuta il 16 luglio 1944 la guerra entrò nella fase successiva ed assunse le caratteristiche proprie di uno scontro militare; malgrado ciò gli eserciti non si fronteggiarono in rilevanti battaglie, prediligendo anche in questo caso azioni dal limitato potenziale sulle alture intorno alla vallata. Con l’arrivo delle truppe britanniche la situazione delle forze in campo si ribaltò e i nazisti si trovarono costretti ad attuare una lenta ritirata dalla vallata che li portò ad abbandonare l’ultima città del Casentino il 22 settembre 1944.

Come abbiamo visto il Casentino non fu una zona particolarmente interessata dal secondo conflitto mondiale, ma nonostante ciò i suoi territori e le sue popolazioni vennero segnati dal passaggio della guerra.

In questo articolo abbiamo dunque deciso di riportare cinque sentieri che in vario modo sono testimonianza dei dolori e delle sofferenze che la vallata fu costretta a vivere dal settembre 1943 al settembre dell’anno successivo. Sono in prevalenza percorsi facili, accessibili a tutti i tipi di escursionisti.

 

Cetica

Percorso ad anello che da Cetica sale in direzione del Pratomagno per poi scendere nuovamente verso la frazione nota per lo scontro che vi combatterono il 29 giugno 1944 gli uomini del Brigata “Lanciotto” e i soldati della Brandenburg.

  • Percorso: Cetica – Cristo del Castagno – Pian dei Ciliegi – Cetica
  • Distanza: 14 km
  • Tempo di percorrenza: 3 ore e 10 minuti
  • Difficoltà: media
  • Dislivello: ±526 m

Lunga e agevole salita che attraverso il sentiero CAI 54 porta prima al Cristo del Castagno e successivamente a Pian dei Ciliegi (1.130 m), il punto più alto dell’itinerario. Il percorso si svolge quasi interamente all’ombra dei faggi e dei castagni. Da Pian dei Ciliegi si perde progressivamente quota e dopo una discesa non troppo ripida si giunge a Cetica, dove sarà infine possibile visitare i cippi e i monumenti dedicati alla battaglia.

 

Moggiona, “Il sentiero della Linea Gotica”

Percorso ad anello che ripercorre le fortificazioni che i tedeschi costruirono durante la seconda guerra mondiale. Le postazioni, debitamente indicate attraverso dei pannelli, sono oggi delle buche e degli avvallamenti, un tempo utilizzate per posizionarvi l’artiglieria o costruirvi le trincee.

  • Distanza: 4,5 km
  • Tempo di percorrenza: 2 ore
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±280 m

Per giungere all’inizio del percorso è necessario intraprendere la strada che da Moggiona porta all’Eremo di Camaldoli e svoltare a sinistra dopo circa tre chilometri, prendendo la strada sterrata che porta ad Asqua; dopo meno di un chilometro ci si imbatte in un pannello che indica l’inizio del sentiero. La prima parte del percorso è in lieve salita, seguita da un tratto pianeggiante che lascia poi spazio alla discesa che porta alla località La Rota. L’ultimo tratto dell’itinerario è in leggere discesa e percorre il “sentiero dei tedeschi”, chiamato in questo modo poiché durante il secondo conflitto mondiale venne frequentemente utilizzato dalle truppe naziste.

Nella zona, oltre alle postazioni presenti lungo il sentiero, ve ne sono altre due, situate sul ciglio della strada che da Moggiona porta a Lierna.  A Moggiona – vittima nel settembre 1944 di una terribile strage – è inoltre possibile poter visitare la Mostra permanente sulla guerra e la Resistenza in Casentino, facente parte della Rete Ecomuseale del Casentino.

 

Moscaio

Sentiero che attraversa l’abitato di Moscaio, vittima tra il 12 e il 13 aprile 1944 di un rastrellamento nazista. Il percorso offre inoltre la singolare possibilità di poter attraversare e visitare alcuni borghi, due dei quali sono ormai disabitati e in stato decadente. Questo itinerario può essere percorso sia in bicicletta che a piedi.

  • Percorso: Banzena – Moscaio – Buca di Giona – Giona – Rovine di Giona di Sopra
  • Distanza: 7,4 km
  • Tempo di percorrenza: 2.05 ore
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±223 m

Da Banzena si procede in direzione nord-est per circa un chilometro fino ad arrivare a Moscaio, un abitato composto da poche abitazioni; nella via che attraversa la frazione sarà possibile osservare una lapide che ricorda le vittime che tra il 12 e il 13 aprile 1944 persero la vita in un rastrellamento tedesco. Si prosegue il cammino e dopo poco più di un chilometro si arriva a Buca di Giona, un paese disabitato, seguito dal borgo di Giona. Dopo essere arrivati a Giona il sentiero vira a sinistra e sale fino ad arrivare alle rovine di Giona di Sopra, dove si conclude il sentiero.

 

Partina

Il sentiero che proponiamo percorre un tratto della ciclopedonale “Buonconte da Montefeltro”, che da Bibbiena giunge fino a Camaldoli. Invece dell’itinerario tradizionale suggeriamo un percorso più “dolce”, adatto a tutte le categorie di escursionisti. Il nostro itinerario ha inizio da Partina, dove sarà possibile poter visitare i monumenti dedicati alle vittime della strage del 13 aprile 1944. Il sentiero è ideale per le biciclette ma può essere percorso anche a piedi.

  • Percorso: Partina – Casa il Sasso – località Castagnoli
  • Distanza: 3,6 km fino al bivio con la Sr 71; 7,9 km fino a Camaldoli
  • Difficoltà: facile

Il sentiero prende avvio da Partina e più precisamente da via di San Francesco, situata lungo l’argine del torrente Archiano; qui sarà possibile poter visitare due monumenti in onore delle vittime della seconda guerra mondiale: uno inserito all’interno di un’area verde, dedicato a tutti gli abitanti che sono venuti a mancare durante il conflitto e uno posto poco più avanti, in direzione nord-est, interamente dedicato agli otto operai della Todt che vennero uccisi il 13 aprile 1944. Dopo aver visitato i monumenti si continua a percorrere via di San Francesco, per prendere la ciclopedonale che costeggia sul lato est l’Archiano. Nella fase iniziale il percorso è prevalentemente pianeggiante e rettilineo; superata l’ex centrale idroelettrica i visitatori giungeranno a Casa il Sasso, da dove inizierà un tratto in lieve salita seguito da una discesa. Il percorso termina dopo poco più di tre chilometri e mezzo all’altezza dell’incrocio con la strada asfaltata (località Castagnoli): giunti a questo punto i più prudenti potranno tornare a Partina seguendo in senso opposto l’itinerario precedentemente percorso, oppure percorrendo la Strada Regionale 71 Umbro Casentinese; invece i più allenati e temerari potranno continuare percorrendo il tratto conclusivo della “Buonconte da Montefeltro”, fino ad arrivare a Camaldoli.

 

Vallucciole, “Il sentiero della libertà”

Sentiero che da Molin di Bucchio sale fino al borgo di Vallucciole, teatro il 13 aprile 1944 di una strage. Nel corso dell’ascesa si attraversano i luoghi che vennero inesorabilmente colpiti dalla furia nazista.

  • Percorso: Molin di Bucchio – Serelli – cimitero di Vallucciole – Vallucciole – Monte di Gianni
  • Distanza: 6,9 km
  • Tempo di percorrenza: 2 ore
  • Difficoltà: facile
  • Dislivello: ±220 m

Molin di Bucchio si raggiunge prendendo la strada che da Stia porta a Londa. Una volta giunti nel paese i visitatori potranno osservare i monumenti presenti nel paese, due dedicati a Pio Borri, prima vittima della Resistenza aretina e uno alla strage di Vallucciole. Dopo aver visitato Molin di Bucchio si torna sulla strada provinciale e si continua a procedere in direzione del Londa, per poi svoltare a destra dopo pochi metri, in concomitanza di una strada sterrata dove sono presenti le indicazioni per “Vallucciole” e “Capo d’Arno”. Durante la salita si attraversa il luogo dove un tempo sorgeva Serelli, distrutta da una frana nel 1992 e il cimitero di Vallucciole, dove riposano molte delle vittime della strage. Infine si giunge al borgo di Vallucciole, dove è presente la chiesa dei santi Primo e Feliciano, all’interno della quale è presente una lapide recante i nomi delle 108 vittime. Il sentiero prosegue per mezzo chilometro, concludendosi all’abitato di Monte di Gianni, anch’esso teatro della violenza nazista.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




Sui sentieri della Linea Gotica a Badia Tedalda

Badia Tedalda è un comune della Valtiberina in provincia di Arezzo situato nella zona appenninica al confine con le Marche e l’Emilia-Romagna. Con i suoi 1.463 abitanti Badia Tedalda è il principale centro dell’Alpe della Luna, un gruppo montuoso dell’Appennino settentrionale. Dalla fine del 1943 al settembre del 1944 il paese e le zone circostanti furono attraversati dalla Linea Gotica, l’approntamento difensivo costruito dai tedeschi lungo tutta la dorsale appenninica per bloccare le truppe alleate che risalivano la penisola.

Le montagne che circondano Badia Tedalda offrono un’eccezionale visuale sugli accessi di tre vallate, l’alta Valtiberina, l’alta Valmarecchia e l’alta Valle del Foglia. Questo segmento della difesa era dunque di importanza cruciale per i tedeschi poiché offriva la possibilità di poter bloccare l’avanzata alleata su Forlì, Rimini e Pesaro e danneggiare l’aviazione diretta sui principali centri del Mar Adriatico.

Seguendo un modus operandi ormai collaudato i nazisti in queste zone procedevano al reclutamento forzato degli uomini atti al lavoro per la costruzione delle opere difensive e mettevano in atto soprusi di qualsiasi genere come violenze, stupri e razzie. Questa impostazione veniva arricchita da quella politica della “terra bruciata” volta ad isolare i partigiani attraverso l’esecuzione di azioni efferate ai danni delle popolazioni locali[1].

A Badia Tedalda l’esercito tedesco arrivato nei primi mesi del ’44 vi stazionò per quasi un anno fissandovi la sede di comando di una delle sue divisioni, la 114ª Jäger-Division, deputata – insieme agli artiglieri della contraerea – alla difesa di quella zona. La 114 ª era una divisione nata nell’Europa orientale per combattere i partigiani ed era stata spostata proprio nella Valtiberina con il compito di difendere la Linea Gotica in quel tratto dal Passo dei Mandrioli (valico di crinale dell’Appennino tosco-romagnolo) fino a Sestino (il comune più orientale della Valtiberina).

Questi reparti una volta sistematisi lungo le fortificazioni della Linea si occuparono inizialmente del completamento dei lavori di fortificazione per controllare gli Alleati che stavano avanzando lungo la Valtiberina.  Ma tra il 20 e il 25 settembre con lo sfondamento della Linea Gotica sull’Adriatico e al Passo del Giogo di Scarperia il comandante delle forze tedesche in Italia, Kesserling, fece immediatamente retrocedere i reparti qui dislocati che abbandonarono le postazioni senza subire un vero e proprio attacco. Però al momento della ritirata i tedeschi, oltre ad interrompere tutte le vie di comunicazione, rasero al suolo diversi edifici, tra cui il palazzo comunale, l’attiguo mattatoio e le case circostanti[2].

Oggi la scoperta di una cospicua serie di resti di fortificazioni sui crinali di queste montagne, insieme alla raccolta delle memorie dei testimoni, ha portato alla nascita del Parco storico della Linea Gotica. È una realtà ancora in costruzione che rende fruibile ai visitatori questo luogo di storia e di memoria, con i percorsi guidati per gli escursionisti, con le proposte didattiche per le scuole e con la realizzazione di spettacoli e manifestazioni.

Il Parco storico della Linea Gotica, nato nel 2011 dalla collaborazione tra la Pro Loco di Badia Tedalda e la cooperativa sociale Costess – con il patrocinio della Provincia di Arezzo e della Regione Toscana -, è un museo open air delle fortificazioni belliche che valorizza un patrimonio storico conservatosi in un ambiente naturale intatto e suggestivo[3].

 

L’area del Parco Storico della Linea Gotica

 

Parallelamente alla valorizzazione delle postazioni difensive sparse per il territorio è stata allestita anche una “Sala della Memoria”, uno spazio culturale con installazioni multimediali, ricavata all’interno del Centro-Visite della Riserva Alpe della Luna (nei pressi della piazza del paese). La sala raccoglie reperti storici locali di varie epoche, ma soprattutto pannelli ed installazioni video relativi alla Linea Gotica e alla storia del periodo[4].

 

La Sala della Memoria

 

Per consentire ai visitatori di muoversi nel Parco sono stati creati una serie di itinerari a piedi e in bicicletta, grazie ai quali è possibile raggiungere pressoché tutti i principali siti in cui sono ancora presenti i resti delle fortificazioni (trincee, fortini in pietra in pieno bosco, casematte, postazioni antiaeree, postazioni radio, rifugi e ricoveri). Tali itinerari – le cui descrizioni sono in parte consultabili sul sito web della Pro Loco – possono essere percorsi con facilità grazie alle segnalazioni e alle tabelle informative sparse per il Parco[5].

Nel Parco sono stati individuati più di 250 siti con resti di fortificazioni e alcuni di questi, quelli più significativi, sono stati completamente restaurati.

Ed è proprio per recuperare la memoria della Linea Gotica nel territorio di Badia Tedalda che vogliamo dare questo contributo invitando ad andare a visitare quei luoghi per scoprire i segni di una storia recente, come quelle opere militari, ormai inserite nella natura e nel paese, che hanno reso possibile la formazione del Parco Storico.

Riportiamo qui di seguito alcuni dei sentieri presenti all’interno del Parco storico ripresi dagli itinerari della Pro Loco di Badia Tedalda: alcuni sono percorribili a piedi ed altri in bicicletta.

È consigliabile prima di iniziare un’escursione prendere informazioni aggiornate presso il Centro Visite sullo stato della rete sentieristica e sull’accessibilità dei luoghi.

 

Sentiero di Hinton Brown

 

  • Lunghezza percorso: 10.4 km
  • Dislivello: ± 840 m
  • Difficoltà: EE
  • Punto di partenza: Valico di Montelabreve
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

Pilota Hinton-Brown

 

Hinton Brown era un pilota sudafricano facente parte di una squadriglia dell’esercito britannico[6]. Durante la seconda guerra mondiale l’aviatore venne colpito dalla contraerea tedesca attestatasi sulle montagne dell’Appenino tosco-romagnolo e non ebbe altra scelta se non quella di lanciarsi con il paracadute atterrando nelle campagne attorno a Sant’Agata Feltria, in una zona presidiata dai tedeschi. Vedendolo scendere i contadini ed i partigiani del posto lo soccorsero e lo portarono al sicuro nella frazione di Monteriolo; da qui Hinton iniziò un lungo cammino che lo portò a ricongiungersi con i suoi compagni giunti dalle parti di Anghiari in Valtiberina. Grazie all’aiuto dei partigiani e dei contadini il pilota riuscì ad attraversare le montagne evitando i nazisti ed i repubblichini, trovando ospitalità in case coloniche e chiese. Il suo itinerario toccò molte località: Donicilio, Tavolicci, Pereto, Castelpriore, Fragheto, Casteldelci, l’Alpe della Luna, Val di Canali, il Condotto, Montagna, fino al Tevere. Grazie al ritrovamento del suo diario oggi possiamo ripercorrere i sentieri che Hinton Brown attraversò per ricongiungersi ai suoi commilitoni. Lungo il sentiero sarà possibile poter individuare diverse postazioni che i tedeschi costruirono nelle zone attraversate dalla Linea Gotica.

Questo sentiero percorre in parte una delle più antiche vie dell’Alpe della Luna percorsa fin dal Medio Evo dai pellegrini e dai pastori e utilizzata fino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso dai contrabbandieri che trasportavano clandestinamente il sale della Romagna e il tabacco della Valtiberina per evitare i dazi: con pesanti sacchi sulle spalle risalivano fino allo sbocco del Bucine, percorrevano un pezzo di crinale e poi scendevano giù per altri sentieri segreti fino a Sansepolcro dove scaricavano il sale, caricavano il tabacco e nuovamente salivano su per lo stesso percorso a ritroso fino in Romagna.  Per questa ragione gli abitanti del posto lo chiamano ancora il “sentiero dei contrabbandieri”.

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul sentiero di Hinton Brown

 

ITINERARIO

(È possibile effettuarlo sia a piedi che in mountain bike)

Il sentiero ha inizio al Valico di Montelabreve (Badia Tedalda) in corrispondenza con il sentiero CAI n. 5 in direzione di Monte Maggiore. Dopo pochi metri seguendo le indicazioni si svolta a sinistra scendendo nella valle e toccando le località di Montelabreve e Gorgoscura fino al guado sul torrente Auro (circa 3 chilometri dalla partenza). Superato il guado il sentiero sale a destra sovrapponendosi al sentiero BT6 (che corrisponde alla “via dei contrabbandieri”) e risale la valle dell’Auro fino al crinale (1.002 m).  Da qui i due sentieri si dividono: il “sentiero dei contrabbandieri” scende verso il colle delle Quarantelle, mentre il sentiero di Hinton Brown percorre il crinale del Poggio dell’Oppione fino allo sbocco del Bucine (circa otto chilometri dalla partenza, 1.232 m). Dal crinale si attraversa il sentiero 00/E1 e si scende fino alla località Val di Canale nei pressi di un rudere (10 chilometri dalla partenza, 898 m). In questa zona durante la seconda guerra mondiale vi erano molti casolari e poderi che davano ospitalità agli sfollati e a tutti coloro che cercavano sicurezza e libertà oltre il fronte della Linea Gotica. In uno di questi, il Podere il Condotto, alloggiò il pilota Hinton Brown prima di passare il Tevere per ricongiungersi ai suoi compagni. Da qui volendo si intraprende a ritroso lo stesso sentiero per ritornare al punto di partenza.

 

Il sasso di Cocchiola

 

  • Lunghezza percorso: 3 km
  • Dislivello: ± 231 MT
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Parco della Memoria – Badia Tedalda
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

Il Sasso di Cocchiola

 

Il percorso comincia dal “Parco della Memoria” situato alle porte di Badia Tedalda. Inaugurato nel novembre del 2011 grazie al contributo della Pro Loco e del comune il parco è stato creato per ricordare i caduti civili e militari delle due guerre mondiali, a ciascuno dei quali è stato dedicato un albero della pineta all’ingresso sud del paese.

Dal Parco storico della Linea Gotica seguiamo la segnaletica giallo-blu e saliamo fino alla sommità del primo rilievo sovrastante Badia e la strada provinciale, dove è possibile rintracciare, anche se poco riconoscibili, i resti di una postazione di avvistamento. Da qui procediamo sempre seguendo i segnavia colorati del Parco fino a raggiungere una strada sterrata che originariamente collegava Badia a Pratieghi (località al confine con l’Emilia-Romagna). Seguendo il tracciato di questa strada in circa 45 minuti giungiamo al rilievo montuoso del Sasso di Cocchiola (929 m), un sito con rilevanti resti della Linea Gotica che sono stati ripuliti e restaurati. Il nucleo di fortificazioni ancora presenti è interessante perché possiamo trovarvi diverse tipologie di costruzione e la tabella esplicativa aiuta il visitatore a prenderne conoscenza. Questo luogo era di fondamentale importanza per la sua posizione panoramica che garantiva alla contraerea tedesca una visibilità ideale per intercettare l’aviazione alleata e al tempo stesso, essendo vicino al quartier generale della Divisione, fungeva anche da presidio difensivo per un eventuale attacco terrestre. Sul Sasso di Cocchiola sono ancora visibili e riconoscibili i resti di due casematte: adibite principalmente per il deposito di munizioni, ma che fungevano al contempo da riparo per i soldati tedeschi in occasione degli attacchi alleati. Oltre alle casematte sono inoltre visibili i resti delle postazioni da tiro della contraerea tedesca che completavano il sistema difensivo della zona e servivano a contrastare i bombardamenti angloamericani[7].

 

La “casamatta”, Sasso di Cocchiola

 

Postazione antiaerea, Sasso di Cocchiola

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul Sasso di Cocchiola

 

Il Monte dei Frati

 

  • Lunghezza percorso: 5 km
  • Dislivello: ± 631 M
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Poggio La Piazzuola
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

 

Il Monte dei Frati

 

Queste zone dell’Alpe della Luna prima dell’arrivo dei tedeschi videro la presenza di diversi raggruppamenti partigiani, più precisamente quelli della V Brigata Garibaldi “Pesaro[8] e quelli della XXIII Brigata Garibaldi “P. Borri”, e furono teatro di azioni partigiane, rastrellamenti nazifascisti, scontri a fuoco e fucilazioni.

Il percorso qui di seguito proposto ha inizio da Poggio la Piazzuola che è possibile raggiungere in auto da Badia Tedalda in dieci minuti seguendo le indicazioni per Monteviale. Una volta lasciata l’auto si intraprende il sentiero CAI n. 19 che sale dolcemente alla sommità boscosa del Monte dei Frati (1.453 m), la massima elevazione dell’Alpe della Luna. La cima, segnalata da una piramide di pietre e da un cartello, è completamente coperta da una faggeta fiabesca; poco sotto si trova il piccolo Bivacco Paolo Massi, una piccola costruzione in legno sempre aperta, e a poca distanza dalla vetta il fianco orientale del Monte dei Frati è squarciato dalla Ripa della luna, un salto impressionante di roccia chiara e verticale che precipita per circa 300 metri di dislivello, la cui vista ci lascia affascinati dalla bellezza della natura.

 

Cima del Monte dei Frati

 

Nella prima parte del percorso si possono notare diversi punti panoramici sulla Val di Bruci, che fu la “base logistica” per gli uomini impegnati nella costruzione delle fortificazioni della Linea Gotica sul Monte dei Frati: fino a questo punto i tedeschi riuscivano ad arrivare con i mezzi a motore, dopodiché procedevano fino a dove era possibile con i muli e successivamente a piedi.

Proseguendo lungo il percorso si può notare come i principali punti di fortificazione fossero, oltre che strategici, anche in “contatto visivo” tra loro.

Una volta giunti al Monte dei Frati, dopo circa due ore di cammino dal punto di partenza, i cartelli del Parco consentono di raggiungere un ampio sito storico, dove possiamo ammirare una sorta di “cittadella” fortificata destinata ad ospitare la contraerea tedesca.

Se proseguiamo invece verso il Monte Maggiore giungiamo nel luogo dove era posizionato uno dei principali osservatori di tutta l’area, di cui ad oggi non vi è praticamente più traccia se non alcuni resti delle postazioni di servizio, alcune “buche” e “piazzole”.

 

Monte Verde

 

  • Lunghezza percorso: 5.5. km
  • Dislivello: ± 472 M
  • Difficoltà: E
  • Punto di partenza: Passo di Viamaggio
  • Ritorno: per lo stesso percorso

 

L’itinerario ha inizio dal Passo di Viamaggio, dove sono ancora visibili alcune batterie della contraerea tedesca e pezzi di artiglieria. Lasciata l’auto nei pressi del Bar L’Alpe seguendo i segnali giallo-blu si intraprende il sentiero CAI n.00 che arriva dopo circa un’ora a Monte Verde. Lungo il cammino è possibile incontrare resti di postazioni di fucilieri e mitraglieri che erano destinate a difendere i tedeschi dagli attacchi terrestri. L’individuazione di queste fortificazioni non è sempre facile, talvolta si possono nascondere sotto il fogliame o nella folta vegetazione che contraddistingue queste montagne.

Giunti in cima al Monte Verde si può avvistare sia una postazione di tiro che il punto terminale di una trincea, seguendo il quale si arriva a tre grandi postazioni per il ricovero delle truppe.

Per chi volesse approfondire la conoscenza della Linea Gotica consigliamo di proseguire verso Monte Macchione, un promontorio di crinale a quota più bassa del Monte Verde, dove sono presenti numerosi resti delle fortificazioni tedesche. Sebbene non siano stati ancora recuperati sono visibili i resti di dodici postazioni di tiro in prevalenza utilizzate per fucilieri e mitraglieri e nella parte posteriore della cima del Monte i resti di un ricovero per la truppa e di una casamatta sotterranea.

Per gli amanti della bicicletta si consiglia La staffetta della memoria, un’iniziativa molto seguita e partecipata, che si snoda in una lunga pedalata appenninica nei giorni del 25 aprile e del 1° maggio, per mantenere sempre vivi nella memoria gli avvenimenti che hanno portato alla nascita della Repubblica Italiana e alla Costituzione. L’itinerario che ripercorre il tracciato storico della Linea Gotica attraversa anche il tratto della Linea che collega il Parco storico di Badia Tedalda al Parco nazionale delle Foreste Casentinesi[9].

 

La staffetta della memoria

 

Un altro percorso in bicicletta che riguarda invece solo il territorio di Badia Tedalda e ci consente di visitare i resti della Linea Gotica e di immergersi nell’area dell’Alpe della Luna è “il sentiero della Battaglia”.

 

Il Sentiero della Battaglia

  • Lunghezza percorso: 23. km
  • Dislivello: ± 625 M
  • Punto di partenza: Badia Tedalda
  • Ritorno: Badia Tedalda

 

Pannello descrittivo del Parco Storico sul Sentiero della Battaglia

 

Il sentiero parte da Badia Tedalda e segue una delle vie che nel giugno del 1944 i nazisti percorsero per compiere un accerchiamento ai danni della V Brigata Garibaldi “Pesaro”. La zona in questione fu teatro di uno scontro che contrappose i tedeschi provenienti da Sestino e Badia Tedalda e alcuni raggruppamenti partigiani appostati sui crinali di quelle montagne. I componenti della “Pesaro” riuscirono a resistere per tutta la giornata agli attacchi nemici senza subire gravi perdite e a respingere il nemico[10].

 

Il gruppo di comando della Brigata Garibaldi “Pesaro”

 

L’itinerario di questo percorso è circolare e si snoda per 23 km senza presentare particolari dislivelli proibitivi[11]. Da Badia Tedalda seguiamo le indicazioni per Moteviale e una volta giunti al bivio svoltiamo per Stiavola. Superata la cascata del Presale che troviamo alla nostra sinistra proseguiamo fino all’incrocio successivo seguendo le indicazioni per Montelabreve. Da qui si intraprende una strada in ascesa fino al Passo di Montelaberve (circa 9 km), poi si vira a destra e si prende il sentiero CAI n. 5 e lo si segue integralmente fino a superare il Poggio di Monterano. La strada risulta quasi interamente pedalabile ma vi sono alcuni punti in cui sono presenti delle ripide rampe che costringono a portare la bicicletta a mano. Lungo il cammino è poi possibile poter individuare alcune postazioni tedesche grazie alla segnaletica del Parco Storico; in questo caso sarà necessario compiere delle brevi deviazioni al percorso tradizionale ed addentrarsi per pochi metri nella boscaglia, dove potremo osservare le fortificazioni utilizzate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Le trincee, i camminamenti e i luoghi adibiti all’artiglieria e all’osservazione sono in prevalenza situati lungo il crinale, ossia il punto che offre la miglior visibilità.
Giunti al bivio di Monterano il percorso scende a destra sul sentiero segnalato; chi invece volesse individuare altre fortificazioni tedesche dovrà procedere verso Monte Maggiore e poco dopo troverà alla sinistra del sentiero alcune postazioni  che erano state costruite per controllare gli eventuali movimenti nemici nella vallata. Al bivio di Monterano il percorso prosegue dunque verso destra: si abbandona il crinale e si scende sulla strada forestale che ci porterà in poco tempo alla Casa di Monterano, unico casolare sopravvissuto di una piccola frazione che all’epoca fu sede di un comando tedesco.
La strada forestale, ora ampia e senza deviazioni significative, attraversa la Val di Petra e con alcuni saliscendi giunge a Poggio la Piazzuola; qui, superata la sbarra, si prosegue verso destra su una strada sterrata. La discesa – inizialmente dolce ma successivamente più ripida – ci conduce prima a Monteviale e poi, tornati sull’asfalto, all’incrocio presso il ponte di Val di Brucia. Ora, svoltando a sinistra, risaliamo l’ultimo chilometro in salita e giungiamo al punto di partenza nella piazza di Badia Tedalda.

 

 

Un viaggio lungo i sentieri del Parco Storico di Badia Tedalda che ognuno può condurre in modo personale, con ritmi e scelte che ciascuno può fare tra le tante possibilità di visita che vengono proposte. Ognuno segue il proprio passo, più lento o più veloce a seconda delle passioni e dei giorni e ognuno… trova il suo senso.

 

NOTE:

[1] Ivan Tognarini, La Linea Gotica in provincia di Arezzo, in Paesaggi della memoria. Itinerari della Linea Gotica in Toscana, Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 34-37.

[2] Ivan Tognarini (a cura di), 1943-1945, la Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Pagnini, Firenze 1994, p. 22.

[3] Consulta il sito web della Pro Loco di Badia Tedalda https://www.prolocobadiatedalda.it/ e il periodico trimestrale online “Luna Nuova” di informazione e promozione dell’Alta Valmarecchia e Alpe della Luna in https://lunanuovaweb.home.blog/2019/10/16/il-parco-storico-della-linea-gotica-di-badia-tedalda-un-cantiere-aperto/

[4] Cfr.  Linea Gotica. Il Parco Storico di Badia Tedalda in https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/2022/05/10/linea-gotica-il-parco-storico-di-badia-tedalda/

[5] Cfr. Itinerari della Linea Gotica a Badia Tedalda in https://visitbadiatedalda.it/itinerari-e-escursioni/parco-storico-linea-gotica/

[6] I Sentieri della Memoria in https://lunanuovaweb.home.blog/2020/02/04/i-sentieri-della-memoria/

[7] Cfr.  Andrea Meschini e Doriano Pela, Il cammino della Linea Gotica. Un cammino civile sui luoghi dove è nata la Costituzione, Associazione Fuori dalle Vie Maestre.

[8] Alvaro Tacchini, La 5° Brigata Garibaldi “Pesaro”, in https://www.storiatifernate.it/id/la-5a-brigata-garibaldi-pesaro/

[9] Cfr. Il sito web Il cammino della Linea Gotica in https://www.camminolineagotica.it/staffetta-della-memoria/

[10] Alvaro Tacchini, Il rastrellamento del 3-6 giugno 1944 sull’Alpe della Luna, in https://www.storiatifernate.it/id/il-rastrellamento-del-3-6-giugno-1944-sullalpe-della-luna

[11] Cfr. il sentiero su https://www.prolocobadiatedalda.it/itinerari-ed-escursioni/

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di novembre 2024.




Le stragi di Partina e Moscaio

Il 13 aprile 1944 viene generalmente ricordato in Casentino per la strage di Vallucciole, che portò all’uccisione di oltre cento civili, in prevalenza donne, anziani e bambini. La scomparsa della quasi totalità della popolazione del piccolo borgo e degli abitati limitrofi non rappresentò però l’unico eccidio verificatosi quel giorno nella vallata, visto che tra il 12 e il 13 aprile la violenza dei nazisti si scagliò anche sugli abitanti di due paesi nei pressi di Bibbiena, Partina e Moscaio, portando alla morte di trenta innocenti (22 a Partina e 8 a Moscaio). Non è un caso che le stragi in questione siano avvenute il medesimo giorno, come non è altrettanto accidentale che queste azioni abbiano numerose analogie tra di loro. I rastrellamenti di Vallucciole, Partina e Moscaio, ma anche quelli avvenuti negli stessi giorni a Badia Prataglia e San Godenzo rientrano all’interno di un’ampia azione organizzata dai comandi nazisti all’inizio di aprile, volta a debellare la presenza partigiana nelle zone del Casentino e nei pressi del monte Falterona[1].

In questa fase dell’occupazione si assiste ad una progressiva radicalizzazione della presenza nazista in Italia e al crescente utilizzo della violenza ai danni dei civili. Quest’impostazione non era un’anomalia all’interno della strategia militare tedesca, ma rappresentava un tratto tipico della loro conduzione bellica, utilizzato sul fronte orientale fin dal 1941. La strategia stragistica aveva l’intento di allontanare le popolazioni dai ribelli attraverso la conduzione di efferate e indiscriminate azioni ai danni dei civili. In Italia questo genere di atteggiamento venne adottato dalla fine del marzo 1944, quando l’attentato di via Rasella (23 marzo), lo sciopero di inizio mese e le notizie riguardanti il rafforzamento delle formazioni partigiane portarono i comandi nazisti a mutare giudizio e considerare il contesto italiano un problema di difficile soluzione. I principali tratti del nuovo approccio emergono in modo chiaro ed evidente nelle misure antipartigiane che il feldmaresciallo Kesselring diffuse ai suoi subordinati il 7 aprile: all’interno del documento il responsabile del fronte italiano invitava i soldati ad operare in modo deciso e risoluto, garantendo l’impunità a coloro che avrebbero agito in tale modo; Kesselring concludeva infine la comunicazione precisando che le problematiche sarebbero sorte qualora qualcuno non fosse stato sufficientemente determinato e spietato[2].

Con queste premesse all’inizio di aprile venne organizzato un grande rastrellamento che avrebbe dovuto ripulire la dorsale appenninica dalla Liguria alle Marche. In Toscana le operazioni iniziarono il 10 aprile: colpirono inizialmente alcuni borghi del Mugello, per poi spostarsi successivamente nel Casentino, dove veniva segnalata una forte presenza di ribelli. Nel Casentino e sul versante orientale del Falterona l’azione ebbe inizio la notte tra il 12 e il 13 aprile ed investì paesi dall’importanza secondaria come San Godenzo, Castagno d’Andrea, Badia Prataglia, Vallucciole, Partina e Moscaio.

Protagonisti di quest’operazione furono gli uomini del Reparto esplorante della Divisione Hermann Gӧring, comandati dal colonnello von Heydebreck e guidati sul campo dal capitano von Loeben. Si trattava di un contingente composto da oltre mille soldati, suddivisi in cinque compagnie tutte motorizzate; non era un corpo noto per le sue qualità militari, ma celebre piuttosto per essere una delle formazioni più politicizzate dell’esercito, composta in prevalenza da volontari e nazisti della prima ora. Nella seconda metà di marzo la Divisione aveva inoltre messo in evidenza le sue capacità nel rastrellamento con le stragi emiliane di Cervarolo e Civago[3].

Il primo paese ad essere colpito nel Casentino fu Moscaio, un piccolo gruppo di case situato su una collina distante pochi chilometri da Bibbiena. I tedeschi giunsero nella frazione nella notte tra il 12 e il 13 aprile ed irruppero nelle case degli abitanti trascinando gli uomini fuori dalle loro abitazioni: cinque furono fucilati sul retro delle loro case, altri due vennero abbattuti mentre cercavano di fuggire al rastrellamento e uno venne ucciso con un colpo di pistola da un soldato irritato dalle sue grida[4]. Secondo la ricostruzione compiuta da Raffaello Sacconi i soldati della Gӧring penetrarono nel paese grazie alle indicazioni fornite da un ragazzo che avevano incontrato lungo il percorso di avvicinamento all’abitato[5]. Rispetto alla strage di Partina, che coinvolse un maggior numero di vittime, non vi è certezza riguardo l’esatto numero dei morti (una cifra compresa tra sette e nove) e sono pressoché assenti le testimonianze dei superstiti dell’eccidio.  Le poche dichiarazioni a nostra disposizione presentano però numerose analogie con gli eventi che di lì a poco si sarebbero verificati nel vicino paese di Partina: i figli delle vittime affermano che nessuno dei morti aveva preso attivamente parte alla Resistenza, ma aveva al massimo fornito rifugio a qualche partigiano transitato per l’abitato, aggiungendo inoltre che molto probabilmente furono presenti durante l’operazione anche alcuni fascisti della zona[6].

 

Lapide in ricordo dei civili di Moscaio caduti durante la strage

 

Qualche ora dopo gli uomini della Gӧring piombarono su Partina, un piccolo paese vicino Soci. Verso le quattro del mattino un gruppo di fascisti e nazisti camuffati da partigiani entrò nel paese e si diresse all’abitazione di Angiolo Cerini, la guardia comunale del paese, chiedendogli se conoscesse qualcuno che li avrebbe potuti aiutare a trasportare del materiale bellico in montagna. Il Cerini non sospettò nulla ed accompagnò i presunti partigiani da coloro che riteneva li avrebbero potuti aiutare: il primo che venne interpellato era il Giovannini, ma questi si rifiutò di aiutarli perché i suoi buoi erano troppo stanchi, aggiungendo che aveva fornito il suo supporto in altre occasioni, ma che questa volta proprio non poteva aiutarli. Al rifiuto del Giovannini i repubblichini non rivelarono la loro identità e continuarono la loro ricerca facendosi accompagnare alla casa del Lorenzoni: una volta chiamato questi chiese di potersi  vestire prima di uscire di casa a parlare, ma gli risposero che non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che quel giorno sarebbe stato ucciso. Accortosi dell’inganno il Cerini cercò di ritrattare quanto aveva detto, ma venne immediatamente colpito alla testa da due colpi di pistola. Con la morte della guardia comunale i criminali svelarono la loro identità, dando inizio alla strage[7].

 

Partina

 

Accompagnato da elementi locali, il gruppo si recò nelle abitazioni ritenute maggiormente sospette, come quelle dei partigiani Vecchioni e Paperini, dando alle fiamme le case ed uccidendo coloro che erano stati inseriti all’interno di una lista precedentemente stilata. Gli individui vennero uccisi nei più disparati modi, chi veniva ucciso sulla porta di casa, chi veniva gettato nelle abitazioni in fiamme dopo che era stato utilizzato per trasportare le fascine con le quali arderle e chi veniva ucciso alle spalle dopo che gli era stata promessa la salvezza. Complessivamente nel corso della mattinata vennero uccisi 14 abitanti di Partina, tutti uomini con più di diciotto anni.

Il resto della popolazione venne rinchiuso all’interno della chiesa, mentre all’esterno i tedeschi continuarono a seminare il panico per il paese. Giovanni Cherubini, che all’epoca aveva poco più di cinque anni, ricorda nitidamente il trasferimento della popolazione nella parrocchia: il volto grigio del parroco, la calca e i pianti di disperazione dei presenti. Ancora oggi non è chiaro se i tedeschi volessero uccidere i civili radunati all’interno dell’edificio o se volessero imprigionarli temporaneamente per avere più libertà di movimento nel paese; tuttavia, tra i presenti si diffuse la notizia che l’edificio sarebbe stato fatto saltare in aria. Ormai certo del tragico epilogo don Ezio Turinesi decise di tenere messa e di assolvere tutti i presenti dai loro peccati[8].

Fortunatamente questo rischio venne scongiurato grazie alla mediazione di un’ufficiale tedesco di stanza a Soci, il capitano Tambosi, e del responsabile locale della Todt, il maggiore Kirchberg, che riuscirono a convincere gli uomini della Gӧring ad interrompere la carneficina, testimoniando l’innocenza della popolazione e l’insussistenza delle voci che etichettavano erroneamente Partina quale “covo partigiano”. Grazie a questo intervento la strage non raggiunse dunque le dimensioni dell’eccidio di Vallucciole, ma si limitò all’uccisione di alcuni uomini di età adulta, senza che venissero eliminati gli anziani, i bambini e le donne. La mediazione di Tambosi e Kirchberg evidenzia la presenza di un buon rapporto tra gli abitanti nei dintorni di Soci e i tedeschi della Wehrmacht di stanza nella zona, testimoniata anche dal partigiano Dante Roselli nel corso di un’intervista[9].

La strage non limitò la sua estensione agli abitanti di Partina, ma coinvolse anche otto operai della Todt che nel corso della mattinata transitarono dal paese per dirigersi a lavorare verso Serravalle. Malgrado fossero muniti di regolare lasciapassare e lavorassero alla costruzione delle fortificazioni tedesche, questi vennero etichettati come partigiani ed uccisi lungo l’argine del torrente Archiano.

 

Cippo per gli operai della Todt

 

Nel corso degli anni la strage ha sollevato numerosi interrogativi, portando taluni a sostenere che l’azione fosse dovuta alla presenza in paese dei partigiani, infatti la mattina del 13 aprile tre componenti del Gruppo Casentino – il Vecchioni, il Paperini e il Ciabatti – si recarono in paese per raccogliere viveri e materiali prima di incamminarsi verso il Pratomagno, dove nel frattempo li stavano aspettando altri compagni del raggruppamento. Per quanto sia innegabile che l’eccidio sia avvenuto in concomitanza della presenza a Partina dei ribelli e dei tedeschi, è altrettanto indiscutibile che la presenza in paese dei soldati della Hermann Gӧring fosse precedente quella del Vecchioni, del Paperini e del Ciabatti. Inoltre è estremamente improbabile che i tedeschi o i fascisti locali fossero a conoscenza dell’imminente arrivo dei tre uomini, visto che la presenza partigiana in paese si trattava di un ripiegamento che non era stato preventivato, dovuto all’occupazione tedesca di San Paolo in Alpe.

Se poi si analizza l’evento da una prospettiva più ampia ci si accorge che la strage non era un’azione isolata, ma era parte di un’ampia operazione che si svolse in tutto il Casentino. I luoghi vittime delle incursioni nazifasciste furono scelti in base alle delazioni che elementi locali fornirono ai comandi tedeschi. Malgrado le denunce non fossero corroborate da prove che convalidassero la presenza di azioni svolte ai danni dei nazisti o testimoniassero l’esistenza di gruppi partigiani che operassero nella zona, le formazioni protagoniste della strage non si preoccuparono di verificare la veridicità delle delazioni e non contattarono neppure i connazionali che nel frattempo operavano nella zona da diverso tempo per avere informazioni in merito. La denuncia non veniva dunque vagliata, ma diveniva per i comandi tedeschi pretesto per poter attuare azioni indiscriminate che allontanassero le popolazioni dai partigiani ed eliminassero potenziali sostenitori della Resistenza. Nel caso di Partina è doveroso ricordare che i partigiani in questione operavano in luoghi lontani dal loro paese natale; dei tre solamente il Paperini perse la vita nel corso della giornata, sacrificandosi per salvare la vita del compagno Vecchioni.

Nonostante nel corso degli anni si sia raggiunta un’intesa riguardo l’origine e la natura della strage, permangono ancora dei dubbi in merito ad alcuni aspetti dell’eccidio, che né gli storici né le testimonianze dei sopravvissuti sono riusciti a chiarire. In particolare sono due le zone d’ombra che sollevano alcuni interrogativi sull’evento, in primo luogo ci si domanda come mai i partigiani si fossero recati in paese nonostante un gruppo di nazisti e di fascisti fosse già presente a Partina dalle prime ore del mattino. Sappiamo che questi erano camuffati da partigiani, ma è altrettanto veritiero che la presenza di un gruppo, pur con le sembianze di un potenziale alleato, sarebbe difficilmente passato inosservato all’interno di un paese dalle piccole dimensioni ed avrebbe dovuto allertare i tre partigiani che avevano ricevuto oltretutto la notizia di un probabile rastrellamento nel Casentino. L’unica spiegazione plausibile presuppone che il gruppo di repubblichini e nazisti abbia agito nel più assoluto silenzio e sia riuscito contemporaneamente a non farsi udire ed individuare dai partigiani di ritorno nel paese.

Un altro aspetto che solleva alcuni interrogativi riguarda il mancato intervento di Sacconi in soccorso dei civili. In questo caso sappiamo che Sacconi si era appostato con i membri del gruppo Casentino nel vicino podere “Prati”, distante solamente pochi chilometri da Partina, e che avesse udito la mattina del 13 aprile gli spari provenire dal paese. In questo caso è probabile che il trasferimento sul Pratomagno avesse precedenza rispetto a qualsiasi altra operazione e che dunque il gruppo si fosse diretto verso il massiccio nonostante avesse sentito le grida provenire da Partina. In merito a questo aspetto non abbiamo però testimonianze o informazioni che ci permettano di chiarire la questione, e possiamo solamente ipotizzare una presunta precedenza dello spostamento sul Pratomagno rispetto ad un intervento in soccorso degli abitanti del paese.

Le stragi del 12 e 13 aprile ‘44 hanno segnato in modo profondo la memoria di questi paesi, che hanno deciso di ricordare le vittime attraverso una serie di opere monumentalistiche. A Partina le vittime della strage vengono commemorate all’interno di un’area verde situata in via San Francesco dove è presente un memoriale dedicato ai caduti del comune durante la seconda guerra mondiale: all’interno dello spazio sono presenti una serie di targhe in bronzo, ognuna delle quali è dedicata ad una specifica categoria di caduti. Per quanto riguarda la strage di Partina sono presenti tre steli destinate agli eventi del 13 aprile, una per i civili vittime dell’eccidio, una per gli otto operai della Todt e una in onore di Santi Paperini, sacrificatosi per salvare la vita del compagno Salvatore Vecchioni[10]. Sempre in via di San Francesco è poi presente una lapide situata sull’argine del torrente Archiano, in ricordo degli otto operai della Todt fucilati dagli uomini della Gӧring[11]. Per quanto riguarda invece le vittime di Moscaio queste vengono commemorate attraverso due lapidi, una posta nella strada che attraversa l’abitato dove avvenne la strage[12] e una posta nel cimitero di Bibbiena[13].

 

Area verde di Partina adibita al ricordo delle vittime della seconda guerra mondiale

 

Note:

[1] È interessante notare come Partina e Vallucciole siano state entrambe designate quale luoghi adibiti all’occultamento delle armi che il nascente gruppo di Vallucciole insieme a quello di Bibbiena derubarono il 13 settembre 1943 a Stia. Per approfondire l’episodio cfr. L. Grisolini, Vallucciole, 13 aprile 1944. Storia, ricordo e memoria pubblica di una strage nazifascista, Consiglio regionale della Toscana, Firenze 2017, pp. 71-72.

[2] G. Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009, pp. 71-72.

[3] Ivi, pp. 72-73.

[4] Ivi, p. 78.

[5] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, Quaderni dell’Istituto Storico della Resistenza Toscana, ed. Nuova Italia, Firenze 1975, p. 70.

[6] Testimonianza di Giancarlo Giannini, https://perlamemoria.it/i-luoghi/bibbiena/moscaio/.

[7] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, cit., pp. 66-67.

[8] Testimonianza di Giovanni Cherubini, https://perlamemoria.it/i-luoghi/bibbiena/partina/.

[9] Testimonianza di Dante Roselli, https://perlamemoria.it/i-luoghi/bibbiena/partina/.

[10] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/memoriale-ai-caduti-di-partina-di-bibbiena-guerra-1940-45/.

[11] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-agli-operai-della-organizzazione-todt-fucilati-il-13-4-1944-partina-di-bibbiena/.

[12] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-caduti-delleccidio-del-13-4-1944-moscaio-di-bibbiena/.

[13] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-ai-caduti-del-moscaio/.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel novembre 2024.




Ricordare per non dimenticare

 

“Cari compagni… io muoio ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibili. Se vivrete tocca a voi rifare questa Italia che è così bella… Sui nostri corpi si farà il faro della libertà”[1].

Un mostro che negli ultimi giorni di vita – due giorni dopo i nazisti avrebbero lasciato l’aretino per risalire verso la Linea Gotica – si è adoperato con una meticolosa precisione, che è una delle virtù dell’ingegno tedesco, per rendere più efficaci ed inesorabili i metodi di sterminio. Seppellire vivi degli esseri umani mettendoli in tasca dell’esplosivo e poi farlo esplodere, immaginando che i sintomi di asfissia lasciassero il posto alle lacerazioni causate dall’esplosione, è un calcolo di una finezza macabra del peggior aguzzino. Questo hanno compiuto i tedeschi a San Polo, questo è uno dei tanti orribili misfatti che hanno attuato nella provincia aretina, questa è una delle tante stragi rimaste impunite!

L’intenzione dei tedeschi di spezzare il movimento della Resistenza annientando la popolazione, perché lì vi erano i fiancheggiatori e lì si annidavano i partigiani difficilmente identificabili, causò molte vittime innocenti la cui colpa era solo di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E pensare che molti di loro avevano lasciato la città di Arezzo per salvarsi la vita fuggendo dai bombardamenti che nella primavera del ’44 si ripetevano quotidianamente. Ma in quelle campagne, dove credevano di poter vivere lontano dalla guerra, rimasero vittime prima di rastrellamenti e successivamente di quella macchina di morte che si era materializzata tra le file dei nazisti. Ma seppur civili e non combattenti, seppur innocenti e distanti dallo scontro bellico, anche il loro sacrificio – indubbiamente evitabile, pensiamo a tutti i bambini morti – ha dato un ulteriore spinta alla lotta contro l’invasore tedesco, coadiuvato dai fascisti repubblichini, per porre fine una volta per tutte a quella mattanza, a quello stillicidio di vite umane innocenti. E per dare un senso, per quanto difficile, alla morte di queste persone le dobbiamo accomunare al sacrificio delle vite dei partigiani che sono morti con il sogno che la loro “idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella” e dobbiamo ricordare tutti gli uomini, donne e bambini che hanno perso la vita in quel periodo, tutte vittime della Resistenza, andando anche a visitare quei monumenti che ne ricordano il sacrificio, perché su quei “corpi si è fatto il faro della libertà“, e tocca a noi fare attenzione che non si spenga, tocca a noi mantenerlo vivo ed acceso negli anni a venire.

 

Oggi i martiri di San Polo vengono ricordati da due monumenti. Il primo si trova nel luogo della strage, all’interno della proprietà di Villa Gigliosi ma comunque visitabile grazie ad un percorso esterno: l’Edicola ai Caduti civili e partigiani della strage del 14 Luglio 1944 a San Polo di Arezzo.

 

Edicola ai caduti di San Polo a Villa Gigliosi.

 

Si tratta di una struttura in laterizio e marmo a pianta rettangolare con la volta superiore ad arco. All’interno della nicchia si trova una lastra di marmo su cui è incisa l’epigrafe, con la data della strage e la dedica dei familiari delle vittime.  Nella parte inferiore della nicchia è collocata una lapide marmorea su cui sono incisi i nomi dei Caduti in ordine sparso. Mentre nella parte superiore dei fianchi dell’edicola, su due listelli rettangolari di marmo, sono incastonate alcune foto stampate su ceramica di alcune delle vittime ognuna con il proprio nome [2].

 

Particolare del monumento (1): lastra di marmo sulla quale è incisa l’epigrafe.

 

Particolare del monumento (2): Lapide marmorea su cui sono incisi, su tre file da sedici, i nomi dei Caduti in ordine sparso, alcuni dei quali trascritti in maniera errata.

 

Particolare del monumento (3): uno dei due listelli rettangolari di marmo, dove sono incastonati i fotoritratti in ceramica di alcune delle vittime.

 

Spostandoci invece nella parte alta di San Polo, a lato dell’antica pieve, si può ammirare il monumento in memoria dell’eccidio di San Polo, realizzato grazie ad un progetto che a partire dal 2006 coinvolse sia il Comune di Arezzo, che la Circoscrizione 1 Giovi e il Liceo Artistico “Piero della Francesca”.

 

Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo.

 

Quello che chiedevano gli abitanti di San Polo e i parenti delle vittime era di rendere giustizia alla memoria dell’eccidio attraverso un monumento e un luogo dove celebrare il ricordo dei propri concittadini e dei propri cari. Il monumento, affidato alla progettazione degli allievi della scuola, offriva anche l’occasione di condurre un’indagine conoscitiva sull’evento, per molti aspetti ancora oscuro e dibattuto. All’inizio solo pochi cittadini presero parte al processo realizzativo, poi nel tempo anche gli altri cominciarono a parteciparvi, chi con interesse e chi con dolore ha voluto testimoniare il ricordo di una strage vissuta direttamente.

Il monumento che ricorda l’efferato eccidio – in cemento e bronzo – è opera dell’artista Sandro Ricci, su bozzetto della studentessa Elisabetta Festa dal titolo “La disperazione e la memoria”. Una lastra verticale forata simboleggia una vittima con le braccia alzate prima di cadere colpita a morte. A terra una statua in bronzo di un caduto e a sinistra, su un supporto metallico, una targa in plexiglass con l’elenco dei caduti tra i rastrellamenti avvenuti a Pietramala, Molin dei Falchi, Vezzano e San Polo e l’eccidio di Villa Gigliosi [3].

 

Targa in plexiglass con l’elenco dei caduti, accanto al monumento in memoria dell’eccidio di San Polo.

 

Un monumento per ricordare a tutti le vittime civili innocenti morte in guerra, per ricordare cosa vuol dire perdere un amico, un fratello od un padre che aveva la sola colpa di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato, in una guerra non cercata, non voluta e nemmeno combattuta.

Da questo progetto è stato poi realizzato anche un volume dal titolo Memoria di un eccidio – San Polo 1944” e un docufilm per la regia di Alessandro Benci, a cui aderirono vari enti e associazioni [4]

Ogni 14 luglio la comunità locale e le autorità organizzano una cerimonia per ricordare quell’atroce eccidio. Durante queste commemorazioni vengono poste corone di fiori, accompagnate da discorsi in onore delle vittime.

Questi monumenti sono importanti non solo per la comunità locale, ma anche per mantenere viva la memoria di ciò che accadde in quei tragici giorni.

 

ITINERARIO NELLA MEMORIA DI SAN POLO

 

Mappa del percorso: da Molin dei Falchi a San Polo

 

Calcare gli stessi passi, osservare le stesse cose, respirare la stessa aria di chi ottant’anni fa ha perso la vita in quella strage. È fondamentale che la coscienza civica rimanga forte.

Riportiamo qui di seguito un itinerario della memoria tratto del libro “Memoria di un eccidio” [5] che invita a vedere e toccare con mano i segni di quello che avvenne in quel tragico 14 luglio.

Si tratta di un’esplorazione che può essere condotta da soli o in gruppo per visitare i siti delle case che ospitavano le famiglie sfollate nel 1944, di Pietramala, Mulin dei Falchi, Vezzano, dove ebbe inizio il rastrellamento; percorrere poi il sentiero 531, soffermarsi presso i cippi che ricordano i momenti in cui i tedeschi uccisero, lungo il percorso, alcuni dei prigionieri; passare per villa Mancini a San Polo, dove alloggiava il comando tedesco e giungere poi a villa Gigliosi, nel boschetto della Ragnaia, dove vennero barbaramente uccise decine di persone, e fermarsi a guardare l’edicola commemorativa.

Tempo: Un’ora e mezzo circa a piedi (6,4 km)

Dislivello + 148, – 367

Un itinerario che si interseca con quello del paesaggio più ampio dei Beni Culturali e Artistici: sono visibili i resti del Castello di Pietramala, la chiesa della Madonna del Giuncheto di San Polo, che ospita una piccola raccolta di residui della seconda guerra mondiale e il monumento commemorativo alle vittime di San Polo.

 

Note:

[1] Lettera di Giordano Cavestro scritta poco prima di esser fucilato a Bardi il 4 maggio 1944, in https://www.istitutostoricoparma.it/storia-digitale/lettere-dei-condannati-a-morte/giordano-cavestro/ultima-lettera.

[2] Edicola ai caduti civili e partigiani della strage del 14 luglio 1944 a San Polo di Arezzo in https://www.pietredellamemoria.it.

[3] Monumento in memoria dell’eccidio di San Polo Arezzo in https://www.pietredellamemoria.it.

[4] Memoria di un eccidio, San Polo 14 luglio 1944 il giorno più lungo in https://www.youtube.com/.

[5] Memoria di un eccidio: San Polo 1944, Le Balze, Montepulciano 2003, pp. 150-154.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Articolo pubblicato nel mese di ottobre 2024.