Suor Cecilia Maria Vannucchi, nata Olga Vannucchi (1901-1990)

Suor Cecilia Maria Vannucchi
Nata a Capalle (Campi Bisenzio) nel 1901 da una famiglia benestante, si trasferisce a Prato dove frequenta come educanda il convento di San Niccolò. Dopo aver conseguito la laurea, inizia a insegnare nel 1928 proprio presso la scuola del convento dove è stata allieva. In questi anni chiede di entrare a far parte della comunità domenicana di San Niccolò.
Durante il periodo universitario si è avvicinata molto agli ambienti domenicani di Santa Maria Novella a Firenze e questa esperienza, unita alla frequentazione di San Niccolò, la porta a maturare una profonda vocazione spirituale. Decide così di prendere i voti con il nome di suor Maria Cecilia Vannucchi. Nel 1933 diviene preside e direttrice del convitto; dal 1938 al 1941 ricopre il ruolo di sottopriora, dal 1941 al 1980 è priora del convento. Dal 1945 al 1961 è anche priora generale dell’Ordine domenicano toscano.
Nei mesi dell’occupazione nazista della città, suor Maria Cecilia riveste un ruolo chiave: come madre superiora del convento, si adopera affinché le porte della comunità domenicana siano aperte a tutti gli sfollati dei numerosi bombardamenti. Offre insieme alle consorelle asilo e sostegno, riuscendo inoltre a evitare perquisizioni e rastrellamenti.
Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1944, Pietro Gini, membro del CLN di Prato in quota DC, si reca a San Niccolò chiedendo a suor Maria Cecilia di accogliere i membri direttivi del comitato. La madre superiora, dopo aver chiesto l’autorizzazione formale a monsignor Eugenio Fantaccini, vicario generale della città di Prato, li accoglie nel convento.
Suor Cecilia ricorderà le relazioni cordiali instaurate coi membri del CLN, che si muovono con discrezione ma liberamente tra gli altri sfollati nel convento. Oltre a Pietro Gini, a San Niccolò si nascondono anche Cesare Grassi e il comandante militare della resistenza pratese Mario Martini. La famiglia Martini è particolarmente legata a Suor Cecilia in quanto la moglie Milena è stata sua compagna di scuola.
Il coraggio dimostrato in questa fase vale a Suor Maria Cecilia un riconoscimento importante: nel ventesimo anniversario della Liberazione della città, il Comune di Prato le conferisce una medaglia d’oro. Suor Maria Cecilia rimane preside della scuola fino al 1966 e vicepreside fino al 1974. Dopo il 1980 lascia anche il ruolo di priora, ma resta a San Niccolò, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore il 24 luglio 1990, all’età di 88 anni.
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🎤 Intervista realizzata da Michele Di Sabato il 9 agosto 1982, in “Ultime Voci. Memorie dei combattenti della Federazione provinciale di Prato dell’Associazione nazionale combattenti“, vol. 10, Prato, Casa delle memorie di guerra e di pace, 2017, pp. 45-8
– Mi può dire come e quando ebbe il primo contatto con gli esponenti della Resistenza?
– […] Venne qui il signor Gini, Pietro Gini, che era della Democrazia cristiana, e mi disse: “Madre, lei bisogna che mi faccia un piacere… lei deve… si sente di ospitare il Comitato di liberazione nazionale?”. Io dissi: “Senza il consiglio dell’autorità ecclesiastica, no. Allora, ritorni”. Mi ricordo che furono i primi di luglio, questo, o fine giugno. Andai dal monsignor Fantaccini e lui mi disse: “Non solo quello, ma tutti; apra le braccia a tutti. Bisogna aiutare tutti”. Non lo posso dimenticare quest’atto pastorale, quasi d’abbraccio in quel periodo doloroso che si doveva attraversare e che lui prevedeva come tale. Allora venne Gini e gli dissi di sì, ho avuto il permesso, così il Comitato di liberazione si installò […] dove una volta era l’infermeria dell’educandato, libero, vero. Aveva una porta per contro proprio, un orto dove poter scendere, diverse stanzette, c’era tutto completo il Comitato di liberazione. Vennero Pietro Gini e qualcun altro, tre o quattro ci stavano stabilmente. Venne poi anche il capitano Martini, che è ancora vivo. Era stato… si faceva su e giù con il treno quando io studiavo, era marito di una mia amica e lo conoscevo bene. Più tardi venne, molto più tardi, dopo l’eccidio sul monte a Figline, però sua moglie con i figlioli, con uno dei figlioli, era già qui, perché l’altro i tedeschi lo presero e lo portarono via. […] Poi a poco a poco cominciò a venire gente e io, dico la verità, non rifiutai nessuno. Di qualunque condizione fossero, questo io me lo sentivo in coscienza. Non in questo locale, ma in questo che le farò vedere in biblioteca, c’era la gente più paurosa, e vorrei dire più povera, non nel senso spregiativo: quella che aveva più paura. Le farò vedere, in quella neoclassica laggiù c’era molta mobilia. Portarono i mobili anche i Martini, quella mia amica, insomma c’era un monte di roba, si poté fare, come si può dire… delle camerette disimpegnate e nelle prime due stanze, per poter essere libere e fare un corridoio, c’erano le tende del teatro e io le misi con delle funi e il filo di ferro. M’aiutavano gli uomini che c’erano, tutti desiderosi di aiutarmi, e poi dormivano anche lì. Nelle sale su, dove c’erano le educande, c’erano tutte le famiglie di ex alunne, e così pure qui nelle scuole. Io non so mica quante erano, non l’ho mai contate. C’erano alcuni giovanotti che dormivano nel corridoio con una materassa che tiravano giù; parecchi giovanotti c’erano, di tutte le età, dai diciotto ai trenta, sicché, quando poi suonava l’allarme, quasi tutti scendevano giù dove c’era parecchio posto, perché è una cantina lunga quanto il chiostro. […]
– Come facevate a dare sostentamento a tanta gente?
– C’era qualcuno che portava qualcosa. Questa gente modesta si faceva da mangiare qui sotto, nei chiostri. Vede questi archi: uno per ciascuno […] e poi, vede, c’era una suora… – le suore sono state impagabili, straordinarie: hanno dato la medaglia d’oro a me, ma è il convento che rappresentavo […]