La Miniera e i minatori di Santa Barbara

Miniera Santa BarbaraL’escavazione della lignite nell’area di Santa Barbara ebbe inizio intorno al 1860 anche se per uso  prevalentemente artigianale. In breve però la lignite si dimostrò perfettamente adeguata anche per le esigenze della “Ferriera”, l’azienda siderurgica di San Giovanni Valdarno che decise per lo sfruttamento industriale del bacino lignitifero. Padrini dell’impresa furono Ubaldino Peruzzi e Carlo Fenzi. La miniera a fine Ottocento era già la più importante in Italia per l’estrazione della lignite, il periodo che seguì fu ancora più roseo e nel 1907 venne costituita la Società Mineraria ed Elettrica Valdarnese, o SMEV.
Le condizioni dei minatori erano però pessime, con turni di lavoro di 10/12 ore. In caso di morte sul luogo di lavoro, spettava alla direzione decidere se versare un sussidio alla famiglia. L’unica forma di tutela per i minatori e per le loro famiglie erano le sole Società di Mutuo Soccorso. Il lavoro in queste condizioni era tutt’altro che agevole, come ricorda Libero Santoni: «all’inizio delle coltivazioni una piccola parte del minerale fu estratta a cielo aperto, come si fa nelle cave di pietra […] poi si son dovute scavare gallerie sempre più profonde, fino a 120 metri […] manca l’ossigeno e si respira a fatica quel poco che c’è, mescolato alla polvere di carbone; spesso la temperatura supera i 40 gradi e l’acqua di sgrondo ti infradicia e ti costringe a torcere dieci volte al giorno i pantaloni per strizzare acqua e sudore; lo spazio per lavorare è ristretto e scarsamente illuminato dalle lampade ad acetilene; c’è il pericolo delle frane, del grisou […] è come un serpente velenoso sempre pronto a mordere […] Basta una scintilla, l’accensione di una sigaretta e la lingua di fuoco del mostro si scatena».
Nonostante ciò il numero di lavoratori impiegati nelle miniere continuava a crescere, fino ad arrivare a 5000 durante la prima guerra mondiale. Devono essere costruiti dei dormitori, come la famosa “dispensa” a Castelnuovo dei Sabbioni. Si diffonde presto una forte sindacalizzazione, prima socialista, ma presto anche anarchica e sindacalista rivoluzionaria. Le agitazioni e gli scioperi si seguirono in un crescendo che raggiunse il suo culmine nel biennio rosso del 1919-20. Dopo sessantotto giorni di sciopero la SMEV concesse  in quell’occasione una riduzione dell’orario di lavoro e aumenti salariali.
Questa per gli operai sarebbe stata però l’unica conquista per tutti i lunghi anni a venire del fascismo. Durante l’autarchia fascista a Cavriglia si giunse a produrre il 74% del prezioso combustibile nazionale. Ma, durante la seconda guerra mondiale, le popolazioni del luogo pagarono un pesante tributo di vittime con le terribili stragi naziste del 4 luglio 1944 in cui vennero fucilati 191 civili innocenti.
Con la ricostruzione postbellica e il piano Marshall l’Italia viene invasa dal carbone, più economico e con una resa migliore. Le vendite di lignite cadono a picco e per la SMEV è il crollo definitivo. I piani della direzione sono tragici. I minatori però non si rassegnano a quel destino. Per molti di loro può razionalizzare, si può selezionare qualitativamente la lignite, si può soprattutto cercare una politica concorrenziale dei prezzi. I minatori hanno bisogno di idee. Organizzano, pagandolo con i loro risparmi, un convegno nazionale delle ligniti che si svolge a Firenze il 17-18 gennaio 1948. Come relatori sono chiamati esperti da tutta Italia. I minatori, rinfrancati dal successo dell’iniziativa, propongono un loro piano per la gestione diretta alternativo a quello della Smev. Lo scontro è completo. Arriva l’amministrazione controllata statale della miniera ed è la paralisi. La situazione si sblocca solo grazie a un intervento governativo con una soluzione inaspettata: affidare la miniera direttamente ai minatori per i pochi mesi successivi, fino allo scadere dell’amministrazione controllata. Viene costituita una Cooperativa di minatori. Presidente è Priamo Bigiandi, il deputato ex minatore. La situazione dopo mesi di chiusura è difficilissima, ma i risultati sono sostanzialmente positivi. Ma la direzione della SMEV non cambia idea e lo scontro si radicalizza. I minatori hanno uno slogan ben preciso “la mineraria lavori o lasci lavorare”. Se la SMEV non ha più intenzione di gestire la miniera, lasci a loro il compito. Hanno già dimostrato di essere in grado di farlo. I minatori danno inizio a una nuova strategia. Trasferiscono la loro protesta
nel vicino centro abitato, a San Giovanni. La popolazione è con loro e acconsente ad ospitarli. Iniziano 52 giorni di scioperi, dal 3 marzo al 22 aprile 1950. Di nuovo è necessario un intervento governativo per trovare un accordo: la gestione della miniera viene affidata alla cooperativa, ma alla SMEV dovrà essere versata una quota delle vendite.
Da metà anni ’50, viene inaugurata una nuova centrale progettata da Morandi e l’estrazione ritorna a cielo aperto, come alle origini. Enormi escavatori inghiottono il paesaggio costringendo ad evacuare case e villaggi fino al definitivo esaurimento della lignite nel 1994. La centrale viene convertita prima a gasolio, poi a metano. Alcune delle aree soggette agli scavi per la miniera sono già state recuperate e re-interrate. Sembra che, grazie all’interessamento della Regione Toscana, possa costituirsi  un parco minerario, come è auspicabile per la salvaguardia della memoria del passato di questa area.




Pian d’Albero

Casolare Cavicchi Pian d'AlberoQuello di Pian d’Albero è un casolare su un altipiano isolato nei boschi fra il Valdarno e il Chianti. Qui dal 1939 viveva  la famiglia Cavicchi. La loro è una famiglia numerosa di mezzadri contadini come tante in Toscana. Ma dall’ottobre del 1943, caduto il fascismo, hanno fatto una scelta: appoggiare la resistenza che iniziava ad organizzarsi.  Prima ospitano un piccolo gruppo di 12 uomini comandante partigiano Gino Garavaglia. Poi, con i mesi, il loro impegno cresce e arrivano a dar rifugio fino a un centinaio di persone. Pian d’Albero diventa una delle basi della XXII bis Brigata Garibaldi “Sinigaglia”, una formazione di matrice comunista che prende il suo nome da Alessandro Sinigaglia, “Vittorio”, il gappista fiorentino ucciso a febbraio del 1944.

A Pian d’Albero stazionano partigiani effettivi, feriti, ma soprattuto nuove reclute della brigata appena arrivate o ancora inesperte. Il quindicenne Aronne Cavicchi gli fa da sentinella. È un pastore e ad ogni movimento sospetto manda in fuga le sue pecore come segnale di pericolo. Ma con il suo carattere sveglio e loquace è anche la mascotte della brigata. Il 79enne Giuseppe Cavicchi, carattere forte e austero, è invece il “capoccia”, il vecchio che tutti temono, ed ammirano.

Il 19 giugno 1944 in seguito ad uno scontro a fuoco nei pressi di San Martino un tedesco viene ucciso e un altro riesce a fuggire, la fiat Topolino su cui viaggiavano i soldati viene sequestrata e portata a sera a Pian d’Albero. All’alba del mattino successivo, il 20 giugno, un reparto di paracadutisti tedeschi  giunge sul luogo dello scontro seguendo le tracce lasciate dalla Topolino sul terreno bagnato per le piogge dei giorni precedenti. Gli abitanti del luogo vengono sequestrati e minacciati, uno viene ucciso. Un piccolo gruppo viene obbligato ad accompagnare i tedeschi sul luogo del nascondiglio partigiano. Complice anche la nebbia, che ne nascondeva i movimenti, i soldati tedeschi riescono a salire lungo Carpignano, dividersi in due reparti e sistemarsi nei ridossi di Pian d’Albero uno alla sinistra e uno alla destra del casolare.

Quel mattino nel casolare dei Cavicchi ci sono quasi cento partigiani, ma quasi tutti sono nuove reclute. Solo quattordici fra i partigiani sono armati, ma non possono niente contro i paracadutisti tedeschi che sono in numero nettamente superiore e vengono immediatamente uccisi. Viene ucciso anche il vecchio Giuseppe Cavicchi. Sorpresi durante il sonno in pochi fra i partigiani riescono a fuggire e sono catturati. Vengono presi prigionieri anche Aronne ed il padre Norberto.  Solo le donne della famiglia Cavicchi e la piccola Giuseppina riescono a salvarsi.

Cosa ne è stato di tutto il sistema difensivo partigiano acquartierato intorno a Pian d’Albero? Sicuramente tutti vennero colti di sorpresa. Il commissario politico della brigata Sirio Ungherelli racconta di come in molti temettero che quello fosse solo l’inizio di una più vasta operazione di rappresaglia. Alla sorpresa e alla paura si aggiunse quel mattino, fra le file dei partigiani, anche la mancanza di comunicazioni a far si che si tardasse ad organizzare una pronta risposta. Solo una piccola squadra riesce  ad arrivare in tempo a Pian d’Albero. Sono sovietici, ex prigionieri di guerra nazisti, che si sono uniti alla Resistenza toscana. Cercano di spezzare il cerchio nazista intorno ai prigionieri e farne fuggire il maggior numero possibile. Ma il loro tentativo non riesce. I tedeschi scendono a valle con i prigionieri. Hanno fretta, sanno che quello potrebbe essere solo il primo di altri attacchi. Infatti poco oltre vengono intercettati dalla compagnia “Faliero Pucci” detta “Stella Rossa”. Nello scontro alcuni fra i prigionieri riescono a fuggire. Altri restano immobili terrorizzati.  Gli attacchi e le imboscate da parte delle compagnie partigiane si susseguono nel tentativo di far fuggire il maggior numero di prigionieri. Alla fine in mano dei tedeschi restano diciotto uomini. Dopo un processo farsa vengono impiccati uno a uno sugli alberi all’incrocio delle strade a S. Andrea di Campiglia. Non viene risparmiato neanche Norberto Cavicchi, né il giovane Aronne che viene impiccato, sembra, di fronte agli occhi del padre.

Monumento Pian d'AlberoA testimonianza della tragedia rimane il monumento ai caduti di Pian d’Albero, lungo la strada odierna che porta a Ponte agli Stolli, ai piedi dei gelsi usati allora per l’impiccagione. Rimane il casolare di Pian d’Albero visitabile percorrendo un sentiero CAI che parte da S.Martino. Quel casolare, è stato deciso nel Marzo 2008 con una bella iniziativa della Regione Toscana, diventerà un parco della Resistenza sul modello del Museo Cervi di Reggio Emilia.




Istituto Ernesto de Martino (IEdM)

Sede e contatti
Villa San Lorenzo al Prato, via Scardassieri, 47, 50019 Sesto Fiorentino, Firenze
Telefono: 055.4211901
E-mail: iedm@iedm.it
Sito web: https://www.iedm.it/

Organi direttivi
Presidente e rappresentante legale: Stefano Arrighetti
Giunta Esecutiva: Stefano Arrighetti, Filippo Colombara, Antonio Fanelli, Alessandro Grassi
Comitato Scientifico: Rudi Assuntino, Gianfranco Azzali, Dante Bellamio, Cesare Bermani, Luigi Chiriatti, Filippo Colombara; Antonella De Palma, Antonio Fanelli, Andrea Matucci, Alessandro Portelli, Annamaria Rivera
Collegio dei revisori dei conti: Maria Luisa Betri, Clara Longhini, Riccardo Schwamenthal

Breve storia e finalità
Nel gennaio 1966, a Milano, Gianni Bosio, storico e ricercatore del movimento operaio che nel 1953 diede nuova vita alle Edizioni Avanti!, fondò con Alberto Mario Cirese l’Istituto Ernesto de Martino «per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario». Il primo luglio 1966 l’Istituto divenne operativo e Gianni Bosio affidò a Franco Coggiola l’incarico di curatore dell’Istituto stesso. Dopo la morte di Bosio (21 agosto 1971), nel 1972 l’Istituto Ernesto de Martino divenne l’Associazione Istituto Ernesto de Martino, presieduta da Clara Longhini fino al 1980. Nel 1981 Franco Coggiola fu eletto Presidente e Rappresentante Legale dell’Associazione, carica che mantenne fino alla sua morte (7 maggio 1996). Dal 19 maggio 1996, Presidente e Rappresentante Legale dell’Istituto fu Ivan Della Mea, morto il 14 giugno 2009. Con l’assemblea del 5 aprile 2009 assume l’incarico di Presidente e Responsabile Legale Stefano Arrighetti.

Dallo Statuto dell’Istituto:
Art. 2) – L’Associazione IEdM ha lo scopo di:

  1. promuovere e condurre con ogni mezzo la ricerca delle varie forme dell’espressività popolare e proletaria;
  2. ordinare il materiale raccolto in un apposito archivio specializzato, descriverlo ed elaborarlo;
  3. svolgere e promuovere con ogni mezzo ogni iniziativa collegata alla conoscenza critica e alla presenza alternativa del mondo popolare e proletario.

Per il raggiungimento dei propri scopi l’Associazione IEdM promuoverà e svolgerà, in proprio o avvalendosi di risorse esterne, attività di ricerca, di studio, di elaborazione, catalogazione e diffusione di materiali, prodotti e servizi, in qualsiasi forma: tra cui, a titolo puramente esemplificativo ma non esclusivo, promuovere organizzare ed effettuare ricerche, convegni, corsi, seminari, spettacoli; produrre, editare, pubblicare rappresentare e diffondere anche per via commerciale, materiali scritti, sonori, iconografici e audiovisivi su supporto cartaceo, ottico, elettronico e magnetico e comunque realizzati con ogni altro mezzo attualmente conosciuto o che possa essere scoperto in futuro.

Promuoverà inoltre, nelle forme ritenute più opportune, contatti, intese, accordi anche operativi, sia a livello nazionale che internazionale con enti, associazioni, gruppi locali o persone singole che perseguano, in tutto o in parte, fini analoghi o complementari a quelli dell’Associazione IEdM. Promuoverà anche la nascita di gruppi e associazioni affiliate all’Associazione IEdM.
analisi delle culture orali e del vecchio e nuovo canto sociale.

Patrimonio
La nastroteca dell’Istituto Ernesto de Martino è la più rilevante raccolta di fonti sonore per la storia orale, l’antropologia culturale, l’etnomusicologia e la storia del movimento operaio e sindacale conservata in Italia da un’istituzione privata, nonché una delle più importanti in Europa. Raccoglie 6000 e più nastri magnetici – in parte frutto di ricerche promosse, finanziate ed effettuate dall’Istituto stesso, in parte versati o depositati da privati, in parte dai ricercatori e dai gruppi di ricerca che si riconoscono nell’attività dell’Istituto – contenenti documenti sonori registrati “sul campo”, dal vivo, per un totale complessivo di circa 15000 ore di registrazione, di cui quasi la metà attinenti l’espressività musicale del mondo contadino (canti popolari tradizionali in lingua e in dialetto, canti sociali, canti di lavoro, canti religiosi e canti della protesta sociale e politica; rappresentazioni popolari, danze, riti, autobiografie, testimonianze e ricordi sui momenti più significativi della storia del movimento operaio italiano, manifestazioni sindacali e politiche, ecc.). Le registrazioni sono state effettuate in tutte le regioni italiane, in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzi, Puglie, Calabria, Sicilia, Sardegna.

L’archivio storico cartaceo dell’IEdM comprende il Fondo Gianni Bosio, il Fondo Edizioni Avanti! –Edizioni del Gallo (inventariato e consultabile), il Fondo Nuovo Canzoniere Italiano e il Fondo IEdM, in corso di riordino e di caatalogazione. L’IEdM possiede inoltre materiali fotografici, su carta, e audiovisivi non ordinati.

L’archivio sonoro è affiancato da una videoteca, una discoteca, una raccolta di manifesti e  una biblioteca specializzata composta da oltre tremila tra volumi e opuscoli e da circa duecento periodici, con catalogo on line nello SDIAF (Sistema documentario integrato dell’Area Fiorentina).

 

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Villa Triste

Oggi elegante condominio di un’ambita e tranquilla zona residenziale cittadina, la palazzina posta al n. 67 di via Bolognese dietro l’austerità dei suoi volumi e l’essenzialità tipica del razionalismo architettonico fascista cela ancora in parte le tracce di una pagina greve della storia nazionale e cittadina. Al tempo dell’occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, questo fabbricato situato all’angolo tra via Bolognese e via Trieste servì infatti dal marzo 1944 sino alla liberazione di Firenze come sede della temibile SS-Sicherheintdienst, la polizia politica nazista, ma anche del comando della Banda Carità, il Reparto Servizi Speciali fascista agli ordini del comandante Mario Carità passato alla storia per l’efferatezza dei suoi metodi di interrogatorio. “Villa Triste” fu per l’appunto l’epiteto che la memoria antifascista assegnò a questo luogo, tetro scenario di torture e violenze a danni di resistenti e antifascisti cittadini.

20140319_100115 defIl gruppo di aguzzini diretto dal Carità, prima, e dal suo braccio destro Giuseppe Bernasconi, poi, dal settembre 1943 aveva cambiato più volte sede: una villetta requisita a una famiglia israelita al n. 22 di via Benedetto Varchi, la villa Malatesta di via Ugo Foscolo e dal dicembre 1943 alcune stanze di Villa Loria, proprietà confiscata ad un cittadino ebreo posta al n. 88 di via Bolognese. Fu da quest’ultima sede che nel marzo 1944 il Carità trasferì il proprio reparto al vicino numero civico 67 della stessa via, prendendo possesso di due appartamenti posti al piano terreno e degli scantinati del fabbricato, trasformati in celle detentive. Fu questa tra tutte la più nota “Villa Triste” fiorentina. Nei suoi locali furono condotti e interrogati esponenti di spicco dell’antifascismo fiorentino, perseguitati politici ed ebrei. Molti tra questi subirono violenze e sevizie: percosse fisiche, umiliazioni corporali, vere e proprie torture. Nel giugno 1944 i componenti il gruppo di radio CORA, emittente clandestina antifascista sgominata dagli uomini del Carità, furono portati al n. 67 di via Bolognese dove subirono efferati supplizi. Tra questi, Enrico Bocci e Italo Piccagli resistettero coraggiosamente alle sofferenze inflitte loro da tedeschi e fascisti, assumendosi la responsabilità dell’organizzazione e non lasciando trapelare informazione alcuna. Simile destino era toccato poco prima ad Anna Maria Enriques Agnoletti, giovane antifascista fiorentina, sottoposta a Villa Triste a torture fisiche e psicologiche: fu tenuta sveglia per una settimana intera senza possibilità di dormire e costretta a stare in piedi per ore ed ore. Tradotta in seguito agli interrogatori nelle carceri di Santa Verdiana, il 12 giugno 1944 sarebbe stata fucilata dai tedeschi in località Cercina assieme ai patrioti di radio CORA.

Ma nel lungo elenco dei torturati di Villa Triste va ricordato soprattutto il nome di Bruno Fanciullacci, gappista fiorentino protagonista di ardite azioni partigiane e al centro della discussa uccisione del filosofo Giovanni Gentile. Brutalmente torturato una prima volta dagli uomini del Carità, il Fanciullacci, dopo aver riconquistato la libertà, fu però di nuovo catturato il 4 luglio 1944. Condotto a Villa Triste, nel rocambolesco tentativo di darsi alla fuga Fanciullacci si gettò da una finestra del secondo piano sulla strada antistante, morendo l’indomani a seguito dei traumi riportati nella caduta.

Al suo nome l’amministrazione comunale di Firenze nel 2003 ha intitolato lo slargo antistante Villa Triste. Già dopo la guerra, d’altra parte, una epigrafe dettata da Piero Calamandrei posta sulla facciata dell’edificio aveva elevato questo triste luogo a simbolo dell’antifascismo e della memoria resistenziale cittadina in ricordo di coloro che pur sotto tortura non tradirono la causa della Resistenza: “languire soffrire morire” ma “non tradire” secondo la dedica stessa del Calamandrei.

 




Livorno (e dintorni) nel cinema, dalle origini ai giorni nostri

Ben Hur di Fred Niblo

Ben Hur di Fred Niblo

Un viaggio nella lunga storia del rapporto tra Livorno e il cinema. Lo propone l’associazione culturale 50 & Più per il 16 marzo, alle 17, presso il Museo di Storia Naturale di Villa Henderson (Via Roma 234, Livorno). Ingresso libero.

All’incontro dal titolo Livorno (e dintorni) nel cinema, dalle origini ai giorni nostri parteciperanno Massimo Ghirlanda, insegnante di Storia e Letteratura nelle scuole superiori di Livorno e tra i fondatori del Centro Studi Commedia all’italiana, di cui è presidente dal 2009; Vita Maria Nicolosi, insegnante di Lettere a Cecina, esperta del rapporto tra linguaggio cinematografico e didattico; Marco Sisi, videomaker, fra i pionieri delle radio e tv libere livornesi e adesso montatore al Tg3.

Livorno non solo è stata una delle prime città in Italia in cui ha fatto la sua apparizione il cinema – le prime proiezioni risalgono al 1896 alla Spianata dei Cavalleggeri (oggi Terrazza Mascagni) – ma è stata anche, con gli stabilimenti Pisorno di Tirrenia, una delle capitali del cinema italiano. Gli studi cinematografici fondati da Giovacchino Forzano rappresentano il primo esempio in Italia di struttura a servizio completo in quanto dotati di teatri di posa, sviluppo e montaggio. Sono tante le troupe di Cinecittà che hanno fatto tappa a Livorno. Dal “Ben Hur” di Fred Niblo fino al recente “La prima cosa bella” di Virzì. In totale sono circa un centinaio i film girati nella città labronica.

 




Mediateca Banca della memoria del Casentino

Sede e contatti
Unione dei Comuni Montani del Casentino, via Roma 203, Ponte a Poppi (Arezzo)
Telefono: 0575.507270/0575.507260/ 0575.507275
E-mail: pierangelobonazzoli@casentino.toscana.it; mariospiganti@casentino.toscana.it
Sito web: http://bancadellamemoria.casentino.toscana.it/
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì 8-13 e 15-18

Organi direttivi
Responsabile: Mario Spiganti

Breve storia e finalità
Nel 1996 si esaurisce l’esperienza regionale delle B.I.A. (Banca Intercomunale Audiovisivi) che aveva dato inizio alla specializzazione in Casentino fin dagli anni ottanta sul linguaggio audiovisivo. Vengono istituiti i C.R.E.D. (Centro Risorse Educative e Didattiche) previsti dai Piani di indirizzo del Diritto allo studio. Oggi possiamo ritenere che anche questa esperienza sia in dirittura di arrivo visto il cambio di indirizzo della Regione Toscana nella gestione del settore scuola.

L’attività della Banca della Memoria si fonda sull’assunto progettuale che la memoria orale, l’interpretazione narrativa e la poetica della propria storia (come la cultura materiale espressa nella vita quotidiana e nei mestieri della montagna), rappresentano un patrimonio complessivo di saperi diffusi ancora vivo tra la popolazione. Questo può essere riletto ed interpretato come possibile risorsa nei processi di sviluppo condiviso, nella direzione di una reale valorizzazione del patrimonio culturale delle aree rurali della Toscana.

L’obbiettivo primario è la documentazione audiovisiva acquisita attraverso riprese e montaggi effettuati in proprio dal personale della Mediateca del Casentino. Questo lavoro trova la sua compiutezza nell’Archivio, opportunamente catalogato secondo gli standard ufficiali di riferimento che diviene un corpus significativo per la memoria storica del territorio ma anche per la stessa ricerca storico-antropologica. Il materiale in pellicola proveniente dal cinema familiare viene restaurato e digitalizzato in formato alta qualità.

Il secondo obiettivo è il mantenimento e l’aggiornamento della tecnologia digitale necessaria a consentire la salvaguardia e la conservazione teoricamente illimitata nel tempo del patrimonio culturale esistente. In particolare lo sviluppo professionale della tecnologia video digitale HD (alta definizione) ha comportato l’adeguamento della Mediateca a tali standard. La tecnologia digitale consente inoltre la possibilità di fruizione e di consultazione dell’archivio, organizzato con schede di ricerca con associati i video.

 Il risultato è un archivio audiovisivo di oltre 4000 ore di materiali proprietà dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino.

Patrimonio
La Banca della memoria del Casentino è un archivio audiovisivo (costituito da nastri in Vhs e digitali in formato Dv e DvcPro, DVD, audiocassette e pellicole) relativo alle tradizioni e alla memoria orale ed immateriale della Toscana, con significativi segmenti dedicati alla poesia estemporanea in ottava rima (oltre 300 ore), agli antichi mestieri e alle memorie di guerra. La sezione di archivio di “Seicento minuti di Novecento” è composto da pellicole di cinema familiare, sia amatoriale che professionale, contenente memorie cinematografiche toscane e nazionali, di straordinario interesse dagli anni ’20 agli anni ’70. L’archivio aderisce alla Rete Documentaria della Provincia di Arezzo.




Archivio e Centro Documentario Storico del Comune di Viareggio “Francesco Bergamini”

Sede e contatti
Palazzo delle Muse, Piazza Giuseppe Mazzini, 12, Viareggio
Telefono: 0584.945467
E-mail: centrostorico@comune.viareggio.lu.it
Sito web: http://www.comune.viareggio.lu.it/index.php?option=com_content&view=category&id=70&Itemid=32
Orario di apertura al pubblico:
Dal lunedì al venerdì ore 8.30-13.00
Lunedì e mercoledì ore 15.00 – 17.00

Organi direttivi
Dirigente: Dott. Alberto Bartalucci

Breve storia e finalità
Il Centro Documentario Storico è stato istituito nel 1963, allo scopo di “raccogliere, conservare e valorizzare il patrimonio archivistico della Città e di fornire a tutti i cittadini, che ne vogliono fare uso, i mezzi di formazione e di informazione sulla storia di Viareggio e della Versilia”. Nel 2005, l’istituto è stato intitolato al suo fondatore, Francesco Bergamini, ed ha assunto la denominazione ufficiale di Archivio e Centro Documentario Storico Francesco Bergamini. Il Servizio ha la finalità di ricomporre e costituire le fonti documentarie necessarie per la ricostruzione della vicende storiche, economiche e sociali della Città tramite la raccolta e la conservazione in un’unica sede della grande mole di documentazione varia prodotta dalle magistrature che, a partire dal XVII secolo, hanno avuto competenza amministrativa sul territorio dell’attuale Comune di Viareggio.

Patrimonio
Archivio storico comunale. Suddiviso in una sezione preunitaria, con inventario a stampa, costituita da 619 unità archivistiche (registri, mastri, filze) ordinate secondo le magistrature che nel tempo produssero i documenti; in una sezione che va dal 1870 al 1936, raccolta e suddivisa secondo il prontuario Astengo, non sempre applicato correttamente, e disposta cronologicamente per raggruppamenti di anni, formata dal carteggio e da altro materiale prodotto dalle varie articolazioni dell’organizzazione comunale (priva di inventario); in una sezione successiva al 1936 e anche pertinente all’archivio di deposito, non completa, parzialmente ordinata e priva di inventario, di materiale analogo a quello della sezione precedente.

Sono conservate, inoltre, le serie complete delle deliberazioni del Consiglio Comunale (fino al 1973 inventariate con il software Archimista, e, per quelle pertinenti all’archivio di deposito, fino al 1989, ordinate cronologicamente); della deliberazioni della Giunta Municipale (fino al 1973 inventariate con il software Archimista, e, per quelle pertinenti all’archivio di deposito, fino al 2003, ordinate cronologicamente); delle licenze edilizie fino al 1971, ordinate cronologicamente.

Sono conservate, altresì, carte sciolte e 20 grandi buste recanti la denominazione “Materiale da riordinare”. E’ presente, infine, documentazione ricevuta da alcuni archivi di privati (Fondi Viani-Santini, Fondo Krimer, Fondo del PCI, Fondo del PSIUP, ed altri); di questi il Fondo Viani-Santini, con inventario a stampa, costituisce una sezione dedicata alla vita e all’opera di Lorenzo Viani (conserva pubblicazioni, articoli di giornale, oltre 1100, fotografie, cataloghi di mostre, riproduzioni di opere, lettere autografe di varie personalità della cultura e della politica indirizzate a Viani, manoscritti e dattiloscritti originali).

Centro Documentario Storico. Accanto al materiale propriamente archivistico il Servizio, nella sua articolazione di centro documentario, raccoglie varie documentazioni suddivise in sezioni quali:
biblioteca (raccoglie pubblicazioni che interessano Viareggio sotto il profilo storico, economico, politico e culturale, con riferimenti anche al territorio della Versilia), con catalogo a schede;
emeroteca (raccoglie – seppur non completamente – giornali, riviste e numeri unici pubblicati a Viareggio dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri; in questa raccolta sono conservate anche le pagine di cronaca locale dei quotidiani La Nazione e Il Tirreno (prima Il Telegrafo) dal 1969 ad oggi, e la raccolta completa del quotidiano Il Corriere della Versilia, successivamente Il Nuovo Corriere, dal 2002 al 2011), con catalogo a schede;
fototeca (costituita da circa 6000 fotografie e cartoline illustrate riproducenti vedute di ambienti, personaggi e momenti di vita di Viareggio, dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri), parzialmente ordinata;
mappe e carte (sono conservate planimetrie e mappe storiche che illustrano le variazioni territoriali e toponomastiche di Viareggio dal 1172 fino ad oggi), parzialmente ordinate;
carnevale (questa sezione presenta la più ampia documentazione sulla storia del Carnevale di Viareggio; fanno parte di questa raccolta pubblicazioni, articoli di giornale, fotografie dei carri e dei corsi mascherati ed altro materiale vario), con catalogo a schede;
tesi di laurea (oltre 90 titoli di tesi discusse presso varie facoltà, in particolare lettere, architettura, economia ed urbanistica, di diverse università italiane riguardanti Viareggio e/o la Versilia), con catalogo a schede.

 

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Museo Archivio della Memoria (MAMB)

Sede e contatti
Sezione documentale:

Piazza Marconi, 7, Bagnone (Massa-Carrara)
Telefono: 0187427828
0187427833
E-mail: biblioteca@comune.bagnone.ms.it; affarigenerali@comune.bagnone.ms.it
Sito web: http://www.museoarchiviodellamemoria.it/index.php
Orari di apertura: dal lunedì al giovedì 8.30-13; venerdì 15-18
Sezione didattica-multimediale dedicata al Novecento:
Piazza Roma, Sala del Consiglio
Telefono: 01871953195
Orari di apertura: lunedì, giovedì e venerdì 15-18; sabato 9-12

Organi direttivi
Direttore: Francesca Guastalli

Breve storia e finalità
Nel corso della sua attività, iniziata nel 2004 con la partecipazione al Progetto regionale La Toscana e Le Americhe, il MAMB ha operato per la costituzione di un archivio della memoria scritta ed orale, seguendo direttive di ricerca storica e di multimedialità, in collaborazione con le politiche di Porto Franco della Regione Toscana e dell’Università di Firenze attraverso la direzione scientifica della prof.ssa Adriana Dadà, con laboratori di formazione storica indirizzati agli alunni delle scuole di base e superiori, facendo del rapporto di genere il fulcro di una ricerca sul mondo sociale Lunigianese, con particolare attenzione a quello femminile attraverso i temi del lavoro, dei diritti, dei movimenti e della politica, dal dopoguerra ad oggi (Progetto Donne di Lunigiana Parte I e II; Le Barsane; progetto didattico Vite oltre confine; progetto di ricerca-azione laboratorio storico-teatrale (scrittura e realizzazione) con scuole medie superiori Valigie di cartone).

La ricerca-azione è partita dai delicati problemi sociali che la seconda guerra mondiale e la Resistenza hanno evidenziato nelle popolazioni locali (progetto La memoria ritrovata. Donne, uomini e bambini tra guerra e dopoguerra) ed è giunta ad analizzare, attraverso le dinamiche dello specchio, i nuovi percorsi migratori e l’interculturalità della società attuale (progetto Migranti ieri e oggi con realizzazione del video Da Bagnone a Casablanca: da Bruno a Omar).

L’ attività del MAMB si proietta al suo esterno per mezzo di una serie di iniziative e servizi che cercano di mantenere vitale il legame con il territorio, la sua gente e la sua cultura. Pubblicazioni, presentazioni, conferenze e seminari di studio, mostre temporanee offrono costanti occasioni per interagire con un pubblico ampio e diversificato.

Il Museo si propone come luogo privilegiato nel quale preservare la memoria e sollecitare la curiosità nei confronti degli eventi del passato. Itinerari didattici e specifici progetti di ricerca contribuiscono a realizzare questa funzione. Il Museo intende promuovere la conoscenza degli strumenti critici utili alla migliore comprensione dei processi storici relativi all’ età moderna e contemporanea, con particolare riferimento al territorio montano della Lunigiana. La valorizzazione del proprio patrimonio storico-artistico e storico-documentario, nonché la promozione della formazione e dello studio in campo storico, costituiscono gli strumenti principali per il raggiungimento di obiettivi che si ispirino ai valori del dialogo democratico, dello scambio interculturale, della tolleranza religiosa, dell’ uguaglianza fra i sessi e del rispetto dei diritti umani, così come espressamente enunciati nelle carte costitutive dei principali organismi sovranazionali. Il Museo auspica di contribuire al rafforzamento di questi valori nella coscienza civile di ogni cittadino.

La sede è nel Palazzo della Cultura, Piazza Marconi 7 (direzione e amministrazione, laboratorio di formazione, videoteca, ricercatori; la biblioteca e gli archivi). Hanno sede presso tale Palazzo la sezione didattica documentaria , ubicata in continuità logistica e operante in stretta sinergia didattica e culturale con l’Archivio Comunale (servizi di Archiweb). Apposita sezione dedicata alla memoria orale e al Novecento è stata istituita in modalità multimediale in Piazza Roma presso il Palazzo del Consiglio (sale didattiche multimediali). Il Museo è il centro delle azioni di conoscenza del Parco culturale e naturale della Valle del Bagnone.

 

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