Per non dimenticare le vittime del bombardamento di Empoli del 26 dicembre 1943

Il 26 dicembre 1943 trentasei aerei americani, partiti dalla base di Decimomannu in Sardegna sganciarono in totale 210 bombe su Empoli, in particolare sulla stazione e sulla ferrovia, almeno 170 ordigni caddero fuori bersaglio, principalmente nel quartiere di Cascine. Si contarono 123 vittime; tanti feriti gravi, alcuni dispersi.
Anche quest’anno, nel giorno di Santo Stefano, il Comune di Empoli vuol commemorare quelle vittime innocenti con una cerimonia. Venerdì 26 dicembre alle ore 10.30, nella Collegiata di Sant’Andrea, in piazza Farinata degli Uberti, verrà celebrata la santa messa in suffragio ai caduti e deposta una corona al monumento ai caduti del bombardamento in viale IV Novembre.
Per l’amministrazione comunale sarà presente Eleonora Caponi, assessore alla cultura con delega alla memoria.




A 70 anni dalla liberazione di Auschwitz. Il convegno dell’Istoreco

AuschwitzUn’intera giornata di approfondita riflessione storiografica, rivolta in primis al mondo della scuola: è quanto propone l’Istoreco in vista del Settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, per giovedì 15 gennaio, a partire dalle 9.30, presso la Sala Gorgona della Camera di Commercio di Livorno, Piazza del Municipio 48.

Il convegno, che vedrà al tavolo dei relatori docenti e ricercatori delle Università toscane, si inserisce nel quadro delle tre giornate di formazione e aggiornamento che l’Istituto di via dell’Ambrogiana ha organizzato in occasione delle ricorrenze di grande rilevanza storica e culturale che cadranno nel 2015: oltre alla fine della Seconda guerra mondiale, il 27 gennaio ricorre infatti la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, mentre il 23 maggio il centenario dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra. Considerata l’importanza dell’anniversario di Auschwitz, la rilevanza e l’alta specializzazione dei relatori rispetto al tema trattato, l’Istoreco ha deciso di aprire questa Giornata a tutto il pubblico, ai cittadini, agli amanti della storia, agli antifascisti, ai democratici in senso lato.

La giornata avrà inizio alle 9.30 con i saluti delle autorità, cui seguiranno i saluti di Guido Servi della Comunità ebraica di Livorno e di Gabriele Cantù, presidente dell’Istoreco Livorno. La prima relazione sarà affidata a Ugo Caffaz, antropologo, su L’esperienza della Regione Toscana con il treno della Memoria, seguiranno gli interventi di Ilaria Pavan, Scuola Normale di Pisa su Storia e storiografia italiana di fronte alla persecuzione fascista, di Elena Mazzini dell’Università di Firenze su L’antisemitismo cattolico davanti alle leggi razziali del fascismo. Le eredità di una lunga tradizione, di Catia Sonetti, direttore Istoresco su Riflessioni attorno ad un epistolario inedito: la famiglia Levi-Castelli dall’Italia all’Etiopia.

Dopo la pausa buffet, il convegno riprenderà alle 15 con l’intervento del ricercatore Enrico Acciai, su Sfollati ebrei da Livorno. Traiettorie, conflitti, solidarietà, seguiranno poi le relazioni di Barbara Armani, C.I.S.E. Università di Pisa su Gli ebrei italiani fra identità e nazione dall’unità al fascismo e di Catia Sonetti, direttore Istoreco su Una proposta didattica nel merito. A seguire, il dibattito.

Per gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado è prevista l’autorizzazione alla partecipazione in orario di servizio e il rilascio di un attestato di partecipazione. La quota di iscrizione per i docenti è di 35 euro e comprende la cartellina con i materiali di approfondimento e il buffet. Per effettuare l’iscrizione è necessario compilare il modulo presente sul sito www.istorecolivorno.it




Sentieri partigiani

Alle ore 9.00 deposizione di una corona a Lanciotto Ballerini nel cimitero comunale di Campi Bisenzio

Alle ore 10.00 deposizione di una corona a Vladimiro, cimitero Faccini Calenzano

Alle ore 10.15 intitolazione Via Vladimiro (nuovo sottopasso ferroviario ponte ai pesci)

Alle ore 10.30 deposizione di una corona in piazza Vittorio Veneto (Calenzano)

Alle ore 12.00 cerimonia al Memoriale di Valibona




Una spremuta di vite

Alle ore 18.00, a Villa San Lorenzo, via Scardassieri 47 Sesto fiorentino, l’Istituto De Martino presenta il romanzo autobiografico di Paolo Pietrangeli. Sarà presente l’autore con la sua chitarra insieme a Gianni Mura, giornalista de «la Repubblica».
Al termine della presentazione verrà offerto un aperitivo per augurarci un nuovo anno diverso e migliore.

Paolo Pietrangeli – cantautore e regista, vera e propria colonna sonora del ’68 italiano con la canzone Contessa – si racconta per la prima volta in un disarmante romanzo autobiografico. Non una vita sola ma una spremuta di vite, da leggere tutta d’un fiato.

La sua autobiografia Una spremuta di vite è un ricco contenitore di memoria in cui Paolo Pietrangeli – storico cantastorie, regista cinematografico e televisivo – si dona senza reticenze, regalandoci un’autobiografia appassionante come un romanzo, che attraversa la Storia del nostro Paese dagli anni ’50 a oggi. Gli anni della gioventù, a fianco del padre Antonio – famoso regista che tra le mura domestiche accoglieva Flaiano, Scola, Pasolini – che lo conducono verso una delle sue prime passioni, il cinema. Lo vediamo così aiuto regista di artisti quali Visconti e Fellini, per poi spostarsi al documentario, con Bianco e Nero nel ’75 e fino ai giorni nostri con Genova per noi del 2001. Dalle mura di casa alle piazze, Pietrangeli inizia la sua carriera di cantautore impegnato e conquista la notorietà grazie ai brani che hanno accompagnato i movimenti studenteschi e politici della fine degli anni ’60: Contessa, Valle Giulia; il sodalizio con i musicisti del Nuovo Canzoniere Italiano; il viaggio a Cuba con la delegazione della Federazione Giovanile Comunista al Festival Internazionale della Gioventù dell’Avana. Sono pagine “calde”, scritte però con il distacco dell’oggi e ornate di raffinata ironia. Vi si trovano importanti confidenze della vita privata di Pietrangeli, prima fra tutte quella del periodo dell’ospedalizzazione a Palermo, dopo un grave malore accusato poco prima di un’esibizione, e che leggiamo direttamente dalle pagine del diario della moglie Gioia. Un romanzo autobiografico scritto con generosità e profonda riflessione, onesto anche davanti alle accuse che ricevette quando iniziò a lavorare per le reti private, come regista del Maurizio Costanzo Show.

Una spremuta di vite è anche un romanzo permeato di musica: punteggiato di versi e note musicali, è arricchito da una serie di codici QR che permettono di ascoltare 15 brani, di cui 3 inediti, del cantautore.

 




Garibaldo Benifei, presidente onorario dell’Istoreco Livorno, insignito del Cavalierato della Repubblica Italiana

Garibaldo_Roma_25nov2014Il 25 novembre scorso, a Roma, presso il Palazzo di Giustizia di piazza Cavour, si è svolto con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica, il Convegno di Studi e di Memorie : “Il tribunale speciale per la difesa dello Stato: braccio giudiziario del fascismo”.

Il Convegno è stato organizzato dalla Corte Suprema di Cassazione, dall’Anppia Nazionale e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Dopo i saluti di Giorgio Santacroce, Primo Presidente di Cassazione e di Giorgio Albertelli presidente dell’Anppia nazionale, giuristi e rappresentanti di varie associazioni hanno fatto i loro interventi. Particolarmente significativo l’intervento dell’Avv. Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi.

Insieme ai relatori erano presenti Garibaldo Benifei e Ljubomir Susic, di Trieste, quali ultimi testimoni dei nefasti dell’organo giudiziario con cui il regime mussoliniano amministrò la dura repressione contro gli Antifascisti comminando condanne per 27.235 anni complessivi.

Il luogo delle condanne era proprio quell’ Aula IV° del cosidetto “Palazzaccio“ ed in quell’Aula, 80 anni dopo, è avvenuto l’evento storico del convegno voluto fortemente dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma per denunciare che il Tribunale Speciale era un mero braccio della volontà repressiva del regime fascista che obbediva solamente al dittatore Mussolini. Nell’ aula vennero anche emesse 42 condanne a morte di cui 31 eseguite. E’ stata importantissima la testimonianza di Garibaldo Benifei  che ha rievocato i suoi ricordi e che in quell’aula c’è passato ben due volte una nel 1923 in cui fu condannato ad un anno di carcere e nel 1940 quando subì una condanna a 7 anni. La commozione di Garibaldo è stata tale da coinvolgere tutti i presenti all’ incontro.

L’augurio finale di Garibaldo è stato all’unità ed alla pace affinchè tali fenomeni non si ripetano. La testimonianza esemplare di Garibaldo Benifei e della moglie Osmana Benetti, che insieme hanno dedicato una via per la libertà e per la democrazia, verrà riconosciuta dal Presidente della Repubblica che attraverso il Prefetto di Livorno, Dott.essa Tiziama Costantino consegnerà l’onore del Cavalierato della Repubblica Italiana ad entrambi il giorno 18 dicembre alle ore 12,00 con una cerimonia in Prefettura.

(si ringrazia Mauro Nenciati, dell’Anppia Livorno)




In mostra la didattica di Maria Maltoni

Dal 20 dicembre al 1 marzo la Sala delle Colonne del Palazzo Comunale di Pontassieve ospita una mostra di disegni e diari degli alunni di San Gersolè, la scuola rurale nei pressi di Impruneta divenuta famosa grazie al prezioso lavoro che lì svolse Maria Maltoni dal 1920 al 1956.

SangersolèLa mostra I Disegni di San Gersolè è incentrata in prevalenza sui disegni degli alunni, attraverso i quali si coglie nell’immediato la bellezza della natura e la realtà della vita di campagna rappresentata da ragazzi educati ad osservare con amore cose, persone e fatti. Sull’osservazione “precisa e amorosa” della realtà, infatti, si basava il metodo di insegnamento di Maria Maltoni, che abituava i suoi scolari a rappresentare col disegno o a raccontare col diario ogni minima cosa o fatto della loro esperienza giornaliera. Questa originale metodologia didattica consentiva ai ragazzi di esprimersi attraverso il linguaggio colorito che usavano ogni giorno, valorizzando così la loro esperienza di vita e offrendo al tempo stesso la possibilità di un riscatto sociale e culturale. Per Maria Maltoni essere maestra non significava “costruire” le menti dei fanciulli che le erano affidati, bensì stimolare le loro qualità innate, affinché potessero evolversi e crescere con l’acquisizione di una sempre maggiore consapevolezza di sé.

Sabato 20 dicembre alle ore 17.00 è prevista la cerimonia di inaugurazione che sarà aperta dai saluti di Monica Marini Sindaco di Pontassieve e di Alessio Calamandrei Sindaco di Impruneta, previsti gli interventi di Carlo Boni Assessore Politiche culturali del Comune di Pontassieve, Tiziana Torri Dirigente Istituto Comprensivo di Pontassieve, Luciana Bigliazzi Sez. Soci Coop Valdisieve, Samuele Megli Responsabile Biblioteca comunale di Impruneta. Seguiranno le testimonianze di Alessandra Fagnoli e di Luciano Pasquini e con la partecipazione di Franco Castellani della Compagnia Sancat Teatro che leggerà alcune pagine dei diari di San Gersolé.
Hanno collaborato alla realizzazione della mostra la Biblioteca comunale di Impruneta che ha reso disponibile il materiale conservato nel “Fondo Maria Maltoni”, la Sezione Soci Coop di Impruneta e l’Associazione Auser di Pontassieve, oltre che la sezione soci Coop Valdisieve che è partner del progetto.

Orario mostra: Martedì e venerdì 9.30 – 12.30. Mercoledì, giovedì, sabato e domenica 15.30 – 18.30. Lunedì chiuso. La mostra resta chiusa il 25, 26, 31 Dicembre, 1 e 6 Gennaio 2015

Informazioni: Comune di Pontassieve Via Tanzini, 23, 50065 Pontassieve – Tel. 055/8360343-344
cultura@comune.pontassieve.fi .it www.comune.pontassieve.fi.it/cultura

Marianna Maltoni (che amava però chiamarsi Maria) nacque a Dovadola (Forlì) il 2 Febbraio 1890. Nel 1910 conseguì il diploma di insegnante elementare e, dopo le prime esperienze di insegnamento in Romagna, nel 1919 chiese ed ottenne il trasferimento a Borgo San Lorenzo in Mugello e per un anno insegnò nella piccola frazione di Grezzano. Nel 1920 fu trasferita a San Gersolè, su una collina che guarda Firenze, nei pressi di Impruneta. Fu qui che la Maltoni si fermò e svolse la sua attività di insegnante fino al 1956 .Durante la seconda guerra mondiale aderì al movimento partigiano clandestino e si iscrisse al Partito d’Azione. A fine guerra, quando il partito si sciolse passò al Partito Socialista Italiano. Nel 1956, lasciato l’insegnamento per raggiunti limiti di età, si trasferì a Pontassieve e qui trascorse gli ultimi otto anni di vita. In quegli anni è stata eletta in Consiglio Comunale e ha potuto anche in questa veste, così come aveva fatto con la professione di insegnante, dare il suo originale e qualificato contributo alla vita della comunità.
Pontassieve ha voluto esprimere la sua riconoscenza all’impegno sociale profuso dalla sua nota concittadina intitolando a suo nome la Scuola Media del capoluogo e anche la piazza antistante la scuola stessa. Dopo breve malattia, Maria Maltoni morì il 18 Novembre 1964.




“La città mondo”

L’iniziativa della Fondazione Michelucci, in accordo col Comune di Fiesole e la Fondazione Balducci vuole riproporre i temi affrontati da due personalità di rilievo della cultura del Novecento quali sono Michelucci e Balducci ed in particolare quello generale della democrazia urbana come un patrimonio che nella sua universalità merita di essere conosciuto dalle nuove generazioni, interagito e rilanciato. Il convegno è incentrato sulla città mondo contemporanea e il cittadino planetario e nell’arco della giornata ospiterà una serie articolata di contributi ed esperienze, che relatori di riconosciuta competenza porteranno, sulla crescita continua dell’urbanizzazione e dell’esclusione abitativa, l’accoglienza di quanti scappano da guerre e povertà, il superamento delle discriminazioni e delle barriere culturali. In questo contesto l’umanesimo del pensiero di Michelucci e Balducci può costituire un punto di partenza fondamentale.

Fiesole, dove entrambi abitavano – l’uno alla Badia Fiesolana, l’altro nella casa studio al Roseto – è stata per i due un luogo di incontro privilegiato per confrontare idee e proposte e dunque viene riproposta come sede dell’iniziativa anche nel’ottica di un rilancio dell’iniziativa culturale della città a partire da elementi preziosi di storia del territorio.

Dopo un breve saluto del Sindaco Anna Ravoni, interverranno Barbara Casalini assessore alla cultura del Comune di Fiesole, Simone Siliani della Regione Toscana, Giancarlo Paba Presidente Fondazione Michelucci, Leonardo Bieber Presidente comitato scientifico Fondazione Ernesto Balducci, Severino Saccardi Direttore della rivista Testimonianze, Fabio Fabbrizzi e Camilla Perrone dell’Università degli Studi di Firenze. Coordina Corrado Marcetti Direttore della Fondazione Giovanni Michelucci.

Le due Fondazioni organizzano visite guidate il 20 dicembre, ore 10.00 – 13.00 alla Sede della Fondazione Michelucci, Villa il Roseto, via Beato Angelico 15 e alla Sede della Fondazione Balducci, via de’ Roccettini 9.




Quando i piatti erano vuoti

La minestra di castagne secche che unisce alle ben note virtù nutritive anche un effetto emolliente delle vie respiratorie; una pasta asciutta condita con ricotta fresca a cui amalgamare l’acciuga e qualche cucchiaino d’acqua calda; le patate in crema rossa senza condimento o il «super brodo di guerra» – tale per l’abbondanza di ortaggi a lungo bolliti e generosamente insaporiti – consigliato per convalescenze e speciali stati di indebolimento grazie al suo straordinario potere nutritivo, tanto da renderlo degno sostituto del suo omologo a base di carne. Sono solo alcune delle ricette che un corposo volumetto, edito a Firenze dalla Salani nel 1942, La cucina del tempo di guerra, invitava a sperimentare. L’autrice, Lunella De Seta, spiegava alle massaie come ingegnarsi per rendere meno mesta e spoglia la tavola; il tutto tenendo fede alla morale patriottica del «nulla vada perduto!».

Del decennio 1940-‘50 nel nostro Paese si ricordano le bombe, la fine del fascismo, la difficile ricostruzione e, soprattutto, la fame. La lunga autarchia imposta dal regime aveva da subito messo alla prova gli Italiani, ma le avvisaglie di una penuria, presto tramutatasi in miseria, erano state evidenti fin dalla vigilia della guerra. L’Italia non era ancora entrata nel conflitto e già, nel 1939, veniva diffuso il primo provvedimento che limitava la somministrazione del caffè, assenza a cui si era cercato di supplire con l’uso di orzo, insaporito da ceci tostati o dalla soia; anche il , di importazione inglese, era stato bandito e i negozi lo avevano sostituito con karkadè, un infuso amarognolo che aveva il merito di giungere direttamente dalle nostre colonie; e ancora, nel settembre dello stesso anno era stato emanato il divieto di vendere carni per due giorni a settimana.

A guerra in corso, poi, le restrizioni e privazioni erano aumentate progressivamente. Alla fine del 1940, il pane iniziava a essere miscelato con farina di granoturco e la pasta erogata per un massimo di due chili al mese a persona (quantità che in Toscana era stata ridotta presto a un solo chilo). A Pasqua era stato fatto divieto di distribuzione di dolci e con l’autunno il pane era finito tra i prodotti “tesserati” e fornito in una quantità di 200 grammi a testa al giorno (divenuti poco dopo 150). Sempre più introvabili carne, burro, olio e zucchero, mentre per il latte era necessario iscriversi al “registro del lattaio”. L’unica alternativa, per supplire alla penuria alimentare, era ben presto diventata quella di acquistare al “mercato nero”, a prezzi spesso insostenibili.

 In fatto di alimentazione la Toscana parve, inizialmente, cavarsela meglio di altre regioni. In particolare, la Provincia di Firenze, autosufficiente in tempi di libertà economica solo rispetto a pochi prodotti come l’olio e il vino, la frutta e la verdura ma, al contrario, importatrice di farina, pasta, carne, latte, formaggi, legumi e zucchero, aveva comunque continuato a ricevere rifornimenti anche dopo l’instaurazione del sistema controllato degli scambi commerciali, fino a quando l’intensificarsi delle incursioni aeree (la costa toscana fu colpita dai bombardamenti fin dalla primavera 1943, mentre su Firenze le bombe caddero per la prima volta contro la stazione di Campo di Marte il 25 settembre dello stesso anno) e l’interruzione di alcuni tratti delle linee ferroviarie avevano rallentato il flusso dei prodotti provenienti dall’Emilia e dalla Lombardia, impedendo la formazione di depositi alimentari.

La situazione aveva iniziato a peggiorare progressivamente con l’avanzata degli Alleati e le pagine dei quotidiani erano presto diventate il mezzo più comune per diffondere avvertimenti e consigli ai cittadini al fine di aiutarli a sopportare le penurie del momento. Così, il 7 luglio 1944, su «La Nazione», comparivano suggerimenti su come conservare il pane affinché durasse più a lungo; qualche giorno più tardi vi si leggevano indicazioni per «trasformare un comune fornello in cucina economica»; e ancora, si invitava la popolazione a tenere provviste di acqua in casa. In quei mesi, poi, l’annona distribuiva in abbondanza piselli secchi, farina vegetale, riso, concentrato di pomodoro, fagioli, tutti prodotti a lunga conservazione. Segno che l’attesa sarebbe stata lunga.

Migliore la condizione alimentare nelle campagne che, soprattutto dopo l’armistizio, avevano accolto sfollati, ebrei, renitenti, disertori e prigionieri alleati, offrendo loro cibo e riparo, talvolta in modo solidale e gratuito, altre scambiando l’ospitalità con beni “urbani” quali denaro e informazioni.

Nonostante la produzione agricola si fosse ridotta notevolmente a causa della scarsa disponibilità di fertilizzanti, macchinari e manodopera maschile (in assenza degli uomini erano le donne e i ragazzi non in età adulta a occuparsi dei campi) e fossero costanti razzie e distruzioni, le periferie rurali avevano di certo beneficiato di quell’antica capacità di saper fare e produrre tutto “in casa”. Tra le pareti domestiche, infatti, si abbrustoliva l’orzo per il caffè, si pigiava l’uva per ricavarne il vino, si spaccavano i semi di ricino per realizzare il sapone, si producevano pane e pasta, si raccoglievano e cucinavano i prodotti dell’orto e del maiale «non si buttava via nulla». Un’autosufficienza che in quegli anni aveva posto il mondo rurale, ambiente tradizionalmente povero ed umile, in una posizione di superiorità rispetto a quello cittadino, ancor più fiaccato e immiserito dagli eventi bellici.

A fine luglio ‘44, come testimoniava una relazione presentata dal Comitato Alimentare al Ctln [Comitato Toscano di Liberazione Nazionale], la situazione alimentare sembrava essere, nella provincia di Firenze, sempre peggiore. Il problema più grave era rappresentato dalla scarsezza delle scorte: totalmente assenti quelle di grano, pane e pasta. Conigli, polli e animali da cortile erano praticamente scomparsi. Se buono si profilava il raccolto del granturco e discreto quello dei fagioli, perduto era quello di patate e piselli. Non vi erano scorte di olio, dal momento che 2.000 quintali erano stati consegnati ai tedeschi. «Un quadro realistico della situazione che si riassumeva in una parola: fame». E non stupisce che, qualche mese più tardi, alla vigilia dell’ennesimo Natale in guerra, l’intervista su «La Nazione del Popolo» a “un macellaio onesto” – tale perché disposto ad ammettere con franchezza di praticare il mercato nero e pronto a spiegarne i meccanismi – aveva ben presto acquisito i toni di una nostalgica chiacchierata a due sui bei tempi andati, quelli in cui era facile e possibile l’acquisto di bestiame, bistecche e altra roba ancora «che, qui, in un Natale magro come questo non è il caso di rievocare».

Articolo pubblicato nel dicembre del 2014.