Italie di burro e gigli di lampadine

Nel 2011, i negozianti delle vie del centro  Firenze – con un’alta concentrazione soprattutto lungo un percorso che si snodava da Borgo La Croce fino a Palazzo Vecchio – sono stati invitati a allestire delle vetrine “patriottiche” per la sera del 17 marzo. L’idea non era nuova, anzi era una riproposizione, seppure in chiave minore della “Mostra delle Botteghe” che si era svolta nella città nel 1911. Nel passare in rassegna le vetrine colpiva la una netta prevalenza della scelta di esporre vetrine tricolori e risultava quasi del tutto assente la presenza del giglio fiorentino; ciò che invece era rimasto a distanza di cento anni dalla precedente manifestazione era, ancora una volta, il riferimento alla artigianalità, sia negli allestimenti delle botteghe  – ad esempio una tipografia di via del Corso aveva esposto un torchio dal quale usciva la stampa della notizia della breccia di Porta Pia -, sia nella mostra in Piazza del Duomo, dove per volere del comune, alcuni artigiani erano stati chiamati per dare dimostrazioni delle loro creazioni.

La mostra del 1911, nasceva da una collaborazione con la Camera di Commercio e con la Società degli esercenti e mirava a coinvolgere il ceto medio fiorentino per enfatizzare «il sentimento artistico quale non poteva mancare nella nostra Firenze, culla dell’arte e del bello»[ ACF, FCFE, CF5055], e la tradizione artigianale e commerciale della città. Una parte consistente di essa era infatti formata da botteghe artigiane, piccoli negozi al dettaglio e venditori ambulanti che, ancora ad inizio secolo «costituivano un blocco storico […] che nessun mutamento ambientale, non escluso lo sviluppo dell’industria, era riuscito a demolire» [Spini, Casali, 1986, p. 200]. Secondo gli studi demografici di Ugo Giusti, gli esercizi commerciali in Firenze, nel 1911, erano 5034, la grande maggioranza dei quali impegnavano al massimo 5 lavoranti. Il quadro che ne emerge è quello di una città caratterizzata da piccole imprese artigianali presenti soprattutto nei rioni popolari come Santa Croce e nelle zone d’Oltrarno. Il centro, infatti, ad esclusione del quartiere popolare di Santa Croce, aveva la maggiore presenza di negozi di grandi dimensioni, con il 60% degli esercizi con un numero di addetti tra 10 e 25, e il 50% di quelli con più di 25 lavoratori [Pellegrino, 2004, p. 167].

1La mostra fu strutturata in tre date – il 29 aprile, il 7 e il 14 maggio – ognuna corrispondente ad un rione: Mercato centrale, centro e Oltrarno. La commissione, nell’indire il bando di concorso, si diceva certa che «i commercianti fiorentini, mai secondi nelle manifestazioni patriottiche, risponderanno anche questa volta collo stesso entusiasmo all’appello del comitato, tanto più che ora trattasi di una ricorrenza non solo fiorentina, ma italiana, alla quale devono partecipare quanti hanno sentimento di italianità»; e chiedeva loro di allestire le proprie mostre con «originalità di lavoro e sentimento artistico, quale non poteva mancare nella nostra Firenze, culla dell’arte e del bello»[ ACF, FCFE, CF5055].

 A fronte di un vasto numero di vetrine addobbate senza un tema specifico, molti negozianti presentarono temi più elaborati: la vocazione artigianale fiorentina, la celebrazione della città stessa, il patriottismo nazionale.

La rappresentazione di Firenze fu un filo conduttore puntualmente sottolineato nelle cronache dei giornali cittadini. La città era rappresentata in modi diversi, ricorrendo ai simboli, ai personaggi significativi del passato, a vedute caratteristiche e alla valorizzazione delle antiche radici artigiane fiorentine.
Il simbolo più usato fu sicuramente il giglio bottonato rosso, spesso associato al tricolore, come nella «facciata dell’elegante negozio dell’antiquario Bartolozzi, dove un giglio fiorentino formato da numerose lampadine rosse sormontava l’ingresso principale del magazzino» [«Il Fieramosca», 15 maggio 1911]. Il giglio, oltre che al tricolore, era talvolta anche associato alla Stella d’Italia, come nelle esposizioni della ditta dei «Fratelli Quercentani, proprietaria di un negozio di cibarie e di salumi che aveva fatto una bella mostra dei suoi prodotti. Infatti, con uno squisito gusto artistico erano stati fatti dei bellissimi mosaici di fagioli, riproducenti la Stella d’Italia, il giglio fiorentino e la bandiera nazionale, gli stemmi della città di Roma e di Firenze» [«Il Nuovo Giornale», 15 maggio 1911.]. Il giglio prevaleva nettamente nei quartieri dell’Oltrarno, mentre appariva una sola volta nel rione del centro, e in quello del Mercato centrale [«La Nazione», 30 aprile 1911]. «Il Fieramosca» notava che «i buoni esercenti di là d’Arno sono meno entusiasti di quelli del centro nel comporre addobbi o mostre festive, e infatti, oltre ai negozi che abbiamo menzionato altri erano aperti al pubblico, nell’ordine di tutti i giorni» [«Il Fieramosca», 15 maggio 1911.]: si può pertanto concludere che l’elemento decorativo più presente in questi rioni fosse quello che rappresentava la città. Firenze era celebrata in Oltrarno anche tramite la ricreazione di vedute caratteristiche della città e, ancora una volta, questo avveniva solo in questa zona. In particolare, si poteva ammirare «in piazza Piattellina, nel negozio del signor Montelatici Emilio, una ben riuscita riproduzione del Duomo e del campanile di Giotto, lavoro artisticamente eseguito nel sapone»[«Il Nuovo Giornale», 15 maggio 1911.], e l’esposizione della «Signora Del Lungo che nella vetrina del suo negozio alla base dl Ponte Vecchio, ha un’altra volta esposto una riproduzione di quella parte del ponte ove è situata la sua bottega»[«Il Fieramosca», 15 maggio 1911].

La città, infine, era celebrata in Oltrarno con un tributo a Girolamo Savonarola: «in via dei Serragli, il signor Aiace Cirpiani ha trasformato uno sporto della bottega nella cella di Girolamo Savonarola. Tutto è messo con vero sentimento d’arte a riprodurre la cella autentica del monastero di piazza San Marco […]. Il fiero domenicano sedeva presso la sua piccola scrivania e dalla finestrucola della cella pioveva la pallida luce di una notte lunare. Bellissimo effetto e gran folla dinanzi alla mostra» [«Il Fieramosca», 15 maggio 1911].

L2’orgoglio per la storia cittadina si riscontrava soprattutto nei quartieri del centro e del Mercato centrale, attraverso la raffigurazione degli antichi mestieri. Alcune attività commerciali decisero di ricreare situazioni produttive o di vendita dello stesso esercizio com’era nei secoli passati. Così, «in una delle vetrine della Farmacia Londra era stato ricostruito l’antro di un alchimista con tutti i lambicchi [sic] e gli scongiuri possibili. L’antro in parola era abitato da un vecchio alchimista, vivo e bianco… per antico pelo che pazientemente eseguì la sua parte per lunghe ore in modo davvero encomiabile» [«Il Fieramosca», 8 maggio 1911]. Poco oltre «in piazza dell’Olio, la fabbrica di passamanerie Pieraccini e Bazzoni, aveva trasformato la sua bottega in un antico laboratorio per la lavorazione dei galloni nel ’400. Ad un antico telaio stava tessendo una giovane in carne e ossa»[«La Nazione», 8 maggio 1911]. La riproduzione delle antiche botteghe era anche fonte di intrattenimento per il pubblico fiorentino, soprattutto quando queste erano osterie o fiaschetterie, come la bottega del vinaio Romeo Galatini nel Mercato centrale, trasformata «in una taverna del ’400, dove si potevano ammirare due avventori in costume dell’epoca» [«Il Nuovo Giornale», 30 aprile 1911], e quella del pizzicagnolo Cecchi, convertita «in una osteria dove i garzoni erano intenti a riempire fiaschi di vino per chi ne voleva»[«Il Nuovo Giornale», 15 maggio 1911.].

Con questi allestimenti il ceto commerciante e artigiano della città celebrava il proprio lavoro in un gioco di rimandi simbolici che intrecciava i temi del lavoro, dell’arte e della tradizione; ed esaltava la Firenze dei secoli d’oro – non a caso i riferimenti al passato coprivano un arco che andava dal 1400 al 1600 – quella dei «cittadini artigiani e mercanti che, sulla base dei suoi ordinamenti democratici e della grande tensione etica che animava i suoi schietti e orgogliosi cittadini, aveva costruito una cultura di estrema raffinatezza proprio agli albori della civiltà europea occidentale» [Pellegrino, 2004, p.20]. Significativo a tale proposito la dislocazione di queste mostre, concentrata soprattutto nel rione centrale, dove la tradizione artigiana era più radicata, e nella zona del Mercato centrale, area di piccole botteghe specializzate.

3La diversa localizzazione delle botteghe, la loro densità relativa e soprattutto la differenziazione degli esercizi incise anche per quanto riguarda la rappresentazione della Patria. Nelle zone del centro e del Mercato centrale, in particolare nelle vie tra Santa Maria Novella e piazza del Duomo, «la nota predominante delle diverse e variate mostre è patriottica, i fattori della nostra unità, gli stemmi delle tre città festeggiano più delle altre il cinquantenario della nostra indipendenza, i tre colori fatidici, sono stati largo incentivo all’immaginazione dei nostri commercianti» [«Il Fieramosca», 30 aprile 1911]. Gli allestimenti di questi esercizi rispondevano ai canoni della pedagogia nazionale in chiave sabauda. Pochissimi erano i gigli bottonati e, quando presenti, erano accompagnati dagli stemmi delle altre capitali, per sottolineare la compartecipazione delle tre città al processo risorgimentale, come nella mostra degli elettricisti Magrini e Testi che «sull’impiantito avevano disposto 140.000 isolatorini per impianti elettrici a formare gli stemmi di Firenze, Roma e Torino e la bandiera nazionale» [«Il Nuovo Giornale», 30 aprile 1911]. La maggioranza dei commercianti optò per una mostra che ricordasse i protagonisti, ma, mentre Garibaldi compariva con un ritratto nella pizzicheria di Giuseppe Ducci, Vittorio Emanuele era riprodotto più volte, in allestimenti curati e creati appositamente per l’occasione. Probabilmente ad influenzare la scelta degli esercenti fu anche l’importanza data nei giornali all’imminente inaugurazione del Vittoriano: il fioraio Emilio Gabbrielli «aveva trasformato la sua grande vetrina in un grandioso e imponente giardino, e la parete di un muro prossimo tutto di fiori recava una grande figura di Vittorio Emanuele II, fatta tutta di fiori»[«Il Nuovo Giornale», 30 aprile 1911]; la pasticceria Scudieri «per l’occasione aveva riprodotto con la cioccolata il Castel Sant’Angelo ed il Campidoglio, nel mezzo della vetrina troneggiava un grande quadro, anche esso di cioccolata, dove con candido zucchero era riprodotto con fedeltà il grandioso monumento che dovrà essere inaugurato a Roma al Padre della Patria»[«La Nazione», 8 maggio 1911]. Infine, resta da segnalare come in due vetrine fosse stata scelta la raffigurazione della nazione in veste di Italia turrita, un’immagine relativamente debole nella pedagogia nazionale. La prima vetrina si trovava in via Nazionale, dove la ditta di Luigi Simoncini, «negoziante di frutta che aveva fato una bella e artistica esposizione. Sotto una pioggia di luce troneggiava una grande figura di donna rappresentante l’Italia. Lo scudo che la donna teneva in braccio era composto di radici, patate e susine che componevano i tre colori nazionali. La corona, era tutta di fichi secchi»; la seconda era collocata «nella fiaschetteria del signor Ovidio Cresci in via di Maggio. L’Italia raffigurata in una statua di burro, sovrastava una zampillante vaschetta» [«Il Fieramosca», 30 aprile 1911].

Volendo trarre delle conclusioni si può affermare che la rappresentazione della Patria e della città assumono caratteri diversi a seconda del tipo di esercizio commerciale e, di conseguenza, del tessuto sociale del rione. In particolare nei quartieri dove le botteghe sono più legate al concetto di produzione e di artigianalità l’idea patriottica è più legata al livello locale. In particolare quello che viene più celebrato è la città di Firenze (attraverso i personaggi e la storia dei “secoli d’oro,  o il simbolo della città) oppure la tradizione e l’orgoglio di essere artigiano. Nelle zone a più alta densità di esercizi commerci svincolati dalla dimensione della piccola “bottega artigiana” l’idea di Patria connessa con quella di Nazione e alla pedagogia sabauda, e quindi vediamo comparire raffigurazioni abbastanza complesse come l’Italia turrita. Molto probabilmente ad influire sulle scelte dei commercianti avevano influirono anche le migliori condizioni di istruzione degli esercenti che erano stati in grado di mediare, grazie al ruolo determinante della scuola, la visione locale e nazionale.

 Riferimenti archivistici:

 Archivio Comune di Firenze, (ACF), Fondo Cerimonie, Feste Esposizioni (FCFE), CF5055, La mostra delle botteghe.

Riferimenti foto:

Fotografia 1: Mostra della Cartoleria Del Lungo. Zona Oltrarno. in ACF, Fondo Cerimonie, Festeggiamenti, Esposizioni, CF5055

Fotografia 2: Fiaschetteria del Pianello trasformata in taverna del XVI con avventore in costume. Zona Centro. in ACF Fondo Cerimonie, Festeggiamenti, Esposizioni, CF5055.

Fotografia 3: Italia di Burro. Esposizione della Premiata Pizzicheria Ovidio Cresci. Zona Oltrarno. In ACF Fondo Cerimonie, Festeggiamenti, Esposizioni, CF5055.

L’articolo è una forma abbreviata di un paragrafo all’interno di A. Gori, Tra patria e campanile. Ritualità civili e culture politiche a Firenze in età giolittiana, Milano FrancoAngeli, 2014.

Articolo pubblicato nel gennaio 2015.




Giornata della Memoria a Ponte Buggianese

Alle ore 15.00, alla Biblioteca comunale (Via Boito, 30) incontro sull’eccidio del Padule del Fucecchio.

Saluto del Sindaco e Presidente del Comitato Martiri Pier Luigi Galligani e dell’Assessore alla Cultura Maria Grazia Baldi.

Proiezione video e mostra dei lavori delle scuole.

Presentazione del libro Morte in Padule 23 agosto 1944: analisi di una strage, a cura dell’autore Claudio Biscarini.




Dalla parte del lavoro: Giulio Braga

Giulio Braga nacque a Ferrara il 25 agosto 1868 da Annetta Braga e da padre ignoto, falegname. Abbandonato dalla madre in tenera età, fu ospitato a Torino da una famiglia di conoscenti e poi condotto a Firenze da un operaio che gli fece da padre. Nella città toscana Braga iniziò l’attività politica, costituendo un gruppo anarchico nel rione di San Niccolò.

Nel marzo del 1892 si trasferì a Prato, dove, forte delle letture fatte e dell’esperienza acquisita, svolse un’intensa propaganda e collaborò alla Tribuna dell’operaio, un settimanale di indirizzo socialista-anarchico di cui era direttore Giovanni Domanico. Ricoprì anche la carica di cassiere provvisorio del Fascio operaio, costituitosi poco dopo la conclusione del congresso di Genova. Nel 1893 si sposò con Pia Casini, da cui ebbe sei figli (due maschi e quattro femmine). Alla fine del 1893, in una lettera indirizzata al direttore di un settimanale pratese, Braga, parlando della condizione di sfruttamento in cui versavano gli operai in generale e quelli di Prato in particolare, espresse così i suoi convincimenti di rivoluzionario: «la causa prima, noi socialisti senza distinzione di scuola la ravvisiamo nel capitale accentrato in mano di pochi […] Quali i rimedi! Facili ad indovinarsi! Se il capitale accentrato è la causa prima, il suo rovescio ne sarà il rimedio […] Quali i mezzi?…Ammaestrato dalla storia delle generazioni passate […] mi formai la convinzione che per sciogliere l’arduo problema non avvi che un mezzo: quello cioè che adottò la borghesia francese per emanciparsi dalla nobiltà e simultaneamente dal clero» (La luce, 6 gennaio 1894, la lettera è datata 24 dicembre 1893).

Ritenuto la personalità di maggior spicco del movimento anarchico pratese ed «un individuo assai pericoloso all’ordine ed alla tranquillità pubblica» (Archivio centrale dello stato, Ministero dell’interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, Fascicoli personali, b. 812, fasc. Braga Giulio di ignoti, scheda biografica compilata dalla prefettura di Firenze, 8 agosto 1895), venne inviato nel 1894 al domicilio coatto, prima alle Tremiti, dove fu coinvolto nella sollevazione contro quel regime carcerario, poi a Favignana, infine a Ustica. Tornato a Prato il 21 novembre 1896, riprese subito l’impegno politico, tenendo numerose conferenze, scrivendo un lungo racconto sulla sua esperienza alle Tremiti per un numero unico pubblicato dal Comitato pratese per l’abolizione del domicilio coatto e dando un importante contributo alla costituzione della Camera del lavoro (4 luglio 1897), di cui fu il primo segretario. Ricercato dalla polizia e costretto a riparare in Francia dopo i tumulti del maggio 1898, rientrò in città l’anno successivo. Dopo l’uccisione di Umberto I (29 luglio 1900), fu tratto in arresto, insieme con altri compagni, perché sospettato di essere in relazione con Gaetano Bresci: in agosto, tuttavia, era di nuovo in libertà, nulla essendo emerso a suo carico.

Nei primi anni del secolo Braga continuò la sua opera di propaganda e di proselitismo sia attraverso l’attività giornalistica (fu corrispondente del giornale anarchico fiorentino Il risveglio, che ebbe l’incarico di diffondere a Prato) sia attraverso quella di conferenziere, particolarmente brillante ed efficace: nel 1903 la polizia lo considerava “il capo della setta anarchica di Prato” (ibidem, cenno di variazione del 12 giugno 1903). Rappresentante della sezione falegnami della Camera del lavoro al II congresso dei lavoranti in legno (Milano, settembre 1903), egli assunse l’anno successivo la direzione de Il fascio operaio, un nuovo settimanale socialista-anarchico che si pubblicava a Prato. Il 7 giugno 1906, in quanto direttore di tale giornale, venne condannato dalla corte d’assise di Firenze a tre mesi e dieci giorni di detenzione «per i reati di vilipendio all’esercito, eccitamento alla disobbedienza delle leggi e dei doveri del giuramento e della disciplina» (ibidem, cenno di variazione dell’8 giugno 1906), in seguito alla pubblicazione, nel numero del 29 novembre 1905, di un articolo intitolato “Se fossi mamma”. Il fascio operaio chiuse nel 1907. L’anno dopo Braga aderì al Partito socialista. Alle elezioni amministrative parziali del 28 giugno 1908 fu candidato al consiglio comunale in una lista formata da repubblicani e da socialisti.

Negli anni successivi il suo impegno politico e sindacale lo portò, fra l’altro, ad essere segretario della Camera del lavoro di Empoli, assessore nella prima giunta rossa di Prato, guidata da Ferdinando Targetti (1912-1914), direttore de La sveglia, organo della Confederazione italiana fra i lavoratori dell’Arte bianca, segretario propagandista e poi segretario generale dell’Arte bianca stessa, membro del consiglio direttivo della Confederazione generale del lavoro, di nuovo assessore a Prato dopo le amministrative del 31 ottobre 1920, quando i socialisti riconquistarono il comune e Giocondo Papi divenne sindaco.

Protagonista di tante battaglie per l’emancipazione del proletariato, fu uno dei primi bersagli dei fascisti locali, che, nella notte fra il 24 ed il 25 giugno 1921, lo aggredirono nella sua abitazione, e, sotto gli occhi della moglie e delle figlie terrorizzate, lo trascinarono in strada percuotendolo selvaggiamente. Bandito dalla città nel 1922, Braga vi fece ritorno due anni dopo, ma le sue condizioni di salute, compromesse dall’aggressione subìta, si aggravarono progressivamente. Morì a Prato il 9 febbraio 1925. Sulla facciata della casa di via Santo Stefano dove Braga risiedeva si trova oggi una lapide con questa iscrizione: «Qui abitò dal 1893 / Giulio Braga / e lottò per il socialismo per / la democrazia per un sindacalismo / libero e qui morì il giorno / 9 febbraio 1925 in seguito / a vile aggressione fascista».

BIBLIOGRAFIA:

Alessandro Affortunati, Sotto la rossa bandiera. Profili di dirigenti del movimento operaio pratese, Prato, Camera del lavoro di Prato, 1996, pp. 1-18
Id., Fedeli alle libere idee. Il movimento anarchico pratese dalle origini alla Resistenza, Milano, Zero in condotta, 2012, pp. 119-122
Valerio Bartoloni, I fatti delle Tremiti. Una rivolta di coatti anarchici nell’Italia umbertina, Foggia, Bastogi, 1996, ad indicem
Claudio Caponi, Gli albori del movimento operaio a Prato: la figura di Giulio Braga, Prato storia e arte, a. 17, n. 47, dicembre 1976, pp. 39-71.

Articolo pubblicato nel gennaio del 2015.




A Pisa storici, giuristi e giornalisti discutono della trattativa Stato-mafia

73059_De Mauro0904 sovracc.qxdVenerdì 16 gennaio alle ore 15 presso l’aula magna della Scuola Superiore Sant’Anna (sede centrale di piazza Martiri della libertà 33, Pisa) l’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna e dall’Associazione Allievi della Scuola Superiore Sant’Anna promuovono un incontro per discutere della trattativa Stato-mafia.

Si confronteranno Giovanni Fiandaca, docente di Diritto penale all’Università di Palermo e Salvatore Lupo, che nella stessa università insegna Storia contemporanea, autori di “La Mafia non ha vinto” (Laterza, 2013), saggio che propone la teoria “contraria” rispetto alla tesi della trattativa. Con Fiandaca e Lupo dialogheranno Massimo Bordin, giornalista di Radio Radicale; Giovannangelo de Francesco, docente di Diritto penale dell’Università di Pisa; Tullio Padovani, docente di Diritto penale della Scuola Superiore Sant’Anna; Paolo Pezzino, docente di Storia contemporanea dell’Università di Pisa, Gaetana Morgante, docente di diritto penale della Scuola Superiore Sant’Anna, a cui sarà affidato anche il compito di moderare l’incontro.




Al Marino Marini un “Omaggio a Giovanni Michelucci”

É un “Omaggio a Giovanni Michelucci”, la mostra di Paolo Gubinelli che verrà inaugurata domani venerdì 16 gennaio alle 17.30 alla Fondazione Marino Marini. L’artista fiorentino presenta negli spazi espositivi di corso Fedi circa trenta quadri realizzati perlopiù negli anni Settanta e Ottanta, periodo in cui è nato un rapporto di amicizia profonda e collaborazione con l’architetto Giovanni Michelucci. Si tratta di opere elaborate con la carta, piegata o incisa, frutto di un attento studio sui binomi luce-colore e spazio-luce. A corredo della personale, il testo critico Tra luce-colore e spazio-luce scritto nel 1985 dalla studiosa d’arte contemporanea Lara Vinca Masini, in occasione di una mostra di Paolo Gubinelli allestita a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti.
Nella sua attività artistica, Paolo Gubinelli ha maturato molto presto, dopo esperienze pittoriche su tela o con materiali e metodi di esecuzione non tradizionali, un vivo interesse per la “carta”, sentita come mezzo più congeniale di espressione artistica. In una prima fase ha infatti operato su cartoncino bianco, morbido al tatto, con una particolare ricettività alla luce. In un secondo momento il cartoncino bianco è stato sostituito da carta trasparente, sempre incisa e piegata. Nella più recente esperienza artistica, ancora su carta trasparente, il segno geometrico è stato abbandonato per una espressione più libera, arricchito dall’uso di pastelli colorati e incisioni appena avvertibili.

Paolo Gubinelli, nato a Matelica nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si è diplomato all’Istituto d’arte di Macerata, sezione pittura, continuando poi gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto spaziale di Lucio Fontana, che determina un orientamento costante nella sua ricerca. Conosce e stabilisce un’intesa di idee con numerosi artisti e architetti di fama internazionale e allestisce mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in Italia e all’estero. Ha eseguito opere su carta, libri d’artista, tela, ceramica, vetro con segni incisi e in rilievo. Nel 2011 è stato ospite alla 54^ Biennale di Venezia, padiglione Italia presso L’Arsenale, invitato da Vittorio Sgarbi e scelto da Tonino Guerra.

La mostra resterà aperta al pubblico fino a sabato 21 febbraio, dal lunedì al sabato dalle 10 alle 17. Chiuso la domenica.
Per maggiori informazioni contattare il numero 0573 30285.




Giornata della Memoria a Capolona

Alle ore 21.15 al Cinema “Fulgor” concerto di “Musica degenerata” promosso dal Comune, dalla Regione Toscana, dall’Associazione culturale “Fulgor”.

La “FulgorAzione” con la Direzione artistica del maestro Roberto Fabbriciani propone un percorso musicale dedicato ai compositori e alla musica definita “Entartete Musik”, musica proibita perchè pericoloso ai fini della purezza della razza ariana secondo il Mistro della Propaganda del Terzo Reich Joseph Göebbels. Vi rintravano i lavori dei compositori ebrei e neri.




Giovanni Tellini libraio ed editore

Giovanni Tellini (Firenze 1932-1984)  a fine anni ’60 lasciò Firenze, da poco alluvionata, e approdò a Pistoia.

In corso Gramsci, davanti alle sede del PCI pistoiese, aprì una piccola libreria variegata, confusionaria, piena di cose nuove …  la libreria ben presto si guadagnò l’esagerata nomea di “libreria di Mao”. Frequentata da politici, intellettuali e artisti diventò un punto di riferimento nella geografia culturale della città.

Poi il salto di qualità: nella piccola stanza senza finestra Tellini  partorì l’idea della casa editrice ed iniziò a pubblicare. Dall’arte, alla poesia, dalle prime guide turistiche ai saggi storici, il panorama si ampliò in poco tempo, le pubblicazioni  avevano recensioni e buon riscontro di vendita.
Il grande amore di Giovanni, la Maremma, grazie ad un incontro con il “custode di Roselle” Morbello Vergari (e poi con Alfio Cavoli),  divenne  musa di un’appassionata serie di pubblicazioni sulla “amara terra” e  su gli etruschi.  In quasi venti anni i titoli, frutto di questa piccola casa editrice di provincia, arrivarono a più di un centinaio.
Non da meno erano i nomi degli autori,  ed amici, che si raccoglievano intorno a Giovanni Tellini: Giovanni Michelucci, Claudio Rosati, Renato Risaliti, Domenico Maselli, i giornalisti Valeriano Cecconi e Maurizio Tuci, artisti come Fernando Melani e Sigfrido Bartolini. Una parentesi che valeva la pena di raccontare per una figura autodidatta, un uomo timido ed ironico, libraio e editore ricordato  a distanza di trent’anni dalla morte con affetto e stima.

Alice Vannucchi  è ricercatrice presso l’Istituto storico della Resistenza e della società Contemporanea di Pistoia,  è membro della redazione della rivista “Quaderni di Farestoria”, è docente nella scuola primaria dal 2007. Fra le sue pubblicazioni: Il rientro in città: il problema degli alloggi, in Pistoia fra guerra e pace a cura di M.Francini, I.S. R.Pt. Editore, 2005. Teorie di democrazia in Italia e Francia nel dopoguerra in “Quaderni di Farestoria”,anno VIII-n2 maggio –agosto 2006,pag.61-69. Le scuole di partito nel PCI di Togliatti.Il caso toscano (1945-1953) in “Quaderni di Farestoria”,anno XII-n 2- maggio –agosto 2010,pagg.33-45. Ha curato la mostra e il numero monografico Cupe Vampe: la guerra aerea a Pistoia e la memoria dei bombardamenti, ISRPt. Attualmente si occupa di storia sociale e storia dell’editoria.

Articolo pubblicato nel gennaio 2015.




La Giornata della Memoria a Campi Bisenzio

Dalle ore 10.30 al Teatrodante “Carlo Monni”, una mattina dedicata alla memoria e al territorio in occasione della Giornata della Memoria, cui parteciperanno oltre 400 studenti delle scuole campigiane, culmine dell’impegno profuso dal Comune di Campi Bisenzio, espressione della città intesa come “comunità organizzata”; un lavoro che ha visto coinvolti il Comune di Campi Bisenzio accanto ad alcune associazioni del territorio e alle scuole, attraverso contributi specialistici e trasversali, ciascuno nel proprio ambito d’azione e comunicativo.

Dopo i saluti istituzionali, della Cooperativa Macramè e dell’Associazione Futura Memoria i ragazzi testimonieranno la loro memoria depositando garofani per i caduti campigiani nei campi di concentramento.

A seguire i ragazzi avranno la possibilità di ascoltare la testimonianza di Ugo Brilli, reduce campigiano dei campi. Un’occasione fondamentale per unire ricordo e memoria, che permetterà ai ragazzi di comprendere cos’era l’orrore dei campi dalle parole di chi ha visuto quei tragici momenti.

La mattinata si concluderà con un reading tratta dal libro di Mauro Monni “13 agosto 1944” e con la proiezione di un video su luoghi e personaggi della Resistenza e della Liberazione di Campi Bisenzio.