Hotel Baglioni

Da fine luglio del 1944 il famosissimo Hotel Baglioni, a Firenze, si trova a dover accogliere centinaia di persone costrette ad abbandonare le abitazioni sui lungarni a seguito delle decisioni del Comando militare nazista sulla distruzione dei ponti sull’Arno.
Francesco Baglioni, che all’epoca era il proprietario dell’Hotel, all’interno delle sue memorie ha raccontato gli ultimi giorni dell’occupazione tedesca.
Baglioni ricorda che il 29 luglio in città vengono esposti i manifesti in cui i tedeschi ordinavano lo sgombero dei lungarni: «Con un manifesto affisso verso le 14, i tedeschi ordinano lo sgombero dei Lungarni e di tutte le vie adiacenti, per le ore 12 di domani. Gli ottimisti pensano che sia alla vigilia della fuga dei tedeschi[…]. Altri ne deducono che i ponti di Firenze saranno fatti saltare; io sono nettamente per questa seconda ipotesi».
Nel giro di poche ore molti fiorentini si recano all’hotel per avere un riparo, ma Francesco è costretto a far entrare solo poche persone perché i viveri di cui dispone l’hotel sono molto pochi.
È sempre Francesco che racconta la sera del 3 agosto, quando i tedeschi fanno saltare in aria i ponti fiorentini: «Sono circa le 22; improvvisamente siamo investiti dal primo terribile scoppio che fa sussultare l’intero edificio. Pare davvero la fine del mondo[…]. Un’ora dopo, e poi via via fino alle quattro e mezzo del mattino, in un’atmosfera di terrore che va diventando sempre più opprimente, gli scoppi si susseguono implacabilmente. Sono i ponti di Firenze che saltano uno dopo l’altro, vittime di una furia selvaggia di distruzione e di morte. […]. Prima ancora di saperlo, abbiamo ormai la tragica certezza che i ponti di Firenze hanno cessato di esistere».
Ma l’Hotel dopo la ritirata dei tedeschi passò da essere un semplice luogo di rifugio ad essere uno degli avamposti delle truppe della Resistenza, infatti i partigiani della Divisione “Arno”, circa un centinaio di uomini, posizionarono una serie di mitragliatrici pesanti sul tetto dell’Hotel.




«Come si costruisce una città. Le carte della “ditta” Egisti»

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Chiesa del S. Cuore in costruzione (© Fondo Egisti, Archivio ISGREC)

Si terrà mercoledì 4 marzo, alle ore 16, nella Sala conferenza dell’ANCE (viale Monterosa 56), il primo di un ciclo di 4 incontri, organizzati dall’ISGREC in collaborazione con la Soprintendenza archivistica per la Toscana, l’ANCE grossetana, Regione Toscana, Provincia e Comune di Grosseto. L’incontro «Come si costruisce una città. Le carte della “ditta” Egisti» sarà introdotto da Mauro Carri (Direttore dell’ANCE di Grosseto) e Luciana Rocchi (Direttrice dell’ISGREC); interverranno Renato Delfiol (Soprintendenza archivistica per la Toscana) e Elena Vellati (Archivista dell’ISGREC) sull’archivio dell’impresa Egisti – appena riordinato -, e il Prof. Gian Franco Elia (Università di Pisa) su «Grosseto, una città cresciuta in fretta».

L’iniziativa «Archivi Isgrec. Istruzioni per l’uso», è frutto di una collaborazione con la Soprintendenza archivistica toscana, con cui si presentano recenti, importanti accessioni, il lavoro degli archivisti sulle carte e nuove ricerche, in corso o progettate grazie a queste. Comincia con il fondo Egisti, archivio d’impresa, testimonianza di una città cresciuta con straordinaria celerità e legata da sempre all’industria edile; prosegue il 14 marzo con «Le carte di Siro Rosi», antifascista volontario in Spagna, partigiano in Francia e in Lombardia, ma soprattutto esempio del respiro europeo dell’antifascismo. Come altri, percorse l’Europa da esule, da combattente per la libertà degli altri, da recluso in un campo di concentramento, infine persino da perseguitato della Repubblica che aveva contribuito a costruire, fino al 1957.

Nel terzo incontro (13 aprile), «Stato sociale anni Cinquanta: le carte dell’ENAOLI di Rispescia», si parlerà dell’archivio dell’ENAOLI, in deposito presso l’Isgrec, pronto all’uso per un progetto di ricerca e memoria: la proposta di un piccolo spazio musealizzato in quella che fu la sua sede, Rispescia.

Nel quarto incontro, «Archivi della politica di governo (Pci-Pds) e d’opposizione (Dc) in Maremma», previsto per il 14 maggio, si parlerà di fondi di partiti politici – Pci-Pds e Dc, il secondo appena arrivato nell’Archivio Isgrec, il primo già inventariato.  Ai 4 incontri daranno un contributo culturale storici e archivisti.

Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea, Via de’ Barberi 61 | 58100 GROSSETO | Tel/fax +39 0564 415219 | Port.  +39 3461413572 | segreteria@isgrec.it | www.isgrec.it




I carnefici italiani

Alle ore 16.30, presso la sede dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, presentazione del libro di Simon Levi Sullam, I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei 1943-1945 (Feltrinelli).

Intervengono: Marta Baiardi, Enzo Collotti, Toni Rovatti




Tavarnelle ricorda Sandro Pertini

Si intitola “Mi mancherai” ed è la proiezione del docufilm in ricordo di Sandro Pertini che il Cinema Olimpia di Tavarnelle ospiterà domani, martedì 24 febbraio, alle ore 21.30. Organizzata in occasione del 25° anniversario della scomparsa dell’ex Presidente della Repubblica, la serata è promossa da Alberto Marini, presidente del Consiglio comunale di Tavarnelle.
Seguirà un dibattito aperto al pubblico con Stefano Caretti, presidente dell’Associazione nazionale Sandro Pertini e Valdo Spini, presidente del Circolo Fratelli Rosselli. Ingresso libero.




“Storie di guerra e di Resistenza. Garfagnana 1943-1945” presentato a Castelnuovo

Venerdì 27 febbraio alle ore 21 presso la sala Suffredini a Castelnuovo Garfagnana sarà presentato l’ultimo volume della collana dell’Istituto storico della Resistenza di Lucca, il libro di Feliciano Bechelli, “Storie di guerra e di Resistenza. Garfagnana 1943-1945“, edito da Pacini Fazzi.

Ne discuteranno con l’autore il sindaco di Castelnuovo Garfagnana Andrea Tagliasacchi, Gianluca Fulvetti, direttore dell’ISCREC Lucca e ricercatore dell’Università di Pisa, Oscar Guidi, storico e scrittore.

In allegato la locandina dell’evento.




Giornata di studi su Luisa Mangoni alla SNS di Pisa

Si terrà venerdì 27 febbraio a partire dalle ore 9.15 nella Sala Azzurra della Scuola Normale il convegno intitolato Archivi del Novecento e storia della cultura. Una giornata di studi promossa dal Centro Archivistico della Scuola Normale e dedicata al ricordo di Luisa Mangoni, storica rigorosa e appassionata, dotata di una profonda libertà intellettuale. L’incontro ha l’obiettivo di ripercorrere l’impegno culturale di questa studiosa che, incentrando il suo lavoro di ricerca su un’intensa esplorazione dei documenti e delle fonti archivistiche, ha contribuito ad avviare una nuova stagione di riflessione per la storia della cultura italiana.

Luisa Mangoni ha insegnato nelle Università di Trieste, Venezia e Trento. Faceva parte dal 1983 della direzione di Studi Storici, la rivista dell’Istituto Gramsci. E’ stata autrice di numerosi saggi e volumi dedicati a personaggi, case editrici ed eventi culturali fra l’‘800 e il ‘900. Ha curato un’antologia della rivistaPrimato (1978), una raccolta di scritti di Delio Cantimori intitolato Politica e storia contemporanea 1927-1942 (1991) e, con Delia Friggesi e Ferruccio Giacanelli, Cesare Lombroso. Delitto, genio, follia (1995). Da ricordare In partibus infidelium (1989), una biografia a tutto tondo dell’estroverso sacerdote e intellettuale don De Luca, costruita attraverso la sua fitta rete di relazioni e  corrispondenze, e Pensare i libri (1999), dove l’autrice analizza in maniera dettagliata il rapporto tra la casa editrice Einaudi e il Pci. Prima della sua scomparsa stava lavorando a una storia della casa editrice Laterza, per la quale aveva già raccolto una gran quantità di materiale negli archivi.




Presentazione del libro “Di fronte all’estremo” a Pisa all’Istituto Superiore di Scienze Religiose

Lunedì 23 febbraio alle ore 17 presso l’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Pisa, sarà presentato il volume a cura di Gianluca Fulvetti, Di fronte all’estremo. Don Aldo Mei, cattolici, chiese e resistenze.

Ne discuteranno insieme al curatore, Monsignor Roberto Filippini, Direttore dell’Istituto superiore di Scienze Religiose e Paolo Morelli, docente di storia della Chiesa moderna e contemporanea.

 

In allegato la locandina dell’evento.




Un monument man poco conosciuto

Analizzando i complessi intrecci di eventi e personaggi che ebbero come sfondo la difesa dell’arte in Italia durante la Seconda guerra mondiale, il nome di Giorgio Castelfranco (1896-1978) non è forse tra i più noti. Tuttavia lo storico dell’arte ebreo, allontanato nel 1938 dalla prestigiosa direzione della Galleria di Palazzo Pitti in occasione della visita del Führer e cacciato definitivamente il 1° febbraio 1939 per effetto delle leggi razziali, è tra le figure centrali nella salvaguardia del patrimonio artistico dell’Italia all’alba della Liberazione.

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De Chirico, Ritratto di Giorgio e Matilde Castelfranco, 1924 (Fondo Castelfranco, archivio Bernard Berenson, I Tatti)

Castelfranco nacque nel 1896 da un’agiata famiglia ebrea e, dopo la laurea in Lettere a Firenze, sposò la cugina Matilde Forti, con la quale andò a vivere nel villino di Lungarno Serristori a Firenze, oggi Museo Casa Siviero. Il villino Serristori vide ospiti illustri, come Giorgio De Chirico, di cui Castelfranco divenne il maggior collezionista, e un giovane Rodolfo Siviero, all’epoca agente del SIM e meglio conosciuto oggi come lo “007 dell’arte”.

A seguito delle leggi razziali, Castelfranco fu quindi costretto a lasciare la Soprintendenza e a vendere la sua collezione per poter mettere in salvo i figli in America; nel 1942 salutò definitivamente la sua residenza fiorentina (che divenne il quartier generale di Siviero e della sua “squadra” di partigiani) per nascondersi nelle Marche. Con l’Armistizio (8 settembre 1943) si schiuse la possibilità per Castelfranco di offrire, dopo anni, la sua professionalità a servizio della salvaguardia del patrimonio artistico italiano e di ricominciare a vivere. Dopo esser riuscito a passare il fronte attraverso le montagne abruzzesi il 7 novembre 1943, venne finalmente riassunto a decorrere dal 1° dicembre 1943 dal governo Badoglio.

Dal febbraio all’aprile 1944, Castelfranco fu comandato a Salerno in qualità di Direttore reggente alle Belle Arti: in collaborazione con gli ufficiali alleati della sezione Monuments, Fine Arts, and Archives, riattivò il lavoro delle Soprintendenze del Sud e iniziò la ricostruzione degli edifici danneggiati.
Uomo mite, di grande intelligenza e cultura, con raro attaccamento al dovere e senso di responsabilità, nell’estate del 1944 si spostò a Roma e poi in Toscana, inviato a esaminare i depositi dove la Soprintendenza alle Gallerie di Firenze aveva ricoverato le opere d’arte dei musei. In particolare Montagnana e Montegufoni, nel comune di Montespertoli, dove lo attendevano, tra gli altri capolavori, la Primavera di Botticelli e la Maestà di Giotto.

Dopo la Liberazione di Firenze, Castelfranco si trasferì definitivamente a Roma, dove l’amico Siviero aveva creato un piccolo ufficio per il recupero delle opere d’arte sotto il Ministero della Guerra; successivamente l’Ufficio, subordinato al Ministero della Pubblica Istruzione, fu ufficialmente costituito a Firenze nel 1945 e in seguito istituito con decreto luogotenenziale a Roma nel 1946, sotto la supervisione del Ministero della Pubblica Istruzione, in accordo con i Ministeri della Guerra e degli Esteri. Siviero fu nominato responsabile del nuovo ente e della missione che il governo italiano inviò in Germania, su invito del governo militare alleato, per iniziare le pratiche di restituzione dei beni artistici requisiti dai nazisti.

Una delegazione di 14 membri, di cui entrò a far parte Castelfranco in qualità di rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione, iniziò i lavori nell’autunno 1946, presso il Collecting Point di Monaco, dove si raccoglievano le opere recuperate dai depositi tedeschi.

Nel lavoro di indagine e identificazione delle opere d’arte di provenienza italiana trafugate dai nazisti in Germania, Castelfranco svolse un ruolo chiave: la sua permanenza a Monaco durò circa tre mesi, parte dei quali egli fu il principale incaricato per le questioni artistiche. Il lavoro di Castelfranco si concentrò sulla ricerca e catalogazione di pezzi provenienti dal Museo Archeologico e dalla Pinacoteca di Napoli (futura Galleria di Capodimonte), trafugati durante la guerra dal deposito di Montecassino e recuperate dal deposito di Altaussee presso Salisburgo. Nel novembre 1946 l’imballaggio dei materiali reperiti nell’”immenso deposito” bavarese fu concluso, ma si aprì una complessa procedura relativa al rimpatrio, che si sarebbe conclusa nell’agosto del 1947.

Il risultato della missione fu il ritorno in Italia delle oreficerie e dei bronzi antichi del Museo Archeologico, nonché dipinti famosissimi di Tiziano, Raffaello, Parmigianino, Sebastiano del Piombo provenienti dalla Pinacoteca. A queste si aggiunsero cinque campane provenienti dalla provincia di Lucca rinvenute a Regensburg.

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Mostra delle opere d’arte recuperate in Germania alla Villa Farnesina (1947). Da sinistra Rodolfo Siviero, Lucius Clay, Enrico De Nicola, Alcide De Gasperi e Guido Gonella all’inaugurazione della mostra il 9 novembre 1947, ritratti accanto alla Danae di Tiziano (Biblioteca Casa Siviero)

Le opere furono ufficialmente consegnate alla delegazione italiana il 7 agosto 1947 e fin da subito iniziarono i lavori per organizzare una grande mostra alla Villa Farnesina a Roma. Nelle settimane successive fu lo stesso Castelfranco a curare, nella sua veste di alto funzionario del Ministero, la preparazione, l’allestimento e il catalogo della prima “Mostra delle opere d’arte recuperate in Germania”, che aprì i battenti il 10 novembre 1947.
L’inaugurazione si tradusse in una cerimonia ufficiale ed ebbe un significativo risalto sulla stampa italiana, che sottolineò diffusamente il valore delle opere esposte e la valenza risarcitoria della restituzione. Alla manifestazione parteciparono De Gasperi, il presidente della Repubblica De Nicola, il ministro della Pubblica Istruzione Gonella e il ministro degli Esteri Sforza, l’ambasciatore James Clement Dunn, il governatore militare della zona di occupazione statunitense in Germania Lucius Clay, Robert Murphy, consigliere politico per gli affari europei del dipartimento di Stato USA e un ampio staff di funzionari statunitensi.

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Mostra delle opere d’arte recuperate in Germania alla Villa Farnesina (1947): la Sala delle Prospettive con i bronzi antichi del Museo Nazionale di Napoli (Fondo Castelfranco, archivio Bernard Berenson, I Tatti)

Nella prima rassegna di “capolavori recuperati”, presentati in un allestimento volutamente sobrio sullo sfondo degli affreschi rinascimentali della Villa, spiccavano i bronzi romani e la collezione di oreficeria antica del Museo Nazionale di Napoli, nonché i capolavori provenienti dall’attuale Galleria di Capodimonte di Napoli, come la Danae di Tiziano, prediletta da Göring, scelta come immagine simbolo di tutta la mostra.

Aurora Castellani, Francesca Cavarocchi, Alessia Cecconi sono le curatrici della mostra “Giorgio Castelfranco: un monument man poco conosciuto” (Firenze, Museo Casa Siviero, 31 gennaio-31 marzo 2015).

 

 

Articolo pubblicato nel febbraio 2015.