Presentazione “Testimonianze” a Scandicci

Giovedì 12 marzo, ore 17.00, sala “Mario Augusto Martini” della Biblioteca di Scandicci, via Roma 38/A, la Biblioteca di Scandicci è lieta di invitarvi alla presentazione del numero speciale della rivista “Testimonianze” sul tema:

“1914-1944” Due anni-simbolo fra pace e guerra nella storia del “secolo breve”

Intervengono:

il direttore della rivista Severino Saccardi e gli storici Adalberto Scarlino e Zeffiro Ciuffoletti.
Introduce Giuseppe Matulli, Presidente di Scandicci Cultura.
Intervento musicale di Giacomo Gentiluomo e Angela Batoni.




FUORIPAGINA

7 marzo – 2 giugno 2015

Museo di Arte Contemporanea e del Novecento Villa Renatico Martini – Via Gragnano 349, Monsummano Terme (PT)

 Mostra, a cura di Pasquale Fameli, organizzata da Le Macchine Celibi Soc. Coop., Bologna

 Inaugurazione: sabato 7 marzo ore 17.30

Orari di apertura: lunedì, giovedì, venerdì 15.30-18.30 (ora solare) 16.00-19.00 (ora legale), mercoledì 9.30–12.30, sabato e domenica 9.30-12.30 15.30-18.30 (ora solare) 16.00-19.00 (ora legale), chiuso il martedì e Pasqua.

 L’idea di esporre per la prima volta al Mac,n di Monsummano Terme la collezione di Gian Paolo Roffi, oculatamente conservata presso l’archivio dello Studio Segni & Segni di Bologna, vive di almeno due buone ragioni. In primo luogo, il museo toscano si è dimostrato già altre volte disposto a ospitare eventi riguardanti argomenti simili, quali La parola come immagine e come segno. Firenze: storia di una rivoluzione colta 1960-1980 nel 1999 e Omaggio a Ketty La Rocca nel 2001, entrambi curati da Lucilla Saccà, massima studiosa ed esperta di Poesia Visiva. In secondo luogo, la Collezione Civica “Il Renatico”, conservata nel medesimo museo, annovera anche nomi del fiorentino Gruppo 70, ossia quelli di Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti e della stessa Ketty La Rocca.

La mostra della collezione Roffi non solo completa la rosa di questi nomi, ma estende il raggio della sua campionatura andando al di là dei confini toscani e italiani, mostrando esperimenti verbo-visivi di volta in volta ascritti sotto le etichette di Poesia Visiva, Nuova Scrittura, Poesia Concreta – e poi sonora, fonetica – oppure ricondotti a movimenti quali Lettrismo, Ultra-Lettrismo, e network creativi come Fluxus e Mail Art.

Proprio da quest’ultima pratica, diffusissima tra i poeti visuali, giunge, infatti, la possibilità per ciascuno di loro di realizzare collezioni e raccolte personali: l’economia di mezzi e materiali, unitamente alle dimensioni spesso ridottissime delle singole opere, favorisce infatti l’interscambio tra gli autori, contribuendo oltretutto alla ridefinizione estetica di alcuni tra i principali canali della comunicazione mondiale.

 Cento opere di piccolo formato per ottantacinque autori, storici e non, sono quindi esposte al Mac,n a dare prova delle illimitate potenzialità visuali della parola, quelle stesse potenzialità che Gian Paolo Roffi ha testato come autore nel corso degli ultimi trent’anni, senza tuttavia tralasciare la possibilità di raccogliere quelle altrui in una variegata e preziosa collezione.

 Pasquale Fameli

 

La raccolta, proveniente dall’archivio dello Studio Segni & Segni di Gian Paolo Roffi,  conta cento lavori di protagonisti di alcuni dei più importanti movimenti di ricerca poetico-visuale sorti nella seconda metà del Novecento e sviluppatisi in ambito internazionale. Troviamo infatti qui rappresentata la Poesia Concreta di Augusto e Haroldo De Campos, Eugen Gomringer, Arrigo Lora Totino e Adriano Spatola; il Lettrismo di Maurice Lemaître; la Poesia Visiva di Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti e Stelio Maria Martini; la Nuova Scrittura di Ugo Carrega e Vincenzo Accame; la Poesia Sonora di Bernard Heidsieck e Henry Chopin; le scritture Fluxus di Ben Vautier e Giuseppe Chiari; la Mail Art di György Galántai e Vittore Baroni, e molte altre esperienze affini.

 Cento opere per ottantacinque nomi, da quelli storici a quelli più recenti, radunati nell’intenzione di offrire una cospicua campionatura di ricerche condotte sul filo della parola, quella che fugge dalla sua sede convenzionale – la pagina – per spaziare oltre i confini della sola lettura, e mostrarsi nel suo aspetto materiale, farsi ascoltare nella dimensione fonetica oltre il silenzio dell’occhio, incontrare l’immagine in un rapporto sinestetico, diventare essa stessa immagine e testare così le sue infinite potenzialità formali. In questo senso, la scelta delle opere è precisa e rigorosa, allo scopo di rendere evidente quanto accomuna il lavoro di chi si è sempre collocato nelle zone di confine dell’espressione artistica.

Pasquale Fameli

Gian Paolo Roffi

 




“Cesare Vagarini. Ricordi da Sant’Anna di Stazzema”

La mostra, a cura di Paola Cassinelli e Marco Gioli, inaugurata lo scorso 24 gennaio in occasione della Giornata della Memoria, organizzata nell’ambito delle celebrazioni del 70° anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau, è prorogata fino al prossimo 6 aprile.

La mostra presenta tele e disegni dell’artista Cesare Vagarini, alcuni dei quali facenti parte della Collezione Civica del Museo di arte contemporanea e del Novecento, provenienti da una recente donazione, che hanno come tema la tragedia relativa all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, perpetrato dalle truppe naziste nel 1944.

 L’artista dipinse questa serie di opere al ritorno dal campo di prigionia di Tatura in Australia, dove era stato internato nel 1941, assieme alla moglie, a seguito della sua cattura da parte dell’esercito inglese in Palestina, dove si trovava per una commissione artistica dal 1940.

 In mostra, per la prima volta visibili al pubblico, disegni e schizzi dell’artista, provenienti da collezioni private, eseguiti durante il suo internamento nel campo di prigionia australiano.

 La mostra è stata scelta da Vittorio Pavoncello curatore del progetto “La Shoah dell’Arte”, promosso dall’associazione ECAD impegnata da anni in attività di ricerca, sperimentazione, approfondimento e divulgazione della Memoria.

 Orari di apertura: lunedì, giovedì, venerdì 15.30-18.30 (ora solare) 16.00-19.00 (ora legale), mercoledì 9.30–12.30, sabato e domenica 9.30-12.30 15.30-18.30 (ora solare) 16.00-19.00 (ora legale), chiuso il martedì e Pasqua (ingresso compreso nel biglietto del  museo)

In collaborazione con ECAD e con il patrocinio di:

Ministero dei Beni culturali e del Turismo, Direzione generale per le Biblioteche gli Istituti Culturali  e il Diritto d’Autore, Unione Comunità Ebraiche Italiane – Fondazione Beni e Cultura ebraici

 




Verso una lingua comune: dalla scuola alla Grande Guerra

Alle ore 21.00, secondo appuntamento della “Scuola Popolare” di Pistoia, il nuovo spazio aperto di incontro e discussione su temi di cultura, letteratura, arte e attualità, con un occhio di riguardo alla realtà pistoiese.
Titolo della seconda serata è Verso una lingua comune: dalla scuola alla Grande Guerra. Guidati dalla storica e ricercatrice pistoiese Chiara Martinelli, ripercorreremo il processo di formazione di una lingua italiana comune nell’età post-unitaria, con particolare riferimento al ruolo dell’educazione scolastica. Un ampio spazio verrà dedicato alla scuola pistoiese di fine Ottocento, argomento sul quale la stessa Chiara Martinelli ha compiuto un’approfondita ricerca di tipo storico e sociale. Concluderemo la discussione con un accenno al valore unificante per la lingua italiana assunto dalla vita di trincea durante la Grande Guerra, e alle prospettive future del nostro idioma, tra “eclissi” del congiuntivo e nuovi stili di linguaggio.
In conformità con lo spirito informale, non accademico e partecipativo della “Scuola Popolare”, tutti i partecipanti sono invitati a dare vita e a stimolare la conversazione con riflessioni, opinioni e proposte di approfondimento.
L’ingresso è libero e gratuito. L’incontro, così come i seguenti, si tiene nell’Aula Magna del Conservatorio di San Giovanni, corso Gramsci 37 a Pistoia.

 




Storia di una vita

Alle ore 17.00 alla Biblioteca delle Oblate a Firenze, dialogo fra Ottavia Piccolo e Piero Stefani, con brani musicali eseguiti da Lçucilla Mariotti, per ricordare Liana Millu (Pisa 1914 – Genova 2005) che, reduce da Auschwitz-Birkenau è stata con la parola e con gli scritti, una delle voci più incisive e coinvolgenti legate alla testimonianza sui Lager.

 Ottavia Piccolo è una tra le attrici italiane più raffinate del panorama teatrale e cinematografico italiano. Dopo l’esordio in Anna dei miracoli, interprete sensibile delle difficili parti di adolescente, venne ben presto scritturata dai più importanti registi italiani. Vincitrice della Palma d’oro come migliore attrice al festival di Cannes nel 1970 per il film Metello (1970), P. è anche una stimata doppiatrice: sua è la voce della principessa Leila nella prima trilogia di Star Wars di G. Lucas.

Piero Stefani, è uno degli intellettuali più titolati del cattolicesimo progressista italiano. Insegna ebraismo alla facoltà teologica di Milano e alla Pontificia Università Gregoriana. È da decenni firma nobile di “Il Regno”, l’autorevole quindicinale dei dehoniani di Bologna, dove tiene la rubrica mensile “Parole delle religioni”. Dirige collane di libri ed è autore di numerosi saggi in scienze religiose ed ecumenismo.

Lucilla Mariotti è una violinista dodicenne che ha già ricevuto numerosi premi.




Renzo Martelli

Dopo l’avvento del fascismo i comunisti pratesi ebbero una parte molto attiva nell’opposizione clandestina, riuscendo (nonostante le mille difficoltà e le retate della polizia) a condurre quasi senza soluzione di continuità la loro lotta contro il regime fino a saldarla all’esperienza resistenziale. Renzo Martelli, che di tale lotta fu uno dei protagonisti, ci rilasciò nel 1991 un’interessante intervista sull’attività che il PCI svolse a Prato in quegli anni (su Martelli, oggi scomparso, cfr. Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, vol. III, H-M, Milano, La pietra, 1976, ad vocem). L’intervista venne pubblicata da Azione sindacale. Periodico della CGIL di Prato nel numero del 15 settembre. Ne riproponiamo il testo ai lettori di ToscanaNovecento.

Aderire al Partito comunista negli anni della clandestinità significava correre dei grossi rischi. Che cosa ti spinse a compiere un tale passo?

A quell’epoca io lavoravo come tessitore e quindi sperimentavo sulla mia pelle la durezza della vita in fabbrica sotto il fascismo. Allora il padronato aveva proprio le mani libere: i salari erano molto bassi, le condizioni di lavoro cattive, le multe fioccavano per un nonnulla e gli operai erano costretti a fare talvolta anche dei turni di dodici ore. Per i lavoratori non esisteva nessun margine di libertà e le richieste che inoltravamo alla direzione tramite il fiduciario di fabbrica rimanevano inascoltate. Lo sfruttamento era davvero la realtà di tutti i giorni e ciò faceva riflettere. Io poi sono sempre stato un amante della lettura e certi libri hanno contribuito alla mia maturazione politica. Ricordo, ad esempio, i romanzi di Maksim Gorkij ed in particolare La madre, che è la storia di una vecchia che attraverso il figlio rivoluzionario emerge da una rassegnazione antica e capisce il valore della ribellione. Una volta maturata una coscienza di classe, aderire al PCI fu per me una cosa del tutto naturale perché quel partito mi sembrava il solo in grado di realizzare una società più umana, più giusta e più moderna.

In che misura la propaganda clandestina del PCI fece presa sui contadini del Pratese?

Il contadino aveva in genere una mentalità tradizionalistica, era molto esposto all’influenza del clero e, lavorando isolato, non poteva avere, a differenza dell’operaio, degli scambi continui di esperienze e di opinioni con i compagni. La penetrazione del PCI nelle campagne fu dunque più difficile che nella città, ma un lavoro proficuo, di cui raccogliemmo i frutti nel periodo della Resistenza, venne ugualmente svolto. Ai contadini parlavamo della dittatura fascista, che anche per loro era fonte di oppressione, e della guerra verso la quale Mussolini stava precipitando il paese. Nella nostra opera di propaganda insistevamo inoltre sulla necessità di una revisione del contratto di mezzadria imperniata su un riparto degli utili più favorevole ai coloni.

In città il Partito comunista riuscì a costituire delle cellule in parecchie fabbriche. Quali compiti svolgevano questi nuclei?

Le cellule comuniste nelle fabbriche si occupavano essenzialmente della propaganda, del reclutamento e del soccorso rosso, ma per smuovere le acque venivano avanzate anche delle rivendicazioni salariali. Nello svolgere la nostra attività cercavamo naturalmente di agire con cautela: si parlava alla mensa oppure nei ritagli di tempo quando le macchine erano in movimento. Mi rammento che al lanificio dei fratelli Querci in via Santa Gonda, dove ho lavorato, eravamo riusciti ad organizzare una cellula che contava una ventina di aderenti su un totale di circa cento operai.

Un problema serio per la rete comunista di Prato fu quello degli infiltrati (penso a personaggi come Mario Imprudenti o come Diego Mammoli). Si ha l’impressione che la vigilanza del partito non fosse abbastanza attenta. Qual è la tua opinione a questo proposito?

Sì, effettivamente non è che tutto funzionasse alla perfezione. Ad esempio, non sempre venivano rispettate le istruzioni del partito che suggerivano ai compagni di non parlare dell’attività clandestina a persone diverse dai due elementi con i quali ciascuno di loro era collegato. La famosa organizzazione “a catena”, insomma, presentava delle smagliature e questo ebbe delle conseguenze anche gravi.

Dopo alterne vicende, i comunisti pratesi crearono, verso la fine del 1937, un’organizzazione che funzionò sino al giugno 1941, quando venne scompaginata dalla polizia. Puoi fare un bilancio dell’attività di questa organizzazione di cui anche tu facevi parte?

Mi pare che si tratti di un bilancio positivo, anche se fra il ’37 ed il ’41 la crescita dell’organizzazione non fu travolgente. Come ho già detto, la nostra attività consisteva nel soccorso rosso, nel proselitismo e nella propaganda. Fu in quest’ultimo campo che riportammo i maggiori successi, riuscendo ad avvicinare al partito anche persone che, pur non prendendo mai la tessera, condivisero le nostre idee e appoggiarono le nostre lotte durante la Resistenza e negli anni successivi alla liberazione.

Per l’inverno 1941-42 era stata ventilata l’idea di mobilitare le donne contro la guerra e la scarsità di generi alimentari. Pensi che questa manifestazione avrebbe avuto successo?

Penso di sì. Le donne erano meno attive degli uomini nel lavoro clandestino, ma tutt’altro che refrattarie alla propaganda antifascista. Molto influivano su di loro i sentimenti, la giusta preoccupazione per il figlio, il marito o il fidanzato mandato a combattere una guerra assurda dopo essere stato magari perseguitato a causa delle sue idee politiche.

Il 28 aprile 1942 il Tribunale speciale ti condannò a sette anni di reclusione per attività antifascista, fortunatamente non scontati per intero. Che cosa significò per te l’esperienza del carcere?

Quella del carcere è un’esperienza dura. Chi non l’ha provata nemmeno immagina quanto pesi l’essere rinchiuso fra quattro mura, la malnutrizione, la prepotenza sbirresca, la mancanza degli affetti familiari. Però io ero certo che non avrei mai passato sette anni in galera. Ero sicuro che il regime sarebbe crollato prima e questa convinzione era condivisa dai detenuti politici che si trovavano nel mio stesso camerone. Quindi io uscii dal carcere politicamente e moralmente rafforzato e pronto a riprendere la lotta senza esitazioni.

Qual è, a tuo avviso, il rapporto fra lotta clandestina e Resistenza? In che modo la prima contribuì a preparare la seconda?

Si tratta di un rapporto molto stretto, evidentemente. Senza la prima la seconda non ci sarebbe stata, e da questo di punto di vista è estremamente significativo il fatto che i quadri delle formazioni partigiane provenissero, nella loro maggioranza, dall’esperienza della clandestinità e del carcere.

Articolo pubblicato nel febbraio 2015.




Trent’anni di “Documenti e studi”, storica rivista dell’ISREC Lucca

10959533_992307847465131_7783550152549620822_nVenerdì 27 febbraio 2015 alle ore 18,00 presso LuccaLibri, libreria caffè letterario, sarà presentato l’ultimo numero di “Documenti e studi”, semestrale Isrec che festeggia i suoi primi trent’anni.

In questa occasione sarà presentato il n. 37 della rivista che comprende un saggio di Jonathan Pieri Guerra ai civili nel Comune di Massarosa; l’intervista Diciassette anni, partigiano, di Feliciano Bechelli a Franco Bravi, allora giovanissimo combattente della Divisione Garibaldi Lunense. Poi, la storia di alcune significative vicende locali: Giuliano Rebechi, Il “caso Raffo”. L’allontanamento violento del direttore commerciale della Cooperativa di Consumo di Pietrasanta ad opera dei fascisti nella primavera 1924; Nicola Del Chiaro, Alle radici della Repubblica, La battaglia del periodico repubblicano lucchese “Il Baluardo” durante il quarto governo De Gasperi (1947 – 1948); Feliciano Bechelli, Lucca, le prime partite di calcio dopo la liberazione: la società civile cittadina desiderosa della normalità di qualche modesto svago, mentre, a poche decine di chilometri da Lucca, la guerra infuria ancora, poi Franco Pocci, Bruna Morandi Petri, che tratta di un’importante figura femminile del cattolicesimo versiliese, attiva tra spiritualità e organizzazione nel secondo dopoguerra.

 




71° anniversario deportazione nei campi di sterminio nazisti

Programma della cerimonia

ore 09:45 ritrovo di tutti i Gonfaloni in piazza Santa Maria Novella in occasione del 71° anniversario del trasporto dei deportati politici della provincia di Firenze verso i campi di concentramento e di sterminio nazisti.

Intervengono:

Moreno Cipriani (ANED – Firenze) ex partigiano gappista, figlio di Oscar deceduto ad Ebensee.
Sara Nocentini (Assessore Cultura e Turismo della Regione Toscana)
Dario Nardella (Sindaco del Comune di Firenze)
Thomas Punkenhofer (Sindaco del Comune di Mauthausen, Austria)
Matteo Mazzoni (direttore Istituto Storico Resistenza Toscano)
Camilla Brunelli (direttrice Museo della Deportazione)

Programma musicale a cura del Coro del Novecento di Fiesole

Alle ore 11:00 il corteo si muove dalla piazza fino al binario 6 della Stazione di Firenze SMN. Breve cerimonia conclusiva.