L’esodo dei giuliano-dalmati

Incontro-dibattito, promosso da ISRT e ANPI provinciale, alle ore 10.00, Sala delle Leopoldine, piazza Tasso (FI).

Intervergono:

Silvano Priori (Istituto Storico della Resistenza in Toscana), L’esodo dei giuliano-dalmati: una riflessione d’insieme

Laura Benedettelli (Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea), Il lungo esodo: tra panorama nazionale e realtà locali

Franco Quercioli e Silva Rusich (ANPI, Sezione Isolotto, Circolo Rusich), Da Pola a Firenze. Il secolo dell’esodo. la storia di Sergio Rusich

 




Giorgio La Pira e Salvatore Quasimodo.

La giornata organizzata dall’Associazione “Beato Angelico per il Rinascimento” prevede una iniziativa rivolta ai giovani (Chiesa di San Marco) e un convegno di studi ( ore 15.30 Sala delle Collezioni, Consiglio Regionale Via Cavour 18) sull’amicizia tra Giorgio La Pira e Salvatore Quasimodo.




Una tragedia (quasi) dimenticata

“Mamma ti voglio bene ritornerò. Vaiano. 1922. D.M.”

Queste poche criptiche parole incise su una gavetta rimasta impigliata nelle reti di pescatori greci negli anni ‘80 sono il primo, casuale, tassello di una grande storia dimenticata che la Fondazione CDSE e il Comune di Vaiano (Po) hanno contribuito a far riemergere e approfondire. Tutto iniziò (per il CDSE) con una telefonata dalla Puglia, era l’ottobre 2011: il Comune di Surbo (Le) contattava quello di Vaiano per chiedere notizie, cercare agganci in merito a poche frasi sconnesse incise su una gavetta ripescata in fondo al Mar Egeo. Il quadro che si prospetta appare drammatico, ma allo stesso tempo interessante: deportazioni tedesche, un naufragio, 4200 soldati italiani dispersi, una tragedia dimenticata… con grande impegno e passione si inizia la ricerca nei registri delle anagrafi e qualcosa viene trovato. Un nome, un ragazzo: all’atto n° 24 si scopre un aggancio, D.M. Dino Menicacci, nato a Vaiano il 27 febbraio 1922 e disperso in Mar Egeo l’11 febbraio 1944. Dopo quasi settant’anni la gavetta sommersa ritrova il suo soldato. La Fondazione CDSE inizia a fare le prime ricerche documentarie e d’archivio: si richiede il foglio matricolare e caratteristico al CEDOC, si contattano i discendenti del soldato ancora residenti sul territorio e si riesce a ricostruire una storia, sconosciuta anche ai familiari stessi: Dino Menicacci, 22 anni, è tra le circa 4200 vittime del naufragio del Piroscafo Oria, affondato a largo di Capo Sounion (Atene) in una notte di febbraio del 1944.

Ma cosa accadde precisamente tra l’11 e il 12 febbraio 1944? E perché questo, che è probabilmente il più grande disastro navale (bellico) mai avvenuto nel Mediterraneo, risulta essere un capitolo di storia poco conosciuto?

fam andreozzi12 febbraio 1944. È notte a largo delle coste di Rodi, il vecchio piroscafo Oria, stipato con oltre 4000 soldati italiani destinati alla deportazione in Germania, arranca nel mare in tempesta. Il mercantile norvegese, varato nel 1920 e requisito dai tedeschi all’inizio della guerra, era salpato dal porto di Rodi verso le 17,40 dell’11 febbraio 1944 con destinazione il Pireo, Atene. Sul piroscafo, oltre a un carico di bidoni di olio minerale e di gomme da camion, sono imbarcati oltre 4000 soldati italiani che dopo l’8 settembre 43 si erano rifiutati di aderire alla Repubblica di Salò e per questo erano stati rinchiusi in vari campi di lavoro e definiti IMI, internati militari italiani. Non “prigionieri”, ma IMI: la Germania hitleriana non poteva considerare prigionieri i militari in uniforme appartenenti ad una nazione che, formalmente, era ancora sua alleata (Mussolini era a capo della Repubblica Sociale Italiana nel Nord Italia). In più, la definizione di “Internati” permetteva di aggirare la Convenzione di Ginevra e rendeva difficile, se non addirittura impossibile che la Croce Rossa si potesse interessare di quei detenuti, che si trovarono così abbandonati alla mercé della Germania nazista. Questi soldati (secondo le stime dello Stato Maggiore Italiano i militari presenti a Rodi l’8 settembre 1943 ammontavano a circa 37.500 unità), una volta disarmati, furono invitati ad arruolarsi nelle divisioni dell’RSI: questa scelta poteva significare non solo avere salva la vita, ma anche tornare in patria e lì riscrivere il proprio destino; da un’iniziale adesione alla RSI, molti poi disertarono e salirono in montagna con la Resistenza antifascista. Fatto sta che la stragrande maggioranza degli IMI scelse consapevolmente di non aderire alla RSI, sminuendo ulteriormente agli occhi dei nazisti lo stato fantoccio di Mussolini e dando un fermo segnale dal forte valore antifascista.

piroscafo_oriaIl prolungarsi della guerra e l’acuirsi delle difficoltà per la Germania nazista, resero la situazione nel Dodecaneso sempre meno gestibile per i reparti tedeschi: anche solo sfamare (poco e male) tutti gli IMI era diventata una spesa insostenibile e il rischio di rivolte aumentava di giorno in giorno. A tutto questo si aggiungeva la quotidiana e pressante richiesta da parte della madrepatria di forza lavoro coatta. È questo il contesto in cui si inserisce il naufragio dell’Oria: dal settembre 1943 una direttiva del Führer aveva annullato “tutte le norme di sicurezza relative alla limitazione numerica degli imbarcati” e ordinato di sfruttare “lo spazio al massimo, senza curarsi delle eventuali perdite”. La Kriegsmarine iniziò il trasporto degli italiani seguendo tale direttiva. Il 23 Settembre avvenne il primo disastro. I piroscafi “Donizetti” e “Dithmarschen” e la Torpediniera “TA 10” vennero affondate. Si ebbero 1.584 morti fra gli internati in massima parte dovute alle inosservanze delle norme di sicurezza. A questi disastri fecero seguito quello del piroscafo Leda con 720 morti; del piroscafo Marguerita con 544 morti; della nave da carico Sinfra con 1.850 morti; della motonave Rosselli con 1.300 morti; del motoveliero Alma con 300 morti; del piroscafo Petrella con 2.646 morti.

OriawrecksiteCome si evince da questo drammatico elenco, la vicenda dell’Oria non è l’unica tragedia che coinvolse trasporti navali di truppe italiane dirette in Germania; quello che è certo è che un incidente o un “errore di navigazione” come è stato definito quello dell’Oria, sia passato alla storia come un evento di serie B, rispetto a quelle navi che furono invece affondate o silurate, e che quindi subirono quello che il senso comune tende a definire “un vero e proprio atto di guerra”.

Questa, a grandi linee e ancora con molte lacune a distanza di 70 anni, è ciò che sappiamo in merito al naufragio dell’Oria.

Un importante passo avanti nella ricostruzione delle vicende è stato compiuto dalla rete spontanea dei familiari nata su internet (www.piroscafooria.it) e dalla mailing list che raccoglie tutti i parenti finora rintracciati e li tiene aggiornati su tutte le iniziative e i passi avanti nella ricerca che vengono fatti a livello nazionale; parallelamente anche la Regione Toscana, nell’aprile 2013,  ha appoggiato il progetto di ricerca storica che il Comune di Vaiano (PO) e la Fondazione CDSE stanno portando avanti da circa due anni. Il progetto consiste nella ricostruzione degli eventi legati al naufragio del Piroscafo Oria e nell’individuazione delle famiglie delle vittime che ancora oggi non conoscono le circostanze in cui i propri congiunti trovarono la morte nel mar Egeo nel febbraio 1944. Grazie al sostegno della Regione siamo riusciti a contattare tutti i 287 comuni toscani e ad oggi 128 di questi hanno condotto una ricerca nelle loro anagrafi, aiutandoci a rintracciare ben 30 nominativi e altrettante famiglie toscane riconducibili al naufragio dell’Oria. In occasione del 70 anniversario (9/2/2014) la municipalità greca di Saronikos (sul cui territorio costiero avvenne il naufragio) ha eretto e dedicato un monumento in memoria dei caduti dell’Oria.

Attualmente, con la collaborazione della rete informale dei parenti delle vittime, a livello nazionale il CDSE è riuscito a rintracciare le famiglie di 206 soldati italiani morti nel naufragio dell’Oria; per arrivare a 4200 la strada è ancora lunga, ma speriamo che l’impegno e i buoni risultati ottenuti dalla Regione Toscana siano da esempio anche per le altre regioni italiane.

Luisa Ciardi si è laureata in storia contemporanea all’Università di Firenze con una tesi sulla storia sociale d’impresa. Ha frequentato il master di archeologia industriale presso l’Università di Padova e attualmente lavora presso la Fondazione CDSE della Valdibisenzio e Montemurlo. Le sue ricerche spaziano dalla storia locale alla storia dell’industria, alla storia della seconda guerra mondiale, con un particolare interesse per la storia orale. è membro dal 2012 di AISO (Associazione Italiana di Storia Orale).

Tra le sue pubblicazioni si ricordano: 

Il lanificio Silvaianese. Un’azienda a misura di famiglia e di territorio (1945-1989) , Prato, Pentalinea, 2011.

La Spiga e la Spola: contadini e operai nella Vaiano degli anni ’50, in Alle origini del Comune di Vaiano (1949-1951), Catalogo della mostra, a cura di A. Cecconi, Prato, CDSE della Valdibisenzio, 2011.

I pratesi, contadini, operai, imprenditori. L’etica del lavoro a Prato nel passaggio fra agricoltura e industria, in “Microstoria. Rivista toscana di storia locale”.

Il fiuto dei Bardazzi per la lana. La famiglia vaianese e la rete di finanziamento informale alle industrie della Valle, in “Microstoria. Rivista toscana di storia locale”.

Articolo pubblicato nel febbraio 2015.




70° Anniversario della visita di re Umberto II a Castelnuovo dei Sabbioni

Era l’11 febbraio del 1945 e l’Italia “vedeva” la fine di una Guerra interminabile e sanguinosa. La comunità cavrigliese allora aveva già pagato a carissimo prezzo la ritirata delle truppe Naziste e stava cercando di guardare avanti seppur duramente colpita dagli eccidi del luglio 1944. Nel frattempo, dopo la liberazione di Roma avvenuta il 5 giugno del 1944, il Re Vittorio Emanuele III si ritirò a vita privata nominando Luogotenente Generale dell’Esercito il figlio Umberto II, il quale divenne anche di lì e poco l’ultimo Re D’Italia dal 9 maggio al 13 giugno del 1946.

Umberto II a Castelnuovo (Mario Ruscelli è il bambino alla sinistra del futuro e ultimo Re d'Italia)Per riscattare l’immagine della famiglia reale, scalfita della fuga verso sud dopo l’Armistizio dell’8 settembre, il figlio del Monarca iniziò una serie di visite nell’Italia già liberata incontrando la popolazione stremata dalle atrocità del conflitto mondiale. E fu proprio nel pomeriggio di quell’11 febbraio 1945 che Umberto II visitò l’antico Borgo di Castelnuovo dei Sabbioni dove venne ricevuto dal Parroco Don Gino Ciabattini e da poche altre persone. Un evento storico per la comunità cavrigliese sconosciuto però per gran parte della popolazione.

Oggi invece possiamo riviverlo grazie ad Emilio Polverini, che ha ricostruito la visita dell’ultimo Re d’Italia a Castelnuovo attraverso alcuni reperti del suo inestimabile patrimonio fotografico e attraverso la testimonianza di uno dei testimoni ancora in vita. Proprio Emilio Polverini infatti, a seguito di una sua iniziativa alla quale l’Amministrazione Comunale di Cavriglia ha subito aderito, questo pomeriggio ha accompagnato al Borgo di Castelnuovo dei Sabbioni,  a 70 anni esatti di distanza dalla visita, Mario Ruscelli, castelnuovese da generazioni, che l’11 febbraio del 1945 all’età di 4 anni vide con i propri occhi Umberto II.




La mia DC: Enrico Dello Sbarba

Alle ore 16.00 in Palazzo Panciatichi, Sala Gigli, presentazione del volume di Enrico Dello Sbarba, La mia DC. Spezzoni di vita politica e i rapporti con il sen. Andreotti, (Edizioni Il Quadrifoglio, Livorno).

Intervengono, dopo i saluti di Alberto Monaci, Presidente del Consiglio regionale, Ivo Butini già senatore della Repubblica, Francescalberto De Bari, pubblicista, Giuseppe Del Carlo, consigliere regionale.




La maglia azzurra di Gino Scarpellini

Alle ore 17.00, alla Biblioteca CaNova, ultimo incontro del ciclo “Storie Resistenti” con la presentazione del volume di Franco Quercioli, La maglia azzurra di Gino Scarpellini, Regione Toscana, 2014. Atleta, operai e partigiano, Gino Scarpellini rappresenta una “storia nella storia”: dagli ASSI Giglio rosso alla Fonderia delle Cure, fino alle SAP di Monticelli, si raccontano le gesta di un personaggio minore nella Firenze del ‘900.

Insieme all’autore, intervengono: Paolo Bambagioni, consigliere regionale della Toscana, Mario Fuso, segretario della Camera del Lavoro di Firenze, Silvano Sarti, Presidente ANPI provinciale, Stefano Gallerini (ISRT), Mirco Dormentoni, Presidente Quartiere 4.




Testimonianze della Resistenza toscana (1943-1945)

Alle ore 17.00, alla Biblioteca CaNova, nel quarto incontro del ciclo “Storie Resistenti” promosso dalla biblioteca con ISRT, Archivio del Movimento di Quartiere, ANPI, presentazione del volume di Orlando Baroncelli, Testimonianze della Resistenza toscana (1943-1945), Libriliberi 2015. L’autore è riuscito a cogliere le testimonianze dei protagonisti attraverso un montaggio di esperienze vissute con uno stile narrativo capace di rappresentare la cultura orale di un popolo e di una civiltà, in un passaggio decisivo della propria identità nazionale.

Insieme all’autore, intervengono Franco Quercioli (Archivio del Movimento di Quartiere), Matteo Mazzoni (Direttore ISRT), Susanna Agostini (ANPI provinciale).




I partigiani e l’Acquedotto di Mantignano

Alle ore 17.30, alla Biblioteca CaNova, nel terzo incontro del ciclo “Storie Resistenti”, promosso dalla Biblioteca con ISRT, Archivio del Movimento di Quartiere, ANPI, presentazione del video I partigiani e l’Acquedotto di Mantignano. Il racconto di Ivan Cini ed altro, di Maurizio Dell’Agnello.

Il video ci racconta come il percorso, dal libro presentato un anno fa, al video si sia arricchito di immagini e voci suggestive. Luoghi e personaggi capaci di rappresentare la storia di una comunità resistente.

Insieme all’autore e ai collaboratori, intervengono Paolo Mencarelli (ISRT), Francesca Innocenti (ANPI-Radio Cora) e Mirko Dormentoni, Presidente del Consiglio di Quartiere 4.