Dopo la Liberazione.

“Ancora non ci siamo totalmente ritrovati! Siamo tutt’ora smarriti, siamo come un malato in convalescenza che non trova la via di rimettersi, perché lotta fra la miseria, la sfiducia e la fiducia”. Scrivendo nel settembre 1944 al cardinale Elia Dalla Costa, don Girolamo Barzagli, parroco di S. Andrea a Fabbrica (comune di San Casciano Val di Pesa), descriveva con queste parole lo stato d’animo prevalente tra i suoi fedeli a poche settimane di distanza dalla liberazione. Fiducia per quanto rinasceva dopo il fronte ma al contempo disorientamento per un futuro ancora incerto si fondevano assieme, orientando il giudizio complessivo di coloro che avevano vissuto la guerra e la liberazione nei comuni di Barberino Val d’Elsa, Tavarnelle e San Casciano Val di Pesa; piccole comunità rurali della provincia fiorentina, chiuse nel loro mite microcosmo agricolo, sulle quali la guerra e il passaggio del fronte avevano pesato in modo particolare.

Divenuti alla fine del luglio 1944 terreno di battaglia aspramente conteso tra tedeschi e alleati in vista della liberazione di Firenze, questi tre comuni a cavallo tra Val d’Elsa e Val di Pesa avevano infatti pagato a caro prezzo questa loro rilevante posizione strategica, tanto che, il grosso delle perdite umane e materiali subite si era concentrato proprio nei giorni del passaggio del fronte, grossomodo tra il 20 e il 27 luglio. Una serie di stragi e stillicidi compiuti dagli uomini della IV FallschirmjDiffuse e capillari devastazioni prodotte in ritirata dai guastatori tedeschi nonché dai combattimenti stessi avevano al contempo straziato le campagne, distrutto strade, ponti e ridotto in macerie i principali abitati, nonché sensibilmente colpito il patrimonio agricolo e zootecnico di queste comunità. Per questo, la liberazione dei tre comuni lasciò in eredità agli amministrazioni post-bellici un’ emergenza che fu anzitutto umanitaria e demografica. Nel comune di Tavarnelle Val di Pesa, dopo la liberazione del 23 luglio, in circa 500 avevano avuto la casa completamente distrutta e 1.400 gravemente sinistrata. A San Casciano, 863 erano le persone che avevano perso la propria abitazione, 1.046 quelle con la casa gravemente danneggiata, mentre 684 ancora nel novembre 1944 vivevano in rifugi temporanei. A questa massa di sinistrati si aggiungeva inoltre un ingente numero di sfollati provenienti da altri comuni: alla fine del 1944 se ne contavano 265 a Tavarnelle, 1.412 a San Casciano e 850 a Barberino. Già prima del fronte molti di questi sfollati erano riparati in luoghi e locali di fortuna, quali cantine e tinaie, e persino in cave e miniere, come era avvenuto ad esempio nella miniera di lignite di Tignano, dove si erano sistemate 6-700 persone. Dopo il fronte, provvedere al rientro di questa popolazione negli abitati, dando un tetto a chi ne era rimasto senza, fu uno dei compiti che tentarono di portare a termine le giunte provvisorie dei tre comuni, col concorso dei locali Comitati di liberazione nazionale (Cln) e sotto la supervisione del governo militare alleato.

All’indomani della liberazione, riattivata la macchina amministrativa, le giunte provvisorie di Barberino, Tavarnelle e San Casciano danno così inizio alle prime riparazioni. In mancanza di materiale edile e di fronte ad un mercato che si caratterizza subito per l’eccessivo aumento dei prezzi, si ordina lo smantellamento delle strutture agricole superflue, come concimaie e magazzini, e il reimpiego dei materiali per consentire le riparazioni più urgenti entro gli abitati distrutti. Parallelamente, si fa affidamento su coloro che hanno avuta salva la propria abitazione, che adesso vengono richiesti di mettere a disposizione anche di altre famiglie di sinistrati. È una corsa contro il tempo quella con la quale si tenta, prima del sopraggiungere del primo inverno di liberazione, di mettere al riparo i senza tetto. Ma i principali abitati sono un groviglio di edifici semidistrutti e macerie sotto alle quali si trovano ancora ordigni inesplosi. Nella totale impossibilità di fare affidamento sull’intervento delle autorità provinciali, in ciascuno dei tre comuni si decide pertanto di iniziare autonomamente l’opera di prima ricostruzione, talvolta adottando, “il sistema di indipendenza dagli uffici burocratici” col quale cioè si pone mano alle riparazioni senza attendere il naturale decorso delle autorizzazioni necessarie  e facendo affidamento su maestranze e manodopera locale. Con questo sistema, nell’agosto 1945 a San Casciano “dei sette ponti completamente demoliti nella rete stradale interna” ben cinque erano già stati ricostruiti, grazie anche all’aiuto prestato “da parte di proprietari e coloni, i quali si sono volontariamente quotati ad offrire trasporti e mano d’opera a titolo gratuito”. D’altra parte, sin dopo la liberazione, tutta la popolazione maschile in età adulta (fatta eccezione dei mezzadri) è stata chiamata al lavoro per gli interventi più necessari, secondo una mobilitazione obbligatoria da cui dipende tra l’altro la possibilità delle famiglie di accedere alla distribuzione dei generi alimentari. Oltre alle macerie, infatti, la fame.

Con l’interruzione della campagna granaria a causa del passaggio della guerra, la devastazione delle coltivazioni e la perdita del patrimonio bovino (diminuito del 16% a Barberino, del 27% a Tavarnelle e del 43% a San Casciano sui valori anteguerra), il sostentamento delle popolazioni locali viene a dipendere principalmente dalle distribuzioni alleate e da quanto si riesce ancora a reperire in zona. In alcune aree, si è costretti a nutrirsi prevalentemente della frutta dei campi mentre, come notano le autorità alleate, “la popolazione vive spesso procurandosi erbe selvatiche”. Le distribuzioni alleate registrano col passare dei mesi ritardi e rallentamenti, dando spesso adito a proteste popolari, come accade a San Casciano quando, alla fine del 1944, le donne del paese scendono in piazza per manifestare di fronte al palazzo municipale. Tocca dunque agli uffici comunali all’assistenza, spesso con quanto messo generosamente a disposizioni da fattorie e mezzadri della zona, organizzare i primi soccorsi, distribuendo cibo, indumenti e masserizie. È una gestione dell’emergenza, questa diretta dalle amministrazioni comunali, che sovente si scontra però con le esigenze delle autorità provinciali, le qual,i spesso con troppa leggerezza, distolgono le residue risorse locali allo scopo di soddisfare la piazza di Firenze. Allo stesso tempo, si tenta urgentemente di ripristinare i servizi medici basilari, a fronte di una situazione che a causa della malnutrizione e della contaminazione delle acque conseguente alla distruzione degli acquedotti e della rete fognaria diviene sempre più urgente. Numerosi casi di febbre tifoide, alcuni letali, si diffondono nelle settimane seguenti al passaggio del fronte, costringendo le amministrazioni a reimpiegare d’urgenza il personale medico disperso a seguito del fronte.

Ma è dirigendo la macchina governativa dei sussidi giornalieri che le amministrazioni provvisorie, tramite il reimpiego degli Enti di assistenza comunali e la costituzione di appositi comitati all’assistenza, tentano di risollevare la popolazione dalla condizione miserevole in cui l’ha spinta la guerra. Sussidi giornalieri di importo variabile sono infatti rilasciati a vantaggio delle categorie più colpite, quali i sinistrati, gli sfollati, i profughi, i reduci dalla prigionia e soprattutto i familiari delle vittime nazifasciste ed i congiunti dei partigiani caduti. Una macchina dell’assistenza che sul piano nazionale, soprattutto sotto il governo guidato da Ferruccio Parri, si adegua ad un ambizioso progetto politico volto a rifondare il paese non solo su nuovi principi politici (l’antifascismo) ma anche su nuove basi materiali di esistenza. Rispondere ai bisogni materiali di cui i superstiti della guerra chiedono soddisfazione alle autorità costituite – come ad esempio fanno le vedove della strage di Pratale in un’accorata petizione inoltrata al comune nel maggio 1945 – equivale a riconoscere ed accogliere il loro diritto materiale “di ritorno alla vita”. Una sensibilità e un indirizzo effettivo che con estrema difficoltà si tenta di soddisfare anche nei tre comuni.

Ponte Argenna - S. Donato

San Donato in Poggio (Tavarnelle Val di Pesa) 1945. Il ponte sull’Argenna in fase di ricostruzione dopo la guerra (Archivio Forconi)

Benché il processo di uscita dalla guerra e di ricostruzione si rivelerà un percorso lungo e difficile destinato a protrarsi negli anni seguenti, sono però i primi mesi successivi alla liberazione che costituiscono per queste comunità e i loro amministratori il momento determinante col quale tentare di risollevare dai disagi della guerra le popolazioni locali. Spesso, si cerca di far ciò attraverso provvedimenti e processi autonomi che mettono in luce, seppur con tutti i limiti del contesto, il protagonismo, la dedizione e l’impegno delle giunte provvisorie. Queste ultime puntano a fare della loro attività di assistenza e ricostruzione un’occasione attraverso la quale sperimentare un rapporto più aperto e partecipativo con le proprie cittadinanze, all’insegna del nuovo clima democratico che si apre dopo il fronte. La volontà della giunta di Tavarnelle di sottomettere la decisione di acquistare un alternatore che consenta il ripristino della fornitura elettrica ad un referendum popolare, che in effetti si svolge nel dicembre 1944 con la partecipazione di circa 200 cittadini, è un esempio significativo (oltreché curioso) di questo nuovo spirito di rinascita democratica.

Anche la ripresa della vita sociale e politica dopo il fronte si indirizza nei tre comuni lungo un percorso pervasivo, benché non sempre lineare, di rinascita democratica. Nelle giunte provvisorie, così come all’interno dei Cln, tra i diversi partiti antifascisti maturano momenti di tensione su questioni di natura politica e amministrativa. In particolare, la capacità di condurre a termine l’epurazione degli elementi collusi col fascismo, se è avvertita dai comitati come spia della genuinità della democrazia che si sta ricreando in Italia, d’altra parte viene però interpretata dai partiti antifascisti con diverso grado di radicalità. Così, mentre nel settembre del 1945 il Cln di Tavarnelle è costretto a rassegnare in tronco le sue dimissioni, perché incapace di operare a fondo quell’epurazione che la popolazione nel frattempo gli richiede, a San Casciano nel giugno 1945, proprio a riguardo di un provvedimento di epurazione, matura una rottura (seppur temporanea) ai vertici del governo locale tra il sindaco comunista Aldo Giacometti e il vicesindaco democristiano Primo Calamandrei; rottura che porta alle dimissioni di quest’ultimo e alla fuoriuscita dal Cln di tutti i rappresentanti della Dc. Tensioni queste – certo sintomo di un fermento democratico dirompente -, che si riflettono inoltre sugli assetti amministrativi esistenti tra il centro e la periferia municipale: dopo il fronte, ad esempio, si registrano infatti da parte di alcune frazioni di comune richieste e istanze a rendersi municipalità autonome, come ad esempio si tenta di fare a San Donato in Poggio e a Mercatale Val di Pesa. Tentativi di trasformazione contro i quali le autorità superiori alleate e italiane intervengono a difesa dei tradizionali equilibri territoriali e amministrativi, al pari di quanto fanno nel frattempo anche sul piano degli assetti politici. In questo campo, alleati e autorità prefettizia sembrano seguire con circospezione e preoccupazione il protagonismo che alcuni esponenti del partito comunista esercitano entro i Cln e i governi locali. Simili indirizzi sono rintracciabili ad esempio in occasione dell’interessamento alleato dimostrato per Ottavio Gimignani, membro comunista del Cln di S. Donato in Poggio, indicato come un “ardente comunista” e ritenuto addirittura pericoloso per la stessa comunità; oppure, in modo simile, orientano l’intervento dell’autorità prefettizia che alla fine del 1944 suggerisce un rimpasto della giunta comunale di Barberino con nomina di rappresentanti democristiani in sostituzione di quelli comunisti. Conflittualità, queste che interessano comunisti e democristiani, destinate poi a infittirsi in prossimità della campagna elettorale per le triplici elezioni del 1946, benché poi gli assetti usciti dalle urne non siano tali da minare ancora l‘unità antifascista esitente tra i due partiti; non almeno a San Casciano, dove  comunisti e democristiani si scambiano pubblicamente reciproche congratulazioni per i piazzamenti riportati all’indomani delle amministrative del 1946. Benché il lungo dopoguerra sia formalmente iniziato, l’ombra del conflitto che si è da poco lasciato alle spalle continua a popolare l’orizzonte comune di queste tre piccole comunità della provincia fiorentina, le cui forze politiche proprio in occasione delle prime elezioni amministrative libere del 1946 danno conto nei loro programmi elettorali di quanto fatto e di quanto ancora resta da fare per un completo ritorno – materiale, morale, sociale e politico – alla normalità.

Manifestazione CGIL San Casciano

Manifestazione della CGIL unitaria a San Casciano nell’immediato dopoguerra (Archivio La Porticciola)

Articolo pubblicato nel maggio del 2015.




Donne “comuni” nell’Europa della Grande Guerra. Call for papers della rivista “Genesis”.

“Genesis” invita a presentare contributi per un numero monografico sulla mobilitazione totale nelle società europee durante la Grande Guerra. Le proposte (300 parole al massimo) devono essere inviate entro il 30 maggio ai curatori del numero Roberto Bianchi roberto.bianchi@unifi.it e Monica Pacini mo0nicapacini@libero.it

In allegato il progetto di CFP.




Scuola digitale

A che punto siamo con il digitale nella scuola italiana? Il 4 maggio alle 17 nell’Auditorium Terzani della biblioteca San Giorgio la tavola rotonda organizzata da Unblogdiclasse® e dalla testata online www.cittadiniditwitter.it proverà a dare delle risposte. Durante l’evento, dedicato al mondo della scuola ma non solo, si svilupperà un dibattito in occasione della recente uscita dei saggi “Il digitale e la scuola italiana” di Marco Dominici e “Teste e colli. Cronache dell’istruzione ai tempi della Buona Scuola” di Marco Ambra, insieme ai due autori presenti, alla professoressa Elisa Lucchesi, fondatrice di unblogdiclasse®, e a Giuseppe Dino Baldi, responsabile del dipartimento digitale Giunti Scuola.
Tra i temi affrontati le nuove implicazioni didattiche delle tecnologie, la definizione degli elementi che influenzano la penetrazione e l’uso del digitale a scuola, la posizione e il ruolo dell’editoria scolastica in questo processo di cambiamento. Sarà possibile seguire l’evento, e porre domande prima e durante l’evento, anche su Twitter con l’hashtag #scuolaedigitale.
Marco Dominici lavora come redattore e formatore presso ALMA Edizioni, di cui è anche referente per l’area digitale e responsabile della web tv ALMA.tv, dedicata alla lingua e alla cultura italiana. Autore di materiali didattici (cartacei e non) per l’insegnamento dell’italiano a stranieri, nella vita è stato operatore culturale, docente di materie letterarie alle scuole me­die e superiori e insegnante di italiano a stranieri. Gestisce dal 2010 leggoe­rgosum, un blog specializzato in editoria digitale e tecnologie applicate alla didattica.
Marco Ambra è insegnante di Storia e Filosofia, specializzato nel sostegno. Redattore del blog lavoroculturale.org per il quale cura il focus su scuola e istruzione. Ha pubblicato “Coscienza, autocoscienza e zombi” (Stamen, 2014) e ha curato l’ebook “Teste e colli. Cronache dell’istruzione ai tempi della Buona Scuola” (ebook de il lavoro culturale, 2015).
Elisa Lucchesi: professoressa al liceo scientifico E. Fermi di San Marcello Pistoiese, dove insegna materie letterarie e latino. Dal 2012 è Twitter coordinator di Dialoghi sull’uomo; nel 2013 ha fondato l’aula digitale unblogdiclasse® che dirige, dal 2014 è blogger ufficiale di Dialoghi sull’uomo – È stata Twitter coordinator di @TwitSofia_it, primo esperimento di filosofia su Twitter da novembre 2013 a ottobre 2014. È attualmente Project Manager di @Leopardi_24 e @Gesuiti_24, in collaborazione con la Domenica de Il Sole 24 ore.
Giuseppe Dino Baldi si occupa da tempo di educazione e dell’uso delle tecnologie nella didattica. Dal 2009 è responsabile del dipartimento Digitale Giunti Scuola




Appello per scongiurare la chiusura del Centro Documentario Storico “Francesco Bergamini” di Viareggio

Sono stati promossi un appello e una raccolta di firme per scongiurare la chiusura del Centro Documentario Storico “Francesco Bergamini” di Viareggio, istituito nel 1963 allo scopo di “raccogliere, conservare e valorizzare il patrimonio archivistico della Città e di fornire a tutti i cittadini, che ne vogliono fare uso, i mezzi di formazione e di informazione sulla storia di Viareggio e della Versilia”.

“In conseguenza – si legge nel testo dell’appello – alla mancanza di certificazioni antincendio del Palazzo delle Muse, vanno facendosi sempre più insistenti le voci di una chiusura del Centro documentario storico e addirittura di un possibile smembramento del suo patrimonio per un suo trasferimento in altre sedi di minore capienza. Premesso che tale assunto significa rinunciare a mettere a norma il secondo piano del Palazzo delle Muse e quindi lasciarlo inutilizzato, e questo già di per sé sarebbe scandaloso, qui si tratta di difendere il patrimonio storico della città, ossia la sua memoria. Il Centro documentario storico, aperto nel 1963 grazie alla volontà e alla passione di Francesco Bergamini, da oltre 50 anni è punto di riferimento non solo per studiosi locali ma per studenti universitari e studiosi provenienti da tutta Italia. Prova ne sono le numerose tesi di laurea e i volumi di storia locale pubblicati nel corso degli anni che in assenza di tale Istituto non avrebbero mai visto la luce. La sua caratteristica più importante è quella di non essere solo un mero archivio di documenti ma anche centro di raccolta anche della bibliografia di quanto ivi documentato. Facciamo un esempio. Di un edificio cittadino importante al Centro documentario storico si trovano contemporaneamente: la licenza, i disegni, i pareri delle commissioni, le delibere di giunta o del consiglio, i libri scritti su di esso, nonché numerose immagini d’epoca e di oggi. In sostanza il patrimonio è costituito sia dalla documentazione burocratica, sia da quella bibliografica sia da quella iconografica: pensare anche solo in via ipotetica di smembrare tale ricca e complessa documentazione significa ignorare le più elementari norme di svolgimento di una ricerca. In quanto appena detto sono implicite anche le motivazioni che devono impedirne a tutti i costi la chiusura. Viareggio ha perso già molto, se dovesse perdere anche la sua memoria, davvero non ci resterebbe più nulla.  Pertanto facciamo appello al commissario prefettizio Valerio Massimo Romeo affinché non prenda alcuna decisione e permetta che tale delicatissima e importantissima questione sia affrontata e risolta dalla politica, dagli amministratori che fra breve saranno eletti. Facciamo appello a Filippo Antonini, Massimiliano Baldini, Giorgio Del Ghingaro, Franco Giorgetti, Rodolfo Martinelli, Luca Poletti, Alessandro Santini, Giulio Zanni, candidati sindaco, affinché si impegnino a non permettere in nessun modo che il patrimonio del Centro Documentario Storico venga smembrato e a mantenerlo consultabile agli studiosi e alla cittadinanza”.

Per firmare la petizione si può inviare una email a serafini.antonella@alice.it con scritto “firmo l’appello per il Centro Documentario Storico” nome e cognome.




Riflessi della grande guerra su Siena e il suo territorio attraverso gli archivi senesi

Siena ricorda il Centenario della grande guerra, con molte iniziative, a partire dal 6 maggio, alle 17,00, presso la sede dell’Archivio di Stato di Siena, dove ci sarà la “Quarta giornata degli archivi senesi del novecento. Riflessi della grande guerra su Siena e il suo territorio attraverso gli archivi senesi”.

Ad organizzare l’evento oltre all’Archivio di Stato, anche il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali, il Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni culturali e il comitato scientifico composto da Massimo Bianchi, Stefano Maggi, Stefano Moscadelli, e Patrizia Turrini.




La Rivista di Firenze

Il villino di Lungarno Serristori, oggi conosciuto come Casa Siviero, è stato sede della “Rivista di Firenze”, periodico di arte e cultura, tra il novembre del 1924 e il maggio del 1925, per scelta di Guido Castelfranco che, divenutone il principale sostenitore la trasferisce presso la propria residenza, indirizzandola alla valorizzazione dell’arte di Giorgio De Chirico, di cui era amico.

Per questo il Museo Casa Siviero ha deciso di allestire questa mostra così da far conoscere meglio questa rivista.

Inaugurazione 16 maggio ore 10.30.

Orari: fino al 28 settembre la mostra, ad ingresso gratuito, sarà aperta il sabato ore 10-18, domenica e lunedì ore 10-13.




Il Primo maggio sui giornali degli anni ’60 e ’70

Il primo maggio nelle cronache giornalistiche delle maggiori testate italiane nel ventennio 1960-1980. La festa dei lavoratori che a Tavarnelle non si celebra da qualche decennio torna alla ribalta con la prima edizione di un evento culturale, organizzato nella sala Consiliare dalla presidenza del Consiglio comunale. E’ “1° maggio in prima pagina”, la storia della ricorrenza legata alla festa dei lavoratori, raccontata e illustrata, attraverso l’esposizione di una considerevole quantità di copie originali di testate giornalistiche. Tra i giornali esposti, provenienti da collezioni private, ci sono La Nazione, La Repubblica, Il Corriere della Sera, Avanti, L’Unità, Il Manifesto, L’Espresso. In mostra anche alcune copie de Il Popolo, La Voce Repubblicana, “La martinella” e il Nuovo Corriere di Siena. “Oltre ai giornali – spiega l’organizzatore, il presidente del Consiglio comunale di Tavarnelle, tra le sale del palazzo consiliare si potranno sfogliare manifesti celebrativi, libri e documenti legati alla festa, ristampe che evocano le lotte intraprese dai lavoratori all’inizio del ‘900”.
La mostra si inaugura venerdì primo maggio alle ore 10,30 nel palazzo consiliare di Tavarnelle (piazza Matteotti) e rimarrà aperta fino al 10 maggio.
Orari di apertura della mostra: giovedì, sabato e domenica 10,30-12, 18-19 e martedì 18-19.




Sui sentieri della Libertà

Una passeggiata della memoria in occasione del 71° anniversario della Liberazione, promossa da ISIS Gobetti-Volta, ANPI Bagno a Ripoli, Figline-Incisa, Reggello-Rignano, Comuni di Bagno a Ripoli, Rignano, Figline e Incisa Valdarno.

Ora 9.30 partenza da Poggio alla Croce e San Martino per Casa Cavicchi a Pian d’Albero

Rappresentazione teatrale e musicale
Interventi dei partigiani
Ristoro sul prato

Ore ripartenza per Poggio alla Croce e San Martino.