“Parlare di cinema” a Castiglioncello

info_mostraAnche quest’anno Castiglioncello, meta prediletta dei nomi più prestigiosi della storia del cinema italiano, ospita Parlare di cinema con un fitto calendario di appuntamenti e incontri che si terranno dal 16 al 20 giugno.

La rassegna, diretta da Paolo Mereghetti, prenderà il via martedì 16 giugno con l’inaugurazione della mostra fotografica “Note di costume. Addio alle armi e altri film” a cura di Antonio Maraldi per il Centro Cinema Città di Cesena. 42 foto in bianco e nero dall’archivio della contessa Annalisa Nasalli Rocca, costumista cinematografica di grande esperienza, attiva nella seconda metà del Novecento nello staff di decine di produzioni, soprattutto americane, girate in parte in Italia. Tra i film documentati il curatore ha voluto dar ampio spazio a due titoli legati alla prima guerra mondiale come Addio alle armi di Charles Vidor (1957) e Le avventure di un giovane di Martin Ritt (1962) , entrambi ispirati a pagine di Ernest Hemingway.

  • Ospite d’onore della giornata l’attrice Elena Sofia Ricci che farà da “madrina” alla mostra fotografica (ore 18.00 – La Limonaia di Castello Pasquini).
  • Come da tradizione un’attenzione particolare è rivolta agli esordienti le cui opere verranno presentate al pubblico di Castiglioncello che avrà poi l’occasione di dialogare con i registi nel pomeriggio di venerdì 19 giugno (ore 18.00 – La Limonaia di Castello Pasquini) nell’incontro Esordire in Italia: esperienze a confronto moderato da Paolo Mereghetti. Tra le opere prime selezionate quest’anno, due titoli che hanno rappresentato l’Italia alla Berlinale: Vergine Giurata di Laura Bispuri che affronta il tema dell’identità magistralmente interpretato da Alba Rohrwacher; Short Skin di Duccio Chiarini, sottotitolo “i dolori del giovane Edo” interpretato dal giovane livornese Matteo Creatini, anche lui ospite della manifestazione. A completare la selezione due commedie: Soldato Semplice esordio come regista, ma anche come sceneggiatore e produttore, del comico Paolo Cevoli; uno spaccato dell’Italia sullo sfondo della crisi economica in Leoni del vicentino Pietro Parolin.
  • E ancora incontri di cinema rivolti agli studenti e agli appassionati a cura di Antonello Catacchio. Quest’anno protagonista sarà il cinema di un grande maestro ostinatamente indipendente come Robert Altman ( 17 e 18 giungo ore 10.30 Sala conferenze – Centro “Le Creste”). “Anticonformista. Autore. Ribelle. Innovatore. Narratore. Sperimentatore. Giocatore d’azzardo. Folle. Padre di famiglia. Regista. Artista”. Così viene presentato nel documentario di Ron Mann, Sarà proprio questo appassionante documentario con interviste ad attori famosi e famigliari e  immagini d’archivio dei suoi film a fare da filo conduttore al seminario su Robert Altman, uno dei più singolari e straordinari registi statunitensi, autore di capolavori assoluti come M*A*S*H, I compari, Il lungo addio, Nashville, America oggi, Gosford Park sino all’ultimo e indimenticabile Radio America.
  • Due grandi nomi del cinema d’autore converseranno con il pubblico: venerdì 19 giungo Mario Martone racconterà il “suo” Leopardi nell’incontro moderato da Paolo Mereghetti che precederà la proiezione de Il giovane favoloso (ore 21.30 Cinema Castiglioncello), mentre sabato 20 giugno sarà la volta di Paolo Taviani e del suo “Maraviglioso Boccaccio” (ore 21.30 Cinema Castiglioncello).

Grande attesa infine per l’incontro conclusivo della manifestazione dal titolo “Volti celebri tra cinema e televisione”. Da sempre il cinema italiano ha pescato nel teatro e poi nella televisione per trovare volti nuovi con cui cementare il proprio rapporto col pubblico. Da ultimo anche il cabaret (televisivo e non) è diventata una «riserva di caccia» per volti nuovi. Ma se una volta arrivare al cinema poteva rappresentare il culmine della carriera, oggi i valori si sono nuovamente rimescolati. Non è raro il caso di attori popolari che “lasciano” il cinema per rivolgersi alla televisione – e magari trovarvi un successo maggiore – oppure che vedono nel teatro una occasione per ritrovarsi e ritrovare un rapporto più immediato col pubblico.

Di tutti questi argomenti (e di altri ancora) si parlerà quest’anno nell’incontro di sabato 20 (ore 18.00 – Limonaia di Castello Pasquini) con gli attori Piera Degli Esposti, Chiara Francini, Lucia Mascino, Filippo Timi.




“Livorno tra fascismo, guerra e ricostruzione” una giornata per il 70° della Liberazione

70livProseguono a Livorno le celebrazioni per il 70° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascimo (1945-2015) nel ricordo del valore storico, politico e civile della ricorrenza.

A pochi giorni dalla 48° edizione della Coppa Barontini, in programma la prossima settimana sui fossi medicei, martedì 16 giugno, alle ore 16,30,nella sala consiliare del palazzo comunale, si svolgerà una cerimonia di commemorazione e riflessione storica sul tema “Livorno tra fascismo, guerra e ricostruzione” promossa dal Comitato Coppa “Ilio Barontini” e dal Consiglio regionale della Toscana.

Interverranno il sindaco Filippo Nogarin, il presidente del Comitato organizzatore della Coppa Ilio Barontini Massimiliano Talini, il direttore scientifico Fondazione memorie Cooperative Enrico Mannari e l’ex deportato dai nazisti in Germania Mauro Betti.

Coordinerà l’evento Mauro Nocchi, della segreteria dell’Anpi e membro del Comitato organizzatore della Coppa.

Nel corso della cerimonia è previsto un omaggio musicale a Garibaldo Benifei da parte delle nipoti.

Al termine, il sindaco consegnerà gli attestati agli eredi delle Medaglie d’Oro della Resistenza Livornesi, ai partigiani, agli eredi di Ilio Barontini, dei sindaci della ricostruzione Furio Diaz e Nicola Badaloni, all’Associazione Partigiani d’Italia e all’associazione Perseguitati Politici italiani antifascisti.




Testimonianze della Resistenza, a Pistoia

Alle ore 16.00 presso il Museo Marino Marini (Corso Fedi, Pistoia) presentazione del volume di Orlando Baroncelli “Testimonianze della Resistenza in Toscana”.




71° anniversario dell’uccisione di Mary Cox e Maria Penna Caraviello

Programma delle Commemorazioni:

Venerdì 19 giugno

ore 21.00 presso SMS Serpiolle, Due donne della Resistenza,  memorie e riflessioni a cura di Matteo Mazzoni, Direttore dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Sarà presente il presidente del Quartiere 5, Cristiano Balli.

Sabato 20 giugno

ore 10.00 deposizione della corona al Monumento “Il Pegaso”, via di Capornia

Saranno presenti le istituzioni.




12 giugno 1944: la strage di San Leopoldo

La strage di San Leopoldo, località prossima a Marina di Grosseto, è parte dei tragici eventi che accompagnarono la ritirata delle truppe germaniche lungo il litorale tirrenico, dopo la liberazione di Roma. Furono rastrellamenti, rappresaglie e azioni determinate a liberare le vie di comunicazione utili per la ritirata e colpire le formazioni partigiane. L’opera di repressione nella zona costiera fu di competenza del LXXV Corpo d’Armata tedesco. I fatti di Marina di Grosseto furono preceduti dalla strage di Roccalbegna, l’11 giugno, da rastrellamenti nella zona di Castiglione della Pescaia e nella frazione di Buriano, dove i tedeschi intendevano far terra bruciata intorno alla banda “Gruppo Tirli” del “Raggruppamento Monte Amiata”.

Casa sfollati

Casa delle famiglie sfollate a San Leopoldo

La mattina del 12 giugno 1944 un graduato e due militari tedeschi, incaricati di minare e far saltare il ponte sulla Fiumara di San Leopoldo, si recarono presso il casello del genio civile, dove viveva la famiglia del responsabile Fortunato Falzini. Sul posto si trovava anche una famiglia di sfollati, quella dei Lari, mentre a poca distanza vi era il podere dei Botarelli. I tedeschi gli ordinarono l’allontanamento dalla zona, malgrado   un regolare permesso di residenza per il controllo del livello delle acque che gli era stato concesso da un ufficiale tedesco. Difficile capire come la situazione degenerò. Secondo la ricostruzione del prefetto di Grosseto Amato Mati del 14 giugno 1945, i tedeschi aprirono il fuoco e uccisero Falzini e Giuseppe e Livio  Botarelli, padre e figlio. Al rumore degli spari, altri  tentarono la fuga lungo l’argine ma furono ugualmente colpiti: Olga e Giancarlo Lari, madre e figlio, uccisi sul posto, Roma Madioni, deceduta qualche giorno dopo per le ferite. Sopravvisse un altro ferito, Armando Lari, che aveva cercato scampo all’interno di una botola. Nel complesso furono sei le vittime civili. Ma non è questa l’unica versione che ci consegnano le carte. La relazione stilata dal sindaco di Grosseto Lio Lenzi il 22 luglio 1944 descrive un rastrellamento di reparti di SS, arrivate lì per minare il ponte sulla chiusa e poi la visita nella casa di Botarelli, dove l’avrebbero ucciso dopo aver mangiato e bevuto.

Cisterna dove sarebbero state uccise 5 persone da una bomba a mano lanciata dai tedeschi

Le altre cinque vittime sarebbero state uccise da una bomba a mano, gettata nella cisterna sotterranea dove avrebbero cercato rifugio, terrorizzate dalla morte di Botarelli. I morti furono seppelliti nell’argine del fossato di San Giovanni, mentre i feriti furono curati sul posto da un milite della CRI, a Grosseto prima di esser trasferiti. Al di là dell’esatta ricostruzione dei fatti, la presenza di civili sul posto fu probabilmente interpretata dai militari come trasgressione all’ordine di sfollamento della zona per ragioni strategiche. Dall’ottobre 1943, su dirette disposizioni di Hitler, era stata infatti disposta l’evacuazione della popolazione costiera per una profondità di 5 Km nel tratto Livorno-Napoli, per motivi strategico-militari. I civili dovevano lasciare il posto alle forze tedesche, perché fosse approntata la linea di difesa costiera utile a fronteggiare l’eventuale sbarco degli Alleati.

Nel caso di San Leopoldo, nell’unica ricostruzione storica finora pubblicata (Fulvetti, 2009), l’elemento scatenante la violenza potrebbe essere stato l’eccessivo numero di persone riparate presso il casello. Rimase e rimane tuttora ignota l’identità dei militari tedeschi autori della strage. Tra i familiari delle vittime, subito dopo la Liberazione, cominciarono a circolare accuse di complicità nei confronti di alcuni fascisti locali: otto persone, sospettate di aver sollecitato l’eccidio, ma prosciolte in istruttoria per l’impossibilità di avvalorare tali sospetti con elementi concreti.

lapide per le vittime S. Leopoldo 1

Particolare della lapide in memoria delle vittime, collocata nei pressi del pattinodromo di Marina di Grosseto

Se solo da alcuni anni questo frammento di storia è riemerso ed entrato nella memoria collettiva ufficiale, mentre era solo patrimonio di ricordi di singoli, testimoni diretti o indiretti, è certo a causa dell’assenza del percorso della giustizia, esito processuale dell’istruttoria. Quanto alla storiografia, poco o nulla era stato scritto nell’ambito degli importanti studi sulle stragi nazifasciste in Toscana, che ci sono stati consegnati dal gruppo di specialisti dell’Università di Pisa e da quanti furono coinvolti dalla Regione Toscana nell’attuazione di una legge (“Per salvare la memoria delle stragi nazifasciste in Toscana”). Uno straordinario vuoto di fonti scritte ha ostacolato le insistenti ricerche, promosse dall’Istituto storico grossetano e sollecitate anche dal Comune di Grosseto. A lungo nulla è emerso dalle carte del Comitato di Liberazione nazionale, nulla dalla corposa documentazione presente nell’Archivio di Stato su fascismo, guerra e Resistenza. Solo fascicoli personali dei sospettati, frutto della prima istruttoria del CLN grossetano, hanno fatto una prima luce sull’accaduto, lasciando però insoddisfatto il desiderio di giungere a una cronaca certa e a una definitiva interpretazione delle responsabilità, dirette e indirette.

La lapide sul luogo della strage

La lapide in memoria delle vittime sul luogo della strage

Rimane indiscutibile il quadro interpretativo generale: la strategia deliberatamente attuata in applicazione delle direttive dei Comandi tedeschi ha lasciato una scia di sangue anche a San Leopoldo, alla vigilia della Liberazione della città di Grosseto, avvenuta tre giorni dopo, quando ormai le autorità civili e militari fasciste l’avevano abbandonata.

Il progetto nazionale di Atlante delle stragi nazifasciste, ormai in fase conclusiva, rivela qui un sovrappiù di utilità. Si aggiungerà alla restituzione di memoria che si è tradotta da qualche anno in un cippo e nel 71° anniversario della strage, in un pannello che trasformerà finalmente la Chiusa di San Leopoldo in un luogo da inserire tra gli itinerari della memoria.

Articolo pubblicato nel giugno del 2015.




Il Palazzo di Giustizia di Firenze intitolato a Piero Calamandrei. Il 12 giugno cerimonia ufficiale con il Ministro Orlando

Venerdì 12 giugno, ore 11,30, presso il Palazzo di Giustizia di viale Guidoni (aula 31, Corte d’Assise d’Appello), è in programma la cerimonia di intitolazione della struttura al giurista, scrittore e uomo politico fiorentino Piero Calamandrei.
Intervengono il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il Sindaco di Firenze Dario Nardella, il presidente della Corte d’Appello di Firenze Fabio Massimo Drago e il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Tindari Baglione.

Una personalitá laica e libertaria fuori dagli schemi e dagli schieramenti

Piero Calamandrei (Firenze, 1889- Firenze, 1956) rappresenta una figura di spicco nello scenario politico e culturale italiano della prima metà del novecento. Giurista di straordinario talento, esercitò la professione forense e l’insegnamento accademico e, in questa veste, partecipò attivamente nel 1942 alla formulazione del nuovo codice di procedura civile, pur non avendo niente a che fare con il regime fascista.
Fu tra i fondatori e gli esponenti di punta del Partito d’Azione, una formazione di ispirazione laica e liberaldemocratica che partecipò attivamente alla Resistenza con le formazioni armate di Giustizia e Libertà ma ebbe vita breve, schiacciata nella polarizzazione ideologica tra i grandi partiti popolari (DC e PCI) che venne configurandosi nel clima della guerra fredda.
Calamandrei si caratterizzò  per il forte impegno politico  che lo vide protagonista in particolare durante la stagione costituente (1946-1948).
Uomo libero, intransigente, dal pensiero rigoroso e anticonformista, si fece portatore di opzioni destinate a rimanere emarginate e sconfitte nell’ambito dell’Assemblea Costituente: l’auspicio di una repubblica presidenziale basata su un sistema maggioritario sul modello anglosassone (a suo giudizio doveva garantire la stabilità politica e evitare il rischio della ingovernabilità) e l’opposizione all’inserimento costituzionale dei Patti Lateranensi (in nome di una visione laica e libertaria).
In linea con la sua irriducibile vocazione democratica spese l’ultima parte della sua vita nella difesa del pacifista Danilo Dolci nel processo che lo vide imputato a fianco dei braccianti siciliani in lotta contro il latifondo.




Piazza D’Azeglio n. 12. L’ultima “sede” di radio CoRa

Uno dei rami più importanti della Resistenza era il servizio di controspionaggio, infatti tutte le informazioni utili e veritiere che venivano intercettate dal Comitato di Liberazione venivano trasmesse agli Alleati.
Fondamentale in questo campo fu il servizio di Radio Cora del Partito d’Azione, che cercò fin dall’8 settembre di mettersi in contatto con gli alleati e con il governo italiano del Sud.
Facevano parte di questo comitato Luigi Morandi, uno studente di ingegneria, Carlo Ballario, un fisico, Italo Piccagli, capitano dell’aeronautica e molti altri tra cui Enrico Bocci e Carlo Campolmi.
Fu proprio Enrico Bocci che riuscì a mettersi a contattare per la prima volta, nel gennaio del 1944, con l’VIIIª Armata, sbarcata sulle coste dell’Adriatico, riuscendo a costituire un proprio gruppo, vicino ma autonomo dal PdA.
Vista l’importanza delle sue informazioni Radio Cora possedeva un vasto archivio in cui erano riposti i vari cifrari, i messaggi cifrati spediti e ricevuti, i messaggi che ancora dovevano essere inviati e le informazioni che dovevano essere controllate prima di essere spedite. Con il passare dei mesi cresce il lavoro e anche il rischio di essere scoperti. La loro azione rappresenta una grave minaccia per i nazifascisti che quindi cercano in ogni modo di catturarli.

Da metà maggio la sede viene stabilita in Piazza d’Azegio n. 12.

La sera del 7 giugno come al solito i membri di Radio Cora stavano trasmettendo dalla sede in Piazza d’Azeglio quando un gruppo di tedeschi irruppe all’interno dell’appartamento e arrestarono Gilda Larocca, Carlo Campolmi, Franco Gilardini, Italo Piccagli e Enrico Bocci.
Luigi Morandi che in quel momento si trovava al piano superiore perché aveva già dato inizio alle trasmissioni, non si accorse dell’arrivo dei tedeschi perché aveva le cuffie quando nota una presenza estranea reagisce prendendo la pistola e uccidendo un tedesco, ma viene colpito a morte da un altro militare arrivato nel frattempo, morirà tre giorni dopo nell’ospedale di Via Giusti.
Tutti coloro che furono arrestati vennero condotti da Carità in Via Bolognese.
Gilda Larocca, una delle persone arrestate la sera del 7 giugno in alcune testimonianze ha rciordato il momento dell’arresto: “Ad un tratto la porta si aprì e Focacci entrò indietreggiando, sospinto dalle canne delle pistole che tre individui alti e tarchiati, impugnavano minacciosi senza far parola. Focacci balbettò << ci sono questi signori>> si vedeva subito che erano tedeschi. Sentii un brivido, come una scossa elettrica dalla nuca ai talloni. Proprio ora quei dannati ci avevano scoperti” e continua: “I tedeschi divennero furibondi dopo l’uccisione del loro camerata. Ci percossero, ci sbatterono, urlandoci sulla faccia parole che non capivo, ma che dovevano essere minacce terribili”.
Andreina Morandi Michelozzi, sorella di Luigi Morandi, viene avvertita dell’arresto dei membri di Radio Cora da un certo Pancani che la avverte di distruggere tutto quello che i tedeschi potevano considerare compromettente; mentre Andreina sta nascondendo i volantini di suo fratello arrivano i tedeschi.
Anche la famiglia di Luigi Morandi fu trasportata a Villa Triste.
Bocci e Piccagli una volta arrivati in Via Bolognese per cercare di aiutare i compagni si assunsero tutte le responsabilità dell’operazione.
Italo Piccagli fu ucciso il 12 giugno a Cercina insieme a Anna Maria Enriques Agnoletti, mentre si ritiene che Bocci sia stato ucciso il 18 giugno, ma il suo corpo non è stato mai trovato.
Radio Cora continuò a trasmettere anche dopo l’arresto dei suoi membri grazie al coraggio di Giuseppe Campolmi.
Oggi in Piazza d’Azeglio è presente un monumento in ricordo di coloro che sono morti.

 




La Fortezza da Basso

Il 7 settembre del 1944 per celebrare la liberazione e sciogliere ufficialmente le formazioni partigiane, nella Fortezza da Basso viene organizzata una cerimonia, presieduta dal generale Edgar Erskine Hume,capo del governo della V armata. Il luogo che nel settembre precedente era stato teatro di uno dei primi drammi dell’occupazione nazista, con l’intimazione di resa delle truppe italiane che vi erano alloggiate e la catturata dei militari destinati ai campi di concentramento come internati militari italiani, diviene sede della celebrazione della Resistenza.
Nel corso della commemorazione ai partigiani sono consegnati dei diplomi per l’opera svolta in favore della liberazione della città e degli attestati firmati dal generale H. R. Alexander.
I partigiani presenti hanno raccontato che gli Alleati vollero sciogliere le formazioni partigiane perché non si fidavano di loro in quanto venivano identificati come comunisti. Mario Baldassini, un partigiano che partecipò alla cerimonia, racconta: “Gli alleati non ci vedevano con simpatia perché eravamo in maggioranza comunisti, con i fazzoletti e le bandiere con la falce e il martello”. Anche Mario Spinella descrive l’atteggiamento degli americani: “All’uscita dalla caserma una jeep americana, ci passò accanto, i poliziotti ci urlarono qualcosa che non capimmo. Scesero con il bastone alzato, ci fecero cenno di toglierci i fazzoletti rossi. Dopo la prima reazione, ubbidimmo. Non vi era senso a non farlo”.
Dopo la celebrazione i partigiani si dirigono verso la Federazione comunista che aveva sede in via dell’Agnolo. Dalla finestra si affaccia Giuseppe Rossi, operaio manovale e anziano dirigente del partito. Rivolge alla folla parole piene di speranza: “Incomincia una nuova epoca, un compito nuovo per i partigiani e per i democratici: ricostruire la città, unire il popolo. Bisogna costruire una nuova Italia”.