Dal 12 al 15 giugno: Giugno di memorie e di festa per la Liberazione di Grosseto

loc1L’istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea ha organizzato una serie di eventi per celebrare il 71° anniversario della Liberazione di Grosseto, che comprende anche la presentazione del Portale ToscananNovecento (15 giugno).

*Venerdì 12 giugno, ore 17, alla chiusa di San Leopoldo, sarà inaugurato il pannello che illustra  la strage nazista del 12 giugno 1944. Saranno presenti: Emilio Bonifazi (Sindaco e Presidente della Provincia di Grosseto), Nello Bracalari (Presidente dell’ANPI provinciale Norma Parenti), Don Franco Cencioni (già Parroco del Duomo di Grosseto), Adolfo Turbanti (Presidente dell’ISGREC)

*Sabato 13 giugno, alle ore 22, al Cassero, Concerto con ingresso libero “Questo è il fiore del partigiano”,  un lungo percorso per ascoltare la musica che ha raccontato la Resistenza, per capire quanto ha contribuito a elaborarne la memoria. Narratore di questo viaggio sarà Claudio Silingardi, Direttore dell’INSMLI, con l’Ensamble Banda Libera (Marco Dieci, Gigi Cervi, Francesco Coppola, Chris Dennis, Lucio Gaetani)

*Domenica 14 giugno torna Pedalare, Resistere, pedalare con la FIAB Grossetociclabile, un nuovo itinerario della memoria verso Campospillo, luogo del bassorilievo scolpito in memoria dei deportati politici di Grosseto da Tolomeo Faccendi, per volontà di Tullio Mazzoncini, unico sopravvissuto alla deportazione. Il bassorilievo è stato oggetto di studio di una classe di studenti del Liceo  Artistico-Polo Bianciardi di Grosseto, che ripercorreranno la loro esperienza di ricerca con una relazione su La storia e le storie nel bassorilievo di Tolomeo Faccendi

*Lunedì 15 giugno, alle  ore 10, festa grande nella Sala Consiliare del Comune di Grosseto. Saranno presenti Emilio Bonifazi (Sindaco e Presidente della Provincia di Grosseto), Anna Maria Manzone (Prefetto di Grosseto), Adolfo Turbanti (Presidente dell’ISGREC). Luciana Rocchi (Direttrice dell’Isgrec) interverrà su Resistenza-Resistenze. I progressi di una ricerca in corso; Gianluca Della Maggiore (Istituto storico della Resistenza di Livorno) e Barbara Solari (ISGREC) presenteranno il portale Toscana Novecento, promosso dalla Regione Toscana con i contributi scientifici di tutti gli istituti della Resistenza toscani. Interverranno anche Marcella Parisi e gli studenti del Liceo Artistico-Polo Bianciardi di Grosseto, che insieme ad Elena Vellati (Isgrec) proporranno una riflessione su La storia “multilingue”tra ricerca,  didattica, comunicazione




Corridoio vasariano

La notte tra il 3 e il 4 agosto i tedeschi fanno saltare in aria tutti i ponti di Firenze, escluso Ponte Vecchio, così da poter bloccare l’avanzata degli alleati.
Il giorno successivo Enrico Fischer, partigiano del Partito d’Azione e comandante della 3ª compagnia della 3ª zona, riuscì a forzare l’ingresso del Corridoio Vasariano dall’interno della Galleria degli Uffizi.
Nonostante una parte del corridoio fosse crollata a causa delle esplosioni e dei bombardamenti subiti dalla città, era ancora facilmente attraversabile: Fischer riuscì a raggiungere l’Oltrarno senza venire scoperto dai militari tedeschi.
Il 5 agosto Fisher, Ragghianti e Niccoli cercarono di far passare per il Corridoio Vasariano un cavo telefonico per permettere ai militanti partigiani presenti in Oltrarno di comunicare con il corpo di guardia partigiano che si era installato a Palazzo Vecchio. Niccoli ha reso testimonianza dell’impresa: «Ragghianti, Fischer ed io partimmo nelle prime ore del pomeriggio. La traversata di Palazzo Vecchio avvenne senza difficoltà […]. Nel tratto del corridoio sul Lungarno Archibusieri vi erano una quantità di mine ancora innescate, che i tedeschi si erano dimenticati di far brillare, e che furono disinnescate e rimosse».
L’impresa dei tre ebbe buon fine e già alla fine della giornata, all’insaputa dei tedeschi, le formazioni partigiane furono nuovamente in grado di comunicare e di far sapere agli alleati quali fossero le condizioni e le intenzioni delle truppe tedesche.




La casa della prof.sa Mary Cox

La sera del 19 giugno 1944 si svolge a casa della professoressa Mary Cox una riunione per stabilire come liberare alcuni patrioti dall’Ospedale militare e come reperire le armi. Con lei si trovano Rocco Caraviello, appartenente ai Gap, Edgardo Savioli, Vincenzo Vannini, sottotenente operante all’ospedale e il giovane ufficiale Franco Martelli. Uscendo dall’abitazione vengono fermati da alcuni uomini armati della Banda Carità, tra cui Antonio Corradeschi, Romolo Massai ed Elio Cecchi. Irrompono in casa, rubano 50.000 lire e malmenano e arrestano i presenti. Portano tutti prima all’albergo Savoia, poi a Villa Triste, dove vengono rinchiusi nelle cantine e torturati. Rocco Caraviello, invece, viene condotto vicino a Chiasso del Buco e ucciso con un colpo di pistola alla testa.
Nel frattempo altri della Banda vanno a casa Caraviello e maltrattano e arrestano Maria Penna e suo marito Rocco, cugino dell’altro.
All’alba del 21 giugno Mary, Maria e Vannini vengono trasportati su un camion, ma Vannini tenta e riesce nella fuga, nonostante una ferita. I fascisti allora riversano la propria rabbia sulle donne, uccidendole e infierendo sui cadaveri. I loro corpi saranno trovati da alcune lavoratrici.
Vannini riesce a rifugiarsi in una chiesa e viene portato all’Ospedale di Santa Maria Nuova: sarà l’unico a poter raccontare l’accaduto.
Martelli, Savioli e Caraviello saranno infatti trucidati a Campo di Marte.




Non c’è niente da festeggiare. Riflessioni in occasione del primo anno di vita del Portale radiocora.it

In occasione del suo primo “compleanno”, condividiamo con piacere le riflessioni dei promotori del progetto – portale e radio web radiocora.it di cui è partner l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, invitandovi a leggere l’articolo che trovate al link sottostante:

http://www.radiocora.it/post?pst=11736

http://radiocora.it/

 

 

 




“Oriente e Occidente, dialoghi di civiltà” a Firenze

convegnoSegidiopDopo il convegno cattolici-sciiti e il primo summit di tutte le Chiese orientali a Bari, la Comunità di Sant’Egidio propone un terzo incontro internazionale a Firenze, con la partecipazione delle massime autorità religiose del mondo sunnita, guidate dal Grande Imam di Al Azhar (Il Cairo), Ahmad Mohammad al-Tayyeb, alla sua prima visita ufficiale in Europa. La conferenza internazionale “Oriente e Occidente, dialoghi di civiltà”, si svolgerà l’8 e 9 giugno nel capoluogo toscano, a Palazzo Vecchio e a Palazzo Medici Riccardi. Così la  presenta il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo: “Non si tratta – ha spiegato – di un incontro interreligioso, ma di dialogo tra culture, che darà occasione al Grande Imam e ad altre importanti autorità musulmane di spiegare il volto di un Islam tanto diverso da quello presentato oggi dall’Isis e dall’oscurantismo violento” predicato per alimentare i conflitti: “Per togliere acqua a questi movimenti occorre non cedere alla rassegnazione, manifestata in molti casi dalla comunità internazionale di fronte alle guerre in corso in Siria e in Iraq, e al contrario portare avanti un’offensiva di dialogo ”.  A dialogare con queste prestigiose voci dell’Islam sunnita saranno a Firenze, oltre al fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, alcuni esponenti politici e istituzionali europei tra cui Romano Prodi e il segretario generale dell’European External Action Service, Alain Le Roy.

“Auspichiamo – ha aggiunto Impagliazzo – la nascita di un’Unione dei Paesi musulmani sul modello dell’Unione europea perché uno dei problemi esistenti nel mondo islamico è la mancanza di integrazione: potrebbe rappresentare per l’Europa un prezioso interlocutore”. “L’obiettivo – ha insistito – è quello di una collaborazione tra due mondi per arrestare i conflitti e salvare la coabitazione: occorre costruire ponti in un tempo in cui troppi ponti vengono sistematicamente distrutti. Da una parte il mondo musulmano, che vive un momento complesso e di crisi, “deve prenderne coscienza assumendo una posizione chiara a favore del dialogo, contro ogni deriva violenta”, dall’altra “l’Occidente deve portare avanti una seria autocritica di fronte ad atteggiamenti di islamofobia e xenofobia, che si sono manifestati recentemente anche con il rifiuto dei profughi che arrivano sulle nostre coste”.

Nei materiali correlati il programma della due giorni.

 




La settimana rossa in Toscana (7-13 giugno 1914)

La Settimana rossa fu un moto a carattere popolare, antimilitarista e insurrezionale che attraversò l’Italia dal 7 al 13 giugno 1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale, il Paese, allora, sembrò sull’orlo di una rivoluzione sociale.

Durante tutta l’età giolittiana l’agitazione antimilitarista fu al centro delle principali attività dei partiti e dei movimenti della estrema sinistra. L’antimilitarismo unì in un unico fronte quelle forze sovversive, dai repubblicani agli anarchici, dai socialisti ai sindacalisti rivoluzionari, che all’epoca erano profondamente divise per contrasti ideologici e programmi politici. La critica al militarismo, insieme all’anticlericalismo e alla profonda avversione alla monarchia dei Savoia, fu alla base di una stagione unitaria ed eccezionale di lotte radicali nella storia della sinistra italiana.

La monarchia dei Savoia aveva costruito la propria egemonia durante il processo di unificazione dell’Italia proprio utilizzando le forze armate. L’esercito si era distinto nella battaglia al banditismo nel Mezzogiorno d’Italia, nella repressione dei moti popolari in Sicilia e in Lunigiana nel 1893-1894 e in quelli per il “caro-pane” del 1898. Nei primi anni del Novecento l’esercito si era ancora reso protagonista, inoltre, per alcune efferate stragi di contadini e operai durante scioperi e proteste. Per tutte le forze della sinistra i militari rappresentavano uno dei maggiori ostacoli alla rivoluzione sociale e all’avvento di una nuova società. Ancora di più, le gerarchie militari si erano fatte conoscere all’epoca per i disastri delle imprese coloniali e per una serie di scandali finanziari e di corruzione che avevano fortemente minato la loro credibilità.

Augusto Masetti

La recente Guerra italo-turca del 1911-1912 aveva gettato benzina sul fuoco, non solo per la sua conduzione e l’altro numero di vittime – che aveva causato tra la popolazione e tra gli stessi soldati italiani – ma anche per la netta opposizione di una parte consistente delle forze popolari che vedevano in questa guerra l’ennesima riprova dell’aggressività e voracità del capitalismo italiano. In tutta Italia, da parte dei leader della sinistra rivoluzionaria e anarchica, si erano lanciate parole d’ordine di fuoco contro la guerra e si incitavano i militari alla diserzione e al boicottaggio. Il soldato Augusto Masetti, di idee anarchiche, durante una rassegna militare sparò, in segno di ribellione contro l’impresa libica, ad un alto ufficiale ferendolo gravemente. Masetti fu subito preso dal fronte antimilitarista a simbolo ed eroe. Intorno al suo nome gli anarchici, le componenti repubblicane, socialiste e sindacaliste rivoluzionarie che avevano preso le distanze dagli esponenti politici che approvarono l’invasione della Libia – come il deputato socialista Leonida Bissolati –, avevano avviato una campagna di generale mobilitazione che, con l’andar del tempo, si era alimentata di altri casi di vittime delle ingiustizie militari come quello dell’anarchico Antonio Moroni.

La domenica del 7 giugno 1914 – festa dello Statuto, giorno caro all’Italia monarchica e liberale – in tutta Italia furono convocate congiuntamente dalle forze dell’estrema sinistra centinaia di manifestazioni antimilitariste. Le parole d’ordine erano semplici ed efficaci: libertà per Masetti e Moroni, solidarietà alle vittime delle ingiustizie militari e la soppressione delle famigerate compagnie di disciplina. Il ministro Salandra, all’epoca capo gabinetto, vietò tutte le manifestazioni molte delle quali furono comunque svolte. Ad Ancona, al termine di un infuocato comizio in forma privata presso la sede del PRI, chiamata comunemente “Villa rossa”, tra gli intervenuti Pietro Nenni – allora direttore del settimanale repubblicano «Il Lucifero» – e il leader anarchico Errico Malatesta rientrato in Italia da meno di un anno dopo un lungo esilio a Londra, i dimostranti tentarono di forzare i cordoni della polizia e di penetrare nell’attigua Piazza Roma, dove la banda militare stava intonando la “Marcia reale”. Seguirono dei violenti scontri tra le forze dell’ordine e i dimostranti nel corso dei quali alcuni carabinieri, presi dal panico, aprirono il fuoco indiscriminatamente sui manifestanti uccidendone tre, un anarchico e due repubblicani e ferendone molti altri.

La notizia dell’eccidio si propagò rapidamente in tutta Italia. Il giorno seguente in molte località fu proclamato lo sciopero generale e iniziarono i moti della cosiddetta Settimana rossa, che ben presto si allargano a tutta la Romagna e alle Marche. L’agitazione, in molte località, prenderà un aspetto d’insurrezione spontanea e popolare, coinvolgendo centri urbani importanti come Genova, Milano, Parma, Firenze, Napoli, Bari e Roma. In queste giornate vi furono assalti agli edifici pubblici, saccheggi, sabotaggi delle linee ferroviarie e ripetuti scontri con le forze dell’ordine. Complessivamente vi furono 13 morti, uno tra le forze dell’ordine, molte centinaia di feriti e diverse migliaia d’arresti tra i dimostranti.

In Toscana lo sciopero si affermò a Firenze, Pisa, Livorno, Massa, Carrara, Viareggio, Pietrasanta e Pescia mentre altre province come Grosseto, Arezzo o città come Lucca furono toccate solo marginalmente dall’agitazione. Gli incidenti più gravi accaddero a Firenze dopo il comizio in Piazza Indipendenza quando un consistente gruppo di scioperanti si diresse verso il centro città. Nei pressi della Manifattura tabacchi i dimostranti venuti a contatto con alcuni agenti di Pubblica sicurezza tentarono di disarmarli e nel parapiglia venne ucciso dalle guardie un operaio mentre molti altri rimasero feriti. La città nelle ore successive vide moltiplicarsi gli incidenti causati dai continui scontri tra operai e forze dell’ordine che con la forza solo a tarda notte riportare la calma in città.

Sotto la pressione della direzione del PSI, la Confederazione generale del lavoro (CGdL), il maggior sindacato italiano, proclamò uno sciopero generale di protesta per il 9 giugno, ottenendo però che modi e tempi dell’astensione dal lavoro rispondessero alle direttive approvate dal Consiglio nazionale nell’aprile 1913, le quali circoscrivevano ad un limite massimo di 48 ore la durata di un eventuale sciopero generale. Questo modo di condurre l’agitazione attirò sulla dirigenza riformista della Confederazione l’accusa di diserzione della causa proletaria da parte di molti esponenti della sinistra socialista, primo fra tutti Benito Mussolini, in quel frangente direttore dell’«Avanti!».

Fu soprattutto in Romagna, e in particolare nel Ravennate, dove più forte era il radicamento delle organizzazioni politiche e sindacali popolari e dove maggiore era il grado di politicizzazione delle masse e maggiore, di conseguenza, l’attesa della “palingenesi sociale”, che lo sciopero prese i contorni di una vera e propria rivolta, al punto che il presidente del Consiglio Antonio Salandra, intervenendo il 12 giugno alla Camera, avrebbe addirittura sostenuto l’esistenza di un “concerto criminoso” all’origine delle sollevazioni popolari romagnole e marchigiane, un autentico piano rivoluzionario volto al sovvertimento delle istituzioni monarchiche e statali.

Le organizzazioni della sinistra dal PSI alla CGdL, dagli anarchici all’USI non riuscirono però a dare un orientamento e uno sbocco politico alla protesta. La direzione del PSI, pur avendo lavorato per portare la CGdL alla decisione dello sciopero generale, che in molte località era già stato indetto dalle Camere del lavoro – soprattutto quelle a guida sindacalista rivoluzionaria –, non volle assumersi la responsabilità politica di guidare il moto di protesta. Il 10 giugno la CGdL tramite il suo segretario Rinaldo Rigola, diramò l’ordine di cessazione dell’agitazione mentre lo stesso giorno il Sindacato dei ferrovieri proclamava l’astensione generalizzata dal lavoro. Le manifestazioni terminarono tra il 12 e 14 giugno e il governo Salandra potette tirare un sospiro di sollievo. Le elezioni amministrative indette per la fine di giugno si tennero regolarmente e il PSI ottenne un importante successo conquistando la maggioranza in più di 300 comuni, tra i quali Milano e Bologna, e in quattro amministrazioni provinciali.

La Settimana rossa lasciò uno strascico di polemiche tra l’ala riformista e quella rivoluzionaria del PSI, mentre gli anarchici attaccarono entrambe le componenti ed in particolare la CGdL, accusandola di aver tradito il movimento. Errico Malatesta dovette rifugiarsi a Londra per sfuggire alla polizia e Luigi Fabbri, altro esponente di spicco del movimento anarchico, trovò asilo a Lugano.

La Settimana rossa, sicuramente, ebbe un ruolo nel determinare l’atteggiamento della Corona nella decisione di rinunciare ad entrare subito in guerra nell’agosto del 1914. L’opinione pubblica, le classi dirigenti e le forze popolari non erano ancora pronte ad affrontare la scelta drammatica della partecipazione italiana al primo conflitto mondiale. Era assai diffuso il timore che la scelta di entrare in guerra potesse, in quel momento, scatenare forti reazioni delle masse popolari mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza della corona e l’integrità dello Stato. Ci vollero più di dieci mesi, di acceso confronto e scontro tra interventisti e neutralisti, per portare l’Italia nel coacervo della Prima Guerra Mondiale.

Articolo pubblicato nel giugno del 2015.




70° Anniversario della Liberazione al Monte La Faggiola

Una domenica di ricordo e commemorazione. Il 7 giugno, al monte La Faggiola, si festeggia. L’evento sarà inoltre l’occasione per ricordare l’anniversario della 36ma Brigata Garibaldi “Alessandro Bianconcini”. Il programma prevede alle re 9,30 il ritrovo e deposizione di una corona presso il cimitero degli Inglesi di Coniale (Santerno Valley War Cemetery). Alle 10,30 sarà la volta di musiche partigiane e popolari con Adriano Fernè.

A queste seguirà, sulle 11 la posa corona al monumento del passo del Paretaio di Monte La Faggiola. Qui sono previsti gli interventi del sindaco di Palazzuolo, di Marradi e di quello di Firenzuola. Inoltre sarà presente per un saluto e per una breve riflessione anche Giuliano Poletti (ministro del Lavoro e delle politiche sociali). Alle 12,30 pranzo campestre presso il monumento e ripresa canzoni partigiane e popolari.

Il monte sarà però possibile raggiungerlo anche a piedi. Alle 01,30 è prevista la partenza dal prato della Rocca di Imola con aggregazioni lungo il percorso Codrignano (ore 03,15), al Prugno (ore 5,45 con ristoro). Informazioni: Romano Bacchilega 335 6411488, Silvano Carnevali 370 3090256.




Eravamo come voi. Storie di ragazzi che scelsero di Resistere

Martedì 9 giugno alle ore 17.30 presentazione alla Biblioteca Civica “Stefano Giampaoli” di Massa della pubblicazione “Eravamo Come Voi. Storie di ragazzi che scelsero di Resistere” del concittadino Marco Rovelli Edizioni Laterza.

Introduce Nino Ianni (ANPI)
Intervengono: Massimo Michelucci (ISRA), Leonello Sermattei e Giorgio Mori (partigiani)
Sarà presente l’Autore.

 É un libro che racconta storie din ragazzi partigiani, una sorta di “reportage narrativo” sulla “scelta” dei ragazzi tra i 14 e i 23 anni, ai quali viene posta una domanda semplice:perché avete deciso di fare i Partigiani? Per rispondere, (non) basta una vita. Raccontare le resistenze significa raccontare le scelte: e spesso, prima che da una solida convinzione ideologica, per ragazzi cresciuti nell’unico mondo possibile (quel Truman Show che era il fascismo) quiete scelte furono dettate dal caso, o dall’istinto:comunque, da un soffio di vento:si ricordi Calvino, quando racconta di due fratelli uno fascista e l’altro Partigiano: “basta un nulla , un passo falso, un impennamento dell’anima, e ci si trova dall’altra parte”_ era stato un soffio di vento, un caso e niente più, a decidere la sorte dei due. (Per quanto, poi, quel nulla scavasse “un abisso”).
Raccontare la scelta significa dunque entrare nel dettaglio di vite singolari, per provare a comprendere quel salto quantico che è il momento della scelta: Che diventa antifascismo esistenziale. Perciò gli incontri con meravigliosi ragazzi novantenni, per scrivere un libro di storie, che è sopratutto un libro di etica, se etica significa scelta.
Marco ROVELLI (Massa 11 Giugno 1969) è uno scrittore e musicista. Insegna Storia e Filosofia nelle Scuole Secondarie