Giovanni Spadolini. Giornalista, storico e uomo delle istituzioni

Martedì 12 gennaio alle ore 14.30 inaugurazione nei locali dell’Ente Cassa di Risparmio, via Bufalini 6, della mostra storico-documentaria dedicata a “Giovanni Spadolini giornalista storico, uomo delle istituzioni” per i 90 anni della nascita, a cura della Fondazione Spadolini – Nuova Antologia. Sarà presente il Ministro per i beni culturali delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini.

La mostra (fino al 29 febbraio) è visitabile tutti i giorni lavorativi dalle 9.00 alle 19.00. Nei giorni del fine settimana vi sarà un collaboratore della fondazione ad accompagnare i visitatori alla mostra. Il prof. Cosimo Ceccuti sarà a disposizione nel week-end iniziale (sabato 16 e domenica 17 pomeriggio) e domenica 28 febbraio per il “finissage”.

Visite organizzate per le scuole.

L’invito vale altresì per l’inaugurazione della sezione dedicata alla passione per i libri di Spadolini, che avverrà mercoledì 13 gennaio alle ore 11.30 alla Biblioteca Nazionale di Firenze, piazza Cavalleggeri.




Renicci d’Anghiari.

A Renicci d’Anghiari, località della Valtiberina toscana, si trovava uno dei peggiori campi di concentramento d’Italia per numero di internati e per i comportamenti tenuti dal personale di sorveglianza. Destinato ad accogliere fino a novemila prigionieri di guerra, è adibito agli internati civili pur rimanendo sotto la competenza dell’amministrazione militare. All’arrivo degli antifascisti italiani (anarchici in gran parte) e degli slavi già confinati a Ventotene – dopo il 25 luglio 1943 – vi si trovano rinchiusi in 4.500, tutti prigionieri ‘ribelli’ deportati dalla Jugoslavia (sloveni, montenegrini, croati) catturati nelle operazioni di rastrellamento, talvolta accompagnati dalle famiglie. Ben 500 i militari addetti alla sorveglianza. Il regime di vita, secondo le testimonianze degli internati ma anche del cappellano incaricato dell’assistenza religiosa don Giuliano Giglioni, è bestiale al punto che lo stesso sacerdote riferisce nel suo diario, a proposito dei numerosi decessi per freddo, scarsa igiene, fame, dissenteria e altre malattie: “I primi furono seppelliti nel cimitero parrocchiale [alla vicina antica pieve di Micciano], ma dietro il mio interessamento presso il comune di Anghiari fu riadattato il vecchio camposanto”. Alcuni muoiono nonostante il tardivo ricovero negli ospedali di Castiglion Fiorentino, Anghiari, Subbiano e Sansepolcro. Alla fine il conto dei morti ammonta a 157. Il campo, dove non mancano neppure gli invalidi, gli adolescenti ed i bambini – “uomini di età dai 12 ai 70 anni” -, è diviso in tre settori ciascuno composto di 12 baracche e separati da inavvicinabili reti metalliche. Le persone sono stipate in 15 per ogni tenda e 250 per ogni baracca, ristrette in pagliericci infestati dai pidocchi. Le latrine sono all’aperto. Mancano vestiti e coperte. Tutt’intorno vi sono tre ordini di filo spinato di altezza varia intervallati e con altane di 4 metri per la sorveglianza armata e fari per l’illuminazione notturna. Le pattuglie di guardia nel loro giro disturbano continuamente il sonno dei prigionieri. Al mattino presto ed in qualsiasi condizione metereologica anche i malati sono costretti a presenziare per ore all’adunata per l’appello. Assomiglia parecchio a un ‘lager’ – il “campo n.97” secondo la numerazione assegnata dalle autorità militari – funzionante fin dal settembre / ottobre 1942 costituito da un primo nucleo di baracche a cui poi si era aggiunta una vera e propria tendopoli. In estate si lamentava la mancanza d’acqua potabile e d’inverno il freddo notturno ed il fango causato dalle piogge. Il vitto è scarso, costituito da una magra razione giornaliera di “qualche centinaio di grammi di pane e di poca minestra, alternativamente di carota o di patate non sbucciate e di acqua pompata direttamente dal sottostante fiume Tevere”; e spesso il tutto è integrato persino dalle ghiande, così come denuncia – ma invano – la Croce Rossa in un suo rapporto al ministero dell’interno.

La disciplina nel campo – una volta caduto il fascismo – è mantenuta dai ‘badogliani’, talvolta con il terrore e ricorrendo persino a finte fucilazioni. Dunque nel segno della continuità. Il 23 agosto nella piccola stazione di Anghiari sulla (oggi soppressa) linea secondaria per Sansepolcro, i nuovi arrivati possono già percepire la terribile situazione verso la quale sono stati sospinti: centinaia i soldati ed i carabinieri in assetto di guerra, fatti affluire sul posto per l’occasione, si incaricano senza troppi complimenti di perfezionare l’operazione di internamento degli antifascisti giunti da Ventotene. Iniziano i  maltrattamenti e le perquisizioni personali. Nel campo un reticolato separa i nuovi arrivati dagli slavi.

La presenza nel campo degli anarchici (e di alcuni comunisti istriani e giuliani) – che si aggiunge a quella di un altro gruppo di antifascisti italiani e sloveni appena giunti da Ustica – il loro risoluto atteggiamento di opposizione verso i soprusi perpetrati dal personale di sorveglianza, creano in qualche caso un relativo miglioramento delle condizioni di vita, specie nella disciplina. Per gli anarchici, in massima parte reduci dalla Spagna, risulta impossibile piegarsi alle ferree regole imposte da carabinieri e secondini. Contro la turbolenza dei nuovi arrivati non si esita a ricorrere ai mezzi repressivi più decisi quali le bastonature, la legatura al palo, la camicia di forza o il ricovero al Neuropsichiatrico di Arezzo. Da parte dei prigionieri tutti rimane comunque insopportabile l’idea che, caduto il fascismo, gli antifascisti debbano ancora rimanere reclusi.

L’8 settembre i prigionieri chiedono in massa le armi per opporsi all’occupazione tedesca e per tutto il giorno seguente si organizzano comizi nei vari settori. Le altre richieste formulate riguardano: la restituzione degli effetti personali sequestrati, la consegna di una radio, l’assunzione in proprio del controllo del campo, il rifiuto di sottostare agli obblighi dell’appello.

Sorge quindi subito l’esigenza di ristabilire l’ordine turbato fra i prigionieri. Il cappellano militare – l’istriano Antonio Zett – è fra i primi a sparare colpi di pistola in aria come avvertimento per i più turbolenti. Il colonnello comandante Pistone, il comandante in seconda ten. col. Fiorenzuola, ed il vice ten. Panzacchi “fascista di Bologna”, irritati anche per i canti sovversivi intonati in coro dai reclusi, non esitano a dare ordine di sparare sugli assembramenti e di piazzare le mitragliatrici. Segue una scarica di fucileria sugli insorti che provoca diversi feriti.

Per piegare la volontà dei rivoltosi il comando del campo minaccia, ed in parte attua, il taglio della già magra razione giornaliera di rancio. Dalla prefettura di Arezzo si conviene intanto sull’opportunità, per non alimentare ulteriormente il clima di tensione, di non ostacolare l’eventuale fuga ove questa fosse tentata da parte degli internati italiani o anche di ‘consentire’ un esodo programmato e controllato.

LA FUGA E LA RESISTENZA
Inizia la fase di dismissione progressiva della struttura concentrazionaria. L’11 settembre un gruppo di una decina di italiani viene prelevato e scortato dai carabinieri fino alla questura di Arezzo. Ma qui, anche a causa della grande confusione causata dall’arrivo quasi contestuale delle truppe germaniche, non ottenendo il foglio di via ed i documenti “necessari” promessi, il gruppo si disperde ed ognuno prende la via non facile di casa. A Firenze, dove nel giorno successivo alcuni sono giunti nel frattempo in treno e fortunosamente, gli ex internati apprendono con sgomento della avvenuta liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e solo per poco evitano di essere nuovamente arrestati, questa volta dai tedeschi che stanno  occupando la stazione.

Intanto, fra le migliaia di slavi e le poche decine di internati italiani rimasti ancora a Renicci, matura l’idea di organizzare una fuga in massa. Il progetto prende immediatamente corpo nel pomeriggio del 14 settembre quando all’improvviso compaiono tre autoblinde tedesche alle porte del campo. Alla fuga degli ufficiali segue quella dei soldati e quindi, una volta creati i varchi nel recinto, di “tutta la fiumana dei cinquemila internati che si riversa in tutte le direzioni”, con grande impressione della gente che abitava nelle vicinanze. Lunghe file di prigionieri affamati e malmessi si incamminano così verso l’Appennino seguendo, almeno nelle intenzioni, la direzione Adriatico-Jugoslavia. “Sul fare della sera – annota don Giglioni nel suo diario – il campo è rimasto deserto”.

Settecento degli sloveni fuggitivi sono invece catturati nei pressi di Bologna ed avviati nei lager in Germania; altri si aggregano alle formazioni partigiane nelle Marche e in Romagna, pochissimi riusciranno a raggiungere la Slovenia. La struttura recintata di Renicci è frequentata nei giorni seguenti da saccheggiatori alla ricerca di armi, coperte e indumenti militari. L’ex campo avrà ancora un uso limitato sotto la R.S.I., in particolare per internare i genitori dei renitenti.

Al momento della grande fuga il Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista, con l’aiuto di don Nilo Conti e di Beppone Livi di Anghiari, aveva disposto l’accoglienza e la sistemazione degli ex internati rimasti in zona ed il loro reclutamento nei nuclei partigiani già in via di formazione sui rilievi montuosi intorno al capoluogo e nelle vallate aretine.

Articolo pubblicato nel gennaio del 2016.




Ricordo di Giorgio Spini nel decennale della sua scomparsa

Giovedì 14 gennaio alle ore 21.00, nella sala del Basolato del Comune di Fiesole, la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, il Comune di Fiesole, la RAI Toscana, vi invitano alla serata in ricordo di Giorgio Spini nel decennale della sua scomparsa.

Saluti di Anna Ravoni, Sindaco di Fiesole, Andrea Jengo Direttore RAI Toscana, Valdo Spini Presidente Fondazione Circolo Fratelli Rosselli

Proiezione del video Michelangelo politico a Firenze, realizzato da Giorgio Spini per Rai Tre della Toscana nel 1982

Interventi di:

prof. Paolo Naso, Sapienza, Università di Roma

prof. Sandro Rogari, Università di Firenze

prof. Marcello Verga, Università di Firenze

 




Presentazione della rivista Valdinievole Studi Storici

L’Istituto Storico Lucchese sez. Pescia-Montecaro/Valdinievole invita alla presentazione del numero 14/2015 della rivista Valdinievole Studi Storici, che si terrà il giorno 9 gennaio 2016, ore 17, presso la sala conferenze della banca di Pescia (via Alberghi, 26).

Presenterà il volume la professoressa Maria Giovanna Arcamone, dell’Università di Pisa.

Il volume raccoglie i seguenti articoli:
P. CAPPELLINI, La pieve dei SS. Michele Arcangelo e Lorenzo martire di Montevettolini; F. TANGANELLI, Due stemmi lapidei della città di Pescia; R. PINOCHI, Il fiume di Sale. Il rio Salsero e la comunità di Montecatini in alcune relazioni, perizie e progetti settecenteschi ; M. OGLIARI, Il sole a boccettine. L’arrivo dell’elettricità in Valdinievole; R. MAFFEI, La guerra partigiana a Pescia e il settore sud dell’XI zona, A. SPICCIANI, Mons. Benini vescovo di Pescia (1885-1896). Aspetti del suo episcopato nei primi anni del regno d’Italia; M.C. PAGNINI, Recensioni librarie.




BANDO “VOLONTARIATO E CULTURA” della FONDAZIONE CARIPT per enti, istituzioni, associazioni no profit del pistoiese

La Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia rende pubblico un nuovo bando rivolto a enti, istituti scolastici, fondazioni, imprese e cooperative sociali, organizzazioni ONLUS e associazioni non profit che perseguono scopi di utilità sociale operanti nel territorio della provincia di Pistoia. Tali soggetti potranno presentare una richiesta di contributo per la realizzazione di progetti e attività in ambito culturale e sociale.
Nello specifico i settori ammessi al bando sono:

Arte e beni artistici
Interventi con finalità conservativa, con preferenza per quelli urgenti, idonei a evitare danni irreparabili al patrimonio artistico;
Beni ed attività culturali
Iniziative di interesse culturale, con particolare riferimento all’organizzazione di eventi finalizzati a valorizzare la conoscenza delle tradizioni locali e le specificità dei territori di riferimento;
Volontariato, filantropia e beneficenza:
Progetti aventi lo scopo di accrescere l’autonomia e l’inclusione sociale dei soggetti più svantaggiati, di contrastare la povertà, di concorrere al superamento dell’emarginazione sociale.

I soggetti interessati a partecipare potranno farlo attraverso una procedura di richiesta online accedendo al sito web della Fondazione alla pagina www.fondazionecrpt.it/attivita/bandi-e-contributi.
Termine ultimo per presentare la domanda online: 15 febbraio 2016, ore 24
Per il successivo invio della documentazione cartacea il richiedente avrà tempo fino al 29 febbraio 2016.

Per maggiori informazioni:
Ufficio erogazioni e progetti: tel. 0573 974221 – 974287
info@fondazionecrpt.it – www.fondazionecrpt.it




Istituto “Suore Serve di Maria SS. Addolorata”

Il Card. Elia Dalla Costa istituì in Firenze un comitato, di cui facevano parte don Leto Casini, padre Cipriano Ricotti, il rabbino Natan Cassuto ed altri, con il compito di accogliere e nascondere gli ebrei per salvarli dalla persecuzione nazista e fascista. Convennero perciò in Firenze, sapendo di potervi trovare aiuto, ebrei che fuggivano anche da altre nazioni.
Un delatore presente nel comitato svelò ai nazisti questo meccanismo, portando all’arresto di molti ebrei.
Fortunatamente non fu il caso del nostro convento che ospitava, nascoste fra le educande, 12 bambine ebree provenienti dalla Polonia, dal Belgio e dalla Francia. Probabilmente solo la Madre Maddalena Cei era al corrente della loro reale identità, benché suor Lodovica abbia poi ricordato il loro arrivo e di averle dovute provvedere, su ordine della Madre, di tutto, poiché arrivarono smagrite, spaventate e senza alcun corredo.
Le cronache riportano che ci fu una irruzione dei tedeschi, ma nessun arresto.
Le bambine arrivarono nell’autunno del 1943. Finita la guerra, nel dicembre ’44 le bambine furono recuperate dai loro genitori o tutori. I documenti in nostro possesso riportano solo il caso di due sorelline, Sara e Michal Nissenbaum che in convento presero il nome di Odette e Michelina Laurent: poiché avevano perso tutta la famiglia, il tribunale dei Minori ne affidò la patria potestà al Rabbino capo di Firenze, che così autorizzato venne a prenderle al convento per trovare loro una sistemazione definitiva. Tale carteggio è rimasto nella documentazione del convento.
Pensate che la delicatezza del Cardinale si spinse a specificare che se le suore ritenevano di dover essere rimborsate delle spese sostenute, non ne facessero parola al rabbino, ma facessero piuttosto avere a lui la nota. Naturalmente le suore non stilarono nessuna nota.
Le suore si scordarono semplicemente l’intera faccenda.
Non se ne dimenticarono però alcune delle bambine ebree. In particolare le due sorelline Nissenbaum ricordavano l’anno trascorso con le suore avvolto in una luce di pace e di affetto. Sapendole sole al mondo le suore, ed in particolare suor Giuseppa e suor Lodovica, le circondarono di particolare amorevolezza. L’affetto disinteressato che avevano ricevuto, l’assenza di qualsiasi pregiudizio nei loro confronti e la totale mancanza di pressioni per la loro conversione erano rimaste impresse nella memoria delle bambine.
Con grande sorpresa delle suore, che non ricordavano affatto questo episodio, anche perché circondato all’epoca di comprensibile riserbo, si presentarono nell’estate 1995 due signore, la figlia di Sara Nissenbaum e la sorella di altre due bambine, Malvina e Gisella Renveni, venute a vedere il luogo dove avevano trovato rifugio le loro congiunte. Nell’agosto 1996 fu Paulette Dresdner a voler rivedere le suore che l’avevano accolta e salvata. Nel marzo 1997 Sara Nissenbaum iniziò le pratiche perché il nostro Istituto vedesse pubblicamente riconosciuto il bene fatto, a memoria ed edificazione delle future generazioni. A giugno dello stesso anno anche Malvina e Gisella (per le suore, in realtà si chiamano Dalia e Zehava) vennero a riabbracciare le suore, in una allegra confusione di lingue poiché l’unica testimone dei fatti in vita, suor Lodovica, non sapeva l’inglese. Infine anche Sara (Odette) e Michelina (Michal) Nissenbaum riuscirono a rivedere il “loro” convento, nel 1998, in occasione del riconoscimento ufficiale di Madre Maddalena Cei come “Giusta fra le nazioni” il 28 ottobre, nell’ambito di una solenne cerimonia a Palazzo Vecchio, nel prestigioso Salone dei Cinquecento.
Una ex alunna scrittrice Giovanna Querci Favini ha inserito nel suo libro “Le dodici notti di Natale” un racconto liberamente ispirato a questo episodio, nel quale inserisce una drammatica incursione dei nazisti, che non riescono a trovare le bambine grazie alla prudenza della Madre Generale che ha voluto con forza che le bambine ebree partecipassero totalmente alla vita del convento, comprese preghiere e riti religiosi, contro i dubbi di una giovane suor Lodovica che già sembra vivere in una logica pienamente postconciliare. In realtà nel Natale 1943 i nazisti bussarono sì al convento, ma le suore finsero di non sentire, e i tedeschi, evidentemente non così determinati, se ne andarono via. Tuttavia non dobbiamo sottovalutare i rischi che le suore, nella persona di Madre Maddalena Cei, si assunsero; e ci piace anche sottolineare che non lo fecero per una saggezza, un coraggio o uno slancio di eroismo proprio, ma semplicemente, in tutta umiltà, per un atto di obbedienza alla Chiesa, nella persona dei suoi pastori, il Cardinale Elia Dalla Costa e, sopra di lui, il Papa.

Nota storica predisposta dagli organizzatori in occasione della cerimonia di inaugurazione della targa in memoria delle suore di via Faentina, 13 gennaio 2016.




Svelamento targa in memoria Suore Serve di Maria SS. Addolorata protettrici degli ebrei nel 1944

In memoria della Madre M. Maddalena Cei e delle Suore che hanno nascosto nella loro casa dodici bambine ebree perseguitate durante la seconda guerra mondiale
la Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg e l’Istituto “Suore Serve di Maria SS. Addolorata” – Firenze hanno l’onore di invitarLa allo svelamento della targa che identifica il Convento di via Faentina, 195 come “Casa di Vita”
Mercoledì, 13 gennaio 2016, alle ore 10.30
via Faentina, 195 – Firenze




72° Anniversario della battaglia di Valibona

Domenica alle ore 10.00 inizieranno le celebrazioni istituzionali in piazza Vittorio Veneto da dove partirà la pedalata non competitiva “Eroi per la libertà” promossa dal Comitato di solidarietà con il popolo saharawi. L’arrivo a Valibona è previsto alle ore 12.00 quando sarà deposta la corona al cippo.

Alle 10,30, il corteo istituzionale si sposterà nella piazzetta davanti alla caserma dei carabinieri dove sarà scoperta una targa in memoria del maresciallo Pirantozzi, cui la stessa piazzetta è stata intitolata. Questi, recentemente riabilitato, fu ucciso dalle milizie fasciste a Valibona, dopo la battaglia, perché si opponeva alle rappresaglie sui civili.

La giornata sarà preceduta, sabato 2 gennaio alle 17.00 alla Biblioteca CiviCa dalla presentazione del libro Una lunga Resistenza. Microstorie a Confronto: Roccastrada e Calenzano (1922-1948), di Francesco Catastini che sarà presente all’iniziativa.