L’ISRT ringrazia per i tanti generosi contributi ottenuti per il CROWDFUNDING sostenuto da Unicoop

Consegnato oggi l’assegno da 27.480 Euro all’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea che, con il contributo, potrà digitalizzare il proprio archivio, realizzare il nuovo sito e valorizzare il grande patrimonio storico e di memoria di cui è custode. La consegna dell’assegno è avvenuta stamattina, presso la sede di Unicoop Firenze, alla presenza di Daniela Mori, presidente del Consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze e di Vannino Chiti, presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea. Il crowdfunding, lanciato lo scorso 25 aprile da Unicoop Firenze, in collaborazione con la Fondazione Il Cuore si scioglie, si è chiuso il 25 giugno con un risultato di raccolta che ha superato l’iniziale obiettivo dei 20mila Euro, raggiungendo il totale di 27.480 Euro, raccolti attraverso le donazioni su Eppela e le tante iniziative promosse sul territorio: le attività di raccolta hanno visto il contributo attivo delle sezioni soci che, insieme alle associazioni del territorio, hanno organizzato oltre 20 eventi fra cene, spettacoli, visite guidate, camminate e incontri sui temi della Resistenza e della memoria storica. Tra gli eventi più partecipati, la cena del 12 giugno nella piazza del Centro San Donato, a Firenze, che ha visto la partecipazione di oltre 500 persone e grazie alla quale sono stati raccolti oltre 5mila Euro e le camminate della memoria in Valdisieve e nel Valdarno Fiorentino, che hanno totalizzato circa 3mila Euro di donazioni. Molte anche le donazioni arrivate dai presidi che, nei primi giorni di maggio, le sezioni soci hanno organizzato nei Coop.fi per promuovere l’iniziativa e invitare soci e clienti a contribuire alla raccolta.

Tra i vari eventi, nel periodo del crowdfunding l’Istituto storico della Resistenza ha aperto le porte della sua sede, in Via Carducci, a Firenze, con tre open day che hanno registrato una grande partecipazione delle sezioni soci e della cittadinanza.

Le dichiarazioni

Daniela Mori, presidente del Consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze

«Siamo davvero molto soddisfatti del risultato di raccolta, che ha ampiamente superato l’obiettivo iniziale e che permetterà all’Istituto storico della Resistenza di realizzare la digitalizzazione dell’archivio, un importante rinnovamento che è anche un modo per attualizzare la memoria di quello che siamo e delle origini della nostra democrazia. Oggi, in un tempo così diviso da conflitti di ogni tipo, dobbiamo tutti sentire la responsabilità di mantenere vivo il valore della memoria e la forza ideale della Resistenza da cui è nata la nostra Costituzione. Vogliamo ringraziare i tanti soci e clienti che, nonostante il momento difficile, hanno donato con generosità e le nostre sezioni soci che, anche in questa occasione, sono state motore di partecipazione e coinvolgimento popolare rispetto all’iniziativa. Ci auguriamo che questo contributo possa dare nuovo impulso alle attività dell’Istituto che, oggi più che mai, rappresenta un presidio rispetto ai valori di democrazia, libertà, uguaglianza, dignità e solidarietà in cui, come cooperativa, ci riconosciamo profondamente».

Vannino Chiti, presidente dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea

«In questo momento storico il ruolo dell’Istituto è di primo piano per portare avanti l’impegno culturale e scientifico per una memoria storica condivisa della Resistenza, che ancora in Italia manca, e per mettere a fuoco e approfondire le grandi questioni dell’Età contemporanea. L’iniziativa di raccolta fondi realizzata insieme a Unicoop Firenze è un sostegno importante per tenere in vita questi valori e per mantenere vivo il contatto e lo scambio con cittadini, studiosi, docenti, alunni e con la comunità tutta. Ringraziamo le sezioni soci Coop e i tanti cittadini che hanno donato, dando un contributo alla salvaguardia e alla diffusione del nostro patrimonio, perché la Resistenza sia una memoria che unisce e non divide, che aiuta a coltivare l’antifascismo come valore base che permea tutta la nostra Costituzione».

L’archivio dell’Istituto

Il crowdfunding è nato dalla necessità dell’Istituto della Resistenza di valorizzare il grande patrimonio storico e di memoria custodito nell’archivio: questo attualmente conta oltre 150 fondi prodotti da organismi politici e militari della Lotta di Liberazione, da organizzazioni e personalità dell’Antifascismo e della Resistenza. Tra i tanti, nell’Istituto sono conservati i fondi archivistici di Calamandrei, Salvemini, Paolo Barile, quelli di Elio Gabbuggiani, che è stato presidente della provincia di Firenze e poi sindaco di Firenze, del fu Presidente della Regione Toscana Gianfranco Bartolini. L’Istituto conserva inoltre una raccolta di circa 2.000 tra volantini e manifesti, tra cui quelli prodotti nel corso della lotta antifascista e della guerra di Liberazione. Nel corso degli anni il patrimonio dell’Istituto si è progressivamente ampliato per arco cronologico, soggetti e tematiche, fino ad abbracciare molteplici aspetti della storia politica, sindacale, sociale e culturale del Novecento. I fondi raccolti con il crowdfunding permetteranno all’Istituto di attualizzare la propria banca dati in cui riunire tutti gli inventari per digitalizzarli e renderli disponibili alla consultazione pubblica, così da far conoscere il patrimonio alla cittadinanza e agevolare il lavoro di studenti, ricercatori e appassionati. L’archivio digitale permetterà a chiunque di fare ricerche a distanza, individuare i documenti presenti presso l’Istituto e farne richiesta anche via mail, in formato digitale. Insieme a questo, il progetto prevede la realizzazione di un nuovo sito web che permetta un facile accesso, non solo al patrimonio dell’archivio, ma anche a quello della Biblioteca e dell’Emeroteca e che presenti al pubblico le diverse iniziative, in particolare le mostre virtuali, preziosi strumenti di conoscenza della storia.

Firenze, 28 giugno 2024

Ufficio Stampa

Unicoop Firenze

Sara Barbanera




L’archivio delle rappresentanze sindacali del Nuovo Pignone di Firenze on-line grazie al bando del Ministero della cultura, Direzione generale archivi

La FIOM di Firenze, Prato e Pistoia ha ottenuto un finanziamento da parte del Ministero della cultura, Direzione generali archivi, attraverso il bando pubblico per interventi sugli archivi dei movimenti politici e degli organismi di rappresentanza dei lavoratori (Legge 205/2017) per un’azione finalizzata alla descrizione e pubblicazione online sul portale storialavorotoscana.it dell’inventario dell’archivio delle rappresentanze sindacali aziendali dell’azienda Nuovo Pignone Baker Hughes di Firenze, conservato presso la sezione aziendale della FIOM con materiali che partono dal 1964 e arrivano fino a oggi e relativi alla Commissione interna, al Consiglio di fabbrica e alle Rappresentanze sindacali unitarie (RSU).

 

L’intervento è affidato alla Dott.sa Mariamargherita Scotti, archivista di lunga esperienza.

 

L’assistenza scientifica e strumentale verrà fornita dalla Fondazione Valore Lavoro ed è stato insediato un Comitato scientifico per garantire lo svolgimento del progetto composto da Stefano Bartolini, direttore Fondazione Valore Lavoro, Pietro Causarano, università di Firenze e Tommaso Cerusici, responsabile archivio storico FIOM nazionale.

 

Per Bartolini si tratta di «un’importante occasione, che rafforza la raccolta degli archivi del lavoro toscani sul portale della Fondazione Valore Lavoro e apre le porte a sviluppi sia sul piano della ricerca storica che delle attività di Public History da realizzare direttamente con chi oggi lavora alla Nuova Pignone».

 

Per il Segretario Generale della FIOM Toscana e Coordinatore nazionale FIOM del gruppo Nuovo Pignone Baker Hughes Daniele Calosi è «un grande riconoscimento dell’impegno dei lavoratori nella salvaguardia della propria memoria storica e della serietà con cui è stato salvaguardato l’archivio e costruito un progetto culturale per la valorizzazione della storia operaia della Pignone».

 

La documentazione (91 buste per circa 8 metri lineari) è stata già in gran parte ordinata dai lavoratori nel corso del tempo. Da un punto di vista qualitativo i materiali sono riferibili a: accordi sindacali; verbali di riunioni, incontri, trattative; assemblee sindacali; relazioni; appunti; elenchi componenti Commissione interna, Consiglio di fabbrica, RSU; permessi sindacali; tabelle sulla forza lavoro aziendale; studi e analisi; fonderia del Pignone; appalti; lavoro interinale e in somministrazione; commesse estere; accordi per le trasferte dei lavoratori; corrispondenze; volantini; documentazione sull’attività delle organizzazioni sindacali interne ed esterne all’azienda; rassegne stampa; comunicati stampa; corsi e formazione; 150 ore e diritto allo studio; salute e sicurezza; ambiente di lavoro; infortuni; morti sul lavoro; infermeria e poliambulatorio interno; protocolli sanitari e per l’emergenza Covid; Sanità e welfare integrativi; convenzioni con la banca interna e con la Cassa di risparmio di Firenze; fondi pensionistici; documentazione sulla privatizzazione dell’azienda; attività per il 25 aprile in fabbrica; cerimonia alla lapide interna alla fabbrica in ricordo dei 4 lavoratori deportati in Germania a seguito dello sciopero del 1944; attività politica sui temi della pace, internazionali, terrorismo e antifascismo; attività delle sezioni dei partiti interne all’azienda; attività sociali nel territorio (casa, senza tetto, case di riposo ecc…); attività solidali (volontari in Irpinia ecc…); censimento dello stato dell’archivio nel 1983; mostra sulla storia della Pignone nel 1983.




Giovanni Martelli: storia di un antifascista livornese

Il 21 gennaio 1944, Giovanni Martelli e Otello Frangioni si erano recati alla Casa Manna, un luogo di ritrovo per gli antifascisti comunisti livornesi e situato in via Trieste, col fine di prender parte a una riunione. Il punto di ritrovo era però fissato in un altro luogo e, visto che nessuno si presentò all’appuntamento, Frangioni e Martelli si recarono alla Casa Manna. Una volta entrati, caddero in una trappola, perché ad attenderli vi era un commando unificato composto da ufficiali tedeschi, repubblichini e questori.
Il terzo arresto mette a dura prova l’animo di Martelli e lo segna nel profondo perché i rischi che poteva correre erano maggiori del passato. Viene arrestato perché le autorità fasciste identificavano in lui il «filo conduttore» col movimento di liberazione e l’esponente ideale da cui trarre informazioni sulle formazioni partigiane della Brigata Garibaldi[1]. In quei giorni viene ripetutamente interrogato dal questore Moraglia, dal capitano della polizia Porquier, dai marescialli Marchesi e Artieri[2].
Martelli continua a negare qualsiasi coinvolgimento o relazione con gli altri membri della Resistenza livornese, afferma che non sapeva niente sui manifesti della propaganda partigiana e sui volantini del movimento di liberazione. Martelli ricorda il suo terzo interrogatorio con le seguenti parole:

«[…] A domanda risposi: io, nella mia prima giovinezza mi ero interessato di politica, ma soprattutto in seguito ai due arresti ed alla condanna cui fui sottoposto, nonché per l’essermi trovato in luogo di capofamiglia, non mi era interessato più di nulla. Da allora a quel momento, aggiunsi, c’era anche l’esperienza dell’Africa Orientale e, immediatamente dopo la vita di fabbrica come operaio specializzato, alla qualcosa tenevo al di sopra di tutto. Citai la esperienza del cantiere Orlando, […] e, infine, la esperienza alla Moto Fides. Le domande che attorno a queste risposte mi furono date furono sempre pronunciate dal tenente Purchié e dall’agente repubblicano Hippert. Sia l’Altieri come il Marchesi, non solo non mi fecero mai domande ma mai si opposero alle mie risposte. E, sia chiaro, solo loro due potevano farlo! Questo comportamento mi fu di grande conforto e non mancai di riferirlo a chi, dopo di me, doveva passare sotto quel “torchio”. Ciò che soprattutto poteva incutere maggiore timore, cosa che io stesso subii, era che a quell’interrogatorio erano sempre presenti uno o due rappresentanti della “Gestapo” e, spesso, erano loro a suggerire domande […]»[3]

Alla domanda posta dalle autorità repubblichine sul perché non fosse fascista, lui risponde con fermezza dicendo che non lo era e che non lo sarebbe mai stato, perché si definiva come eticamente diverso da loro. Nel periodo della terza detenzione presso il carcere Don Bosco di Pisa conosce esponenti di spicco della Resistenza locale e ebbe degli scambi epistolari con alcuni di questi, come Fortunato Garzelli e Oberdan Chiesa[4]. Purtroppo, venne a conoscenza di una tragica notizia, ovvero che un mese prima erano stati catturati all’Ardenza tutti i frequentatori della Casa Manna, come Vasco Iacoponi, Corrado Faiani e lo stesso Oberdan Chiesa[5]. Prima condividevano le celle in comune con altri, ma con l’arresto di Frangioni e di Martelli vennero messi in celle di isolamento.
Chiesa ebbe degli scambi epistolari con Martelli e gli chiese quale fosse la sua posizione, aveva un brutto presentimento e temeva per la sua vita. Quando Martelli cercò di inviare un biglietto di risposta, venne a conoscenza che Chiesa era stato fucilato. I due si erano incontrati due mesi prima a Cevoli, perché quest’ultimo attendeva Chiesa per l’invio di materiali col fine di realizzare dei documenti falsi. La scomparsa di Chiesa ebbe «l’effetto di una doccia fredda sull’intero gruppo e richiamò alla mente di ognuno la realtà del momento» che stavano vivendo[6].
Il 12 febbraio per ordine del prefetto Fac-Duelle viene messo in isolamento e conosce di nuovo la dura vita nel carcere fascista, soffre la fame, la sete, il freddo, la solitudine, la paura di non potercela fare. L’esperienza di Modena lasciò un segno indelebile, soprattutto per le condizioni in cui viveva: predominava una sensazione di insicurezza, perché spesso venivano prelevati alcuni prigionieri da parte dei nazisti e dei repubblichini per fucilarli[7]. Alle azioni di sabotaggio della Resistenza corrispondevano spesso queste rappresaglie nelle carceri.
Quattro mesi dopo viene trasferito nel carcere Sant’Eufemia di Modena e tenta una fuga durante il bombardamento dell’11 giugno. Il giorno successivo viene chiamato per un presunto interrogatorio, ma Martelli teme di non far ritorno. Al suo ingresso nella stanza dell’interrogatorio si trova davanti due marescialli tedeschi, i quali gli chiedono di spogliarsi per effettuare una valutazione delle sua condizioni fisiche. Molti detenuti e rivali politici venivano sottoposti a queste fittizie valutazioni che servivano per “attestare” l’idoneità fisica dell’individuo. È facile intuire che qualora una persona fosse risultata debole, malata o anziana, veniva mandata in Germania con la scusa fittizia che sarebbero stati inseriti in nuovi contesti lavorativi. In realtà venivano spediti nei campi di concentramento.
Nella medesima occasione, un capitano delle brigate nere gli promette che, in caso avesse preso parte a delle opere di volontariato, sarebbe stato scarcerato. Molti aderirono all’iniziativa perché ciò avrebbe permesso ai detenuti di uscire dal carcere e di raggiungere le altre formazioni partigiane attive nel modenese. Martelli rifiuta la proposta perché non lo convince, non si fida delle promesse dei repubblichini.
Nell’ultima settimana di luglio, i nazifascisti realizzano degli attacchi contro la Repubblica partigiana di Montefiorino, a cui i gappisti della sessantacinquesima Brigata “Walter Tabacchi” rispondono con diversi attacchi contro gli automezzi e le strutture delle forze di occupazione tedesche. Nella tarda mattinata del 30 luglio i militari del Rustungskommando di Bologna ricevono la notizia dell’ennesimo attentato nel centro storico di Modena, dove è detenuto Martelli: nel primo pomeriggio una delegazione parte dalla città felsinea e raggiunge la Ghirlandina. Convocate le autorità̀ civili e militari della RSI, i soldati del Rustungskommando invocano una rappresaglia esemplare. In un primo momento propongono di rastrellare venti persone da catturare nei caffè del centro storico e di fucilarle in Piazza Grande, ma le obiezioni di alcuni fascisti li convincono a desistere. Dopo una breve discussione, i tedeschi accettano che gli ostaggi siano prelevati dalle carceri di Sant’Eufemia, ma impongono di eseguire la missione nel più breve tempo possibile poiché vogliono tornare a Bologna per cena. Mentre i venti detenuti scelti per la strage vengono incolonnati e fatti uscire dalla prigione, suona l’allarme aereo e i modenesi affollano il rifugio di Piazza Grande. Sul selciato, il plotone d’esecuzione fa distendere le vittime sul ventre formando due file e tutti vengono uccisi con dei colpi alla nuca. Dopo il cessato allarme, la popolazione della città resta inorridita dal macabro spettacolo della piazza: i venti corpi inerti vengono lasciati sul selciato per quasi ventiquattro ore, poi un autocarro li trasporta al cimitero di San Cataldo.
La paura di non poter tornare a casa si materializza per Martelli: i prossimi che verranno condannati a morte sono proprio i detenuti antifascisti toscani. Sulla base di ciò che accadeva fuori dalle mura di Sant’Eufemia, ognuno poteva avere le ore contate. Molte persone che aveva conosciuto in quel periodo erano già morte per fucilazione o per impiccagione. La speranza di rivedere la sua amata Livorno si affievolisce, così tanto che sostiene:

«noi tutti fondavamo la nostra speranza sul fatto che i nostri verbali fossero rimasti a Livorno, per mio conto ciò voleva dire fino ad un certo punto, poiché io ero negativo, ma così non era per altri compagni, che in seguito a prove schiaccianti o accuse, o per non aver saputo resistere all’interrogatori avevano dovuto ammettere qualche cosa. Un giorno fummo di nuovo chiamati ed interrogati, insistemmo sull’atteggiamento assunto al primo interrogatorio e questa volta – ormai delusi delle volte precedenti – che non credevamo più a nessuna possibilità di uscirne, fu proprio la volta decisiva […]».[8]

Alla fine di agosto, Martelli viene scarcerato insieme ad altri compagni di Partito come Otello Frangioni ed è proprio a Otello che dedica la sua Autobiografia, proprio perché con lui ha «condiviso la vita nel partito subendo insieme rischi ed arresti»[9]. Di quel periodo così difficile, Martelli racconta:

«[…] Dopo alcuni giorni da quel triste episodio [dell’uccisione dei venti detenuti del Carcere di Sant’Eufemia] fu inviato al carcere, per interrogarci, un giudice istruttore. Uno alla volta fummo tutti interrogati e tenuto conto che quel giudice non aveva nulla in mano, in quanto i documenti istruttori erano rimasti al di là del fronte, fu relativamente facile a tutti a confermare le dichiarazioni già fatte e, chi si era troppo esposto, a rettificare la propria posizione. Capimmo di lì a pochi giorni che quel giudice era stato inviato dal Prefetto Repubblichino (credo di chiamasse De Santis), il quale era in rapporti con il Cnl.
Fu veramente la volta buona: a fine settembre – così mi sembra ricordare – fummo invitati tutti ad uscire con gli indumenti personali. Ci fu chiaramente detto che eravamo liberi. L’unico che rimase, per uscire dopo un mese circa, fu Vasco
Iacoponi. Una volta in libertà io fui incaricato dai compagni, eravamo tutti alloggiati in un grande albergo di Modena, di recarmi in una segheria nei dintorni di Modena dove conobbi il Baroni che era stato al confino con Vasco, il quale mi consegnò i documenti falsi, naturalmente repubblichini, con i quali avremmo dovuto viaggiare nei territori occupati […]»[10].

Il 5 settembre 1944, lui e Otello Frangioni tornarono a Livorno, a seguito di un lungo viaggio per l’Emilia-Romagna e dopo aver attraversato le zone di Vergato e di Marzabotto. Dovettero superare i campi minati, evitare le pattuglie e i rastrellamenti. Il rientro a Livorno non fu facile, ma Martelli riuscì a tener fede all’obiettivo: tornare a casa. Livorno era stata liberata il 19 luglio e il loro rientro venne consacrato con una festa all’interno della Federazione comunista livornese.
Il nuovo Segretario era Aramis Guelfi, che assegnò Martelli alla Federazione di Pisa col compito di dirigere le attività dell’organizzazione sindacale Federterra. Pisa resterà un luogo caro a Martelli, perché proprio lì aveva avuto origine il suo percorso di resistenza attiva al nazifascismo e lì aveva pianificato le attività dei Nuclei del Fronte Nazionale di Liberazione in Toscana. Inizialmente, crede che col suo incarico possa entrare più in contatto con l’anima di quei luoghi che conosceva bene. In realtà, già nei primi mesi del 1945 lascia la mansione perché «non [lo] entusiasmava»[11]. In compenso, viene incaricato della propaganda presso la redazione del bollettino della Federazione. Martelli nella Nota autobiografica del 1987 si lascia ad una confessione, in cui afferma:

«[…] Tutti quegli incarichi, tuttavia, rappresentavano per noi le prime esperienze di vita legale del partito per cui non mancavano, da parte di ognuno di noi, comportamenti tutt’altro che idonei alle responsabilità che ci erano state affidate […]»[12].

Effettivamente, Martelli all’epoca ha 32 anni e conosce ben poco la vita di partito, forse non l’ha nemmeno sperimentata fino in fondo. Martelli ha lavorato in ambito propagandistico e nel contesto della lotta armata al nazifascismo, ma sapeva ben poco di politica. La ridefinizione e il ripristino delle istituzioni democratiche sarà un problema che in realtà coinvolgerà tutto il Paese, la vita politica, le istituzioni pubbliche, i civili.
Dopo la liberazione, Aramis Guelfi venne trasferito alla Federazione comunista di Taranto e poi di Lecce, e Ilio Barontini successe alla guida della Federazione livornese. Martelli diventò Vicesegretario nel periodo in cui Ilio Barontini entrò a far parte prima della Consulta e poi della Costituente.
Negli anni successivi, Martelli diventerà una figura di spicco nell’ambito sindacale e svolgerà una serie di impieghi che lo porteranno lontano da Livorno per diversi anni. Diventerà segretario delle Federazioni comuniste di Treviso e di Carrara, poi svolgerà degli impieghi presso la FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) e la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro). Rientrerà nella città labronica solo negli anni Sessanta, anni in cui verrà nominato come presidente della Commissione di Controllo del PCI locale e come Presidente del Bacino del Carenaggio[13]. Martelli è morto il 22 ottobre 1992 a Livorno.

Conclusioni.

Da decenni la storiografia sta producendo numerose monografie sulle vite degli antifascisti e sulle esperienze di lotta durante la Resistenza (1943-1945), col fine di esaminare complessivamente i valori condivisi e le azioni compiute dai gruppi antifascisti. Allo stesso modo, questo elaborato ha cercato di esaminare i valori di un uomo molto attivo nella resistenza toscana e livornese. Il tema è quindi importante per ricostruire le storie e le figure di chi si è fatto testimone di libertà in un periodo segnato dalla violenza e dall’autoritarismo.

Nello sviluppo dell’elaborato, una domanda è emersa: come si potrebbe descrivere l’esperienza politica di Giovanni Martelli?

L’esperienza politica di Martelli ricorda le esperienze di tanti altri militanti attivi nel periodo della Resistenza all’occupazione nazifascista, in cui questa lotta ha rappresentato un punto di svolta e una chiave di lettura per il futuro repubblicano e democratico del Paese. Per Martelli, la verità è stata rivoluzionaria e ha sempre fatto riferimento a questo valore in qualunque sua battaglia, nelle fabbriche, nella sua città, a livello nazionale. La storia di Martelli è la storia di un uomo resiliente, che ha saputo adattare i suoi ideali davanti a qualsiasi difficoltà o situazione storica; di un militante determinato e fedele agli ideali del Partito; di un sindacalista che poneva le questioni operaie e sociali al centro di qualsiasi analisi sulla realtà circostante.

L’analisi ha evidenziato quanto sia difficile saper racchiudere le esperienze di vita e di militanza politica in poche semplici parole. Ogni storia, seppur piccola, può esser densa di sfumature ed un caso emblematico è proprio quello della vita di Martelli.

Le problematiche emerse nello sviluppo dell’elaborato possono esser riscontrate consultando le fonti utilizzate. Metter insieme di documenti così personali e all’apparenza scollegati ha significato entrare in contatto con dei materiali biografici vivi, che non hanno delle vere e proprie controparti, ovvero: non ci sono dei documenti da confrontare con quanto racconta lo stesso Martelli. Le fonti consultate sono principalmente fonti primarie, arricchite da ricerche realizzate personalmente sui destinatari dei documenti o sui contenuti.

L’augurio da fare per un futuro è che la storiografia possa approfondire maggiormente le biografie di quegli uomini e di quelle donne che hanno apportato notevoli contributi alla causa dell’antifascismo e della Resistenza, col fine di poter comprendere maggiormente quali sono stati quei valori e quelle speranze che hanno permesso la nascita della Repubblica italiana e della Costituzione.

NOTE

1 Martelli G., Autobiografia, cit., p. 10.
2 Martelli conosceva bene il capitano della polizia Luigi Porquier (alias Porchié) perché, come racconta nella Nota autobiografica, era quel ragazzo che aveva percosso nel 1928 durante i corsi premilitari. Dopo le percosse che dette a Porchié, venne mandato al commando di polizia (all’epoca in via Cairoli), dove successivamente venne sottoposto a un interrogatorio e radunato con altri in via Ippolito Nievo. Dopo i rituali di circostanza, venne invitato ad uscire ed espulso per indegnità. Per fortuna, Porchié non lo riconosce durante la terza cattura di Martelli.
3 Allo stesso modo, Martelli conosce anche il brigadiere Marchesi perché è sempre stato presente ai suoi interrogatori, ma lo definisce comunque come una brava persona. L’impressione di Martelli sul brigadiere Marchesi viene descritta anche nel testo: Tredici M., L’inchiesta, la spia, il compromesso, cit., p. 354.
4 Fortunato Garzelli (1902-1944): nasce in una famiglia proletaria e si trasferisce a Livorno perché lavora come aiuto macchinista presso le Ferrovie dello Stato. Aderisce al Partito Comunista e nel 1933 subisce i primi fermi, arresti e perquisizioni. Nel 1941 costituisce il primo Fronte nazionale antifascista ed è membro della Concentrazione antifascista, poi diventato CLN di Livorno. Muore a pochi giorni dalla liberazione di Livorno mentre guida una pattuglia partigiana nei pressi di Quercianella (una frazione di Livorno), in uno scontro a fuoco avvenuto con i tedeschi il 15 luglio del 1944.
Oberdan Chiesa (1911-1944): nasce in una famiglia liberale e aderisce al Partito Comunista. Ben presto viene schedato dall’OVRA e definito come pericoloso antifascista. Negli anni Trenta, vive per un breve in Francia e partecipa alla Guerra Civile spagnola. Al suo rientro viene nuovamente arrestato e liberato in vista dell’8 settembre. Successivamente prende parte alle formazioni partigiane nell’entroterra livornese, ma viene arrestato il 22 dicembre del 1943 e trasferito al carcere Don Bosco di Pisa. Da quell’arresto non vi farà più ritorno, viene infatti fucilato a Rosignano Solvay (LI) il 29 gennaio 1944. Per un approfondimento sul tema, vedi: Brunetti G., Oberdan Chiesa: un uomo, una vittima, un mito. Pisa: Edizioni ETS, 2022.
5 L’Ardenza è un quartiere periferico situato a sud del comune di Livorno.
6 Tredici M., L’inchiesta, la spia, il compromesso, cit., p. 355.
7 Ivi, p. 357.
8 Martelli G., Autobiografia, cit., p. 12.
9 Martelli G., Autobiografia, cit., p. 12.
10 Ibidem.
11 Id, Nota autobiografica riferita al “dopo Liberazione”, marzo 1987, p. 2.
12 Ibidem.
13 Quando viene nominato Presidente del Bacino del Carenaggio, Martelli mostra delle doti manageriali che fino ad allora non era riuscito a sperimentare, contribuendo alla costruzione della Lips (la Società addetta alla progettazione e commercializzazione di eliche e alberi di trasmissione nel campo navale) e della piattaforma Sincrolift (una piattaforma della Darsena Morosini). Lasciò la Presidenza nel 1979, perché a lui successe Nelusco Giachini.

Articolo pubblicato nel giugno 2024.




Nuovo progetto del Museo della deportazione di Prato: si cercano testimonianze sulla strage di Figline.

Per un nuovo progetto, il Museo della Deportazione e Resistenza cerca testimoni diretti o indiretti.
Testimonianze di una madre o un padre, una nonna o un nonno, che sono state tramandate alle generazioni successive.
Per dare il proprio contributo:
inviare una mail a: e.iozzelli@museodelladeportazione.it
oppure chiamare: 055 46 16 55
o tramite WhatsApp: 347 09 15 838




Lacio drom. Storia delle “classi speciali per zingari”. Presentazione del volume.

Lacio drom. Storia delle “classi speciali per zingari”. Rom e Sinti a scuola – 1965-1982
11 Luglio 2024 ore 20:00 presso i Giardini della Passerella (Via Sant’Antonio 1 – Prato)
Presentazione del libro: ‘Lacio drom. Storia delle “classi speciali per zingari”. Rom e Sinti a scuola – 1965-1982’ di Luca Bravi ed Eva Rizzin.
Alle ore 20:00 aperitivo a cura di AUT Bar
Ore 21:00 saluti a cura di Edoardo Carli, Enrico Iozzelli, Stefano Oliviero.
Vera Gheno, Christian Raimo Raimo, Saverio Tommasi dialogano con gli autori, insieme a Yvone Lemman, Razja Rufat, Emanuele Piave, Noell Maggini, Ernesto Grandini, Senada Ramovski.
Coordina Maria Logli.




Prolungato a Grosseto l’allestimento della mostra “Perché tu fossi libero”

Visto l’interesse suscitato e l’alto numero di visitatori, la mostra “Perché tu fossi libero. Antifascismo, guerra e Resistenze in Maremma” 𝒓𝒊𝒎𝒂𝒓𝒓𝒂̀ 𝒆𝒔𝒑𝒐𝒔𝒕𝒂 𝒇𝒊𝒏𝒐 𝒂𝒍 5 𝒍𝒖𝒈𝒍𝒊𝒐 𝒑𝒓𝒆𝒔𝒔𝒐 𝒊𝒍 𝑷𝒂𝒍𝒂𝒛𝒛𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑷𝒓𝒐𝒗𝒊𝒏𝒄𝒊𝒂 𝒅𝒊 𝑮𝒓𝒐𝒔𝒔𝒆𝒕𝒐 (𝒐𝒓𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒊 𝒂𝒑𝒆𝒓𝒕𝒖𝒓𝒂: 𝒅𝒂 𝒍𝒖𝒏𝒆𝒅𝒊̀ 𝒂 𝒗𝒆𝒏𝒆𝒓𝒅𝒊̀ 𝒐𝒓𝒆 9.30-12.30; 𝒎𝒂𝒓𝒕𝒆𝒅𝒊̀ 𝒆 𝒈𝒊𝒐𝒗𝒆𝒅𝒊̀ 𝒐𝒓𝒆 15.30- 17.30).




24 giugno: Follonica celebra l’Ottantesimo anniversario della Liberazione

ɪʟ 24 ɢɪᴜɢɴᴏ ꜰᴏʟʟᴏɴɪᴄᴀ ᴄᴇʟᴇʙʀᴀ ʟ’ᴏᴛᴛᴀɴᴛᴇꜱɪᴍᴏ ᴀɴɴɪᴠᴇʀꜱᴀʀɪᴏ ᴅᴇʟʟᴀ ʟɪʙᴇʀᴀᴢɪᴏɴᴇ ᴅᴀʟ ʀᴇɢɪᴍᴇ ɴᴀᴢɪꜰᴀꜱᴄɪꜱᴛᴀ ᴄᴏɴ ᴜɴᴀ ɢɪᴏʀɴᴀᴛᴀ ᴏʀɢᴀɴɪᴢᴢᴀᴛᴀ ᴅᴀʟʟᴀ ꜱᴇᴢɪᴏɴᴇ ᴀɴᴘɪ ꜰᴏʟʟᴏɴɪᴄᴀ, ᴄᴏɴ ɪʟ ᴘᴀᴛʀᴏᴄɪɴɪᴏ ᴅᴇʟʟᴀ ᴄɪᴛᴛᴀ̀ ᴅɪ ꜰᴏʟʟᴏɴɪᴄᴀ. ᴇᴄᴄᴏ ɪʟ ᴘʀᴏɢʀᴀᴍᴍᴀ ᴅᴇʟʟᴀ ɢɪᴏʀɴᴀᴛᴀ.
Il 24 giugno Follonica celebra l’ottantesimo anniversario della liberazione dal regime nazifascista con una giornata organizzata dalla sezione Anpi Follonica, con il patrocinio della Città di Follonica e del comitato provinciale Anpi “Norma Parenti”, oltre alla la collaborazione di Isgrec (Istituto storico grossetano della resistenza e dell’età contemporanea) e il coinvolgimento di alcune scuole follonichesi e delle organizzazioni sindacali locali e provinciali.




“Attraversare il tempo con le parole” presentazione a Salviano.

Il 25 giugno alle ore 18.00 presso il Circolo ARCI P. Carli di Salviano, la Direttrice ISTORECO Catia Sonetti presenterà Il suo ultimo libro “Attraversare il tempo con le parole. Lettere di una famiglia ebraica da Livorno per Asmara 1937-1947”.
Introduce il Presidente ISTORECO Claudio Massimo Seriacopi. Ne discute con l’autrice Giovanni Brunetti.
Letture di brani del libro di Chiara Vaiani, Fondazione Teatro Goldoni.
Vi aspettiamo!