Leda Rafanelli, libertaria e musulmana, giornalista e scrittrice

Della lunga vita (Pistoia, 1880-Genova,1971) di Leda Rafanelli, dedita fin dalla prima giovinezza non solo alla militanza nel movimento anarchico, ma anche all’attività di pubblicista e scrittrice, è impossibile dare in poco spazio una sintesi sia pure estrema. Ci si limiterà, qui, a concentrare l’attenzione sul periodo della sua formazione giovanile, in cui già si incontrano realizzati esempi della sua vulcanica poliedricità.

Leda si stabilisce a Firenze nei primissimi anni del ‘900, secondo la ‘vulgata’ (trasmessa dalla maggioranza di suoi biografi e critici) dopo essere rientrata da un soggiorno in Egitto, dove si sarebbe convertita contemporaneamente all’anarchismo e alla fede musulmana. Peraltro non vi è certezza che tale soggiorno sia effettivamente avvenuto e tanto meno che ad Alessandria d’Egitto la giovane Leda abbia avuto contatti con l’ambiente anarchico de “La Baracca Rossa” fondata da Enrico Pea. Se Leda rimase sempre molto sul vago a proposito di quel viaggio, fu lo studioso Pier Carlo Masini, a lungo suo amico, ad accreditare tale narrativa (si vedano: Iréos e Djali, in Luigi Fabbri, Studi e documenti sull’anarchismo tra Otto e Novecento, Pisa, BFS edizioni, 2005 e l’introduzione a Una donna e Mussolini, Milano, Rizzoli, 1946). Lo stesso Masini riporta la descrizione fatta da Leda (nell’inedito Pensieri del 1897) del proprio incontro, che sarebbe avvenuto in questa circostanza, con Luigi Polli.

Quello che invece è certo è che Leda incontrerà (nuovamente o per la prima volta) Luigi Polli, che sposerà nel 1902, nell’ambiente della Camera del Lavoro di Firenze. In questo stesso contesto Leda incontra e stringe amicizia con gli “ultimi internazionalisti” (‘reduci’ della Prima Internazionale antiautoritaria) Giuseppe Scarlatti, Francesco Pezzi e la sua compagna Luisa Minguzzi, fondatrice della prima sezione femminile dell’Internazionale.

untitledA Firenze Leda, la cui scolarizzazione si era fermata alla seconda elementare, lavora come tipografa e pubblica il suo primo opuscolo “di propaganda”, Alle madri italiane (1901) con la Libreria editrice G. Nerbini. Qui Leda si riferisce ancora a se stessa come “socialista” e rivolge alle madri il messaggio di “noi socialisti”, propugnando l’idea seppure non del rifiuto totale della religione da parte delle madri credenti, di una religione spogliata dalle sovrastrutture ecclesiastiche.

Nel 1903 inizia la lunga e intensa collaborazione (che durerà fino al 1906) di Leda a «La Pace», il quindicinale antimilitarista di Genova diretto da Ezio Bartalini, giovane socialista dissidente. In quello stesso anno suoi versi e bozzetti in prosa che hanno per oggetto le ingiustizie della società e la persecuzione nei confronti degli anarchici, appaiono su «L’Agitazione», “periodico socialista anarchico” pubblicato a Roma. Dal 1904 in poi la sua firma è frequente su vari altri giornali: «Il Libertario» di La Spezia (dove molti degli articoli appaiono a firma del “Comitato pro-vittime politiche”, costituito nel 1904 insieme a Scarlatti e ai coniugi Pezzi), «La Voce della donna», «L’Allarme», «Il Grido della folla», «L’Aurora», «Energia»: periodico dei giovani socialisti, «La Donna socialista», «In Marcia», «La Protesta umana».

Lo stile giornalistico di Leda si distingue fin da ora per la sua versatilità: i temi che le stanno più a cuore, in particolare quelli dell’antimilitarismo e della lotta per la giustizia e la libertà, vengono affrontati non solo in articoli polemici, ma anche attraverso l’uso di versi e ‘bozzetti’.

Sempre degli anni fiorentini è l’incontro di Leda con importanti esponenti libertari: nel dicembre 1905, al convegno dei sindacalisti rivoluzionari di Bologna a cui partecipano Leda e Luigi Polli, sono presenti, tra gli altri, Luigi Fabbri, Oberdan Gigli, Armando Borghi e Pietro Gori. E del credito che Leda ormai godeva in campo libertario fa fede il fatto che proprio lei firma la prefazione allo scritto di Borghi del 1907, Il nostro e l’altrui individualismo.

È del 1906, poi, la fondazione da parte di Leda e di Luigi Polli (con la collaborazione di Scarlatti) del giornale «La Blouse», realizzato “da autentici lavoratori del braccio” per i “tipi Rafanelli-Polli”.

L’attività di collaborazione e fondazione di giornali non la porta a trascurare la scrittura di opuscoli di propaganda, come pure quella di racconti e romanzi: il 1907 è un anno di intensa produzione di pamphlet, stampati inizialmente dalla “Tipografia Ugo Polli” e poi dalla “Libreria editrice Rafanelli-Polli”. Di tale prolificità e varietà di generi dà conto il lungo elenco che si trova al fondo A l’Eva schiava di scritti precedenti “e che possono essere ordinati della stessa autrice”. Si tratta di: Un sogno d’amore; Le memorie di un prete; La caserma … scuola della nazione (dal diario di un soldato); Amando e combattendo; La bastarda del principe; Contro la scuola; Dal ‘Dio’ alla libertà; Società presente e società avvenire.

Nei pamphlet del 1907 è ormai chiaro il passaggio all’ideologia anarchica, dichiarata con orgoglio nell’enfatizzato “noi libertari”, insieme ad un accentuarsi dell’antimilitarismo e della critica della religione, con l’appello alle madri per richiamarle al loro dovere di educare i figli agli ideali di giustizia e libertà.

Il lungo e fecondo periodo fiorentino, insieme al matrimonio e sodalizio con Luigi Polli, si avviano a conclusione quando Leda incontra Giuseppe Monanni, un anarchico aretino che si era trasferito a Firenze nel 1907 e qui aveva fondato la rivista «Vir». A metà del 1908 la coppia si trasferisce a Milano dove inizia la collaborazione a «La Protesta umana» edita da Ettore Molinari e Nella Giacomelli.

A Milano inizia il successivo lunghissimo e sempre intensissimo capitolo della vita, militanza e attività di giornalista e scrittrice di Leda. E se dall’attività politica Leda si ritirerà progressivamente a partire dal 1919, quella di scrittrice prosegue invece fin quasi all’ultimo della sua lunga vita che si conclude a 91 anni, nel 1971, a Genova.

Articolo pubblicato nel marzo del 2016.




ELEONORA DUSE e le donne di cultura fiorentine.

Lunedì 21 marzo 2016 alle ore 15.30, a Firenze, presso l’Auditorium dell’Archivio di Stato (viale Giovine Italia, 6), l’Archivio di Stato di Firenze, in collaborazione con la l’Associazione Archivio per la memoria e la scrittura delle donne “Alessandra Contini Bonacossi”, presenta il volume ELEONORA DUSE e le donne di cultura fiorentine. Lettere di Gabriele d’Annunzio e di Eleonora Duse ad Angelica Pasolini dall’Onda. Corrispondenza d’Annunzio – Rajna” di Filippo Sallusto. (Pubblicato nella collana “Nuovi Saggi”, presso l’Edizioni ēffigi, 2015).

Questo volume è significativo per le ricerche sul ruolo non solo strettamente culturale ma anche storico-politico di un’ élite femminile che hanno sfilato nella storia culturale a cavallo fra due secoli, il XIX e il XX nella città di Firenze. Un’ élite intellettuale che vede accanto a nomi della nobiltà toscana quelli stranieri, soggiornanti o di passaggio. L’autore scava negli archivi del Gabinetto Vieusseux, del Vittoriale, in quello di Poggio Imperiale e in altri archivi privati per restituire al lettore il clima di quel tempo. Inoltre occupandosi della corrispondenza tra Eleonora Duse e il Vate è stato incuriosito dal nome ricorrente di Angelica Pasolini dall’Onda e dall’ambiente letterario con cui ebbero contatti la Duse e d’Annunzio nel loro lungo soggiorno fiorentino. Ha quindi recuperato la corrispondenza inedita Duse – Pasolini dall’Onda e l’ha esaminata nei suoi risvolti. Le lettere partono dal desiderio di sistemare al Collegio del Poggio Imperiale, uno dei più quotati d’Europa e relativamente vicino alla dimora di d’Annunzio, la Capponcina, la figlia naturale Renata, operazione possibile in quanto il consuocero della Pasolini era il Presidente dell’Istituto.
“Le lettere hanno molto da dire: bisogna però capire come farle parlare, e anche mettere in dialogo tra loro, al fine di ricomporre il giro dei contatti tra i corrispondenti. Cosa non facile, questa, specie quando si ha a che fare con un poeta che ha sempre gestito con cura la corrispondenza e con un’attrice che talvolta ne ha voluto la distruzione. Esperto nella ricostruzione di itinerari epistolari otto-novecenteschi, Filippo Sallusto ha portato alla luce importanti documenti che permettono di conoscere dettagli significativi sugli anni toscani di Gabriele d’Annunzio e di Eleonora Duse, considerandone le frequentazioni fiorentine.” (Maria Pia Pagani)

Filippo Sallusto – Vive a Roma dove insegna, letterato appassionato di cultura del XIX e XX secolo, e in particolare di Gabriele d’Annunzio. Ha pubblicato nel 2006 Itinerari epistolari del primo Novecento. Lettere e testi inediti dell’archivio di Alberto Cappelletti; oltre ad articoli su riviste e una collana di testi risorgimentali, parzialmente edita, nel 2009 a Napoli il lavoro: Bagliori di fine secolo a Roma e a Parigi: lettere inedite di Gabriele d’Annunzio a Gégé Primoli. Ha promosso un convegno per il 150° della nascita di d’Annunzio in Campidoglio e sta curando l’edizione di testi inediti sul nazionalismo.
Alla presentazione intervengono Kiki Franceschi e Marilena Mosco. Coordina: Rosalia Manno.

Sarà presente l’autore. Ingresso libero.




La Canaviglia alla memoria di Frida Misul

2013_02_11_09_26_38Venerdì 18 marzo, alle ore 10.30, nella sala delle Cerimonie di Palazzo Comunale, il sindaco di Livorno Filippo Nogarin consegnerà la Canaviglia alla memoria di Frida Misul. Nell’occasione il figlio consegnerà i diari della madre alla Comunità Ebraica di Livorno. Sarà presente anche il presidente della Comunità Ebraica Vittorio Mosseri e si svolgeranno intermezzi musicali a cura del Coro delle Scuole Borsi “Le voci di Frida”.

L’attribuzione del prestigioso riconoscimento alla memoria di Frida Misul è avvenuta con decisione della Giunta Comunale del 23 febbraio scorso, e, come si legge nel documento questa è la motivazione: “livornese che con la pubblicazione dei suoi racconti autobiografici sulla vita nei campi di sterminio nazisti ha concorso a far conoscere gli orrori della Shoah attraverso uno strumento che con stile semplice e diretto svolge una preziosa ed insostituibile funzione di testimonianza  a ricordo di tali atrocità e come monito per l’umanità intera.”

L’onorificenza della Canaviglia fu istituita nel 2006, in occasione del 400° anniversario dell’elevazione di Livorno a titolo di città, e da allora, periodicamente, viene consegnata a persone o enti che con opere concrete abbiano contribuito a dare lustro alla città.
La sua assegnazione alla memoria di Frida Misul è un riconoscimento del valore di una testimonianza diretta della vita nei campi di sterminio nazisti.

Si ricorda che la prima Canaviglia (2006) fu assegnata al Presidente Carlo Azeglio Ciampi; l’anno successivo fu scelta una giovane eccellenza del mondo universitario, il professore Massimo Morelli, nel 2008 l’onorificenza è stata assegnata al Prefetto di Livorno (ora prefetto di Palermo) Giancarlo Trevisone, nel 2010 al regista Paolo Virzì, lo scorso anno a Mario Cardinali per la sua attività artistica di satira dissacrante.

LA CANAVIGLIA

A fianco della “Liburnina”, massima onorificenza della Città, in occasione del 400° anniversario della fondazione (19 marzo 1606-19 marzo 2006), il Comune di Livorno ha istituito un nuovo riconoscimento: la Canaviglia. Ispirata all’antico edificio posto sul bastione lato mare della Fortezza Vecchia, la nuova onorificenza viene consegnata ogni anno  a persone, enti o associazioni locali che abbiano dato impulso e vitalità alla città con opere concrete in campo sociale, culturale, scientifico e sportivo. La Canaviglia consiste in una targa d’argento che riproduce l’immagine del bastione fortilizio o più precisamente l’antico palazzotto che Cosimo I de’ Medici fece costruire nel 1544 proprio sopra il bastione , all’ingresso del porto. Lo stesso luogo – come riporta il Piombanti nella Guida storica ed artistica della città – fu anche teatro di sperimentazioni, una sorta di “laboratorio” per confermare le conclusioni di Galileo Galilei sul moto dei proiettili.
La Canaviglia rappresenta quindi per la città un luogo importante, d’interesse storico-scientifico, ma non solo: la Canaviglia è luogo emblematico per Livorno, con il suo protendersi verso il mare, a dominare l’ingresso del porto.




Prima sede del Comando Militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale

Il 2 novembre 1943 Mario Carità, grazie ad una spia, riuscì ad entrare in contatto con il colonnello Frassineti e a sequestrare dei documenti che gli permisero di arrestare l’intero Comitato militare del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN). Riuscirono a fuggire solo Sinigaglia e Medici Tornaquinci. Durante l’operazione che avvenne in via Masaccio n° 93, dove era solito riunirsi il comando, venne arrestato anche l’avv. Giancarlo Zoli. Gli arrestati vennero condotti da Carità nel quartier generale della Banda Carità in Via Benedetto Varchi n°22.

Ai primi di giugno del 1943 venne proposto dai comunisti di sostituire il Comitato militare con il Comando militare unico poi denominato Comando Marte. Il Comando fu formato dal comandante Nello Niccoli del Partito d’Azione, da Nereo Tommasi della Democrazia Cristiana, da Achille Mazzi del Partito Liberale Italiano (PLI), Luigi Gaiani del Partito Comunista Italiano (PCI) e infine Dino del Poggetto del Partito Socialista Italiano (PSI).

Si trattava di tutti i partiti che componevano il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e se pur di ideologie diverse si trovarono uniti nella battaglia contro i tedeschi e i nazisti. Vennero divisi i compiti e gli incarichi, ogni formazione espose l’attività che svolgeva, gli impegni e gli armamenti che aveva, di cosa aveva bisogno, in denaro e in armi.

Indirizzo: via Masaccio n. 93




Casone dei ferrovieri

Il Casone dei Ferrovieri era un complesso di alloggi per i dipendenti delle Ferrovie in cui trovò forma l’organizzazione antifascista divenendo presto il nucleo delle organizzazioni clandestine partigiane della zona, il quartiere delle Cascine. L’edificio situato tra via Rinucci e via Paisiello si contrapponeva alla Manifattura Tabacchi occupata dai tedeschi e si distinse per un ottima fornitura di viveri, per un buon settore sanitario e per la formazione di una commissione dedita agli arresti di fascisti. Il settore militare era composto dalle Squadre di Azione Patriottica (SAP) ma dall’11 agosto 1944 venne rafforzato dal controllo delle brigate Lanciotto e Sinigaglia. I combattenti del Casone si trovarono al centro di diversi scontri dove persero la vita quattro membri: Enrico Rigacci caduto nel parco di Villa Demidoff, Alberto Casini, Luigi Svelto e Achille di Carlo. Presso l’ingresso del Casone si trova oggi una targa che ricorda i caduti.

Indirizzo: tra via Rinucci e via Paisiello.

 




Caserma di Rovezzano

Il 27 aprile 1944 nella caserma di Rovezzano vennero fucilati due renitenti alla leva e un disertore, il sottotenente Luigi Ferro che era fuggito qualche giorno prima dalla prigione. Dopo la fuga Ferro era stato catturato dalla Guarda Nazionale Repubblicana, la forza armata fascista, durante un rastrellamento di partigiani. Il padre Naldi, cappellano della carceri, assisté alla fucilazione.

I renitenti erano il contadino Alfredo Ballerini e il giovane ventenne Onorio Coletti Perruca, figlio di una famiglia benestante. Mentre dell’uccisione di Ballerini non si conoscono le motivazioni, Coletti risultava una persona scomoda essendo in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale. Per fuggire ai nazisti il giovane si era nascosto rifugiandosi in casa di suo padre ma fu presto scovato dalla banda di Carità. Il giornale clandestino della Democrazia Cristiana, “Il Popolo”, il 18 luglio 1944 raccontò i minuti prima della fucilazione dei tre. I genitori di Coletti chiesero aiuto a diverse conoscenze per salvare la vita del figlio. Prima si rivolsero a Mussolini poi si appellarono all’Arcivescovo ottenendo l’attribuzione della grazia. Purtroppo il generale Adami Rossi impedì l’arrivo della richiesta. Coletti fu fucilato il 28 aprile 1944.

Indirizzo: Via Aretina n° 354.




Le Chiese “degli ebrei”

Su impulso del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa e grazie all’impegno del clero, varie chiesa della città divennero rifugio per gli ebrei braccati dai nazifascisti.

Chiesa di San Gaetano

Indirizzo: Piazza degli Antinori – via de’ Tornabuoni

Il parroco della chiesa di San Gaetano, monsignor Giuseppe Capretti, durante l’occupazione nazista prestò aiuto a numerose famiglie ebree perseguitate. La chiesa di San Gaetano era anche sede della comunità religiosa tedesca, il cui parroco era Theodor Bützler, il quale svolse funzioni di interprete e mediatore con il Consolato e i comandi germanici. Il parroco Bützler tentò inoltre di salvare degli ebrei tedeschi che si erano trasferiti a Firenze ed erano entrati a far parte di circoli di emigranti antinazisti.

Chiesa San Felice in Piazza

 Indirizzo: Piazza San Felice n°5

Durante la seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca, la Chiesa di San Felice in Piazza divenne uno dei luoghi più attivi della resistenza in Oltrarno e per la protezione degli ebrei perseguitati. Il parroco di San felice in Piazza, don Bruno Panerai, aprì le porte della sua parrocchia a partire dagli inizi di settembre del 1943. Tra le numerose azioni svolte offrì ospitalità al sottocomitato di liberazione d’Oltrarno, distribuì viveri e sussidi in denaro, allestì un ospedale nei giorni dell’emergenza. Inoltre nascose per circa sei mesi, in una stanza annessa all’archivio parrocchiale, un ebreo straniero di nome Habermann e fece ospitare altri ebrei da famiglie della parrocchia facendogli visita periodicamente. L’azione di Panerai non si rivolse solo agli ebrei ma anche ai soldati reduci o evasi, agli ufficiali e renitenti alla leva, ai ricercati dalle SS (Schutzstaffel o squadre di protezione), etc. La parrocchia quindi accolse, dette rifugio e aiuto a molti ebrei e perseguitati grazie al buon animo di Don Bruno Panerai, che rappresentò una delle figure di spicco della resistenza cattolica dell’Oltrarno.

 

Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio

 Indirizzo: Piazza Ss.Gervasio e Protasio

Durante la seconda guerra mondiale e il periodo dell’occupazione tedesca, la Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio divenne uno dei principali punti di riferimento dell’antifascismo fiorentino. Il parroco, don Pio Carlo Poggi, fu impegnato in un’intensa attività assistenziale. Si impegnò per l’allestimento di un rifugio antiaereo destinato agli abitanti del rione Oltrarno e di un ambulatorio, che trasformò durante il periodo dell’emergenza in un piccolo ospedale. Don Poggi nascose armi destinate alle formazioni partigiane e dette rifugio a numerosi ex-militari, giovani renitenti alla leva, ricercati politici ed ebrei. Con lui collaboravano Edoardo Da Fano, antifascista cattolico e numerosi medici. Per l’opera prestata durante l’occupazione, a don Poggi fu conferita nel 1947 la medaglia di bronzo al valor militare.

 




Palazzo dell’Arcivescovado di Firenze

Palazzo sede dell’Arcivescovo e luogo di attenuazione dei contrasti politici tra fascisti e antifascisti. L’archidiocesi fu retta dal cardinale Elia dalla Costa che fu apprezzato per l’aiuto prestato agli ebrei. Grazie al sostegno dei propri collaboratori, monsignor Meneghello e monsignor Tirapani, e di tutto il clero fiorentino, Dalla Costa realizzò una vera e propria rete di protezione a difesa degli ebrei perseguitati.

Dopo l’uccisione del colonnello Gobbi e la fucilazione di cinque antifascisti il presule con una notifica al clero (dicembre 1943) condanna la violenza e raccomanda “umanità e rispetto” suscitando perplessità. Inoltre la curia divenne luogo di collegamento fra notabili e diplomatici fiorentini impegnati nella attribuzione a Firenze città dello status di città aperta nell’estate del 1944. Nonostante questi tentativi la città di Firenze non fu risparmiata dalla guerra e dai suoi disastri.

Nel 1945 fu concessa la cittadinanza onoraria al cardinale Della Costa, riconoscimento per l’azione tendente a salvaguardare Firenze dalle offensive della guerra.