“In memoria di Giovanni: l’impronta di Giovanni Barbi nella vita culturale pistoiese”

Martedì 4 ottobre alle 17 nella biblioteca Forteguerriana si svolgerà l’ incontro “In memoria di Giovanni: l’impronta di Giovanni Barbi nella vita culturale pistoiese” per ricordare Giovanni Barbi a venti anni dalla scomparsa.

A parlare di Barbi bibliotecario della Forteguerriana sarà Alessandro Aiardi, che ha lavorato a lungo in questa biblioteca, prima di diventare direttore della biblioteca civica di Ancona e che gli è stato collega per diversi anni. Barbi però è stato tante altre cose nella sua vita: animatore culturale, giornalista, scrittore, disegnatore ed esperto di fumetti, collezionista di cose stampate, fotografo.

Per parlare di questi suoi diversi volti interverranno altri amici: Andrea Fusari che, come amministratore, ebbe occasione di collaborare con lui in occasione della pubblicazione di Storie minime pistoiesi, forse il libro più noto di Barbi, e della realizzazione della mostra sulla Resistenza italiana nel fumetto, Pier Luigi Gaspa, che lavorò con lui e con l’altro amico Luciano Niccolai per quella stessa mostra, e che è esperto di fumetti, comunicazione e multimedialità.

A Gaetano Severini, dell’associazione Fotoamatori pistoiesi, spetta il compito di parlarci del Barbi fotografo, forse la parte di sé che Barbi più amava.

Nelle teche della sala Gatteschi sarà inoltre visitabile fino al 31 ottobre la mostra “La vita sognata”, che espone bellissime foto di corpi, spesso nudi, che Barbi ha indagato; l’altra parte della mostra è costituita da alcuni pannelli con fumetti d’epoca provenienti dalla mostra “La Resistenza nel fumetto”, che si è tenuta presso le sale Affrescate del palazzo comunale




L’Arno dà di fori… la storia continua

Lunedì 10 ottobre alle ore 17.00 nella sala del Gonfalone di Palazzo Panciatichi, presentazione del volume di Luca Giannelli, L’Arno dà di fori… la storia continua.

Saluti del Presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani

Intervengono:

Fabrizio Borghini, giornalista

Alessandro Fiesoli, giornalista

Raffaello Paloscia, giornalista




Pasquale Villari

Giovedì 6 ottobre alle ore 17.30, nella sala del Gonfalone di Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio regionale, presentazione del volume di Salvatore La Lota Di Blasi, Pasquale Villari.

Saluti di Eugenio Giani Presidente del Consiglio regionale.

Intervengono:

Maurizio Mancianti, Coordinatore del Comitato premio internazionale Le Muse

Pierandrea Vanni, giornalista “La Nazione”

Cosimo Ceccuti, Presidente Fondazione Spadolini Nuova Antologia

Francesco Salvestrini, storico Università di Firenze

sarà presente l’autore.

 




La seconda guerra mondiale a Lamporecchio

Nessun paese toscano rimase intatto dall’orda nazifascista scatenata in Italia dopo la pubblicazione dell’Armistizio, l’8 settembre 1943. L’esercito tedesco occupò gran parte della penisola e vi stabilì le basi per imporre la propria volontà; la piana pistoiese fu coinvolta nel conflitto per circa un anno, fino ai primi giorni del settembre 1944, quando i partigiani occuparono i paesi abbandonati dai tedeschi prima dell’arrivo delle forze angloamericane.
In quei giorni, nel caos generale, furono molti i soldati alleati che scapparono e trovarono rifugio presso famiglie italiane, aiutati dai cosiddetti “helpers” che dettero loro protezione assicurando vitto e vestiti, alloggio in casa o nei fienili. Nel pistoiese le zone interessate da questi eventi furono principalmente quelle pedemontane; tuttavia a Porciano quattro ex-prigionieri inglesi furono catturati il 22 ottobre 1944, dopo che avevano ricevuto aiuto a Cantagrillo.
Il ruolo di commissario prefettizio, responsabile della gestione dell’intero comune, fu ricoperto da Afrisio Vannacci fino al 2 novembre 1943, quando venne sostituito dal geometra Bindo Martelli, coadiuvato dal sub-commissario Cesare Benelli.
Uno dei fatti più gravi verificatosi nella cittadina fu l’arresto di quattro uomini di origine ebraica portato a termine da fascisti italiani: Enrico Menasci, Ildebrando Trevi, Aldo Moscati, Giorgio Moscati. I primi due vennero detenuti a Firenze, internati nel campo di Fossoli in Emilia Romagna e deportati nel campo di sterminio di Auschwitz dove morirono il giorno dell’arrivo, il 26 febbraio 1944.
I fratelli Aldo e Giorgio Moscati, sfollati in paese con la famiglia, furono condotti nel carcere di Pistoia. In seguito vennero trasferiti alle “Murate” di Firenze e internati a Fossoli. Il 22 febbraio 1944 furono deportati ad Auschwitz. Arrivati in Polonia, i due furono separati con la forza al momento delle selezioni: fu quella l’ultima volta che si videro. Giorgio perse la vita appena arrivato, probabilmente nelle camere a gas appena arrivato. Aldo invece lavorò per circa un anno nel comando trasporti e cavi, poi fu assunto come aiuto-infermiere nell’ospedale. Durante gli incontri serali, a lavoro finito, Fu là che nacque l’amicizia, mantenuta anche nel dopoguerra, con alcuni italiani deportati e con Primo Levi, durante gli incontri serali a lavoro finito. Aldo Moscati negli anni ’70 raccontò:

Un rancore contro chi a suo tempo mi aveva denunciato, non ce l’ho. All’inizio ho avuto anch’io sentimenti di vendetta, ma li ho subito respinti: la vendetta non ha senso. D’altronde con chi avrei potuto prendermela, col marescialletto che mi ha arrestato?

Con l’arrivo dell’estate 1944 la situazione si fece sempre più difficile a causa dell’avanzata alleata e della ritirata tedesca verso la linea gotica. In molti comuni della zona, intorno ai primi di luglio, le autorità e i dipendenti comunali fascisti lasciarono il posto di lavoro, cercando un luogo sicuro o scappando a nord insieme ai tedeschi per paura di ritorsioni in prospettiva della liberazione.
Un’esperienza unica avvenne a Lamporecchio dopo la partenza del commissario prefettizio repubblichino. Il 2 luglio 1944, in piena occupazione nazista, 42 persone in rappresentanza di tutte le categorie sociali si radunarono nella sede comunale con lo scopo “di dare al comune un’amministrazione che provveda alla continuità dei servizi”. Ogni categoria elesse i propri rappresentanti e il comune fu così gestito per due mesi, fino alla liberazione, da un Comitato di Assistenza Pubblica (foto 1) che non aveva funzioni politiche, ma operava per il reperimento dei generi alimentari e sanitari. Gli eletti furono: Corrado Ancillotti, Sergio Tarabusi e Giovanni Meozzi per gli esercenti industriali; Giulio Minghetti, Pierantonio Cosci e Guido Catolfi per i proprietari terrieri; Mario Pancani, Giuseppe Fanti e Guido Ferradini per i conduttori diretti; Eugenio Ciattini, Primo Trinci, Giulio Bettarini e Pietro Morosi per gli operai artigiani; Giuseppe Desideri, Guido Fagni e Quintilio Postorri per i coloni mezzadri.
I rappresentanti deliberarono l’elezione come presidente di Luigi Giampalma, una scelta lungimirante poiché si trattava di un uomo non compromesso col regime fascista. Nato a Campli (vicino TeramoTE), lavorava come impiegato e sottufficiale della pubblica sicurezza. Nel post-liberazione fu un esponente di rilievo della Democrazia Cristiana e rilasciò questa breve dichiarazione scritta:

Sono sempre stato antifascista e per tale ragione non ebbi fortuna nella carriera. Dovetti aderire nell’agosto 1932 ed iscrivermi nel Partito fascista per non essere mandato via dall’Amministrazione. Dopo il 15 giugno 1944, avvenuta la fuga dei dirigenti fascisti del Comune di Lamporecchio, presi la direzione della cosa pubblica del Comune, come capo del Comitato della salute pubblica e come Commissario prefettizio.

Durante la stagione estiva diversi lamporecchiani persero la vita a causa delle violenze tedesche, dello scoppio di mine, delle cannonate e delle bombe alleate. Ricordiamo il caso di Maria Assunta Pierattoni, assassinata dopo numerose peripezie nel novembre 1944 ad Arni (Stazzema) e del ventenne Foscarino Spinelli impiccato a Montecatini insieme a Bruno Baronti con l’accusa di essere partigiano.

riconoscimento-qualifica-partigiano-fredianiNell’ambito della lotta partigiana, la formazione di Lamporecchio fu la comunista “Squadra di Azione Patriottica” (S.A.P.), guidata da Giovanni Calugi. Aveva sede presso la Cisterna di Montefiori e, oltre agli scontri a fuoco, si occupò di raccolta armi, di servizio informazioni, di sabotaggi, di aiuto nei confronti di fuggiaschi e della popolazione.

Il paese fu liberato il 2 settembre 1944. Il giorno dopo, sciolto il precedente Comitato di Assistenza Pubblica, il CLN locale si riunì nell’ufficio comunale del paese e i componenti progettarono un piano di attività basato sulla collaborazione di tutti e destinato esclusivamente al bene della collettività; vennero anche salutate le truppe di liberazione dell’esercito alleato che, per mezzo di cinque rappresentanti, assistettero all’assemblea.

Il 6 settembre 1944 fu eletto sindaco Foscolo Maccioni e fu nominata la giunta comunale: Luigi Morelli, Reuccio Torrigiani, Paolo Ancillotti, Vannozzo Biondi, Raffaello Morelli e Francesco Fanti.

I problemi principali dopo la liberazione riguardavano l’approvvigionamento e l’alimentazione: furono effettuati accordi con i maggiori produttori agricoli e con gli altri comuni della zona. Furono utilizzati anche gli strumenti abbandonati dai tedeschi, come, ad esempio, due baracche in legno recuperate a Spicchio.
La giunta comunale dispose la revisione della toponomastica cittadina al fine di cancellare ogni riferimento al passato regime e con l’intenzione di ricordare le vittime della violenza nazifascista: viale Balbo divenne viale Antonio Gramsci, via Roma divenne via Giacomo Matteotti e via Rospigliosi divenne via Martiri del Padule. Nel dicembre 1944 furono fondate le Case del Popolo di Lamporecchio, Porciano-Fornello, San Baronto, Papone, Cerbaia.

Dopo anni di dittatura, finalmente gli italiani poterono esprimere la propria opinione attraverso libere elezioni.
Il 2 giugno 1946, per la votazione sull’assemblea costituente, con una partecipazione del 95,54%, il PCI ottenne la maggioranza assoluta e il comune fu inserito tra i più comunisti d’Italia, andamento confermato anche nei decenni successivi. Nel referendum vinse nettamente il fronte repubblicano con l’82,3%, la percentuale più alta di tutta la provincia.
In seguito, il 6 ottobre 1946, alle elezioni amministrative s’imposero i Socialcomunisti e il ventinovenne Gettulio Cenci, proprietario di una ferramenta, fu eletto sindaco, carica ricoperta per tre legislature.

Matteo Grasso, laureato in storia, svolge attività di ricerca archivistica, orale e bibliografica finalizzata all’approfondimento locale e nazionale di particolari momenti della storia contemporanea. Collabora sia con l’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia (ISRPt), di cui è il Direttore dal giugno del 2016, sia con l’Associazione Culturale Orizzonti di Lamporecchio che diffonde il mensile Orizzonti. Ha pubblicato alcuni saggi riguardanti il periodo della seconda guerra mondiale sui Quaderni di Farestoria, periodico quadrimestrale dell’ISRPt.

Articolo pubblicato nell’ottobre del 2016.




Reagire alla crisi, progettare il futuro.

Anni addietro ebbi modo di intervistare la professoressa Gabi Dei Ottati, collaboratrice del professor Giacomo Becattini, sul problema della nascita del distretto industriale a Prato. L’intervista apparve su Azione sindacale. Periodico della CGIL di Prato nel numero del 1° marzo 1992. Oggi che la struttura socioeconomica della città ha subìto profonde trasformazioni, ci sembra utile riproporre il testo dell’intervista ai lettori di ToscanaNovecento.

 Superata la fase della ricostruzione, il sistema produttivo pratese conobbe un periodo di intenso sviluppo e fu quindi investito, alla fine degli anni Quaranta, da una crisi molto grave che durò, all’incirca, sino al ’52. Quali ne furono le cause?

 A Prato la ricostruzione fu molto rapida: la città venne liberata nel settembre ’44 ed un anno dopo la capacità produttiva dell’industria locale era già tornata ai livelli prebellici. Successivamente, l’elevata domanda di prodotti tessili e le commesse dell’UNRRA favorirono un processo di sviluppo che, fra il ’45 ed il ’48, portò quasi al raddoppio del numero degli addetti. Il gruppo dei lanifici a ciclo completo era ancora l’asse portante del sistema, disponendo di più della metà dei macchinari esistenti nell’area ed occupando circa i 3/5 della manodopera, anche se le aziende impannatrici e terziste si erano moltiplicate nel periodo precedente alla crisi. I lanifici a ciclo integrato producevano essenzialmente per l’esportazione, mentre le ditte più piccole lavoravano soprattutto per il mercato interno. Per conseguenza, in fase di alta congiuntura, questi due modi diversi di organizzare la produzione potevano convivere senza problemi. La crisi colpì dapprima le imprese minori che, verso la fine del ’47, cominciarono a risentire del calo della domanda interna (un fenomeno in parte fisiologico, dopo una fase di forte espansione della domanda stessa, ed in parte attribuibile ai provvedimenti deflazionistici varati dal governo ed alla concorrenza delle aziende del Nord), e si estese poi alle imprese più grandi. Queste ultime collocavano tradizionalmente gran parte della loro produzione in India ed in Sudafrica. Prima della guerra, esse operavano in quei paesi in regime di oligopolio e, applicando la strategia dell’intesa, avevano stretto degli accordi per trarre il massimo vantaggio da tale situazione. Ma la nascita di un’industria tessile locale spinse l’India ed il Sudafrica ad adottare delle misure protezionistiche che ne favorissero la crescita. L’adozione di queste misure ebbe per Prato conseguenze gravissime in quanto si tradusse nella perdita dei suoi principali mercati esteri. Altri mercati (Est europeo e Cina) furono perduti per motivi politici. La crisi fu poi acutizzata dagli oneri fiscali gravanti sulle imprese, dall’esaurirsi delle commesse dell’UNRRA, dal mancato rimborso dei danni di guerra e, soprattutto, dalla svalutazione della sterlina (settembre ’49) che causò ai lanifici maggiori un danno consistente, sia in termini di riduzione dei crediti sia in termini di ordinazioni annullate.

 La risposta degli industriali alla crisi consistette nella smobilitazione delle fabbriche. Perché venne imboccata questa via?

 La crisi pose ai grandi industriali il problema della sottoutilizzazione degli impianti cui essi reagirono prendendo come modello l’impannatore e quindi affidando ad imprese terziste alcune lavorazioni che in precedenza si svolgevano all’interno dei loro stabilimenti. Senza dubbio gli imprenditori percepirono i vantaggi immediati che la smobilitazione assicurava loro (riduzione dei costi, aumento della flessibilità della produzione). Più difficile è stabilire se da parte padronale vi fosse la volontà di attuare un disegno che antivedeva gli elementi positivi di più lungo periodo insiti nella dis-integrazione dei lanifici a ciclo completo. Certo è che allora la cosa fu vista da tutti come un ripiego.

 Quella della smobilitazione era una scelta obbligata?

 Diciamo che, nelle condizioni date, la smobilitazione fu per gli industriali pratesi la scelta più logica, in quanto una parte del sistema produttivo locale era già organizzata sulla base di aziende medio-piccole e nell’area esisteva una vocazione all’imprenditorialità che era congrua ad una ulteriore polverizzazione del sistema stesso. Fu questa trasformazione che, accrescendone la flessibilità, permise poi alle industrie pratesi di rivolgersi a mercati che richiedevano prodotti di qualità migliore.

 Il sindacato avanzò delle proposte concrete per risolvere la crisi? Elaborò al riguardo una strategia realistica o si limitò a polemizzare contro i licenziamenti?

 Il sindacato fece il suo mestiere lottando contro i licenziamenti, ma non seppe elaborare delle proposte originali per uscire dalla crisi. Da questo punto di vista esso palesò senz’altro dei limiti, riconducibili ad una cultura ancora legata a vecchi schemi. Piuttosto va sottolineato che un programma per risolvere la crisi fu approvato dalle categorie economiche cittadine e dal consiglio comunale di Prato. Questo programma (alla cui elaborazione prese inizialmente parte anche la locale Unione industriale, che però ritirò poi la sua adesione) consisteva in una serie di proposte da presentare ai ministeri competenti. L’iniziativa del comune fallì, nel senso che le proposte formulate non vennero accolte dal governo, ma servì a compattare, in nome della difesa degli interessi di tutta la città, le forze sociali, politiche ed economiche in un momento particolarmente grave. L’iniziativa non fu quindi inutile: essa rappresentò, al contrario, un fatto importante per il nascente distretto industriale pratese.

 Che cosa si deve intendere per distretto industriale?

 Molto succintamente, si può definire il distretto industriale, di cui ha parlato per primo Alfred Marshall riferendosi ad alcune zone dell’Inghilterra vittoriana, come una forma di organizzazione economica che (ove ricorrano in una stessa località determinate circostanze, concernenti la tecnologia, la natura della domanda e l’ambiente socio-culturale) permette ad una molteplicità di imprese specializzate di modeste dimensioni di raggiungere un alto grado di flessibilità produttiva, realizzando economie di scala e di varietà a livello di area anziché di singola azienda.

 La smobilitazione fu un fenomeno locale o nazionale? In particolare, essa interessò gli altri centri tessili del Paese?

 In linea generale è certo che, se fenomeni analoghi si verificarono in altre parti del Paese, essi non ebbero la stessa rilevanza che assunsero a Prato. Ciò posto, si può osservare che un distretto industriale molto simile a quello pratese si formò, negli anni Cinquanta, nel Carpigiano, dove esistono numerose piccole aziende che operano nel settore della maglieria.

 Quali sono le ragioni dell’efficienza economica del modello produttivo nato dalla smobilitazione?

 Poiché tale modello è un esempio tipico di distretto industriale marshalliano (DIM), esse sono quelle che garantiscono l’efficienza economica del distretto stesso. Già abbiamo detto che esso consente di godere di economie di scala e di varietà a livello di sistema. E questo si deve alla divisione del lavoro fra tante piccole imprese complementari. A ciò si deve aggiungere un alto tasso di diffusione della professionalità (che nel DIM non è dunque patrimonio di pochi) e la realizzazione di forti economie nei costi di transazione.

 Tale modello è ancora valido oppure si deve pensare a qualcosa di diverso?

 Innanzitutto va detto che, in quanto modello di organizzazione economica, il DIM ha in sé elementi di razionalità riconosciuta che permangono al di là delle specifiche vicende di questo o di quel distretto. Se poi si guarda al caso pratese, il problema consiste nello stabilire se le condizioni che hanno consentito la formazione e la crescita del distretto industriale sussistono ancora. A me non sembra che tali condizioni siano venute meno e quindi la strada da percorrere non è quella di uno stravolgimento dell’attuale modello produttivo (verso cui continuano fra l’altro ad essere orientate le preferenze della maggioranza degli imprenditori locali), ma quella di un suo aggiustamento volto a contenere le diseconomie interne del sistema.

Articolo pubblicato nell’ottobre del 2016.




Visita guidata al patrimonio documentario della Biblioteca Labronica “Guerrazzi”

Villa Fabbricotti Livorno

Villa Fabbricotti Livorno

Domenica 2 ottobre riprendono, dopo la pausa estiva, le aperture straordinarie della Biblioteca Labronica F.D. Guerrazzi, sede di Villa Fabbricotti. La Biblioteca sarà aperta al pubblico alle ore 16 con una iniziativa curata della coop Itinera.
In questa occasione un operatore farà da guida accompagnando i visitatori in un percorso storico sulla nascita della biblioteca a Livorno, sul suo posseduto antico e moderno e sul funzionamento di oggi.

La Biblioteca Labronica inserita nel Parco di Villa Fabbricotti, ha infatti una grande storia da raccontare.
Nata ufficialmente nel 1952 come biblioteca civica, ma inaugurata nella veste attuale nel giugno del 2003 dopo un importante intervento di restauro durato cinque anni, svolge  la duplice funzione di biblioteca conservativa oltre che di pubblica lettura. I suoi preziosi fondi, consultati da storici e professori spesso operanti fuori dai confini locali, testimoniano il lungo percorso evolutivo con cui la biblioteca si è formata e documentano la storia di Livorno e la storia d’Italia tutta, attraverso opere manoscritte, pubblicazioni a stampa, cartoline dell’epoca e fotografie per un totale di circa 140,000 pezzi. Tra i piu importanti, si ricordano l’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert, il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, gli originali autografi delle Grazie di Ugo Foscolo, l’Autografoteca Bastogi, lettere e documenti manoscritti di Giacomo Leopardi, la collezione bibliografica e iconografica di Oreste Minutelli comprendente oltre 4000 stampe iconografiche che testimoniano la nascita e l’evoluzione di Livorno.
Servizio essenziale per la vita sociale e civile della nostra città e presidio di democrazia fondata sulla libertà di espressione e sul confronto di idee, da alcuni anni la Biblioteca Labronica, che in primis raccoglie, organizza e rende disponibili i prodotti della creatività e dell’ingegno, opera d’altra parte in direzione dei giovani, promuovendo eventi e mostre di target non soltanto storico, ma anche e soprattutto contemporaneo, relazionando la memoria culturale del territorio con il presente, senza il quale appare irrealizzabile il futuro della nostra città.
Un luogo aperto, gratuito, alla portata di tutti, che attende solo di essere scoperto e valorizzato.

Il ritrovo è all’interno del parco, davanti al portone centrale dell’edificio. Il percorso, gratuito, avrà una durata di un’ora e alla fine della guida sarà distribuita gratuitamente ai visitatori la tesserina con la quale prendere libri in prestito secondo i modi e le procedure che saranno spiegate nell’occasione.

Per ulteriori informazioni: Biblioteca Labronica 0586 824511 www.comune.livorno.it<http://www.comune.livorno.it/> Coop. Itinera 0586 894563




Vittorini editore

Venerdì 7 ottobre alle ore 17.30 nella Sala Ferri di Palazzo Strozzi, il Gabinetto Vieusseux invita all’incontro su Vittorini editore e le trasformazioni dell’editoria italiana dal secondo dopoguerra a oggi, con Roberto Gilodi e Domenico Scarpa. Nell’ambito delle iniziative su Elio Vittorini organizzate da Murmuris nel cinquantenario della scomparsa.

 




La guerra di Vincenzo Fibbiani 1914/1918

Domenica 2 ottobre, in occasione della XIII Giornata Nazionale degli Amici dei Musei, dedicata al tema “Guerra e Memoria 1915-18. Musica, Arte, Propaganda”, il Direttore Scientifico della GAMC, Alessandra Belluomini Pucci, e la Presidente degli Amici del Museo di Viareggio, Gaia Querci, invitano alla presentazione del volume La guerra di Vincenzo Fibbiani 1914/1918. Dalle “belle” silerchie alla trincea… solo andata di Roberta Antonelli, edito da Tra Le Righe Libri. Un libro nato a seguito del ritrovamento di un ricco epistolario fra Vincenzo Fibbiani e la sua famiglia, ritrovato dal marito dell’autrice in un vecchio comò destinato al macero. All’incontro, previsto per le ore 17.30, ad ingresso gratuito, intervengono la scrittrice e Marco Lenci, storico.

 

Sala Pieraccini

Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lorenzo Viani”

Biblioteca Comunale Guglielmo Marconi

Palazzo delle Muse

Piazza Mazzini, Viareggio (LU)

 

Info:

gamc@comune.viareggio.lu.it

0584 581118

Fb Gamc Lorenzo Viani

www.gamc.it