75° Festa della Resistenza e dell’antifascismo a Monte Giovi
Storia, memoria, cambiamento.

Identità. Tradizione. Su questi due lemmi molta parte del dibattito, tanto pubblico quanto divulgativo, ha ruotato negli ultimi anni, rivelando le molteplici angolature di questi lemmi. L’”identità italiana”, ad esempio, sulla cui più o meno validata esistenza è stato incentrata negli ultimi mesi una fitta discussione. Altri utilizzi suggeriscono una maggior attinenza con le posizioni liberal sui diritti civili: si pensi a “identità queer” o all’ “identità/carriera alias”, che alcuni istituti e università stanno introducendo per venire incontro alle esigenze psicologiche di chi affronta un percorso di transizione di genere. Similmente “tradizione”, che pur suggerisce una certa vicinanza con alcuni temi sostenuti dall’attuale maggioranza, può incontrare altri impieghi, che abbiamo visto, ad esempio, in azione nella polemica sulle sospensioni alle attività didattiche decise dall’Istituto comprensivo di Pioltello (Milano).
È con un abusato politptoto, dunque, che potremmo definire i due termini “identitari” per i nostri anni. E dalla loro analisi epistemologica e storiografica traeva le sue prime mosse Laerte Mulinacci quando, alcuni mesi fa, sistematizzava alcuni risultati del lavoro di dottorato nel contributo “La città dei mestieri. Educazione al patrimonio e comunità di pratica” (adesso in Heritage Education Tecnologie, patrimonio immateriale, paesaggio e sostenibilità, a cura di M. Muscarà et alii, Pisa, Ets, 2024). Primariamente affrontato era il concetto di identità:
Considero questo aspetto di grande attualità visto l’utilizzo disinvolto che si fa di questo termine in politica, nella società civile come anche a scuola. Al termine identità, spesso, vengono affiancati riferimenti storici o memoriali senza badare troppo alla contestualizzazione ed operando un’operazione di selezione che può risultare anche mistificatoria. A tal proposito si veda il dilagare della pseudo-storia o della deformazione del dato storico per finalità squisitamente politiche o propagandistiche e tutte le ricadute che hanno anche sul vivere e sentire quotidiano (Mulinacci 2024, p. 171).
Similmente, “tradizione”
subisce sempre più frequentemente un sovra-utilizzo se non proprio un abuso del concetto stesso, anche in questo caso nella sua accezione giustificativa: un passato che è sempre stato così (ibidem).
Laerte, che in questi giorni avrebbe compiuto 39 anni, ci è stato strappato troppo presto da un incidente stradale avvenuto nella sua Siena, il 28 Gennaio 2024. Il suo lavoro di tesi, incentrato sulle comunità di pratiche che si avvicendano nel Palio cittadino, è rimasto incompiuto.
Tuttavia, queste sue notazioni sui concetti di tradizione e identità affrontano alcuni dilemmi cruciali per il lavoro storico e storico-educativo. Innanzitutto, decostruiscono e storicizzano i due lemmi nell’ambito di un “patrimonio culturale immateriale” qualificato come inclusivo, rappresentativo e vivo: tratti evidenti nell’esperienza dell’associazione senese “Città dei mestieri” che dal 2019 offre gratuitamente corsi in calligrafia, sartoria, storia del costume e arte del marmo. Un lavoro che fluidifica le gabbie in cui abitualmente è rinchiusa la memoria, per rivelare quel che è davvero: sostanza viva, capace di attivare e sostenere un cambiamento condiviso a livello comunitario e territoriale.
In secondo luogo, perché quelle di Laerte sono riflessioni che colgono alcuni dei temi epistemologici con cui la storiografia deve sapersi confrontare, e che la qualificano rispetto alla memoria: l’analisi dei silenzi. I silenzi che, innanzitutto, si annidano nei temi e negli argomenti che per decenni e per secoli non sono stati significati dall’opinione pubblica e dalla ricerca accademica: si pensi ad esempio alle storie di vita, la cui rilevanza come fonte storica è adesso pienamente riconosciuta, ma solo dopo decenni di discussioni spesso aspre e accese. Ma vi sono anche altri silenzi, più sottili. Sono quelli che si annidano nelle parole, in ciò che celano mostrando: e torniamo qui al concetto di tradizione, al «passato che è sempre stato così» e le cui vicissitudini, invece, riposano nelle pieghe dello stesso lemma.
È un adagio ampiamente ricorrente quello con cui Benedetto Croce, nel 1909, definisce ogni storia una storia contemporanea. I nostri lavori sono quanto di più lontano Croce avrebbe immaginato per ricerca storiografica. E tuttavia, al di là dei decenni e dei paradigmi culturali, permane un nocciolo comune: quello per cui ogni vera questione storiografica è tale in quanto scandaglia il passato per affrontare le inquietudini del tempo presente, offrendo loro, se possibile, una risposta.
Laerte Mulinacci (1985-2024), dopo gli studi in Storia compiuti presso l’Università di Siena, si è iscritto al Corso di Dottorato in Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università degli studi di Firenze, partecipando ai lavori della Commissione “Comunicazione, Public Engagement e Terzo Settore” del dipartimento Forlilpsi. Ha collaborato al progetto PRIN 2017-2020 “School Memories between Social Perception and Collective Representation (Italy, 1861-2001)” realizzando numerose schede per il portale www.memoriascolastica.it , adesso raccolte anche in G. Bandini e S. Oliviero (a cura di), Memorie Educative in Video. Volume 2, Firenze, Fupress, 2022.
Chiara Martinelli è docente a contratto in Storia dell’educazione presso il dipartimento Forlilpsi dell’Università degli studi di Firenze, dove collabora con il Laboratorio di Public History of Education. Membro del consiglio direttivo dell’Istituto storico per la Resistenza di Pistoia, collabora con la segreteria editoriale di “Rivista di storia dell’educazione” ed è nel comitato editoriale di “Farestoria”. Tra le sue pubblicazioni, segnaliamo “Educare alla tecnica. Istituti tecnici e professionali alla “Giornata della Tecnica” (McGrawHill, 2023).
Articolo pubblicato nel luglio 2024.
Visita alle fortificazioni della Linea Gotica e presentazione della rivista Farestoria “Camminare la storia”
80° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DI VOLTERRA
Per coltivare la memoria
Martedì 9 luglio 2024, ore 18:00
Piazza dei Priori
Saluti istituzionali: Giacomo Santi, sindaco di Volterra
Interventi:
Danilo Cucini, ANPI Volterra
Stefano Gallo, Direttore scientifico BFS-Issoreco
Con la partecipazione della Filarmonica “Giacomo Puccini” di Pomarance
Prima della cerimonia Luigi Riondino donerà al Comune il libro dei verbali del Comitato di Liberazione Nazionale di Volterra.
La cittadinanza è invitata a partecipare
Botticelli e Piero della Francesca in guerra.
All’interno della mostra “Arte ferita, Arte salvata. Chiese e patrimonio artistico a 80 anni dal bombardamento di Prato”,
a cura dei Musei Diocesani di Prato e della Fondazione CDSE, conferenza di Alessia Cecconi
giovedì 11 luglio ore 21.00 – Museo dell’Opera del Duomo di Prato
“Botticelli e Piero della Francesca in guerra. Alcuni casi di salvataggi eccezionali durante il secondo conflitto mondiale”
Ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria, scrivendo una mail a musei.dioceani@diocesiprato.it o telefonando allo 0574.29339.
Passeggiata rievocativa per gli 80 anni della Liberazione di Cecina 1944-2024
In occasione della commemorazione dell’80° Anniversario della Liberazione del Comune di Cecina, Istoreco parteciperà, in collaborazione con la sezione Anpi “Primetta Cipolli”, il Comune di Cecina, la Rete “Seminando Futuro” e Oxfam Italia ad una passeggiata rievocativa sui luoghi dove si è consumata la tragedia di Goriano Gorini, giovane patriota torturato e ucciso dai nazifascisti durante la battaglia combattuta sul fiume Cecina.
L’eccidio di piazza Ferrucci ad Empoli

Sono 29 persone in marcia verso la morte in una mattina di luglio a Empoli.
Prima di addentrarci nella narrazioni dei fatti di piazza Ferrucci ad Empoli del 24 luglio 1944, è doveroso spiegare il contesto che portò alla fucilazione di 29 civili da parte delle forze armate tedesche. La popolazione toscana è stata vittima – dal 1943 al 1944 – di brutali eccidi perpetrati dall’esercito tedesco, aiutato delle squadre della Repubblica sociale, durante l’occupazione del territorio italiano in seguito all’armistizio. In particolare, le stragi nazifasciste nel territorio toscano si sono intensificate tra l’aprile e il settembre del 1944, in concomitanza con la ritirata tedesca dovuta all’avanzamento degli eserciti alleati. Da ricordare in questo caso vi è l’Operazione Diadem, che portò allo sfondamento del fronte di Montecassino e di tutte le successive linee di difesa approntate da Kesselring tra la Linea Gustav e la campagna romana. Inoltre il 23 maggio, anche le truppe anglo-americane, ferme sul fronte di Anzio, iniziarono la loro marcia verso la capitale. Dopo il cedimento del fronte, le due armate tedesche iniziarono una disordinata ritirata, che si fece ancor più repentina dopo la liberazione di Roma – tra il 4 e il 20 giugno – dove gli alleati si spinsero fino alla linea del lago Trasimeno, venendo di fatto a mancare una linea di fronte stabile.
Le difficoltà delle truppe tedesche derivavano dalla difficile difesa che presentava il territorio posto sopra Roma. Con l’apertura delle valli del Tevere e dell’Arno il percorrimento si faceva assai ostico. Il Tevere non offriva alcuna protezione, rendendo solo difficili le comunicazioni. Solo l’Arno – dopo Firenze – rappresentava una linea di difesa naturale accettabile per le forze tedesche, oltre ad essere l’ultima difesa prima dell’arrivo alla Linea Gotica. Fu così che l’esercito tedesco mise in atto un riassetto organizzativo totale della linea difensiva che potremmo così riassumere: fu inizialmente costruita la cosiddetta Linea Dora (Orbetello – lago di Bolsena – Narni – Rieti – L’Aquila – Pescara) e successivamente la Linea Albert (Grosseto – lago Trasimeno – Numana)[1]. La riorganizzazione tedesca riuscì inizialmente nel suo intento, rallentando l’avanzamento alleato e ritardando quindi la liberazione del territorio toscano, con conseguenze atroci per la parti civili. L’inizio di queste azioni di violenza inaudita contro le popolazioni locali va ricondotta anche all’interno di una logica di guerra psicologica viste le difficoltà dell’esercito tedesco nella gestione dei civili. Il casus belli che portò al cambiamento dell’atteggiamento nei confronti della compagine civile può esser ricondotto all’attentato di via Rasella a Roma del 23 marzo, effettuato dal gruppo di Azione Patriottica (GAP), che portò alla morte di 33 soldati tedeschi e al ferimento di 53. Un’azione così marcata contro l’esercito tedesco in una delle principali capitali europee controllate dal Reich venne percepito a Berlino come un’onta indelebile che portò ad un cambio radicale di atteggiamento di cui l’eccidio delle fosse Ardeatine rappresentò solo l’inizio.
La tragedia di Empoli va quindi inserita in questo contesto storico, all’interno di una situazione già tesa da mesi a causa degli scioperi del marzo 1944, che ad Empoli avevano riguardato la storica vetreria Taddei e che avevano portato a deportazioni di massa in tutto il territorio circostante. Da un punto di vista bellico invece, con il cambiamento ulteriore del teatro di guerra nel luglio del 1944, vi era stato lo spostamento delle truppe tedesche sulla sponda meridionale dell’Arno in attesa dell’offensiva alleata proveniente dalla Val d’Elsa. Il fronte stava rapidamente cambiando. Con la liberazione di Grosseto (metà giugno) e Siena (3 luglio), gli Alleati risalivano verso Pisa e Livorno, e il fronte si avvicinava sempre più al territorio empolese. Ad ulteriore riprova va riportato l’ordine di evacuazione del centro cittadino diramato dall’occupante tedesco per i territori di Empoli e delle località limitrofe: Tinaia, Pontorme, Cortenuova, Avane, Santa Maria, Pagnana, Marcignana, Spicchio e Sovigliana, Capraia e Limite, Montelupo, Fucecchio, San Miniato e Castelfiorentino[2].
In concomitanza con ciò, il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) empolese aveva invece invitato le formazioni partigiane sparse nel territorio a convergere sulla città, per ostacolare gli spostamenti delle truppe tedesche nei dintorni di Empoli. Durante questa mobilitazione, il 23 luglio, un gruppo di partigiani – intenti a sistemare le proprie armi all’interno di una capanna nei pressi di Pratovecchio – vennero scoperti da un’unità tedesca in perlustrazione appartenente al 29 Grenadier-Regiment. Ne nacque uno scontro a fuoco che portò alla morte di sei, forse sette, soldati tedeschi. I superstiti riuscirono a raggiungere il comando tedesco, situato presso il Terrafino, dove comunicarono l’accaduto al capitano Lutz del 2° Battaglione, il quale informò prontamente il generale Hecker, comandante della 3. Panzer-Grenadier. La rappresaglia tedesca non si fece attendere. Già nel corso della serata vi fu l’arresto di alcune persone, che vennero però rilasciate dopo poche ore, in uno scenario di un’Empoli deserta. La vera reazione tedesca arrivò il giorno seguente, quando gli uomini della 3. Panzer-Grenadier prelevarono numerosi civili per poi condurli a Pratovecchio, nella stessa capanna della sparatoria del giorno precedente. Mentre gli ostaggi aspettavano nervosamente la punizione tedesca, un pagliaio andò a fuoco, probabilmente opera di un civile per cercare di creare un diversivo, ed effettivamente qualcuno riuscì a fuggire. Nel frattempo, oltre all’arrivo di altri soldati, iniziarono ad essere piazzate le mitragliatrici. L’intento era quindi chiaro, la fucilazione degli ostaggi come piena risposta delle azioni partigiane. Proprio durante la fine delle preparazioni, la scena venne notata da un ricognitore inglese, il quale si affrettò subito ad avvertire dell’accaduto l’artiglieria inglese, la quale sparò qualche colpo in zona di avvertimento, consentendo così ad altri civili di scappare. Nonostante le numerose problematiche, l’esercito tedesco, deciso a portare a termine l’operazione, scortò gli ostaggi rimasti nel centro cittadino. Alcuni di essi riuscirono a fuggire durante il tragitto, ma ne verranno catturati di nuovi[3].
Arrivati ad Empoli, i civili furono fatti sostare sotto il portico del mercato e condotti a gruppi di tre o quattro in piazza Ferrucci dove furono fucilati tra i due alberi di platano. In questa rappresaglia, la 3. Divisione uccise ben 29 persone:
– Bagnoli Luigi (31/05/1883);
– Bargigli Mario Bruno (12/10/1921);
– Bartolini Guido (05/05/1916);
– Bitossi Arduino (10/08/1885);
– Boldrini Orlando (24/07/1880);
– Capecchi Pietro (19/07/1883);
– Cerbioni Bruno (27/02/1926);
– Cerbioni Francesco (25/10/1887);
– Cerbioni Giulio (11/10/1915);
– Chelini Gaspero (26/09/1897);
– Chelini Gino (04/03/1892);
– Ciampi Giuseppe (10/05/1891);
– Ciampi Pietro (16/08/1896);
– Ciampi Virgilio (03/05/1893);
– Cianti Giulio (16/09/1911);
– Gimignani Pasquale (19/09/1898);
– Gori Corrado (30/12/1879);
– Martini Giulio (08/06/1878);
– Martini Pietro (10/04/1885);
– Morelli Mario Gino (15/08/1888);
– Nucci Palmiro (20/03/1888);
– Padovani Gaspero (22/10/1865);
– Parri Alfredo (02/05/1910);
– Parrini Antonio (56 anni);
– Peruzzi Carlo (02/11/1881);
– Piccini Gino (13/08/1895);
– Pucci Alfredo (06/10/1892);
– Taddei Gino (11/12/1906);
– Vizzone Domenico (03/03/1904)[4].
I loro cadaveri rimarranno in piazza fino al giorno seguente. Soltanto uno di loro riuscì a salvarsi, Arturo Passerotti. Tentò la fuga prima dell’esecuzione e, nonostante fosse stato colpito alla gamba destra e alla testa, riuscì a scappare[5]. Nei giorni successivi Empoli resterà teatro di altre manifestazioni di rappresaglia tedesca, questa volta tramite minamenti e bombardamenti, fino alla sua definitiva liberazione, il 2 settembre.
Oggi quei 29 nomi sono dignitosamente ricordati nella stessa piazza F. Ferrucci ad Empoli, rinominata piazza “XXIV luglio” in loro onore.
Note
[1] C. Gentile, Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-45. 4. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, Carocci Editore, Roma, 2005, pp. 89-90.
[2] L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese. 1861-1946, Editore Riuniti, Roma, 1970, p. 487.
[3] G. Fulvetti, Ucciere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), regione Toscana, Carocci editore, Roma, 2009, pp. 157-159.
[4] Atlante delle stragi nazifasciste in Italia
https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2395
[5] Per leggere la sua testimonianza si rimanda a Empoli negli ultimi cento anni: notizie, figure, personaggi: antologia di testi letterari e di varia documentazione, a cura di A. Morelli, Empoli, Comune di Empoli, 1977, pp. 96-99.
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo pubblicato nel luglio 2024.