La Resistenza nel pistoiese

Allo spazio Incontri l’Angolo di Pistoia venerdì 13 ottobre alle 16.30, lezione di Francesco Cutolo sulla Resistenza nel pistoiese.




Centro Studi Sigfrido Bartolini

Sede e contatti

Via di Bigiano e Castel Bovani, 5
51100 Pistoia
Telefono: 0573 451311
328/8563276
E-mail:  info@sigfridobartolini.it
sigfrido.bartolini@gmail.com
Sito web: http://www.sigfridobartolini.it/
Pagina Facebook: Sigfrido Bartolini, Associazione centro studi

Orari di apertura: La casa museo è aperta tutti i giorni su prenotazione. L’Archivio è aperto il lunedì e il giovedì 10-13 e 15-18

Organi direttivi

Associazione Centro Studi Sigfrido Bartolini presieduta da Pina Bartolini
Archivista: Elena Gonnelli

untitledBreve storia e finalità

La Casa di Sigfrido Bartolini (1932-2007) rappresenta lo specchio della sua vita d’artista: di pittore, incisore, scrittore.

Dimora familiare, ma prima di tutto Casa – Laboratorio per le sue molteplici attività , i tre piani di via di Bigiano 5 a Pistoia raccontano in ogni stanza Sigfrido Bartolini, chi sia stato, quale il suo canone estetico: i Calchi in gesso (a grandezza naturale) della Venere di Milo, di Cirene, i Fregi del Partenonetestimoniano il suo debito alla classicità  antica; la raccolta di anforeprovenienti da tutte le regioni d’Italia quello alla cultura popolare.

Un mondo dove la Fiaba, quella di Pinocchio, che il maestro illustrò con 309 xilografie in bianco e nero e a colori, si mescola con il reale attraverso gli strumenti dell’artista: le sgorbie e i bulini per l’incisione su legno, il banco da lavoro, il modello del Burattino, che egli si costruì per poterlo ritrarre, gli oggetti, che egli ritrasse nel libro per ricreare l’universo favoloso e realissimo della Toscana collodiana, i torchi per la stampa calcografica e per la litografia.

La Quadreria che adorna le pareti della casa è un percorso interessante e in gran parte inedito, attraverso le opere dell’artista: dai grandi Affreschi staccati, agli Oli, ai Monotipi, alle Matrici xilografiche; ma anche di opere (sceltissime) di maestri come Sironi, De Chirico, Soffici, Viani, Maccari, Costetti ecc..Il visitatore si troverà  di fronte una esposizione permanente assolutamente originale e di grande fascino, contestualizzata nell’ambito di una dimensione estranea alla fredda disposizione museale.

La ricca Biblioteca, il Fondo di Riviste del ‘900, l’Archivio, e il Fondo epistolare di Sigfrido Bartolini stesso aprono, alla semplice curiosità  dei visitatori e all’interesse degli studiosi, lo spaccato e la documentazione di una parte della cultura del ‘900 che ebbe in Sigfrido Bartolini un testimone e un protagonista.

I visitatori, inoltre potranno ammirare le 14 Vetrate, in tessere vetrarie legate a piombo, che furono l’ultimo grande impegnativo lavoro prima della morte, nella Chiesa dell’Immacolata a circa 200 metri dalla Casa Museo.

L’Archivio

Sigfrido Bartolini è stato nel corso della vita un attento custode e conservatore della memoria storica, artistica o letteraria, pubblica e privata di personaggi la cui produzione e documentazione riguarda  soprattutto la seconda parte del ‘900.

Un Testimone del suo tempo  anche per i rapporti epistolari avuti con molti dei protagonisti culturali di quel periodo che documentano e ricostruiscono un periodo storico ancora da indagare.

L’Archivio di Sigfrido Bartolini, è stato notificato dalla Soprintendenza Archivistica della Toscana quale bene d’importanza storico culturale, comprende la corrispondenza, foto, articoli e testi riguardanti l’artista pistoiese, ma anche volumi, riviste e i suoi scritti sull’arte tra cui le monografie sulla grafica di Soffici, Sironi, Innocenti, Boldini, Rosai e altri.

Un’attenzione particolare merita il fondo Barna Occhini, con inediti di Giovanni Papini, Spadolini ecc. Questo, recentemente inventariato dalle archiviste Elena Gonnelli, Sara Landini e Pamela Giorgi è stato descritto mediante software informatico ArDes grazie al contributo della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana e sarà presto disponibile on line con la digitalizzazione di gran parte dei documenti.

Presso il Centro studi si conserva, inoltre, anche il fondo Giulio Innocenti, contenente lettere della scrittrice Gianna Manzini che di Innocenti fu fidanzata negli anni pistoiesi; e la sezione epistolare dello stesso Bartolini, perfettamente ordinato e catalogato, che costituisce un vero e proprio patrimonio di documentazione per la conoscenza e la ricostruzione del secondo Novecento italiano.

Sigfrido Bartolini era un testimone del suo tempo anche per i rapporti epistolari avuti con molti dei protagonisti culturali di quel periodo che documentano e ricostruiscono un periodo storico ancora da indagare.

Era un estensore di lettere costante nel ritmo e fedele alle amicizie. Riteneva la lettera un documento non effimero, un luogo dove il pensiero poteva essere fermato, e di lettere fu archivista provetto, soprattutto per gli altri.

Epistolografo che sdegnava il telefono, ha avuto corrispondenti di eccezione,Soffici, Prezzolini, Del Noce, Baldacci, Junger, Orsola Nemi, Italo Cremona,Orfeo Tamburi ecc. oltre a letterati e artisti contemporanei.

La Biblioteca

La ricca Biblioteca, divisa fra il piano terra e la mansarda, comprende oltre 6.000 volumi più l’enorme collezione di riviste e articoli d’arte, dai primi del Novecento fino ai giorni nostri, che fanno della Casa di Sigfrido Bartolini un tassello importante della storia dell’arte e della cultura del Novecento.

Nel 2012 la Biblioteca è stata inserita nella rete documentaria Redo comeBiblioteca di Consultazione. Le seimila unità  bibliografiche conservate nella “Casa Museo Sigfrido Bartolini” sono in fase di catalogazione e vengono messe in consultazione pubblica on line tramite il programma informatico “Clavis”.




Franco Fortini: I poeti del Novecento

16 ottobre 2017
ore 17
@ Sala Ferri, Palazzo Strozzi – Firenze

A cura del Gruppo Quinto Alto e del Centro Studi Franco Fortini:

Presentazione della riedizione dell’antologia di Franco Fortini
I poeti del Novecento, a cura di Donatello Santarone

con un saggio introduttivo di Pier Vincenzo Mengaldo; Donzelli editore

Partecipano Stefano Carrai e Donatello Santarone; coordina Vittorio Biagini.




Il “trenino dei marmi” versiliese: ascesa, gloria e caduta di un “servizio utile”

Lavorò per più di 35 anni e, oltreché una mirabile opera d’ingegneria, rappresentò per l’intera Versilia storica un formidabile strumento di sviluppo nei decenni chiave d’inizio Novecento che ne decisero la vocazione economica: fu la “Tranvia della Versilia”, ricordata ancora oggi dagli anziani della zona come “marmifera”, o semplicemente “trenino dei marmi”.
Le prime iniziative volte a promuovere la costruzione di moderne infrastrutture per mettere in collegamento le cave dell’entroterra con il litorale, naturale sbocco commerciale per il prezioso marmo bianco delle Apuane, risalgono in realtà alla seconda metà dell’Ottocento: del resto, all’epoca, non molto lontano, il bacino estrattivo di Carrara si era dotato di una rete ferroviaria propria già nel 1876, via via accresciuta e di notevole utilità per la movimentazione dei blocchi verso il porto di Marina di Carrara e la linea ferrata Genova-Pisa.
Fu soltanto nel 1903, che un comitato locale versiliese decise di dar vita ad una società di diritto britannico denominata “The Carrara Versilia Electric Railway and Power Limited”, che, presentato alla Provincia di Lucca il progetto per una ferrovia a scartamento ridotto che soddisfacesse le richieste logistiche dell’area, otto anni dopo ottenne l’autorizzazione alla posa in opera della rete, denominata “Tranvie Elettriche Versiliesi” (TEV). A causa del trasferimento delle competenze in merito dagli enti locali al governo centrale, però, i lavori di costruzione dovettero attendere ancora un poco, e presero il via soltanto nell’agosto 1913.

1919: il caratteristico scavalco di Querceta, che permetteva al “trenino dei marmi” di superare la via Aurelia e la linea ferroviaria Genova-Pisa appena più a monte. Sulla sinistra, è visibile la chiesa di Santa Maria Lauretana. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 203]

1919: il caratteristico scavalco di Querceta, che permetteva al “trenino dei marmi” di superare la via Aurelia e la linea ferroviaria Genova-Pisa, situata appena più a monte. Sulla sinistra, è visibile la chiesa di Santa Maria Lauretana. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 203]

Le prime sezioni ad essere inaugurate, il 15 gennaio 1916, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale, furono quelle comprese fra Querceta, Seravezza e Pietrasanta, per una lunghezza complessiva di quasi 11 km: pensato eminentemente per il trasporto merci, il tracciato offrì fin da subito anche un apprezzato servizio passeggeri. Di particolare rilevanza, oltre al deposito-officina per il materiale rotabile edificato presso la frazione di Ripa di Seravezza appena a monte del ponte Foggi, su cui passava la diramazione che conduceva a Pietrasanta, era la grande opera di scavalco della ferrovia tirrenica eretta a Querceta: lunga quasi 180 metri, realizzata in metallo e cemento armato, costituiva di fatto una fermata sospesa in pieno stile americano, con tanto di scale da cui era possibile scendere al paese. Sempre a Querceta, la TEV disponeva poi di uno speciale binario di collegamento con il grande piazzale della società marmifera Henraux, sfruttato per il caricamento dei blocchi sui pianali della ferrovia Genova-Pisa.

Manovre di composizione di un convoglio presso il capolinea della marmifera di piazza Garibaldi, a Forte dei Marmi. Cartolina del 1932. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 124]

Manovre di composizione di un convoglio presso il capolinea della marmifera di piazza Garibaldi, a Forte dei Marmi. Rara cartolina del 1932. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 124]

Pochi anni dopo, la rete raggiunse Forte dei Marmi, e, solo per le merci, la località di Trambiserra, presso Malbacco di Seravezza, centro di raccolta dei marmi della valle del Serra e del monte Altissimo: con l’allungamento dei binari fino alla costa, si completò così il primo collegamento ferrato fra i bacini estrattivi dell’entroterra ed il punto d’imbarco del materiale, lo storico ponte caricatore del Forte, posto a breve distanza dal capolinea TEV di piazza Garibaldi, proprio affianco al Fortino.

Di fronte alle crescenti richieste del mercato, poi, l’infrastruttura si espanse verso il cuore delle Apuane, risalendo l’angusta valle del torrente Vezza: l‘inaugurazione della tratta Seravezza-Pontestazzemese si tenne il 31 maggio 1922, e, oltre ad un pregevole risultato ingegneristico, per la natura geografica delle aree attraversate, costituì pure un notevole passo avanti sulla via della modernizzazione dell’arcaica montagna versiliese.
Perché la nuova rete potesse davvero dirsi capillare, tuttavia, mancava ancora un tassello: un collegamento con le frazioni più remote della montagna stazzemese e con i ricchi bacini marmiferi dell’area di Arni. Un’opera complessa e assai dispendiosa, in termini di uomini, mezzi e risorse finanziarie necessarie, che, dopo l’apertura di una prima tratta fra le località di Iacco e Pollaccia nel 1923, vide finalmente la luce nel 1926, quando la strada ferrata, che in questa sezione di quasi 16 km aveva tutte le caratteristiche di una vera e propria linea di montagna, con tanto di rifornitori d’acqua e binari di salvamento per eventuali convogli fuori controllo in discesa, raggiunse Tre Fiumi, vasta spianata compresa fra le vette del Freddone, del Sumbra, del Sella e dell’Altissimo. Per superare il colle del Cipollaio, fra l’altro, che separava la conca di Arni dal resto della Versilia, si rese necessaria la realizzazione dell’opera d’arte più impegnativa dell’intera ferrovia dei marmi: l’escavazione di un lungo tunnel nel ventre della montagna, che, lungo 1.135 metri, mise in comunicazione due versanti fino a quel momento completamente isolati, e, sfruttata ancora oggi dalla Strada Provinciale 13, che ripercorre esattamente l’antico tracciato della marmifera, prese il appunto nome di galleria del Cipollaio. Nel 1927, anche quest’ultima sezione della linea venne aperta ai passeggeri, mentre fu definitivamente abbandonata l’intenzione iniziale di prolungare il tracciato fino a Castelnuovo di Garfagnana.

Veduta d’insieme della rete TEV negli anni della sua massima espansione: nel complesso, l’infrastruttura si estendeva per 37 km.

Veduta d’insieme della rete TEV negli anni della sua massima espansione: nel complesso, l’infrastruttura si estendeva per ben 37 km.

A quel punto, l’avveniristica infrastruttura della TEV, nata come una visione e completata in 14 anni di lavori, raggiunse il suo aspetto finale: una rete efficiente, che quotidianamente movimentava uomini e materiali attraverso le gole ed i pendii di un territorio aspro e meraviglioso, slanciandosi attraverso borghi, strade, torrenti, valli, strettoie e crepacci, coprendo, dal mare alla montagna, un impressionante dislivello di 850 metri di altitudine, con punte di pendenza del 60‰ nei pressi del valico del Cipollaio.
Assai gradito da imprese e residenti, nel giro di pochi anni il nuovo trenino cambiò per sempre il volto della Versilia storica, conferendole l’aspetto di un territorio moderno e al passo coi tempi, connesso alle principali arterie di comunicazione del Paese. A farsi carico del grosso volume di merci e passeggeri, oltre a diverse decine di vagoni, erano sei piccole locomotive a vapore, che ogni giorno sbuffavano vistosamente i propri fumi sferragliando fra gli olivi della piana o su per le rocce delle Apuane (l’idea originaria, ricordata anche nel nome della rete, di elettrificare l’intera struttura, era stata infatti accantonata nel 1921): tre a due assi, di fabbricazione britannica, chiamate Z1, Z2 e Z3, meno potenti e pertanto riservate alle tratte più dolci, e tre a tre assi, tedesche, più capaci e quindi destinate al servizio lungo l’impegnativa “linea di Arni”. Oltre ad una sigla, quest’ultime ricevettero pure un soprannome, che riprendeva la denominazione di alcuni toponimi della montagna versiliese: Z4 Arni, Z5 Sumbra e Z6 Corchia.

Pietrasanta, 1924: coincidenza tra un convoglio a vapore della marmifera, riconoscibile sulla sinistra, ed una vettura elettrica del tram SELT per la marina, visibile sulla destra. Siamo in piazza Carducci, proprio di fronte a Porta a Pisa e alla Rocchetta Arrighina. [Enrico Botti, Saluti dalla Versilia, p. 48]

Nel corso degli anni Venti, la TEV visse il proprio momento di splendore: frequentata da un gran numero di turisti, che presso i capolinea di Forte dei Marmi e Pietrasanta potevano trovare anche le fermate del tram elettrico della SELT (Società Elettrica Litoranea Tramviaria) che portava lungo la costa fino a Viareggio, la nuova ferrovia entrò pian piano nell’immaginario collettivo ed iniziò a comparire su un gran numero di fotografie e cartoline (alcune delle quali sono visibili nel corpo del presente articolo, mentre altre sono consultabili in allegato fra i Documenti dalle fonti).

Ripa di Seravezza, anni ’10: veduta del ponte Foggi, sul quale passava la diramazione della ferrovia marmifera per Pietrasanta. Sullo sfondo, è visibile il grande deposito-officina della TEV, gravemente danneggiato dalla guerra nel 1944. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 221]

Ripa di Seravezza, anni ’10: veduta del ponte Foggi, sul quale passava la diramazione della ferrovia marmifera per Pietrasanta. Sullo sfondo, è visibile il grande deposito-officina della TEV, gravemente danneggiato dalla guerra nel 1944. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 221]

I contraccolpi della crisi del 1929, tuttavia, combinati alcuni anni dopo con gli effetti nefasti della politica estera aggressiva del fascismo sugli scambi commerciali internazionali, influirono negativamente sulle attività estrattive della Versilia, riducendo la domanda e generando un sensibile aumento della disoccupazione. Parallelamente, rimanendo elevati i costi di manutenzione, i margini di profitto della ferrovia iniziarono a diminuire.
Con gli anni Trenta, poi, il trenino dovette cominciare a fare i conti con una nuova, inattesa minaccia al proprio ruolo egemone nella movimentazione locale dei passeggeri: quella del trasporto su gomma, quella dei torpedoni della società Fratelli Lazzi, che, a fronte di un’elevata flessibilità di utilizzo e di costi d’esercizio davvero ridotti, offrivano spostamenti a prezzi concorrenziali, raggiungendo anche le più remote località della montagna apuana. Come risultato, il 20 gennaio 1936 il servizio viaggiatori della tranvia venne soppresso.
A sancire il definitivo tramonto della marmifera dal panorama versiliese, tuttavia, fu la Seconda Guerra Mondiale: le distruzioni operate dai nazisti in vista della ritirata sulla Linea Gotica, infatti, non risparmiarono neppure le strutture della TEV, infliggendo loro un colpo mortale. Nel 1944, assieme all’adiacente chiesa di Santa Maria Lauretana, il ponte di scavalco di Querceta fu minato e fatto saltare in aria, crollando sulla via Aurelia e sulla ferrovia tirrenica: contestualmente, per impedire un pratico passaggio agli Alleati, la linea d’Arni fu danneggiata in più punti e l’accesso lato mare della galleria del Cipollaio distrutto con l’esplosivo. Nel corso dei bombardamenti americani sulle posizioni tedesche, poi, andò quasi completamente in macerie anche il deposito-officina di Ripa.

Levigliani di Stazzema, 1930: una suggestiva visione del “trenino dei marmi” al lavoro sull’impervia “linea d’Arni”, completata nel 1926 ed aperta al traffico passeggeri l’anno successivo. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 249]

Levigliani di Stazzema, 1930: una suggestiva visione del “trenino dei marmi” al lavoro sull’impervia “linea d’Arni”, completata nel 1926 ed aperta al traffico passeggeri l’anno successivo. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 249]

Quando i fumi della guerra si diradarono, la Versilia giaceva in ginocchio, devastata da sette mesi di feroci battaglie combattute nel cuore delle sue contrade. Con grande sforzo, nonostante la povertà diffusa e la penuria di materiali, la ferrovia dei marmi poté essere riattivata il 2 luglio 1946, eccettuata la tratta Querceta-Forte dei Marmi, per l’impossibilità di ricostruire il costoso scavalco della Genova-Pisa. Del resto, in quel terribile 1944, era saltato in aria anche il ponte caricatore del Forte: l’epoca dei blocchi calati a valle dalle locomotive e caricati sui bastimenti dai buoi e dalla “Mancina” era ormai finita.

Querceta, 1929: il grande piazzale della società marmifera Henraux, con i colli di Strettoia ed il monte Folgorito sullo sfondo. In primo piano, il ponte di scavalco della ferrovia marmifera, che sarebbe stato fatto saltare in aria dai genieri nazisti nel 1944. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 208]

Querceta, 1929: il grande piazzale della società marmifera Henraux, con i colli di Strettoia ed il monte Folgorito sullo sfondo. In primo piano, il ponte di scavalco della ferrovia marmifera, fatto poi saltare in aria dai genieri nazisti nel 1944. [Enrico Botti (a cura di), Saluti dalla Versilia, p. 208]

Di fronte a guadagni sempre più declinanti e ad una sempre più agguerrita concorrenza del trasporto su gomma, che permetteva di raggiungere direttamente i piazzali delle cave in quota, nella prima metà del 1950 il braccio Iacco-Pontestazzemese fu chiuso. Il 30 giugno dell’anno successivo, il trenino dei marmi fece il suo ultimo viaggio e l’intera rete della TEV chiuse i battenti: senza dare troppo nell’occhio, usciva così di scena un generoso protagonista della vita quotidiana versiliese del primo Novecento, che, oltre ad aver reso possibile il grande sviluppo economico del territorio, ne aveva contribuito a radicare il senso di appartenenza comunitaria, riducendo sensibilmente le distanze fra pianura e montagna.
Ancora oggi, la memoria degli anziani locali riserva un posto speciale al vecchio “trenino dei marmi”, uno spazio affettuoso, intriso di sincera nostalgia per un mondo ormai percepito come irrimediabilmente perduto. A tal proposito, in chiusura, valga su tutte la testimonianza di Concettina Bertonelli. Classe 1935, nativa di Arni, ricorda:

Me lo ricordo sempre il trenino, il trenino che dico io: era chiamato anche la tramvìa. Partiva dal Forte, da piazza Garibaldi, e pò andava sù sù sù, Seravezza… Portava i marmi, quelle robe lì, ma anche i passeggeri: era un servizio utile. A Querceta c’era un doppio ponte, perché c’era la ferrovia e poi questo trenino. Poi andava in su, sulla via d’Arni. Fino a Tre Fiumi, però, è! Da Tre Fiumi in poi, niente: a piédi! Sicché quel poco di roba che si portava su, c’era da caricassela sulle spalle e via. Dopo, allora, son venuti i pullman.

Articolo pubblicato nell’ottobre del 2017.




Zone di guerra, geografie di sangue. Presentazione dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia

Giovedì 19 ottobre alle ore 17.30 a Villa Bottini (Lucca), presentazione di Zone di guerra, geografie di sangue.

Saluti

Alessandro Tambellini, Sindaco di Lucca
Luca Menesini, Presidente della Provincia di Lucca

Introduce: Matteo Mazzoni, Direttore dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea

Intervengono i curatori del progetto e della pubblicazione: Gianluca Fulvetti e Paolo Pezzino

Prima della presentazione, alle ore 17.15 momento di raccoglimento di fronte alla lapide della Pia Casa (via santa Chiara) luogo di prigionia nell’estate del 1944.




Il Novecento di Antonio Gramsci

Il 18 ottobre alle ore 15.30 l’Istituto Gramsci Toscano e la Società filosofica italiana promuovono l’incontro Il Novecento di Antonio Gramsci, in occasione dell’Ottantesimo anniversario della morte, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze.

L’iniziativa si terrà in via Laura 48, Sala Altana (terzo piano).

Interviene Giuseppe Vacca, Presidente della Commissione per l’edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci.

Modera Gaspare Polizzi, Presidente d’onore della SFI Firenze

Introduce Annalisa Tonarelli, Presidente IGT

Interviene Vanna Boffo, Presidente del Corso di Laurea in Scienza dell’educazione degli adulti, della formazione continua e scienze pedagogiche.




Hill 366: una storia da raccontare

Il 7 ottobre 2017, il Comune di Carrara e la Pro Loco di Fontia hanno promosso un’iniziativa per onorare la memoria di due uomini: Don Dario Fazzi e il Lieutenant-Colonel John James Phelan. L’evento, celebrato in occasione del 73° Anniversario dell’incendio di Fontia, rientra nel programma di iniziative inserite nel progetto “In cammino verso la Costituzione (1948-2018)” a cura del Gruppo di lavoro del Comune di Carrara per le celebrazioni e la promozione della memoria della Resistenza e dei principi della Costituzione.

La commemorazione a cui ha aderito Angel Matos, Direttore del Florence American Cemetery (American Battle Monuments Commission), ha visto la partecipazione del partigiano carrarese Giorgio Mori e ha avuto il riconoscimento del veterano di guerra britannico Harry Shindler (96 anni, militare sulla Linea Gotica), che ha scritto un discorso di cui è stata data lettura durante la manifestazione.

Durante la Seconda guerra mondiale, Fontia rappresentava un centro strategicamente importante per la Wehrmacht. Su ordine del Feldmaresciallo Albert Kesselring la zona rientrava nella Linea Gotica, il sistema difensivo realizzato dai tedeschi per fronteggiare l’avanzata degli Alleati. L’Organizzazione TODT costruì diverse postazioni tobruk, bunker e trincee, tuttora visibili.

03A Santa Lucia si trovava l’osservatorio tedesco da cui venivano diramati ordini per i cannoni a lunga gittata presenti sul promontorio di Punta Bianca. Proprio per questo Fontia e Santa Lucia furono teatro di aspre battaglie durante l’avanzata della Quinta Armata USA che battezzò quel luogo “Hill 366”. Tra i militari caduti per la liberazione dell’Italia nel territorio carrarese c’è stato il Lieutenant-Colonel John James Phelan, decorato della Silver Star, caduto nei combattimenti svoltisi per la conquista dell’osservatorio tedesco di Santa Lucia.

L’iniziativa ha avuto inizio con gli onori al cippo che ricorda l’incendio del paese e ha visto la partecipazione degli studenti delle scuole del territorio (Scuola Media “A. Dazzi” e ITC “D. Zaccagna”). La giornata del 7 ottobre è stata l’occasione per ricordare non solo l’incendio del borgo, ma per raccontare, attraverso una mostra, allestita nei locali della Pubblica Assistenza di Fontia, gli importanti avvenimenti e combattimenti svoltisi per la liberazione del paese durante la Seconda guerra mondiale.

E’ stata riaperta al pubblico la Cappella di Don Dario Fazzi, il coraggioso parroco di Fontia che difese la popolazione del paese durante i 20 terribili mesi dell’occupazione nazi-fascista, sulla cui lapide il Sindaco di Carrara Francesco De Pasquale ha deposto una corona.

Dopo la Messa in suffragio delle vittime della guerra, celebrata nel vicino Santuario di Santa Lucia, si sono svolti gli interventi delle autorità . Dopo il saluto del Sindaco, sono intervenuti: la senatrice Laura Bottici, il consigliere regionale Giacomo Bugliani e il segretario ANPI della sezione di Carrara Ferdinando Sanguinetti. Toccante la testimonianza della sig.ra Eda Corsini, che nel 1944 era una bambina, ha ricordato Don Dario Fazzi, che rischiò la vita pur di salvare i suoi paesani. Il Presidente della Pro Loco di Fontia Cristiano Corsini ha letto una lettera che Don Fazzi scrisse nel 1970 a Dusseldorf in occasione dell’incontro dei reduci della 148ª Divisione di fanteria tedesca. Don Fazzi dopo la guerra si impegnò² nella ricostruzione della Chiesa di Santa Lucia, distrutta dai bombardamenti, con il progetto di fare di quel colle dove si erano scontrati uomini di diverse nazionalità, un luogo dedicato alla pace. L’orazione ufficiale è stata affidata al Dott. Pierpaolo Ianni che ha ricordato l’importanza della Resistenza e ha tratteggiato il profilo di Don Fazzi e del Lieutenant-Colonel Phelan. Nel suo intervento ha inoltre descritto quanto emerge dal diario della 473rd United States Infantry, che costituisce una fonte essenziale per ricostruire quanto avvenne in quei drammatici giorni del 1945 tra Fontia e Santa Lucia. La giornata si è conclusa con il discorso di Angel Matos, Direttore del Florence American Cemetery, e lo scoprimento di una targa in marmo in memoria del Lieutenant-Colonel John James Phelan (1914-1945).

Articolo pubblicato nell’ottobre del 2017.




Presentazione in Palazzo comunale del volume “Tesori in guerra”

Il 3 novembre alle 17, nella Sala maggiore del Palazzo comunale, sarà presentato il volume “Tesori in guerra, l’arte a Pistoia tra salvezza e distruzioni” scritto a quattro mani da Matteo Grasso (direttore ISRPt) e Alessia Cecconi (direttrice Fondazione CDSE).

Sono previsti i saluti del sindaco.