“Sono il n° A5384 di Auschwitz—Birkenau”

Per il ciclo “Monsummano …Incontri culturali”, l’Assessorato alla Cultura organizza l’evento dal titolo “Sono il n° A5384 di Auschwitz—Birkenau” Liana Millu: testimonianze di vita nel lager che si terrà giovedì 22 febbraio 2018, alle ore 21.15, nella sala Walter Iozzelli dellaBiblioteca comunale “Giuseppe Giusti” di Monsummano Terme.

Si tratta di letture sceniche a cura del G.A.D. Gruppo d’Arte Drammatica Città di Pistoia tratte da “Il fumo di Birkenau” di Liana Millu e da “Care ragazze, cari ragazzi” di Mauro Matteucci. L’adattamento drammaturgico è di Chiara Cecchi e la regia di Franco Checchi. Prenderanno parte alla lettura, oltre a Chiara Cecchi, Sara Bacci, Carlotta Cappellini, Francesca Franchi, Eleonora Zara del G.A.D. GIOVANI diretto da Patrizia Maestripieri.

La serata sarà dedicata principalmente alla figura di Liana Millu, scrittrice e partigiana, sopravvissuta all’internamento nel lager, che iniziava ogni intervista e ogni incontro con le scuole con le stesse parole: si presentava non con il suo nome, ma con il suo numero tatuato sull’avambraccio sinistro.

L’adattamento scenico dedicato a Liana Millu inizia proprio con quel numero, con il nome del campo di sterminio simbolo della Shoah, Auschwitz-Birkenau, il più grande cimitero ebraico al mondo.

La presenza di poesie scritte da tre donne nel campo di Auschwitz e da una dodicenne nel campo di Terezin fanno da trait d’union alle due parti dell’adattamento scenico: la vita nel lager e le lettere ai “nuovi testimoni”, i giovani, che porteranno nel futuro gli insegnamenti e le immagini altrimenti destinate a disperdersi.




“Pietro Bastogi e l’800 italiano, fiorentino e livornese” – Presentazione del libro, Cecina (LI)

Il Circolo Culturale “G.E. Modigliani” e il Circolo Culturale “Luigi Einaudi” in collaborazione con il Circolo Culturale “Il Fitto” sabato 17 febbraio prossimo alle ore 17,30, nel 160° anniversario della presidenza di Pietro Bastogi della Camera di Commercio di Livorno, invitano la cittadinanza presso la Sala del Circolo Culturale “Il Fitto” di Cecina (Corso G. Matteotti 101/R) alla presentazione del libro:

Pietro Bastogi e l’Ottocento italiano, fiorentino e livornese (Polistampa, 2018) di Luciano Iacoponi

Presentazione a cura del dr. Massimo Sanacore, Direttore dell’Archivio di Stato di Livorno e Introduzione del dr. Mario Miccoli, Presidente del Banco di Lucca e del Tirreno




Giornata del Ricordo a Rimini – 19-20 febbraio 2018

Il 19 e il 20 febbraio l’Isgrec sarà a Rimini per un corso di formazione/aggiornamento per insegnanti e per una lezione per gli studenti sul Confine orientale

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La reazione dentro l’innovazione. Il contratto di mezzadria toscano nel 1928

Preceduto da un nuovo capitolato colonico stipulato dai sindacati fascisti già nel 1926, il contratto di mezzadria toscano del 1928 è uno spartiacque importante nella storia di questo istituto agricolo nel Novecento, rimanendo in vigore – grazie alle resistenze padronali – ben oltre la fine del Regime. Fu infatti soltanto all’epoca dell’epilogo dell’Italia rurale, nel 1964, che si intervenne per via legislativa a riformarlo.

Arrivato dopo una discussione con gli agrari, che avrebbero preferito restaurare la consuetudine dell’accordo individuale, magari non scritto, il contratto fu spinto dallo stesso Gran consiglio del fascismo, che nel 1927 stabilì che la mezzadria doveva essere regolata tramite accordi collettivi siglati con i sindacati fascisti. Nel 1928 fu quindi varato il “Contratto collettivo di lavoro per la conduzione dei fondi a mezzadria nella regione Toscana”, da subito portato a modello per tutta l’Italia come forma fascista preferita per la regolazione dell’agricoltura, con l’istituto mezzadrile, letto in chiave ideologica come “armonioso”, esaltato e promosso. Nei fatti tuttavia, arrivando dopo la grande stagione di lotte ed avanzamenti – ancorché solo sulla carta – del 1919-20, il contratto del ’28 segnava la vittoria di una feroce reazione.

Sul piano generale, il “capoccia” continuava ad impegnare l’intera famiglia, perpetrando così il modello patriarcale. La “disdetta” veniva di fatto mantenuta libera – con tanto di possibilità da parte del concedente di recidere in tronco in contratto senza preavviso – mitigata solo dall’obbligo di convalida presso al Magistratura del lavoro, che si limitava a sanzionare un’azione già avvenuta, e con la previsione di una possibile accordo tra le organizzazioni sindacali fasciste, chiamate a rappresentare tanto i padroni che i mezzadri e vanificando per questa via qualsiasi reale tutela della parte più debole. Il riparto di tutti i prodotti e i redditi delle industrie poderali restavano ripartiti a metà, secondo i canoni classici della mezzadria. La direzione amministrativa e tecnica rimaneva saldamente in mano al proprietario, con l’esclusiva facoltà di decidere in merito alla scelta delle sementi, delle coltivazioni ed alla loro direzione tecnica, così come gli indirizzi zootecnici.

Il Contratto entrava nel merito di tutte le questioni mezzadrili. Il carattere reazionario era evidente anche in queste questioni più dettagliate. Il colono doveva immettere in proprio gli attrezzi e gli utensili. Tutta la famiglia era tenuta a lavorare sul podere eseguendo in maniera intelligente e disciplinata le istruzioni del proprietario, che in caso di rifiuto aveva la facoltà di assumere dei braccianti addebitando la spesa al mezzadro. Al colono era vietato di svolgere qualsiasi lavoro per conto terzi, salvo autorizzazione del proprietario. Erano a carico del mezzadro il mantenimento delle strade poderali e la manutenzione. Il contadino doveva provvedere anche al trasporto dei prodotti alla fattoria padronale o alla stazione ferroviaria. A metà erano divise anche le spese che sarebbero dovute essere a carico del proprietario, come quelle per i citati trasporti e l’assicurazione sul bestiame. Sempre a metà restavano l’acquisto di concimi, sementi, anticrittogramici e insetticidi, anche se il colono non aveva voce in merito a quali e quanti. Laddove le necessità della produzione moderna comportavano l’uso di macchinari, come nella trebbiatura, il colono doveva pagare un canone di affitto al proprietario, o sostenere la metà delle spese, in aggiunta al proprio lavoro, per l’affitto di macchine necessarie alla lavorazione del terreno. In merito alla vendita dei prodotti, le operazioni spettavano al padrone. Nel caso il raccolto di cereali non coprisse le esigenze alimentari della famiglia, il proprietario avrebbe provveduto con una quota della sua parte, ceduta però a prezzo di mercato. Una norma, fra le numerose, rende bene l’idea del permanere di un regime di potere feudale: le castagne venivano divise a metà, ma la raccolta, la ripulitura del bosco e la potatura spettavano al colono.

Si riconoscevano piccoli miglioramenti, quali l’obbligo del proprietario a fornire una casa adeguata al podere ed in buone condizioni, anche igieniche, e provvista in qualche modo di acqua. La manutenzione straordinaria dei fabbricati, le opere di bonifica e soprattutto le nuove piantagioni erano in linea teorica a carico del proprietario, che però di norma profittava della sua posizione di potere per evadere questi obblighi. Per la manutenzione di attrezzi e utensili si riconosceva una compartecipazione del proprietario, che poteva provvedervi con una quota forfettaria. La famiglia poteva poi tenere per i suoi consumi un orto e un pollaio, le cui dotazioni massime di animali da corte dovevano essere stabilite dai patti aggiuntivi.

Questi “miglioramenti” non erano comunque una novità, anzi per la gran parte erano già stati ottenuti durante le lotte precedenti. Venivano mantenuti, in forme attenuate, perché non inficiavano la sostanza della mezzadria, Il sindacato fascista poi doveva salvare almeno un’apparente funzione di tutela. La sostanza del Contratto era però una netta riaffermazione del potere degli agrari e la cancellazione delle conquiste più avanzate delle organizzazioni cattoliche e socialiste. Non va dimenticato poi che i patti aggiuntivi provinciali, con i loro riferimenti alle consuetudini, aggiungevano ulteriori aggravi sulla famiglia mezzadrile.

In conclusione, il contratto era nettamente sbilanciato sia dal punto di vista economico che nella regolazione dei poteri delle parti verso un “assolutismo” padronale. Il suo mantenimento anche in epoca repubblicana segnò un grave vulnus nelle campagne ai diritti nati con la Costituzione, e fu tra i motivi che impedirono una trasformazione democratica degli assetti proprietari dell’agricoltura italiana negli anni della Ricostruzione.

Stefano Bartolini è ricercatore presso l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia, coordina le attività di ricerca storica, archivistiche e bibliotecarie della Fondazione Valore Lavoro e fa parte del Consiglio dell’Associazione italiana di storia orale. Ha partecipato al recupero dell’archivio Andrea Devoto ed attualmente si occupa di storia sociale, del lavoro e del sindacato. Tra le sue pubblicazioni: Fascismo antislavo. Il tentativo di bonifica etnica al confine nord orientale; Una passione violenta. Storia dello squadrismo fascista a Pistoia 1919-1923; Vivere nel call center, in La lotta perfetta. 102 giorni all’Answers; La mezzadria nel Novecento. Storia del movimento mezzadrile tra lavoro e organizzazione. Ha curato le due mostre La mezzadria nel Novecento: lavoro, storia, memoria e La chiave a stella. Il lavoro industriale nel ‘900. Insieme a Giovanni Contini ha realizzato il film documentario In cerca della felicità. Storie di immigrati a Pistoia.

Articolo pubblicato nel febbraio del 2018.




“Campioni nella Memoria. Storie di atleti deportati nei campi di concentramento”

Dal 12 febbraio al 7 marzo presso la Biblioteca dell’ITI Leonardo da Vinci di Firenze, UNVS, l’Istitutco scolastico e l’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea vi invitano a visitare la mostra “Campioni nella Memoria. Storie di atleti deportati nei campi di concentramento”.

Orari di visita: lunedì, mercoledì, venerdì 8.30-13.30; martedì e giovedì 8.30-13.30 e 14.00-17.00

Nel corso dell’allestimento sono previste le seguenti conferenze per gli studenti della scuola:

13 febbraio dalle ore 9.00 alle 11.00 Il sistema concentrazionario nazista e la Shoa, a cura della prof.sa Marta Baiardi (Isrt)

21 febbraio ore 9.00-11.00 Calcio e nazifascismo, a cura del dott. Massimo Cervelli




Giornata della Memoria a Orbetello – 19 febbraio 2018

Per l’Isgrec sarà  presente Elena Vellati

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Presentazione del libro | Salvarsi. Gli ebrei d’Italia fuggiti alla Shoah 1943-1945

Giovedì 15 febbraio 2018 | ore 17
@ via Laura 48, Aula A3

 

 

Presentazione del libro |
Salvarsi. Gli ebrei d’Italia fuggiti alla Shoah 1943-1945

di Liliana Picciotto

 

– Saluti istituzionali
Introduce:
Silvia Guetta, Università degli Studi di Firenze
Intervengono:
Amedeo Spagnoletto, Collegio Rabbinico di Roma, Rabbino della Comunità Ebraica di Firenze
ValeriaGalimi, Università degli studi di Milano

Con la presenza dell’autrice Liliana Picciotto

Dibattito




Il Giorno del Ricordo – Iniziativa dell’Istoreco Livorno

In occasiStampaone della Giornata del Ricordo 2018 l’Istoreco Livorno e il Comune di San Vincenzo (Livorno) organizzano  per sabato 10 febbraio presso il palazzo della Torre di San Vincenzo, alle ore 17, un incontro dal titolo: Un viaggio nei territorio del Confine orientale: problematiche e interpretazioni aperte. Nell’ambito dell’incontro verrà proiettato il documentario La nostra storia e la storia degli altri. Il Confine orientale del Novecento a cura dell’Isgrec Grosseto. Introduce e coordina Laura Gambone (Istoreco Livorno), interventi di Mario Cervino (ANVGD Livorno) e Luciana Rocchi (ISGREC).