MICHELE BARUCH BEHOR: da Cutigliano ad Auschwitz

L’alba del 21 gennaio 1944 fu tragica per la famiglia Baruch, composta da ebrei livornesi sfollati presso la pensione Catilina di Cutigliano, paese posto sulla montagna pistoiese lungo la strada verso l’Abetone. Per quella mattina erano stati convocati nella locale caserma dei carabinieri che li avrebbero inviati a un cupo destino, quello dei campi di concentramento nazi-fascisti.

La famiglia, emigrata a Smirne in Turchia nel 1920 alla ricerca di lavoro, aveva fatto ritorno a Livorno nel 1933 ed era composta da Isacco e Cadina, marito e moglie, rispettivamente di 54 e 44 anni  e dai loro figli, Michele (24 anni), Clara (17 anni) , Susanna (19 anni) e Marco (14 anni).

Erano ebrei sefarditi, discendenti cioè degli ebrei che alla fine del XV secolo i re cattolici di Spagna e Portogallo avevano deciso di espellere dai loro regni, facendo fortuna poi nell’impero ottomano nel quale avevano trovato rifugio. I sefarditi si erano poi diffusi lungo le rive del Mediterraneo e quindi anche in Italia dove si stabilirono soprattutto a Ferrara e Venezia prima e in Toscana poi. I granduchi medicei favorirono con le “Costituzioni leonine” lo stanziamento degli ebrei, in particolar modo a Livorno. Intorno agli anni Trenta del XX secolo la comunità ebraica della città labronica contava su circa 2.300 persone ed era una delle più consistenti della penisola.

Michele, che sarà il solo superstite della famiglia, nel 1933 lavorava alla Società Italiana del Litopone, produttrice di una miscela di solfato di bario e solfuro di zinco che dava il nome all’azienda. Con l’avvento delle leggi razziali, nel 1938, perse il suo impiego e la sua famiglia riuscì a sopravvivere solo grazie all’appoggio della locale comunità ebraica. In una sua testimonianza afferma di aver lavorato anche sotto falso nome per la Todt, un’impresa di costruzioni operante in Germania e poi negli altri paesi occupati che in Italia provvide alla costruzione di parte della linea Gotica, aggiungendo che “dopo una decina giorni i repubblichini, scoperto che ero ebreo, mi consigliarono con tono quasi bonario di abbandonare quel lavoro“.

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Foto gentilmente concessa da Simone Breschi e Gianna Tordazzi

Le famiglie di origine ebrea vivevano nella zona del porto, occupandosi di cantieristica e nel centro storico intorno alla Sinagoga, cioè nelle zone più soggette ai bombardamenti alleati della primavera/estate 1943. Diversi gruppi familiari, fra cui i Baruch, decisero pertanto in quei mesi di spostarsi in zone ritenute più sicure. Molti si rifugiarono nell’entroterra fra Livorno e Grosseto e sulle colline pisane, altri andarono più lontano, nelle zone di Firenze, Lucca, Arezzo. Alcune famiglie si recarono in Garfagnana sfruttando la rete di conoscenze acquisite con le donne di servizio che tradizionalmente scendevano a Livorno da quelle zone. Altre decisero di spostarsi nei paesi della Toscana settentrionale, secondo alcuni direttamente su indicazione della Delasem, la Delegazione per l’Assistenza agli ebrei Emigranti, creata nel 1939 dall’Unione delle Comunità israelitiche per favorire la fuga agli ebrei che erano rimasti bloccati in Italia.

Fu in seguito a questo insieme di situazioni che i Baruch giunsero sulla montagna pistoiese e precisamente a Cutigliano. Quel che accadde loro nel piccolo paese dell’Appennino pistoiese lo sappiamo dallo stesso Michele che, a quarant’anni circa da questi fatti decise di far conoscere il calvario della propria famiglia attraverso un breve dattiloscritto, attualmente conservato presso la biblioteca della comunità ebraica di Livorno.

Una volta catturati, i membri della famiglia Baruch furono condotti prima nel carcere di Pistoia e da qui, dopo dieci giorni, alle Murate a Firenze. Nel carcere fiorentino i Baruch rimasero quindici giorni fra atroci sofferenze prima di partire per Fossoli, presso Carpi (MO), dove vissero circa un mese. Da qui, caricati su un carro bestiame assieme ad altre settanta persone circa, furono indirizzati verso una destinazione a loro originariamente ignota, che si rivelerà essere il campo di concentramento di Auschwitz. Per il viaggio di dieci giorni dice Michele nelle sue memorie “ci era stato dato un fiasco d’acqua e dei barattoli di marmellata e di pane“.

All’arrivo i superstiti furono posti in file di cinque davanti alle Kapò e al temuto dottor Mengele. Lavati, depilati con “rozzi rasoi” e cosparsi di creolina, furono condotti all’aperto in attesa del vestiario, cioè la nota divisa a righe e un paio di zoccoli di legno e, come si legge nelle memorie, delle “mutande pidocchiose appartenute a qualche altro deportato deceduto“. Michele ricorda quindi con dolore la marchiatura  sulla pelle del numero di matricola che ha portato sino alla morte, il 174474 e quella, con lo stesso numero, del vestito.

L’autore rammenta chiaramente a distanza di anni le lotte con i prigionieri già presenti nel campo per conquistare un posto nei letti a castello e gli appelli, fatti spesso alle tre del mattino, con accanto ai sopravvissuti le cataste costituite dai  corpi dei compagni deceduti durante la notte, perchè “all’atto della conta, doveva tornare il numero preciso” dei prigionieri.

Il loro lavoro consisteva nel “portare pietroni sulle spalle o con un carrettone o portare via i cadaveri dalle baracche per condurli ai forni crematori“, accompagnati dalle note di  Rosamunda, una polka della cui versione tedesca nel 1938 erano state vendute più di un milione di copie. Colpisce il fatto che questo stesso dettaglio è citato nell’opera “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Il pranzo era costituito da una brodaglia di rape, la cena che arrivava dopo un altro estenuante appello, da un po’ di margarina.

Michele afferma che solo dopo un po’ di tempo scoprì la funzione della ciminiera “le cui fiamme uscivano dipinte di mille colori“. In quel momento sentì mancargli il terreno sotto i piedi perchè fu solo allora che comprese che i suoi cari, non appena divisi dal dottor Mengele, erano stati destinati alle camere a gas e non alle docce come promesso. Il pezzo di sapone e l’asciugamano che avevano ricevuto erano stati insomma un vile inganno.

Nel suo breve dattiloscritto l’autore cita le baracche destinate all'”ospedale” (in realtà i locali dove venivano effettuati gli esperimenti dei medici nazisti) e fa riferimento alle esecuzioni capitali tramite “fucilazioni e tortura“.

Michele afferma di essere stato scelto, poi tramite il consueto appello, per andare a lavorare in un altro campo, quello di Monovitz, in polacco Oswiecim, a 7 km. da Auschiwitz, dove fu impiegato come manovale per scavare fosse e scaricare sacchi di cemento.

La mattina del 26 febbraio 1945 fu fatta una selezione per individuare gli inabili al lavoro che, si diceva, sarebbero stati destinati a un “lager di riposo“. La reale destinazione dei prescelti erano i forni crematori. Terminato l’appello Michele e altri giovani furono condotti in una fabbrica di armi e pezzi di ricambio per carri armati e autoblinde, la Buna Weke. Per i lavoratori di questa fabbrica i maggiori rischi erano dati dai bombardamenti alleati, quattro complessivamente, che colpirono la struttura e dal fatto che durante questi i tedeschi si recavano nei rifugi chiudendo i prigionieri nei locali con il rischio di rimanere sepolti vivi sotto le eventuali macerie.

L’ultima destinazione di Michele fu Buchenwald, da lui definito un campo di “eliminazione”, dove giunse dopo otto giorni di viaggio sotto i bombardamenti.  Michele, ormai pieno di sporcizia e di “bolle per mancanza di vitamine“, venne adibito a lavorare a un tunnel e riuscì a sopravvivere a diverse epidemie di tifo.

La mattina del 26 febbraio i russi fecero finalmente irruzione nel campo liberando i superstiti. Michele era ridotto a pesare solo 31 chilogrammi. Dopo quattro mesi di cure e una dieta “a base di brodo di carne senza ulteriori aggiunte” per evitare sforzi eccessivi a un corpo estrememamente delibitato, Michele potè tornare nell’amata Livorno dove però non aveva più nessuno che lo aspettasse e soprattutto pochissimi a credere ai suoi racconti. Ritornerà con la moglie nei campi di concentramento molti anni dopo.

Il breve dattiloscritto si conclude con un toccante appello di Michele “Noi scampati lotteremo con tutte le nostre forze perchè tutti si sentano fratelli ed amici, per il progresso che vada sempre avanti nella libertà e nella democrazia, affinchè nessuno abbia più a vivere la triste storia dei campi di sterminio“. Il semplice racconto di Michele si pone quindi nella scia delle testimonianze di molti altri reduci dai campi di sterminio, come ad esempio Primo Levi. Non è solo un resoconto breve, anche se circostanziato dei fatti, ma anche un invito, rivolto a tutte le persone, a fare in modo, attraverso il ricordo e l’impegno quotidiano, che questi tragici eventi non debbano ripetersi più, a far si che certe ideologie, sconfitte dalla storia, non debbano riapparire.

Andrea Lottini (Montecatini Terme, 1975) si è laureato in Scienze Politiche nel 2001 con una tesi sulla formazione professionale e in Scienze Religiose nel 2015 con una tesi su Egeria, pellegrina del IV secolo. Attualmente è insegnante di religione presso gli istituti comprensivi di San Marcello Pistoiese e di Agliana.

Articolo pubblicato nel gennaio del 2018.




PRESENTAZIONE ATTI DEL CONVEGNO – Amore, instabilità, violenza. Famiglie ieri e oggi

Venerdì 12 gennaio 2018 | ore 17:15
@ Sala degli Affreschi, Palazzo del Pegaso (via Cavour, 4 – Firenze)

 

PRESENTAZIONE DEGLI ATTI DEL CONVEGNO – AMORE INSTABILITà VIOLENZA 

 

Il 12 gennaio 2018, presso il Palazzo del Pegaso (via Cavour, 4) di Firenze, verrà presentato il volume degli atti del convegno “Amore, instabilità, violenza – Famiglie ieri e oggi”, che si era tenuto al Palazzo Ducale di Massa, nel novembre 2015.
Il convegno era stato pensato e organizzato dall’associazione “Scritture femminili, memorie di donne”, che si occupa di studi di genere a partire (ma non solo) dal territorio di Massa Carrara.

Indagare una realtà sociale mutata radicalmente negli ultimi anni: la famiglia e la vita matrimoniale. Questo l’obiettivo del convegno “Amore, instabilità, violenza. Famiglie ieri e oggi”. Il 6 e il 7 novembre 2015 a palazzo Ducale a Massa, storici e studiosi di scienze sociali e psicologiche provenienti da tutta Italia, hanno affrontato le problematiche che costituiscono l’essenza dell’istituto familiare. Un originale confronto tra uno ieri molto lontano e ricco di spunti di riflessione e un oggi che vede la famiglia seppur per certi aspetti in crisi, ancora capace di accogliere l’uomo e la donna contemporanei.
“Questa iniziativa – ha detto il consigliere regionale Giacomo Bugliani – si inserisce in un percorso che va a tutelare il mondo femminile. È bene che ci siano indagini anche di carattere storico e sociologico che intervengono su tematiche come amore, instabilità e violenza”.
Alessandra Celi e Olga Raffo dell’associazione “Scritture femminili, memorie di donne”, hanno spiegato l’origine dell’idea, partita da un progetto della Regione Toscana che ha censito scritture femminili in archivi privati e pubblici (sec. XV-XIX). Il censimento, condotto da due socie fondatrici dell’associazione, Alessandra Celi e Simonetta Simoneti e pubblicato dall’amministrazione provinciale nel 2010, ha fatto emergere casi interessanti di matrimoni in età moderna.

Saranno presenti |  Enrico Giani, presidente del Consiglio regionale della Toscana; Giacomo Bugliani, consigliere regionale.

Modererà |  Olga Raffo, presidente dell’associazione “Scritture femminili, memorie di donne”.

Interverranno |  Monica Pacini, Università degli studi di Firenze; Valentina Bernardi, avvocata.




Giornata della memoria 2018 – Visite guidate, laboratori, convegno sulla persecuzione e lo sterminio di rom e sinti

box_giornata_memoriaIn occasione della celebrazione della Giornata della memoria 2018, il 27 gennaio alle ore 9, nell’Aula Magna del Polo Universitario grossetano, si terrà il convegno “Porrajmos: la persecuzione e lo sterminio di rom e sinti. Una storia anche italiana“. 

In romanes, la lingua del popolo rom, Porrajmos significa «divoramento» e sta ad indicare la persecuzione e lo sterminio dei popoli rom e sinti durante il nazifascismo, un pezzo di storia trascurata per molti anni dalla storiografia. Ricostruire, ricordare, interrogarsi sui ritardi e sulle amnesie sono un dovere, così come prendere coscienza che la scarsa attenzione verso questi temi di ricerca è dovuta solo in piccola parte ai “numeri” del Porrajmos, certamente inferiori rispetto allo sterminio degli ebrei, mentre in larga parte è dovuta agli stereotipi negativi su questi popoli, che ancora oggi permangono.

Se a livello internazionale oggi il Porrajmos è ormai riconosciuto come persecuzione e sterminio per motivi razziali, esattamente come la Shoah ebraica, in Italia questa consapevolezza non è ancora piena, tant’è che il Porrajmos non è neppure menzionato all’interno della legge che ha istituito il Giorno della Memoria. Tuttavia, anche da noi la ricerca storica ha preso da qualche anno vigore, mettendo in luce il ruolo dell’Italia fascista nel sistema di persecuzione e deportazione di rom e sinti.

Dopo i saluti istituzionali ne parleranno incontrando studenti e cittadinanza (prenotazione obbligatoria per le scuole):

Luca Bravi (Università di Firenze)

Eva Rizzin (Università di Verona)

Ernesto Grandini (Comunità sinti di Prato)

Coordina: Luciana Rocchi (comitato scientifico Isgrec)

A seguire: proiezione del documentario di Andrea Segre “Lo sterminio dei popoli zingari”

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Dal 29 gennaio al 3 febbraio 2018 sono inoltre previste:

* Passeggiate della memoria: visite guidate per le scuole con partenza dal monumento ai Martiri dell’antifascismo e della Resistenza alle Cittadella dello Studente fino alle Pietre d’inciampo in Piazza del Duomo e al bassorilievo nell’atrio del Palazzo comunale (prenotazione obbligatoria)

* Lezioni-laboratorio per gli studenti sulla storia della deportazione politica e razziale nazifascista e sull’internamento dei militari italiani (su richiesta degli insegnanti)

Sono a disposizione della scuola e della cittadinanza tutti i materiali conservati o prodotti dall’Isgrec: volumi della biblioteca, fondi archivistici, documentari.

 

Info e prenotazioni: Isgrec | Via De’ Barberi, 61 | 58100 Grosseto | tel/fax 0564 415219 | segreteria@isgrec.it | www.isgrec.it




9 gennaio 2018: Pietra d’inciampo in memoria di Tullio Mazzoncini

Il 9 gennaio 2018, alle ore 18, l’artista tedesco Gunter Demnig sarà alla tenuta di Campospillo (Comune di Maliano in Toscana) per posare una pietra d’inciampo dedicata alla memoria di Tullio Mazzoncini. Al suo nome è legata la storia della Resistenza nel territorio grossetano, prima, e della deportazione politica, poi. Convinto antifascista, subito dopo l’8 settembre 1943, prese parte alle prime riunioni del Comitato militare provinciale. Il 26 novembre 1943, su delazione, fu perquisita la tenuta di Campospillo, di proprietà della sua famiglia; la Guardia nazionale repubblicana trovò un ciclostile e copie di un foglio clandestino di propaganda, curato da Antonio Meocci. Tullio Mazzoncini fu arrestato immediatamente, Albo Bellucci e Beppino Scopetani nei giorni successivi. All’inizio del 1944 i tre antifascisti furono deportati a Mauthausen; solo Mazzoncini sopravvisse.
La tenuta è luogo della memoria non solo per la storia che la lega al gruppo di antifascisti poi deportati, ma anche per la presenza di un segno, il calco in bronzo del bassorilievo scolpito da Tolomeo Faccendi in ricordo dei deportati politici grossetani, già oggetto di valorizzazione in chiave memoriale da parte del progetto “Cantieri della memoria”.
La mattina dell’11 gennaio sono previste visite guidate per le scuole alla pietra d’inciampo e al bassorilievo in bronzo, a cura dell’Isgrec (previa prenotazione).
Info e prenotazioni: Isgrec |Via De’ Barberi, 61 | 58100 Grosseto | tel/fax 0564 415219 | segreteria@isgrec.it | www.isgrec.it



Cerimonia di deposizione “Pietre d’inciampo” a San Casciano

10 gennaio 2018 | ore 16
@ San Casciano (via Roma, 34)

COLLOCAZIONE PIETRE D’INCIAMPO IN MEMORIA DI GIACOMO MODIGLIANI E PAOLO STERNFELD

L’Amministrazione Comunale di San Casciano è da sempre sensibile alle tematiche relative alla conservazione della memoria storica, promuovendo ogni anno varie iniziative sul territorio rivolte in particolare ai giovani e alle scuole.

Continuando su questo percorso, il Comune di San Casciano ha deciso di lasciare un segno tangibile sul territorio per le future generazioni, depositando nel centro storico del paese due pietre d’inciampo.
Il prossimo 10 gennaio a partire dalle ore 16, con lo scopo di rendere giustizia a coloro che furono vittime della persecuzione razziale e per lasciare ai nostri ragazzi un monito a non ripetere quanto accaduto meno di un secolo fa anche nel nostro territorio, verranno depositate in via Roma a San Casciano (all’altezza del civico 34) due pietre d’inciampo a memoria di Giacomo Modigliani e di Paolo Sternfeld, in quel luogo arrestati nell’ottobre del 1943 e successivamente deportati ad Auschwitz.

Interviene Marta Baiardi (Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea).




Festa del tesseramento ANPI 2018 + spettacolo sul 70° della nostra Costituzione

Domenica 7 gennaio 2018 | ore 10
@ Mostra permanente della Resistenza della Città di Massa 1943-1945 (piazzale Partigiani – Massa)

 

FESTA DEL TESSERAMENTO ANPI 2018

 

ore 10:30 | Settanta anni e non li dimostra – Per il settantesimo anniversario della Costituzione. Lettura scenica con musica
ore 11 | Intervento di Dino Oliviero Bigini – presidente della sezione Anpi di Massa

Segue un aperitivo.




Il MINE si rinnova

Sabato 30 dicembre alle ore 11.00 iniziativa promossa dall’Amministrazione Comunale al Museo delle Miniere e del Territorio dell’antico borgo di Castelnuovo dei Sabbioni.
Nell’occasione saranno “consegnati alla comunità” i vari interventi portati a termine nelle ultime settimane. A partire dalla nuova scala d’accesso alla terrazza, gli allestimenti e il dipinto “Luci focali di vita” dell’artista Roberto Mini collocato all’ingresso del MINE.
Nell’occasione sarà presentato anche il calendario 2018 del Comune di Cavriglia “Antiche strade”.




MEMOIRE DU PASSÉ MEMOIRE DU FUTUR

27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, a Siena inaugurazione di MEMOIRE DU PASSÉ MEMOIRE DU FUTUR di CHARLES SZYMKOWICZ, mostra di pittura sul tema della Memoria presso i Magazzini del sale e Le Stanze della Memoria.

L’iniziativa, il cui capofila è l’Amministrazione Comunale, vede la collaborazione di ISRSEC per il coinvolgimento delle scuole e per la messa a disposizione dei locali delle Stanze della Memoria.

L’organizzazione della giornata è così prevista: ore 10,00 visita, in anteprima,  degli studenti e dei consiglieri comunali alla mostra; a partire dalle 11,30, presso il municipio, Consiglio Comunale con la partecipazione degli studenti.

Nei giorni precedenti e successivi sono previste una serie di lezioni da parte degli esperti di ISRSEC, nelle scuole del territorio, sul tema del Giorno della Memoria.