73° Anniversario della Liberazione – Le celebrazioni nel comune di Montopoli Val d’Arno (PI)

In occasione del 73° Anniversario della Liberazione, il comune di Montopoli in Val d’Arno, in collaborazione con le associazioni degli ex-combattenti, degli ex-internati, dei reduci e dei corpi d’Arma, organizza per il prossimo 25 aprile le seguenti celebrazioni:

 

ore 10:00 Ricevimento e raduno delle Autorità , Associazioni, cittadini ed ex Reduci presso il Sacrario dei Caduti (Chiesa di San Sebastiano).

 

ore 10:15  Deposizione delle  corone in onore dei caduti.

Interventi  del Sindaco Giovanni Capecchi, del Presidente A.N.P.I. di Montopoli e del Presidente  onorario A.N.E.I.

Letture e testimonianze. Canti a cura del Gruppo “Il Bruscello” di  Casteldelbosco.

 

ore 11:15  S. Messa  presso la Chiesa  di San Sebastiano,

officiata in suffragio dei caduti da Don Matteo Parroco di Montopoli in Val d’Arno.




73° Anniversario della Liberazione – Il programma delle celebrazioni a Piombino (LI)

In occasione del 73° Anniversario della Liberazione e del 70° Anniversario della Costituzione della Repubblica, la città e il comune di Piombino, con il contributo delle istituzioni, della cultura, delle scuole e della società civile, organizzano per il prossimo 25 aprile le seguenti iniziative:

ore 10.00, Palazzo Comunale

Un’idea di verità e di giustizia dalla Liberazione alla Costituzione

Interventi di: Angelo Trotta, Presidente del Consiglio Comunale; Massimo Giuliani Sindaco di Piombino; Matteo Caponi Università di Pisa

Ore 11.30, per le vie cittadine

Corteo con la Banda “A. Galantara”e le Associazioni dei Partigiani, d’Arma, Combattenti e Reduci

Ore 12.00, piazza della Costituzione

deposizione di una corona d’alloro presso il monumento dedicato ai Caduti della libertà




Presentazione del volume | Donne in guerra scrivono

venerdì 20 aprile 2018 | ore 17:30
@ Sala Gigli, Palazzo del Pegaso, via Cavour 4, Firenze

 

Presentazione del volume
Donne in guerra scrivono

Donne in guerra scrivono. Generazioni a confronto tra persecuzioni razziali e Resistenza 1943-1944
a cura di Marta Baiardi,
con la collaborazione di Asher Salah.
(Aska Edizioni)

Saluti
Eugenio Giani, Presidente del Consiglio regionale della Toscana
Intervengono
Marta Baiardi, Istituto storico toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea
Alberto Cavaglion, Università di Firenze
Asher Salah, Bezalel Academy of Arts, Jerusalem




25 APRILE | Rassegne cinematografiche (Montemurlo e Vernio) + incontro sulla Resistenza (Prato)

dal 17 al 24 aprile 2018
@ Montemurlo; Vernio; Prato

 

Aspettando il 25 aprile – MONTEMURLO
RASSEGNA CINEMATOGRAFICA

Il comune di Montemurlo, in collaborazione con ANPI Prato, Istituto Storico della Resistenza di Pistoia e Fondazione CDSE, organizza la rassegna cinematografica  “Aspettando il 25 aprile”.

Martedì 17 aprile ore 21 
presso la Sala Banti di Montemurlo (piazza della Libertà, 2)
si terrà la proiezione del film “Italo” di Lorenzo Enrico Gori e Filippo Maria Gori.
Ingresso libero.

Lunedì 23 aprile ore 21 
presso la Sala Banti di Montemurlo (piazza della Libertà, 2)
si terrà la proiezione del film “L’arte in guerra. Rodolfo Siviero e i Monuments Men italiani” di Massimo Becattini.
Una produzione per RAI 3 La grande Storia.
Ingresso libero.

La proiezione sarà preceduta dalla presentazione del volume
“Tesori in guerra. L’arte di Pistoia tra salvezza e distruzione” di Alessia Cecconi e Matteo Grasso, Lucca, Pacini, 2017.

Cinema, guerra e Resistenza – VERNIO
RASSEGNA CINEMATOGRAFICA

Il Comune di Vernio in collaborazione con la Fondazione CDSE, ANPI e i Circoli ARCI di San Quirico, Mercatale, Sant’Ippolito e Terrigoli, organizza la rassegna cinematografica “Cinema, guerra e resistenza”.

Martedì 24 aprile alle ore 21.15
nella Sala Superiore dell‘ex Fabbrica Meucci
sarà proiettato “L’arte in guerra. Rodolfo Siviero e i monuments man italiani” di Massimo Becattini.
Una produzione per RAI 3 La Grande Storia.
Sarà presente il regista.

 

Incontro sulla Resistenza – PRATO

Martedì 24 aprile alle 16,00
presso l’aula magna del Polo Universitario “Città di Prato” in piazza Ciardi,
l’Università del Tempo Libero “Eliana Monarca” organizza un
incontro dal titolo “1930 – 1945: la guerra e la resistenza nella val di Bisenzio. Memoria e documenti”,
a cura della presidente della Fondazione CDSE Annalisa Marchi,
con brani tratti dal volume “Fior di memoria, L’Isola, famiglie ebree in val di Bisenzio. Antologia di microstoria: 1790-1957”.
Ingresso libero.

 

Materiale in allegato.

 




PER UN RINNOVATO IMPEGNO CONTRO IL FASCISMO E IL RAZZISMO DI IERI E DI OGGI. Nei rioni di San Jacopino-Puccini-Porta al Prato

23 aprile 2018 | dalle ore 17:30
@ Teatro Puccini, Firenze

GIORNATA DI INIZIATIVE AL TEATRO PUCCINI
PER RICORDARE L’IMPEGNO ANTIFASCISTA
DEI CITTADINI DEL RIONE

Nella ricorrenza del 70° anniversario della entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, frutto della lotta antifascista e nata dalla Resistenza, spesso disattesa ed in buona parte ancora non attuata, la Rete Antifascista di San Jacopino-Puccini-Porta al Prato e l’ANPI Firenze, con l’adesione di Arci, Camera del Lavoro CGIL , Fiom/Cgil e Libertà e Giustizia, hanno pensato di organizzare, in prossimità del 25 Aprile, un evento che tenesse insieme la memoria delle lotte antifasciste nel quartiere e l’impegno odierno contro il fascismo ed il razzismo, per la difesa e l’attuazione della Costituzione.

Il 23 Aprile, al Teatro Puccini, che si trova nei pressi della ex Manifattura Tabacchi — luogo simbolo della lotta operaia e di opposizione al fascismo nel rione di San Jacopino e testimone di epiche azioni della Resistenza Partigiana nella battaglia per la Liberazione di Firenze — si
svolgerà una giornata densa di iniziative per ricordare l’impegno antifascista dei cittadini del rione che presero parte alla lotta partigiana, per riflettere sui fascismi di ieri e di oggi e mobilitarsi contro i rigurgiti fascisti di questi giorni per rinnovare l’impegno delle istituzioni democratiche a rispettare e far rispettare la Costituzione Repubblicana.

IN ALLEGATO il programma completo dell’iniziativa.

 

20 aprile-3 maggio 2018
@ Teatro Puccini, Firenze

MOSTRA/ESPOSIZIONE DI ANTICHI FUMETTI
SULLA RESISTENZA

E RITRATTI DI PARTIGIANI FIORENTINI

La mostra di fumetti, provenienti dalla la collezione Niccolai, narra la storia della Resistenza fiorentina attraverso due autori.
La mostra è curata dal prof. Lido Cantimori, i testi sono di Luciano e Nadia Niccolai.

La “lettura” dei fumetti permette una visione critica del ruolo del fumetto nella trasmissione della storia e dei valori della società di quel periodo.
In contemporanea vengono esposti i ritratti di partigiani fiorentini ancora in vita negli anni in cui l’autrice Giovanna Gould li ha realizzati, 2008-2009. Tali ritratti, molto realistici, ci permettono di attualizzare l’opera di questi uomini e donne che hanno rischiato le loro vite per realizzare una società libera ed equa.

MAGGIORI DETTAGLI sulla mostra, in allegato.




Coro di voci sole | Nuove verità sull’eccidio degli 83 minatori della Niccioleta

venerdì 20 aprile 2018 | ore 16:30
@ Sala Gonfalone, Palazzo del Pegaso, via Cavour 4, Firenze

 

PRESENTAZIONE DEL VOLUME
Coro di voci sole. Nuove verità sull’eccidio degli 83 minatori della Niccioleta

 

Presso la Sala Gonfalone del Palazzo del Pegaso si svolgerà la presentazione del volume di Katia Taddei, edito da Effigi edizioni.
Il volume è dedicato all’Eccidio di Niccioleta, una delle più feroci stragi di civili compiute dai nazifascisti lungo la linea della ritirata dell’esercito tedesco.

Nel villaggio minerario di Niccioleta abitavano i lavoratori della miniera, molti provenienti da altri comuni della provincia di Grosseto, soprattutto Santa Fiora e Castell’Azzara. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno un battaglione di SS italiane e tedesche circondò il villaggio, che nei giorni precedenti era stato occupato per breve tempo da un gruppo di partigiani. Alle prime luci del mattino del 13 furono catturate circa 150 persone. Una parte degli arrestati fu rilasciata, 6 minatori vennero immediatamente fucilati nella sala del Dopolavoro, 77 furono uccisi nel tardo pomeriggio del 14, a Castelnuovo Val di Cecina, dove erano stati trasportati. Molti degli uccisi figuravano negli elenchi dei turni di guardia, decisi dagli stessi minatori per difendere gli impianti. Non è stata provata nessuna correlazione con uccisioni di soldati tedeschi da parte di partigiani, tale da configurare l’ipotesi di una rappresaglia. Un dato accertato è la presenza di moltissimi antifascisti tra i lavoratori di Niccioleta.

PROGRAMMA

Saluti
Eugenio Giani, Presidente del Consiglio regionale della Toscana
Intervengono
Luciana Rocchi, Professoressa dell’Isgrec di Grosseto
Oris Carrucoli, Presidente del Centro studi “Agapito Gabrielli” di Massa Marittima, co-editore del libro
Saranno presenti
Mario Papalini, Editore
Marcello Giuntini, Sindaco del Comune di Massa Marittima
Alberto Ferrini, Sindaco del Comune di Castelnuovo Val di Cecina
Giacomo Termine, Sindaco del Comune di Monterotondo Marittimo
Loris Martignoni, Sindaco del Comune di Pomarance
Katia Taddei, Curatrice del volume




Commemorazione dell’eccidio di Santa Lucia | Cavriglia e San Giovanni Valdarno

Venerdì 20 aprile | dalle ore 9

 

ECCIDIO SANTA LUCIA,
SAN GIOVANNI E CAVRIGLIA UNITE NEL RICORDO

Alle celebrazioni previste nella mattinata di venerdì 20 aprile parteciperà anche una delegazione di studenti del nostro territorio.
Venerdì 20 aprile il Comune di Cavriglia si unirà alle celebrazioni dell’Eccidio di Santa Lucia.
Alla cerimonia prenderanno preso parte, oltre ai Sindaci dei Comuni di Cavriglia e San Giovanni Valdarno Leonardo Degl’Innocenti o Sanni e Maurizio Viligiardi, i rappresentanti delle autorità civili e militari ed il presidente dell’Anpi Valdarno Giuseppe Morandini.
Le Istituzioni si impegnano a far sì che il significato e l’insegnamento lasciatoci in eredità dai tragici fatti del passato non venga disperso, e che
quindi anche i giovani riescano a comprendere che proprio in quei giorni il nostro popolo ha ritrovato la sua strada.
Per questo la cerimonia vedrà il coinvolgimento di una delegazione di studenti delle scuole medie superiori di San Giovanni, i quali arricchiranno le celebrazioni con alcune letture su come persero la vita, nell’aprile del 1944, il giovane comandante Gian Maria Paolini ed i partigiani Settimio Berton e Francesco Fiscaletti.

Programma
Il programma seguirà un rituale ormai consolidato: alle 9 Santa Messa presso la Chiesa di San Lorenzo, alle 10 deposizione di una Corona al Sacrario ai Caduti del cimitero di San Giovanni Valdarno, alle 10 e 30 celebrazioni solenni presso il Cippo di Santa Lucia con intervento delle autorità e letture degli studenti, alle 11 e 45 deposizione di una corona di fiori presso il Monumento ai Caduti sito di fronte al Palazzo Comunale di Cavriglia.




Liturgie laiche e religiose nella Livorno del 1948

Il 7 novembre 1948 a Livorno fu una data molto particolare. Nel medesimo giorno si “fronteggiarono” in città due grandi manifestazioni, l’una cattolica, l’altra comunista. Seguendo un’evidente strategia di contrasto, i vertici ecclesiastici livornesi avevano fatto cadere la solenne chiusura della Peregrinatio Mariae – il pellegrinaggio della Madonna di Montenero che, partito il 20 ottobre, aveva compiuto, come scrisse «Il Tirreno», il suo «viaggio trionfale per tutti i paesi della diocesi» [Un’immensa folla, 4 novembre 1948] – nella data in cui le sinistre celebravano con grande dispiegamento organizzativo l’anniversario della rivoluzione d’Ottobre. I cattolici livornesi avevano del resto ancora nella memoria l’imponente manifestazione dell’anno precedente, 30° anniversario della rivoluzione, celebrato con un grande concorso di popolo per le vie della città e conclusasi al teatro Politeama, alla presenza del presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini e del deputato socialista Alberto Cianca [Terracini e Cianca, 10 novembre 1947].

Ingrao-e-Togliatti-1946

Ingrao e Togliatti nel 1946

La mattina dl 7 novembre dunque i comunisti sfilarono lungo i quartieri nord della città, quelli popolari e ad alta densità di operai, concludendo il loro corteo nella piazza S. Marco, massimo simbolo risorgimentale di Livorno, teatro della gloriosa resistenza dei livornesi contro la cattolica Austria dell’11 maggio 1849. Quello stesso pomeriggio la processione dei cattolici si snodò sul lungomare e tra i quartieri sud, quelli dei livornesi più benestanti, fino al colle del Santuario di Montenero. Due itinerari separati, come se fosse esistita una ideale cortina di ferro che divideva la città, ma che ebbero come tappa centrale obbligata la sosta al Cantiere navale, simbolo del mondo operaio. Il Cantiere infatti in quel 7 novembre viene “benedetto” due volte: la mattina dal comizio del direttore dell’«Unità» Pietro Ingrao; il pomeriggio dal vescovo di Livorno, Giovanni Piccioni, alla presenza del presidente della Camera Giovanni Gronchi, nell’ambito della cerimonia di chiusura della Peregrinatio. Davanti agli operai Ingrao, come riportò la stampa, aveva parlato degli enormi progressi compiuti «in ogni campo dalla Russia sotto il regime sovietico, ponendoli in contrasto con le terribili crisi che affliggono gli Stati occidentali», definiti potenze «guerrafondaie capitaliste e affamatrici del popolo» (Archivio di Stato di Livorno, Fondo Questura, b. 887) . Il pomeriggio l’immagine della Madonna di Montenero era stata invece benedetta davanti al Cantiere dal vescovo e dal nunzio apostolico dell’Honduras, il livornese Federico Lunardi, dopo che la processione aveva attraversato Borgo Cappuccini, la via nella quale abitava la gran parte degli operai del Cantiere, in cui, annotava «La Gazzetta», quotidiano comunista, era stato «offerto uno spettacolo folgorante di luci e di addobbi considerati i più belli delle varie parrocchie» [Ristori, 1948]. Pochi giorni dopo Gronchi, in una sua nuova visita a Livorno, parlando alle donne livornesi di Azione Cattolica, aveva affermato significativamente che il pellegrinaggio mariano aveva dimostrato come a Livorno il sentimento religioso del popolo fosse «soltanto sopito». «Si è visto – affermava – nella recente “Peregrinatio Mariae” nei quartieri in cui nessuno avrebbe creduto esistesse tanta fede, il popolo degli umili e dei lavoratori rende devoto omaggio alla Madonna. Ora dovete voi entrare nella vita di quella gente, dovete cercare di riportarla sulla via che Cristo ha tracciato per il trionfo del bene e per la salvezza dell’umanità» [Archivio di Stato di Livorno, Fondo Questura, b. 880].

I fatti appena descritti, nei suoi macroscopici simbolismi, ben raccontano come il 1948, anno in cui si addensarono in Italia le più tumultuose contrapposizioni scatenate dalla divisione del mondo in due blocchi contrapposti, significò anche una vera e propria lotta per la supremazia dei rituali identitari. Una contesa che aveva trovato il suo acme per le elezioni politiche del 18 aprile e che assunse le forme di una competizione tra i rispettivi repertori liturgici e iconografici, indirizzata anche verso l’occupazione dei luoghi in cui più forte si avvertiva il simbolismo delle identità concorrenti [Guis0, 2006; Cavazza, 2002; Avagliano, Palmieri, 2018]. Come hanno fatto emergere molti studi negli ultimi anni, questa contrapposizione tra diverse “liturgie” assecondava anche rivalità identitarie meno immediatamente percepibili relative alla memoria della guerra e della Resistenza e ai miti fondativi della Repubblica [Gabusi, Rocchi, 2006; Schwarz, 2010]: le sinistre occupate nel tentativo di fondare una religione civile basata sull’antifascismo, viceversa la Democrazia cristiana, e in qualche misura anche le istituzioni ecclesiastiche, impegnate in un’azione di pacificazione nazionale. Riguardo al caso livornese non sfugge, ad esempio che all’interno delle due settimane di Peregrinatio Mariae si toccasse una data carica di simbolismi come il 4 novembre. Siamo all’interno di quel progetto di «riconquista cattolica dell’italianità» [Gentile, 1997, p. 224] che vide in questi anni impegnate le istituzioni ecclesiastiche e che si connetteva direttamente all’impegno della Dc nell’ottica della pacificazione nazionale. L’intento dichiarato dei governi Dc era di stimolare una rinnovata concordia, che superasse le divisioni di una guerra fratricida. Ecco perché, è stato detto, che in questi anni calò una sorta di «silenzio istituzionale» sul 25 aprile, mentre appunto gli sforzi si concentrarono sulle manifestazioni del 4 novembre in cui si celebrava la fine della prima guerra mondiale. A questo proposito va notato che la festa del 4 novembre fino al 1944 veniva definita «festa della vittoria», mentre dal 1944 al 1949 divenne la «festa dell’unità nazionale» nella quale dunque si puntava a celebrare un patriottismo astorico che trascendesse la dimensione politica, nel tentativo di un recupero dell’armonia nazionale. La Peregrinatio Mariae livornese rientrò pienamente in questa prospettiva e difatti il 4 novembre, nel quadro delle celebrazioni, fu officiata una «Santa Messa in suffragio dei Caduti per la patria» a cui intervennero le rappresentanze delle Forze Armate e le associazioni combattentistiche e a cui partecipò  monsignor Trossi, vicario generale dell’Ordinario Militare [Programma dei festeggiamenti, 31 ottobre 1948]. È da evidenziare come, per l’occasione, il settimanale diocesano trasformasse la Madonna di Montenero nella «Madre della pace». Scrisse il giornale: «La Madonna è la grande Pacificatrice. […] Regina della pace perché la devozione a Lei, che agisce sul profondo dei popoli, rimane forse l’unico punto di contatto tra i due mondi che oggi si contendono il dominio della terra: ed è possibile che la Provvidenza – che guida la storia – si serva della Madre comune per rappacificare i suoi figli» [Angeli, 1948].

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La “Peregrinatio” nella Chiesa di S. Maria del Soccorso a Livorno nel 1948

Anche sul fronte contrapposto è facile riscontrare quanto le cerimonie della liturgia laica si ponessero al servizio di precisi obiettivi politico-identitari. Diversi mesi prima della manifestazione del 7 novembre, nell’estate del 1947, una grande cerimonia funebre, seguita di poco alla rottura di Alcide De Gasperi con le sinistre, si caricò di potenti simbolismi che esularono dal mero episodio di cronaca. Nel luglio 1947 dentro il Cantiere navale di Livorno, un operaio, Alvaro Folena, venne ucciso da una guardia giurata durante un alterco. Il funerale si trasformò così in un’imponente liturgia civile contro il governo con un corteo che attraversò le vie della città e a cui parteciparono, secondo le cronache comuniste, circa 60mila livornesi (in una città che in quel momento contava circa120mila abitanti). «La Gazzetta» chiariva qual era il vero significato da attribuirsi alla celebrazione: l’atto di quel «fascista» – così veniva definita la guardia giurata – altro non era che «una fra le più dolorose conseguenze della scelta dell’on. De Gasperi»: la scelta di aver rotto l’unità antifascista, con l’uscita del Pci dal governo. «Promuovendo la formazione di un governo destinato all’impopolarità – continuava il giornale del Pci – ha suscitato in ogni parte d’Italia un’atmosfera di lotta e di guerra civile dalla quale traggono alimento le forze cripto fasciste o apertamente fasciste per rivelare la loro sostanziale natura antidemocratica» [Comi, 1947]. Appaiono evidenti i caratteri di quella retorica antifascista dell’eroismo partigiano che era funzionale allo sforzo di accreditare la Resistenza come mito fondativo della Repubblica. Così come sono chiari i segni della volontà dei comunisti di stimolare una militanza e una disponibilità continua alla lotta contro i germi perduranti del fascismo. L’articolista della «Gazzetta» aggiungeva infatti che «la proibizione verificatasi in molte città di affiggere manifesti antigovernativi, il divieto della propaganda a mezzo di impianti sonori, e tanti altri piccoli fatti più o meno caratteristici hanno creato in Italia l’impressione, tutt’altro che ingiustificata, di una polizia al servizio di un partito (quello governativo) e di certe classi (quelle rappresentate al governo) anziché del paese». E concludeva: «Si aggiunga che a Livorno di notte si canta impunemente “giovinezza” per le strade e che il titolare della Questura si chiama comm. Pennetta, già distintosi in altra epoca nella stessa città, per aver con fazioso accanimento applicato le leggi razziali, e si avrà un’idea dell’ambiente in cui si è maturato il tristo fatto di sangue avvenuto ieri» [Comi, 1947].

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Furio Diaz con gli ufficiali alleati (Fondo Diaz, Biblioteca Labronica Livorno)

Sotto altri aspetti questa cerimonia funebre mise in chiara evidenza il tentativo da parte comunista di elaborare una liturgia alternativa attingendo ai riti, alle simbologie e agli apparati della tradizione cristiana, rielaborati in chiave laica. È evidente lo sforzo di conferire grande solennità e un carattere simbolico all’evento: la bara di Alvaro Folena venne così avvolta in una enorme bandiera rossa, dietro il feretro sfilarono più di cento bandiere e corone di fiori di partiti e associazioni. Il quotidiano comunista parlava di una «dimostrazione dignitosa, severa, degna di un popolo civile ed elevato»; il cronista aggiungeva enfaticamente di non ricordare «di aver veduta cosa di simile nei lunghi anni di carriera professionale» [Sessantamila persone, 5 luglio 1947]. Nella retorica comunista si intuisce la chiara volontà di restituire l’evento con una carica simbolica che superasse per fasto e livello di partecipazione l’ultimo grande evento funebre di massa celebrato a Livorno: quello del suocero di Mussolini, il conte Costanzo Ciano, officiato alla presenza del duce e di tutte le più alte gerarchie fasciste e cattoliche alla vigilia della guerra. La grande fastosità ricreata per un funerale di un semplice operaio, figlio del popolo, accendeva ancor più il contrasto col rito funebre del nobile gerarca, evidenziando l’urgenza di dare la massima espressione pubblica alla riconquistata sovranità popolare fondata sul mito della Resistenza. Nella descrizione dell’evento si attingeva al vocabolario usato dalla tradizione cattolica: si diceva così che nella camera ardente allestita all’Arena Astra, davanti al Cantiere Orlando, attorno al feretro erano «fiori e paludamenti rossi» e che «una guardia d’onore di lavoratori vegliava la salma», accanto alla quale «fu un continuo, ininterrotto pellegrinaggio». Il funerale civile si trasformò in un evento cui attribuire la più alta solennità possibile: un momento in cui partiti e associazioni del mondo laico e massonico profusero il massimo sforzo nella costruzione di una liturgia laica capace di competere con quella cattolica. È sufficiente osservare come la «Gazzetta» descrisse il corteo funebre.

Precede la bara, avvolta da un drappo rosso e portata a spalla, il gagliardetto del plotone ciclisti della Soc. Volontaria di Soccorso con la scorta. La bara è fiancheggiata da militi della Soc. Volontaria di Soccorso e dal plotone ciclisti e da una squadra d’onore del P.C.I. e della Camera del Lavoro. Ai lati un duplice cordone di ciclisti disciplina il movimento del corteo. Lungo le strade percorse dal silenzioso, grandioso corteo, la folla si assiepa a centinaia, a migliaia. Specialmente agli incroci, ai quadrivi la ressa è imponente.

Dietro la bara che raccogliere il corpo martoriato di Alvaro Folena, i congiunti della vittima, gli amici intimi, i dirigenti e componenti la commissione interna dell’Oto. Vediamo il Prefetto, il Sindaco, il Presidente della Deputazione provinciale, il direttore, de «La Gazzetta», il Questore, il Vice Questore, il Comandante del Porto, il rappresentante del Comando Marina, i rappresentanti della Magistratura, professionisti, industriali, commercianti, i rappresentanti dei vari enti cittadini, le rappresentanze dell’Udi, quelle degli stabilimenti industriali della provincia [Ibid.].

Il giornale non mancava di sottolineare l’assenza al corteo di una rappresentanza della Democrazia cristiana: il fatto, annotava «La Gazzetta» era «stato notato non soltanto dai dirigenti della manifestazione, ma dalla stragrande maggioranza dei cittadini che hanno assistito alla imponente manifestazione di cordoglio e di lutto» [=Un’assenza notata, 5 luglio 1947]. Significativa poi appare la scelta di compiere alcuni gesti simbolici nei luoghi della tradizione massonico-risorgimentale: così nella via intitolata a Garibaldi, le popolane comuniste accolsero il corteo con mazzi di garofani rossi. Il grande fascio di fiori venne posto sul feretro e le donne che lo avevano donato seguirono la bara fino a S. Marco: qui nella piazza XI Maggio che evoca la resistenza risorgimentale il corteo si scioglieva, non prima di aver ascoltato le parole del sindaco comunista Furio Diaz il quale mise in guardia i cittadini rispetto ai «pericoli della mostruosa attività di elementi reazionari, avvisando la necessità di proteggere con ogni sforzo la libertà, la repubblica e la democrazia» [Sessantamila persone, 5 luglio 1947].

Articolo pubblicato nell’aprile del 2018.