La Toscana è antifascista e antinazista: torniamo dove è nata la nostra Costituzione.

La Regione Toscana ha redatto un libro dal titolo “Partigiani della memoria” che è un invito alla memoria rivolto ai giovani. Esso raccoglie post di Facebook pubblicati nell’anniversario di ciascuna delle stragi nazifasciste avvenute in Toscana fra il ’43 e il ’45. Gli episodi censiti dall’ Atlante delle stragi nazifasciste e fasciste in Italia avvenuti in Toscana sono 822  e hanno causato perlomeno 4457 vittime. Ma è stato scelto di raccontarne, 61 per rappresentare tutto il territorio regionale. Lo scopo è legato a rendere vivo e familiare ciò che per varie ragioni e inquietanti  interrogativi la nostra società e la nostra epoca tendono ad affievolire o a deformare: la memoria del passato. Infatti, se ci guardiamo intorno, se consideriamo il tempo in cui stiamo vivendo, non possiamo non scorgere numerosi segnali minacciosi e preoccupanti.  Assistiamo quasi quotidianamente al riemergere in tutto il mondo di fenomeni che richiamano vicende che speravamo sepolte per sempre, il risorgere di preoccupanti estremismi anche nel cuore dell’Europa dove sono tornate le discriminazioni l’antisemitismo, l’odio razziale. Per questo bisogna portare i giovani a diventare “partigiani della memoria” come dice Vera Vigevani, perché solo la conoscenza storica ci consente di ritrovare il senso delle stragi che investirono le nostre comunità, perché le vittime dei nazifascisti non riguardano solo quei luoghi e quel tempo ma ancora tutti noi, in periodi come quello attuale in cui di nuovo sentiamo inneggiare pubblicamente al ventennio fascista, celebrare il Duce a Predappio, fare il saluto romano nelle piazze, dichiararsi “francamente razzisti” e in cui, per giunta, certi discorsi sono fomentati anche da rappresentanti delle istituzioni che soffiano sul fuoco dell’incertezza, che usano la ricetta già nota di dare la colpa ad un nemico esterno, al diverso, all’Europa, che diventano il male da combattere. Per monitorare i comportamenti e le affermazioni che possono configurare l’apologia di fascismo o la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi la Regione Toscana ha creato l’osservatorio in collaborazione con ANPI, ARCI, ANED, ISRT. Proprio per raggiungere i giovani, è stato indagato l’universo dei social, particolarmente permeabile al linguaggio dell’odio e delle fake news. Ed è proprio per utilizzare il linguaggio dei giovani, che il libro “partigiani della memoria” raccoglie i post di Facebook, per fare un buon uso di questo nuovo canale di informazione.




Toscana (unica regione in Italia) e Yad Vashem: Un protocollo per la Memoria

Una miglior conoscenza della storia della Shoah in Italia e in Europa con l’obiettivo “di promuovere una cultura basata sul rispetto reciproco che aiuti a prevenire e decostruire ogni forma di discriminazione, antisemitismo, razzismo, pregiudizio e xenofobia, lavorando insieme per difendere i diritti inviolabili delle persone e comunità”: queste le finalità del protocollo. E inoltre un impegno di valorizzazione e diffusione di una cultura di “pace, solidarietà, partecipazione attiva e democratica, giustizia sociale e dialogo, rispetto e tutela delle diversità culturali, sviluppo di capacità di risoluzione dei conflitti”, questi gli obiettivi del protocollo siglato negli scorsi giorni allo Yad Vashem tra il Memoriale della Shoah di Gerusalemme, l’Università degli studi di Firenze e l’Ufficio scolastico Regionale per la Toscana. Presente in sala anche Stefano Ventura, nuovo addetto scientifico dell’ambasciata italiana in Israele.
È stato inoltre creato, per desiderio del MIUR, un ristretto gruppo di ricerca, presieduto dalla professoressa Guetta e comprendente 5 o 6 docenti toscani, che hanno avuto esperienze di formazione presso Yad Vashem. L’obiettivo di tale team è di lavorare sulle linee guida della didattica della Shoah, redatte con decreto del MIUR n.  939 del 2017, chiedendosi che cosa significa studiare la Shoah oggi, in una realtà sconvolta ancora da tanti mali e atroci conflitti, atti di terrorismo pericolose e dolorose migrazioni. “Perché”,  “cosa”,  “come”  insegnare:  sono  questi  gli  interrogativi  che  si  pone il pool di docenti;  sono  queste  le  questioni  più  rilevanti  affrontate  in  ricerche, studi,  e  pubblicazioni. Senza alcuna pretesa di esaustività, il gruppo di ricerca toscano, intende proporre considerazioni e fornire informazioni e suggerimenti operativi per trattare un argomento che si è rivelato centrale per capire nonn solo il nostro passato di 80 anni fa,ma anche l’epoca recente in cui emergono sempre più prepotenti rigurgiti di xenofobia, tendenze anti popolo Romanì, antisemitismo, razzismo in generale. E’ solo dalla educazione che si può iniziare a combatterle.




Corrado Mascagni, un soldato toscano nella Grande Guerra

Corrado Mascagni era nato a Rosignano Marittimo il 9 aprile 1898. Nel piccolo paese toscano in cui viveva con la famiglia, nel marzo del 1917 gli giunse la chiamata dell’esercito. Nell’anno più terribile della Grande guerra europea, a diciannove anni ancora da compiere, fu costretto a partire per Savona dove fu assegnato alla compagnia distaccata nella vicina località di Finalborgo. Mascagni aveva completato la sesta elementare e sviluppato una passione per la lettura che lo porterà per tutta la vita a collezionare libri dei generi più vari. Ciò gli garantì una certa padronanza di linguaggio, e qualche strumento critico, che gli fu utile per orientarsi nell’esperienza dolorosa della guerra e nella successiva rielaborazione di quel tremendo ricordo.

Come molto giovani della sua generazione, uscita falcidiata da quella grande carneficina, non poté sottrarsi al bisogno incessante di uomini della macchina bellica. Trasferito per un periodo di addestramento in un campo a Dego, piccolo Comune sul Bormida, il 24 luglio partì in direzione del fronte. Giunto in zona di guerra e aggregato all’85° reggimento fanteria di marcia ad Aquileia, finita l’offensiva di agosto passò al primo battaglione del 118° reggimento che faceva parte della brigata Padova. Dopo la partecipazione a qualche scontro sul fronte visse in prima persona il drammatico evento della “rotta” di Caporetto.

L’esperienza traumatica della guerra e di quella tragica ritirata segnarono profondamente il suo immaginario e la sua identità personale. Nel 1966 volle non a caso compiere un viaggio sui luoghi di quegli eventi, scattando fotografie accompagnate da precise annotazioni che ne rivelano la ragguardevole capacità di ricordare quel lontano passato. Giusto alcuni mesi prima aveva sentito del resto il bisogno di ordinare tutti quei densi ricordi in un puntuale manoscritto a cui diede il termine, improprio, di “Diario”. Non si tratta infatti di una narrazione stesa in tempo reale ma redatta a significativa distanza dagli eventi vissuti. Più che di diario di guerra in senso stretto il suo inedito testo è un tipico esemplare di memoria proveniente dalla voce di un testimone diretto.

In un momento di grande interesse per le scritture popolari come fonti storiche, e in coincidenza con il centenario della fine di quel terribile avvenimento che ha segnato in profondità la storia e la memoria dell’Europa, l’Istoreco di Livorno, grazie al sostegno della Provincia e del Comune natale di Mascagni, ha deciso di promuovere la pubblicazione critica e commentata di quel manoscritto conservato per anni dal nipote Andrea.

caporetto-modi-di-direFra i fattori che hanno consigliato la stampa e che costituiscono uno dei principali elementi di legittimazione di questo testo memorialistico vi sono l’interesse e il rilievo dei fatti narrati, l’affidabilità dei ricordi attestati dalla precisione, facilmente riscontrabile, con cui l’autore ricorda ed espone con essenzialità antiretorica molti dettagli.

Al pari di tanti altri che ci hanno lasciato volontaria o involontaria testimonianza dell’evento epocale a cui la giovane recluta di Rosignano fu chiamata suo malgrado ad assistere, il manoscritto ci dice qualcosa di piuttosto consueto. Vi riecheggiano i temi di tanta scrittura popolare di guerra: la nostalgia di casa, la convivenza quasi quotidiana con i disagi della fame o con il tormento dei pidocchi, il costante rumore degli spari o delle esplosioni in sottofondo, l’assillante ripetitività delle mansioni militari, il senso macerante dell’attesa, le angherie di molti superiori, gli eroismi o la viltà dei singoli. Anche nelle molte pagine dedicate alla rotta di Caporetto i dettagli e gli episodi riportati (dai violenti saccheggi all’abbandono dei feriti e dei più deboli al loro destino, dal panico diffuso per l’incalzare degli austriaci alla ricerca angosciosa del cibo) coincidono con la narrazione di altri memorialisti del drammatico evento.

Ma allo stesso tempo con la sua soggettività, differente da quella di tutti gli altri, Mascagni ci comunica cose assolutamente personali che afferiscono alla sua esperienza. Pur nelle maglie spersonalizzanti della macchina bellica, nelle sue regole ferree e spietate, resta lo spazio per l’emergere dei suoi sentimenti, dei suoi stati d’animo, ma anche di sue autonome iniziative. Se affiora nelle pagine un profondo senso di lealtà, che lo porta a svolgere con coscienziosa dedizione ogni compito militare assegnatogli, nei momenti più drammatici l’etica che alimenta questo stesso sentimento, non privo talora di sfumature e risvolti di senso comune patriottico, lascia spazio a un più ampio e universale umanesimo, a un moto di pietà quasi cristiana. In quei frangenti sembrano allora assottigliarsi, fino quasi a scomparire, le feroci contrapposizioni alimentate dagli odi nazionali, come nel caso dell’atteggiamento di profonda pena provato alla vista della massa sbandata dei prigionieri austro-ungarici dopo l’armistizio; o ancora si aprono nel fluire neutro e realistico della narrazione, come squarci improvvisi e illuminanti, prese di posizione, subito riassorbite dai doveri pratici dettati dalle esigenze richieste dell’ingranaggio bellico, sull’assurdità e l’insensatezza della guerra. Posto di fronte all’estremo, all’esperienza cioè della scoperta della morte, il senso dell’umana solidarietà pare insopprimibile a ogni imposizione ideologica o disciplinare.

Il primo incontro con un cadavere è così un’esperienza sensorialmente forte che arriva attraverso la propria mano «intrisa di sangue» ritratta di scatto dalla «faccia sfracellata» di un «povero disgraziato», il cui corpo giace nella cavità di un piccolo riparo di fortuna in cui Mascagni ha cercato di trovare invano momentaneo riposo; un’amara sorpresa che lo spinge ad annotare quanto «Questa veramente fu la prima impressione che mi rimase per valutare a pieno quali e quante siano le brutture della guerra». Non si può poi trattenere lo sgomento nell’essere obbligati dai comandi ad assistere alla fucilazione di un giovane caporal maggiore, attraverso la cui straziante vicenda si fa «una conoscenza diretta […] di ciò che è la legge iniqua della guerra». Si tratta solo delle prime di una serie di vittime che lastricheranno tutto il prosieguo della narrazione, dove non di rado si muore in maniera assolutamente antieroica per accadimenti fortuiti o per decisioni spietate; del resto di fronte all’impressionante racconto della scelta di far saltare un ponte «ancora brulicante di soldati» per l’incalzante arrivo degli austriaci durante la rotta del 1917, con popolaresca saggezza Mascagni annota: «la guerra non ha legge che perdona».

Non essendo le motivazioni della stesura del testo, diversamente dai suoi tempi («Riscritto dopo 44 anni»), chiaramente esplicitate, si può supporre che proprio la percezione delle implicazioni morali delle vicende vissute che affiora da questi episodi abbia fatto da notevole impulso al bisogno di raccontarle confidandole alle pagine di un quaderno.

Se il contesto d’ambiente iniziale della cronistoria fatta da Mascagni è quello, comune ad ogni coscritto, delle immediate retrovie del fronte e della linea di trincea, grande spazio è riservato alla lunga marcia imposta dalla ritirata, che segna buona parte della vicenda militare di Mascagni arrivato in zona di guerra poche settimane prima dell’evento spartiacque di Caporetto. Le vicende dell’arretramento del fronte e del suo consolidamento si saldano nell’anno seguente con quelle che portano alla controffensiva finale e all’armistizio del 4 novembre. La memoria si chiude a dopoguerra inoltrato, spingendosi fino agli inizi del 1920, momento del definitivo congedo.

1wwL’incipit narrativo non manca di un’involontaria efficacia letteraria, conducendoci senza preamboli direttamente dentro il clima della guerra e delle retrovie del fronte, quasi a trasmettere il senso di impreparazione e il modo improvviso con cui il giovane narratore fu gettato dalla provincia toscana in un evento più grande di lui. La scrittura procede con il succedersi degli avvenimenti, in cui la parte del leone la fa, sia nell’economia del testo che nello sconvolgimento emotivo che produce suoi protagonisti, il dramma della disfatta di Caporetto. Una tragedia che rompe l’equilibrio e la monotonia della vita al fronte e che imprime d’un tratto un maggiore dinamismo, specchio della concitazione del momento, alla stessa narrazione; in soli cinque giorni, in una marcia a tappe forzate e quasi senza soste, Mascagni e i suoi compagni di sventura coprirono del resto ben 155 chilometri di territorio. Ma la loro discesa agli inferi impose anche un’accelerazione macroscopica ad alcune delle logiche più dure della guerra e alla sua carica di violenza. Alla violenza primordiale innescata dall’istinto di sopravvivenza, alle fatiche delle marce quotidiane, all’ossessionante ricerca di cibo, alla decimazione dei reparti e delle compagnie e ai morti e ai feriti lasciati al loro destino. Se l’epopea di Caporetto in cui Mascagni è pienamente coinvolto è familiare a tutti, è invece meno noto il contesto in cui si svolse l’epilogo della sua vicenda. La sua guerra finì infatti ben oltre il termine armistiziale del conflitto, impegnato come molti altri mobilitati a partecipare al processo di normalizzazione delle aree a ridosso del fronte. Nella parte conclusiva del manoscritto lo troviamo così coinvolto nella faticosa opera di costruzione di cimiteri di guerra chiamati a dare sepoltura alla gran quantità di morti insepolti o sotterrati alla meglio fra le trincee; cimiteri militari edificati tuttavia anche per dare risposta a uno dei maggiori problemi di ordine culturale lasciati in eredità dall’immane disastro della prima guerra mondiale, quello dell’elaborazione di un lutto di portata spaventosa e di un conseguente sentimento di perdita senza precedenti.

Partecipa inoltre al controllo e al “governo” di un altro grande dramma, quello della smisurata quantità di persone fatte prigioniere, persone che nel suo piccolo è chiamato a gestire con l’affidamento di incarichi di responsabilità, e con cui intesse rapporti di sincera amicizia, trovando persino in un giovanissimo orfano mussulmano di origini bosniache un valido assistente trattato con atteggiamento quasi paterno. Un rapporto personale di cui ci è rimasta una bella fotografia, qui a fianco riprodotta, che Mascagni volle “regalare” a quell’ex nemico, divenuto in poche settimane suo fedele alleato, durante un’uscita a metà fra lavoro e svago a Bassano del Grappa. Tornati al campo di prigionia, la fotografia incontrò talmente l’entusiasmo di altri prigionieri che Mascagni ne fece stampare sessanta copie perché fra le tende in cui cechi, slovacchi, serbi, austriaci, ungheresi e tedeschi, dalmati, rumeni, bulgari venivano ospitati alla meglio molti la avessero come ricordo. Una concessione quasi frivola, dopo tante tragedie e tanta spaventosa serietà, che rivelava tuttavia una carica di grande umanità e a conti fatti il sentimento di estraneità verso la guerra di tanti semplici commilitoni dei vari fronti in lotta. L’ubriacatura nazionalistica non era finita, pronta a riesplodere solo meno di vent’anni dopo, ma per il comune milite di Rosignano quella stagione si era definitivamente chiusa in quel campo di tende freddo e desolato, sorto per caso, in un angolo sperduto di un’Europa devastata.

Articolo pubblicato nel dicembre del 2018.




Il cavallino di carta pressata. Ricordi della guerra di un bambino di 5 anni e mezzo.

Il 29 dicembre arrivò la notizia che a Poggibonsi alcune persone (dicevano i Livornesi, scappati dalla loro città a causa delle incursioni aeree americane) entrano nelle case e nelle botteghe per rubare.

Via Trento

Via Trento

Il mio babbo decise di tornare a Poggibonsi soprattutto per verificare se la bottega era chiusa bene…. Il mio babbo e la mia mamma stavano per partire, non volevano portarmi con loro, anche se non c’era sentore di bombardamenti. Io insistetti, piangendo a dirotto, perchè  volevo prendere l’unico balocco che avevo: un cavallino di carta-pressata con le ruotine ed anche alcuni aranci e cavallucci attaccati a un alberello secco che rappresentava il mio primo albero di Natale. I miei si incamminarono, lasciandomi nell’aia; senza inizialmente farmi notare, li seguii giù per la discesa, giunto in fondo mi misi a strillare, non so se dalla paura o dalla voglia di seguire i miei genitori, fatto sta che alla fine il babbo preso dalla commozione disse: “Giù, gnamo, si starà a vede’”. Via verso Poggibonsi. Arrivati in paese si andò in Piazza del Comune a verificare la bottega: tutto bene. … Poi si andò andò a casa, in Via Grandi in fondo a Gallurì. Arrivati a casa, ricordo bene, per prima cosa misi nella tasca di una pastrano (cappotto) rigirato e che mi arrivava ai piedi il mio cavallino. Mentre si stava per cominciare a mangiare qualcosa portata da Linari, si sentì il rombo degli aerei, breve conciliabolo del mio babbo con la mia mamma e via verso il sottoscala; io alla svelta presi e misi in tasca qualche mandarino e due o tre cavallucci. Appena arrivati al sottoscala o forse un pochino prima, insieme al sibilo della sirena d’allarme venne giù l’inferno: boati, scoppi, polvere, fumo. grida. Per un tempo che non so quantificare, tutti fermi e stretti, poi il mio babbo uscì, chiamandoci “E’ passata!” La mia mamma aggiunse “Bisogna andare via subito!” Il mio babbo affermò (ripeto, le parole che riporto sono solo parzialmente da me ricordate, ma rammentate nel racconto di mio babbo; i miei ricordi sono lampi di memoria ma anche, per le scene più dure, sensazioni impresse nella mente in maniera emotiva ma indelebile): “Senza furia, tanto almeno per oggi non c’è pericolo, hanno di già bombardato e poi una vol­ta basta che volete chi ci sia d’importante a Poggibonsi!” Il mio babbo esclamò : “Prima di ritornare a Linari sarebbe il caso di andare a vedere se la bottega è ritta e poi c’è Maria (sua sorella) alla Staggia (a lavare)”. Appena fatti pochi metri ci si accorse che Poggibonsi aveva subito un bombardamento immane. Gente che correva, polvere e fumo, la Via Montorsoli, per arrivare il Piazza del Comune dov’era la bottega, era interrotta all’altezza di Piazza del Teatro che bruciava in un mucchio di macerie, con un fumo acre e denso (era dovuto all’incendio degli scenari, della tappezzeria, dei costumi, del­le pellicole cinematografiche); a me misero un fazzoletto davanti alla bocca per ripararmi dalla polvere, ma l’aria faticava ad arrivare ai bronchi ed ai polmoni.

via suali

Via Suali

Si passò da Via Maestra, ingombrata dalle macerie, poi in Piazza del Comune dove tutto era quasi intatto, anche la bottega; passavano persone con feriti portati sopra le porte o gli scuri­ni delle finestre, che fungevano da lettiga.  Chi correva di qua chi di là, apparentemente senza una meta. La mia zia non era rientrata a casa, in fondo a Via della Rocca, allora il mio babbo decise di andarle incontro. Non si poteva passare tra la Chiesa di sotto ed i Fossi, si tornò un po’ più giù verso l’attuale Coop. In un pezzo di muro rimasto in piedi una visione tremenda: una testa di un cavallo con vicino mezza ruota, attaccati a un brandello di muro rimasto ritto (dopo si seppe che era ciò che restava di Riccardo Barucci, del suo calesse e del suo cavallo, colpiti in pieno da una bomba). Appena arrivati in quella che era la Piazza dell’attuale stazione (nei Fossi) ecco che appare (nonostante l’invito di mia mamma a non guardare) una visione ancora più allucinante: tutto distrutto, morti, persone ferite, pezzi di persone grondanti  sangue sparpagliati tra le macerie e in fondo alle buche  provocate dalle bombe, muri e travi scarnificati.

Due particolari che non sono lampi di memoria ma ricordi chiarissimi. Arrivati a un certo punto, in fondo a una buca c’era un uomo che pareva  vivo, con gli occhi spalancati, immobile. Esclama il mio babbo: “Guarda o che è Lucone![1]” poi lo chiamò: “Lucone o Lu­cone!” Nessuna risposta. “Vieni su, t’aiuto!” gli disse tirandolo per un braccio, ma il braccio si staccò dal corpo, senza sangue! Lo spostamento d’aria lo aveva come smembrato. La mamma mi coprì gli occhi, ma ormai tutto era fissato nella mia mente di bambino come in una indelebile pellicola.

Ci si spostò di lato e arrivati in un posto per me irriconoscibile (poi ho saputo che era ciò che restava del Tondino, così era chiamato un particolare agglomerato di case, sempre nei Fossi) un cagnolino bianco si avvicinò abbaiando insistentemente, il mio babbo lo scacciò, il cagnolino non solo insistette ma lo tirò per i pantaloni, allora si decise a seguirlo, si svoltò dietro un muro sbrecciato, ecco attaccati ad una parete per lo spostamento d’aria, un nonno e un bambino, color cioccolata. “Non guardare” urlò mia mamma. Io non riuscii nemmeno a piangere! Ecco che arrivò la mia zia con la paniera dei panni. Poi, forse perchè pieno di alte emozioni, la mia memoria si è persa… Si arrivò a Linari quando era sempre giorno.

Appena arrivato,  nella mia puerile incoscienza, la prima cosa che feci, fu quella di prendere il mio cavallino di cartapressata e nasconderlo nel tronco vuoto di un vecchio olivo, subito lo coprii con della terra, per nasconderlo da viste indiscrete. Pensai “E se lo met­tessi in una buca? Meglio lasciarlo nell’ulivo così non s’ammolla se piove”  Ebbi ragione, alla fine dello sfollamento lo ripresi sano e salvo come ce lo avevo messo.

Cronologia essenziale

Stazione ferroviaria

Stazione ferroviaria

29 dicembre 1943 – Ore 12,30: il tremendo bombardamento che causa decine di morti e la distruzione di un’ampia zona del centro di Poggibonsi. L’azione è compiuta da 36 bimotori B-26 Marauders, sganciano 104 bombe da 500 libre, erano le ore 13,06.

1944 – I bombardamenti si susseguono, le incursioni saranno decine, alla fine della guerra oltre il 70% di Poggibonsi risulta distrutto (abitazioni, fabbriche, infrastrutture, viabilità stradale e ferroviaria). Questo il riepilogo degli attacchi nel territorio di Poggibonsi (da Franco Del Zanna cfr. nota 2) :

Missioni con aerei bombardieri n. 53, Aerei impiegati n.808, Bombe n. 4.351 per un totale di Tonnellate 1.236

14-18 luglio 1944 – Liberazione di Poggibonsi

[1]          Era il soprannome di un suo biscugino, custode del  mattatoio

Articolo pubblicato nel dicembre del 2018.




75° Anniversario della battaglia di Valibona

3 gennaio 2019  – dalle ore 10
@ piazza Vittorio Veneto e Valibona (Calenzano)

75° commemorazione
della Battaglia di Valibona del 3 gennaio 1944

ore 10 a Calenzano – Cimitero Comunale:
omaggio alla memoria di Vladimiro

ore 10.30 a Calenzano – Piazza Vittorio Veneto:
deposizione della corona in memoria ai caduti;
omaggio alla memoria del Maresciallo dei Carabinieri Alfredo Pierantozzi

ore 12 a Valibona – Memoriale:
commemorazione della battaglia e di Lanciotto Ballerini




74° Anniversario della partenza dei volontari sangimignanesi

Domenica 6 gennaio 2019, ci ritroviamo per ricordare l’anniversario della partenza dei Volontari sangimignanesi nei “Gruppi di Combattimento e di Marina” del Nuovo Esercito Italiano.

Come di consueto, la celebrazione sarà l’occasione per inaugurare le attività della sezione Anpi di San Gimignano per il nuovo Anno, compresa l’apertura delle iscrizioni 2019.

Programma:
11:45 – celebrazione nella Sala del Consiglio Comunale di San Gimignano, presso Piazza Duomo, 2 con breve saluto del Sindaco Giacomo Bassi;
13:00 – incontro conviviale con iscritti e amici presso Ristorante La Mandragola in via Diacceto 26 (€ 20,00 a persona)

Coloro che desidereranno partecipare sono pregati di dare risposta entro e non oltre il 4 gennaio 2019 telefonando a Simone (347.5501552), a Igor (340.5929471) o a Leonardo (328.6841639), tutti i giorni dalle 13.30 alle 20.30; inviando una mail all’indirizzo anpi.sangimignano@gmail.com oppure con messaggio privato su Facebook (Pagina pubblica: 1000 Papaveri Rossi – ANPI San Gimignano).




La Battaglia di Valibona _ inizio dell’anno con passo partigiano

Giovedì 3 gennaio dalle ore 8.30 il nuovo anno ricomincia sui “Sentieri partigiani” e sugli itinerari della Memoria e della Resistenza, nel giorno della ricorrenza dalla battaglia di Valibona, uno dei primi conflitti armati documentati fra partigiani e nazi-fascisti nel centro-Italia.

Sulle tracce dell’epitaffio di Calamandrei vogliamo andare ‘nei luoghi dove è nata la Costituzione’ per commemorare i fatti e le persone che hanno portato alla Liberazione dalla dittatura nazi-fascista, ma anche per condividere insieme riflessioni ed esperienze verso un cammino futuro.

ANPI Prato insieme alle altre sezioni del territorio vuole ricordare l’azione e il sacrificio di Lanciotto Ballerini – originario di Campi Bisenzio – e degli altri partigiani del gruppo ‘Lupi Neri’, richiamati proprio nei giorni delle festività natalizie a raggiungere i compagni sui monti fiorentini, e attaccati in un agguato in uno dei più antichi valichi tra Mugello e pianura pratese da diverse centinaia di repubblichini fascisti provenienti prevalentemente dal pratese, agli ordini del battaglione Muti.

I percorsi alternano la mulattiera al sentiero boschivo e sono interessanti dal punto di vista storico, paesaggistico e naturalistico.

*****

La partecipazione alle camminate è GRATUITA
previa ISCRIZIONE obbligatoria,
anche per tenersi in contatto in caso di variazioni dei programmi o di condizioni meteo proibitive.
Gli spostamenti da e per il luogo di inizio dell’itinerario sono a cura dei partecipanti.

>>> PERCORSO INTERO
_RITROVO ore 8.30 in p.zza del Mercato Nuovo.
Partenza a piedi dalla zona di Canneto.
_DURATA di 5 ore circa con pranzo a sacco.

>>> PERCORSO BREVE
_ RITROVO ore 9.30 in p.zzale Falcone e Borsellino (tribunale di Prato).
Partenza a piedi dal passo delle Croci di Calenzano.
_DURATA di 2 ore circa (eventuale pranzo a sacco).

Si consiglia di indossare SCARPE da TREKKING o con suola molto scolpita,
giubbotto IMPERMEABILE o k-way;
sufficiente scorta d’ACQUA(1,5lt a testa);
VIVANDE per pranzo e spuntino a sacco.

Invitiamo a seguire sulla pagina del gruppo
( Sentieri Partigiani)
o a contattarci per dettagli e conferme
(SPECIFICARE cortesemente se percorso INTERO o BREVE):
federazioneanpiprato@gmail.com




75° Anniversario dei bombardamenti su Poggibonsi

29 Dicembre 2018, Comune e ANPI di Poggibonsi vi invitano alla cerimonia per il 75° anniversario del bombardamento aereo della città.

Programma

ore 10:45 – Ritrovo in Piazza Cavour ore 10:45 – Ritrovo in Piazza Cavour

ore 11:00 – Deposizione della corona d’alloro presso l’ex Fabbrichina Via Trento ore 11:00 – Deposizione della corona d’alloro presso l’ex Fabbrichina Via Trento.

ore 11:30 – Deposizione della corona d’alloro presso il cippo di Piazza Mazzini ore 11:30 – Deposizione della corona d’alloro presso il cippo di Piazza Mazzini.

LA CITTA’RICORDA

Alle ore 11.00 sarà suonato l’allarme antiaereo per commemorare le vittime del bombardamento su Poggibonsi.

Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare

Info: www.comune.poggibonsi.si.it – URP: 0577 – 986203