PRESENTAZIONE DI DUE LIBRI @ Fondazione Biblioteche Cassa di Risparmio di Firenze

8 febbraio 2019 – dalle ore 17
@ Fondazione Biblioteche Cassa di Risparmio di Firenze – via Maurizio Bufalini 6

 

Presentazione dei libri

L’eredità di Ernesto Rossi. Il fondo della biblioteca Paolo Baffi, a cura di Simonetta Schioppa e Silvia Mastrantonio
La strana biblioteca di uno strano economista. Viaggio fra i libri di Ernesto Rossi, di Massimo Omiccioli

PROGRAMMA COMPLETO IN ALLEGATO




MOSTRA FOTOGRAFICA: Il cielo cade ancora?

1 febbraio 2019 – dalle ore 17
@ Saletta 2 giugno, Certaldo

Inaugurazione della mostra fotografica
IL CIELO CADE ANCORA?

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Primo Levi e l’arte

La più importante opera di Primo Levi non è quella legata alla letteratura bensì quella legata all’arte” sostiene il professor Paolo Coen della Università di Teramo.

Comunque, si dice che non sono molte le citazioni di opere d’arte nelle opere di Levi, né che lo scrittore sembri troppo attratto dal mondo artistico; tuttavia due cose smentiscono tale affermazione: 1) a un certo punto, per passatempo – Levi ha sempre lavorato con le mani, aggiustando ad esempio i giocattoli dei figli – ha cominciato a costruire con i fili di rame ricoperti di vernice, provenienti dalla Siva, l’azienda chimica per cui lavorava, degli animali – una farfalla, un gufo, un coccodrillo – che poi regalava agli amici o teneva in casa. Questo passatempo, nella raffigurazione della farfalla, può presentare analogia con la raccolta L’angelica farfalla (1966) di straordinaria elevatezza e, al tempo stesso, profondità.

Il tema che sta alla base di questa raccolta è quello della «permutazione delle specie e delle forme» L’«angelica farfalla» è una citazione da Dante: «O superbi cristiani, miseri lassi, / che, della vista de la mente infermi, / fidanza avete ne’ ritrosi passi, / non v’accorgete che noi siam vermi, / usati a formar l’angelica farfalla, / che vola a la giustizia sanza schermi?». Siamo in Purgatorio X, 121-26, nella cornice in cui i superbi purgano il loro peccato per ascendere al premio eterno. Ora su questa possibile duplicità si costruisce la raccolta di racconti di cui stiamo parlando: si può andare verso il basso o verso l’alto, a seconda della scelta che si è fatta. E l’umano e il bestiale, in questo accidentato percorso, si corrispondono e talvolta si fondono, creando ircocervi difficilmente distinguibili.

paolo-coen-arte-e-musei-della-shoah-per-imt-alti-studi-lucca-1-638il gufo è il mio autoritratto” diceva scherzosamente Levi. E in effetti con quegli occhiali enormi, i capelli un po’ a punta e la barbetta, nell’ultimo periodo della sua vita, Levi un po’ assomigliava a un gufo. Doveva trovarlo divertente, visto che i gufi ricorrono spesso nella sua opera. Andando a cercare immagini per il lavoro su Una stella tranquilla se ne trovano diversi, a partire da quelli che Levi disegnava al computer. Levi si paragona a un gufo anche quando racconta del periodo in cui scrisse Se questo è un uomo. Era il 1946 e Levi lavorava ad Avigliana, un po’ fuori Torino, in una fabbrica di vernici. Scrisse il libro in treno, nelle pause dal lavoro e soprattutto di notte, nella foresteria della fabbrica, dove il suo ticchettare alla macchina da scrivere veniva considerato parecchio strano dai colleghi. «Ero il gufo notturno che batteva alla macchina da scrivere», disse Levi. E per un bel po’ di tempo la sua scrittura sarebbe rimasta così, un’attività notturna (o almeno serale), a cui si dedicava dopo il lavoro, dopo che aveva “cambiato pelle”, passando da chimico a scrittore. Ma il gufo più importante e è un altro, è una specie di maschera.

Appartiene a una serie di “sculture” che Levi fabbricava con il filo di rame. Questo era la materia prima del suo lavoro di chimico: il filo di rame, infatti, è un conduttore elettrico, ma per essere usato deve prima essere trattato con una vernice isolante, quella che appunto si produceva alla Siva, la fabbrica in cui lavorava Levi. Più o meno come succede in molti suoi racconti, anche qui la materia prima è fornita dal lavoro di chimico e dalle esperienze vissute in quella veste per poi trasformarsi in arte, in libri o, in questo caso, in strani manufatti.

C’é una foto in cui Levi “indossa” la maschera da gufo che è diventata piuttosto simbolica. Così pare acquisire valore allegorico, un buon modo per rappresentare la complessità della figura di Primo Levi, e in particolare la differenza tra il Levi pubblico e il Levi privato, tra il Levi a cui abbiamo accesso noi tramite i suoi libri e quello che invece rimane intimo e nascosto. Nel 1986, Mario Monge, suo concittadino, l’ha fotografato mentre «indossa» una di questi animali di fronte all’obiettivo, proprio un anno prima della morte.

Una di queste foto è diventata la copertina del saggio, di ben 700 pagine, Primo Levi. Di fronte e di profilo (Guanda) di Marco Belpoliti. Il libro presenta un titolo suggestivo che richiama le foto segnaletiche e in copertina ha una foto di Levi che mostra una maschera in filo di rame a forma di gufo. Belpoliti non nasconde la struttura che sostiene la sua opera ma anzi la ostenta, come l’architettura del Centre Pompidou a Parigi.

 Ma l’opera d’ arte più famosa di Levi è il Memoriale italiano  del Blocco 21 di Auschwitz1,

Progettato dallo Studio architetti: BBPR (Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Gian Luigi Banfi, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers) voluto dall’’A.N.E.D. del quale è tuttora proprietà. Inaugurato anni ’80 e arricchito di significato dagli affreschi di Mario Samonà, dai testi di Primo Levi, dalle musiche di Luigi Nono, con la regia di Nello Risi

Il gruppo degli architetti progettisti è lo stesso del Museo al Deportato  di Carpi, inaugurato nel 1973, una struttura frutto dell’impegno civile di artisti che furono anche testimoni degli avvenimenti che rappresentavano. Essi si sono avvalsi della collaborazione di  Renato Guttuso. Nel museo sono conservati suggestivi graffiti di alcuni grandi pittori come Picasso Longoni Léger, e ovviamente Guttuso che hanno commentato a loro modo la deportazione sulle pareti del museo.

 Il Memoriale 21, voluto realizzato all’interno della camerata in una baracca del campo, è dedicato ai deportati italiani nei Lager nazisti.

Originariamente il blocco 21 fu il reparto chirurgico, dove i deportati furono sottoposti a operazioni sommarie e raccapriccianti esperimenti. Poi quelle mura furono affidate all’Italia, perché vi allestisse il suo padiglione della memoria: Auschwitz, Blocco 21. Esso ha la forma di un tunnel di tela e armatura di metallo, sollevata da un impalcato e tesa attraverso i vuoti spazi della baracca.  Assume la forma di una ossessiva spirale a elica che avvolge il cammino del visitatore in un percorso unitario e ossessivo lungo ottanta metri che rappresenta e rievoca la spirale di violenza nella quale i deportati furono travolti. Attraversandola, come in un brutto sogno, si rivivono i momenti della disperazione, della presa di coscienza, della volontà di sopravvivenza e della vittoria sul male.

Mediante un’armatura lignea la spirale tende una banda continua di tela, sulla quale sono rappresentate le immagini del fascismo, dell’antifascismo, della Resistenza, della deportazione e dello sterminio, dipinte da Samonà e commentate dalle parole di Primo Levi.

Dilatata nelle tre dimensioni, scandita dalle viste alterne della baracca e dei dipinti, la spirale ricompone l’incubo doloroso, coniugando spazio architettonico e pittura per trovare una comunicazione immediata e universale.

Si tratta inoltre della prima opera d’arte vivente in cui i testimoni potevano mettersi a sedere.

E sono alcune di queste immagini, come ad esempio la falce e martello o il volto di Antonio Gramsci, elementi comunisti insopportabili nella Polonia post patto di Varsavia post Solidarnosc, tornata fortemente cattolica e nazionalista, che sono stata la prima fonte dello smantellamento del Blocco 21. A tanti anni di distanza, la vicenda ricorda Tilted Arc, il capolavoro di Richard Serra distrutto per ragioni politiche. Tilted Arc  era una controversa opera d’arte minimalista, creata sotto forma di istallazione pubblica da Richard Serra e collocata in Foley Federal Plaza in Manhattan dall’1981 al  1989. Essa era lunga 120 piedi e alta 12, con una superficie non finita ricoperta di acciaio COR-TEN. I critici ne contestarono la bruttezza, ritenendo che essa deturpasse quel sito della città. Dopo un acceso dibattito pubblico, la scultura fu rimossas per volere della corte federale e non è stata mai più esposta.

Distrutto, in qualche senso lo è anche il blocco 21, perché spostare un’opera d’arte dal suo contesto originale, dal contesto di Primo Levi, significa appunto sottrarne ogni alito di vita e, insieme, ogni possibilità di lettura.

Gli elementi rappresentati facevano parte di un tutt’uno storico dall’ omicidio Matteotti alla Shoah.

image003Il blocco 21 è un’opera site specific, che non potrebbe né dovrebbe avere una collocazione in un altro luogo. Invece è stata sbarrata. Dal 2011, una porta chiusa, anche nel giorno del settantesimo anniversario della Shoah, sbarrata anche per gli storici e gli studiosi, impedisce di vedere “il «Memoriale ai deportati caduti nei campi di sterminio nazisti”. La parte italiana è stata chiusa d’ imperio con una decisione unilaterale dalla direzione del museo, per divergenze, per così dire, di filosofia: ritengono che un’opera di quel tipo – artistica e figlia del tempo – gli anni Settanta – in cui è stata concepita, non sia compatibile con l’approccio didascalico che hanno inteso dare al museo. Dopo il crollo del Muro, infatti, alcuni dei padiglioni di Auschwitz, affidati alle varie nazioni, iniziano ad essere ripensati, anche in base a nuove prospettive storiografiche. In Italia, qualcosa si muove a fine 2007, quando il governo Prodi stanzia 900 mila euro per il restauro del Blocco 21 mentre gli intellettuali si interrogano se il Memoriale sia o non sia troppo figlio degli anni Settanta, se puntando di più sull’antifascismo non finisca per trascurare la Shoah. L’A.N.E.D. lo difende. Ma chiude il discorso il Museo di Auschwitz: l’arte non basta, serve un allestimento didattico. Un esempio, il padiglione francese, rinnovato nel 2005. Tra rinvii e ricorsi si arriva al 2011, quando il Museo chiude il Blocco dell’Italia, che rischia di essere sostituita da un altro Paese.

 «Davanti al pericolo di smantellamento, anche se non siamo d’accordo, abbiamo accettato di riportare il Memoriale in Italia», racconta Dario Venegoni, presidente dell’A.N.E.D. .

Fino all’annuncio che l’opera andrà a Firenze, in base alla Risposta all’interrogazione scritta presso il Senato n. 4-05184 Fascicolo n. 123.

Resta da capire cosa ne sarà del Blocco ancora chiuso. Firenze ha individuato la sede della sua nuova esposizione negli spazi di EX3, centro d’arte attualmente vuoto.

 Qui il Memoriale del blocco 31 troverà collocazione all’interno dell’EX3 proprio accanto a piazza Bartali, quasi a ricongiungere in questo progetto di memoria collettiva anche l’impegno del grande ciclista, riconosciuto “giusto tra le nazioni” da Yad Vashem. I

Il luogo non è di certo il massimo, perché a ricordare l’olocausto c’e’ solo il nome della Piazza. L’edificio, uno strano parallelepipedo grigio antracite, più adatto ad un hangar di aviazione che a un museo della memoria, è lo spazio Ex3 del quartiere Gavinana, area semiperiferica e non troppo valorizzata, piena di centri commerciali.

Non è dato sapersi come, nell’interno ancora vuoto, la spirale del fu Blocco 21 troverà collocazione, ma di certo la location è del tutto decontestualizzata e la migliore opera d’arte di Primo Levi non si meritava una fine così.

Contenti saranno forse gli studenti, costretti dai docenti a visitare questo luogo della memoria, che poi potranno pranzare al Mc Donald’s e fare un po’ di shopping, dimentichi di cultura, arte, passato e perciò anche del loro futuro. A meno che istituzioni ed enti culturali interessati riescano a costituire un ampio (lo spazio c’è) e strutturato centro di documentazione, didattica e ricerca, capace di dare contestualizzazione al nuovo museo del Blocco 21, restituendo, per quanto possibile fuori dal suo contesto, la forza del messaggio artistico e culturale di Levi, pur lontano dall’ambiente era stato pensato.

Articolo pubblicato nel gennaio del 2019.




Ci ha lasciato Silvano Sarti, il partigiano Pillo, dopo una vita di impegno per i valori dell’antifascismo

Si è spento questa notte, nella sua casa fiorentina. Il partigiano Silvano Sarti, nato a Scandicci nel 1925, è stato uno dei protagonisti della Resistenza e ha segnato la propria vita con un costante impegno per la difesa dei valori dell’antifascismo e l’attuazione della Costituzione, in particolare come presidente di Anpi provinciale di Firenze in questi ultimi anni. Questa spinta ha contraddistinto i suoi innumerevoli interventi nelle scuole e in piazza in una ferrea volontà di trasmissione della coscienza antifascista e della volontà all’impegno.

La camera ardente è stata allestita nella sala d’Arme di Palazzo Vecchio e sarà aperta dalle 16 alle 19 di oggi, venerdì 25 gennaio e dalle 9 alle 19 di domani, 26 gennaio. Domenica 27 alle 9.30 ci sarà una commemorazione pubblica.

Figlio di operai, nel 1940 Sarti fu assunto anche lui come operaio tagliatore al calzaturificio Rangoni di Firenze. Avvicinato da due esponenti del partito comunista, in clandestinità iniziò a svolgere attività di raccolta fondi da distribuire alle famiglie degli antifascisti arrestati. Nel 1944 si iscrisse al Pci e partecipò alla lotta di Liberazione nella Sap (le squadre di azione patriottica). Dopo la guerra, fu tra i primi a impegnarsi nella ricostruzione della Camera del lavoro Cgil di Firenze. Negli anni ’60, divenne segretario provinciale dei lavoratori del tessile e dell’abbigliamento e nel decennio successivo segretario nazionale dei calzaturieri della CGIL.




“Nel nome di Rosa”: una conferenza per ricordare Rosa Luxemburg a 100 anni dalla morte

Sabato 19 gennaio alle ore 17:30 presso la sala della Casa del Popolo di Lucca, la Società di Mutuo Soccorso Giuseppe Garibaldi ha organizzato la conferenza dal titolo “Nel nome di Rosa” , per ricordare la “compagna” Rosa Luxemburg a 100 anni dalla morte, o meglio, dell’assassinio per mano dei Freikorps, avvenuto il 15 Gennaio 1919 a Berlino, a seguito dalla fallita rivoluzione di quell’anno, alla quale aveva preso parte come fondatrice, insieme a Karl Liebknecht, della Lega di Spartaco.

Relatore è Massimo Cappitti, insegnante e saggista, curatore, tra l’altro, del volume “La rivoluzione russa” di Rosa Luxemburg (uscito postumo), edito dalla BFS, edizioni di Pisa, nel 2016. Coordina il presidente della Giuseppe Garibaldi, Armando Sestani.

Il tema centrale è il rapporto fra democrazia e rivoluzione e la Luxemburg, il cui vero obiettivo polemico è l’SPD, con grande lucidità, individua quale sarà il pervertimento della rivoluzione. Già nel 1905 ella aveva denunciato l’ultra centralismo bolscevico, che vedeva in continuità con lo spirito giacobino e, nel saggio succitato, denuncia il pericolo della burocratizzazione del partito, la cui avanguardia chiama le masse solo a ratificare decisioni già prese, rendendole così solo “masse di manovra”, che vengono portate ai congressi ad applaudire. Così viene meno la creatività delle masse, che invece sono il vero motore della rivoluzione. Non è il partito che deve guidare le masse, ma sono quest’ultime che devono indirizzare indirizzare il partito, altrimenti viene meno la creatività della Rivoluzione. “E’ compito storico del proletariato, quando arriva al potere, portare la democrazia socialista al posto della democrazia borghese, e non di abolire ogni democrazia”, scrive la Luxemburg. La rivoluzione non è solo il sovvertimento del tempo, ma una ridefinizione dell’umano, deve essere in grado di mettere in pista un potere del tutto alternativo, oppure non può vincere. Non ci può essere una rivoluzione infelice, perché essa è potenza di vita, incremento dell’essere. “Gli errori commessi da un movimento operaio veramente rivoluzionario sono, dal punto di vista storico, infinitamente più fecondi e preziosi dell’infallibilità del miglior comitato centrale”.

La conferenza si conclude con la domanda “perché occuparsi di Rivoluzione a distanza di 100 anni?”. Perché, come dice la Arendt “nel passato ci sono grumi di futuro” e la rivoluzione è un grumo incandescente, un qualcosa che può ancora generarsi.

E perché ricordare Rosa Luxemburg? Innanzi tutto perché nella sua città natale, Zamosc, attualmente in Polonia, hanno perfino tolto la targa sulla sua casa natale, ed è dunque necessario preservarne la memoria; poi perché, nonostante ella parli ad un soggetto storico che non esiste più, cioè la prima classe operaia, quella morta nelle trincee, Rosa “è un tesoro nascosto”.

Dunque “non piangiamo il suo cadavere, celebriamo la sua vita”.




La Giornata della Memoria a Montemurlo

Per la giornata della Memoria, a Montemurlo sarà inaugurata il 26 gennaio alle 15 la mostra “Carta d’identità’ di san Massimiliano Kolbe” ,che farà ripercorrere, attraverso un itinerario storico, sociale, spirituale e personale, i momenti più significativi della vita e della missione di san Massimiliano Maria Kolbe. Polacco ma residente a Montemurlo, si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al campo di concentramento di Auschwitz, e qui morì nel 1941.

La mostra è visitabile presso i locali della Pieve di San Giovanni Decollato.

Il 27 gennaio alle 16 presso la Pieve di San Giovanni Decollato sarà trasmesso il documentario “Luce ad Auschwitz”, dove lo scenografo Marian Kolodzej, sopravvissuto ai campi di sterminio, ripercorre la sua esperienza.




Presentazione del romanzo “Proletkult” dei Wu Ming

Venerdì 1° febbraio, alle 17.30, presso Lo spazio in Via dell’Ospizio, presentazione del romanzo storico “Proletkult” dei Wu Ming.

Il romanzo ripercorre le vicende politiche e ideologiche d Aksander Bogdanov, fondatore, già poche settimane dopo la Rivoluzione d’ottobre, della Proletkul’t, organizzazione nata con lo scopo di diffondere in URSS una vera cultura proletaria.

Saranno presenti gli autori.




Giornata della memoria a Tobbiana

Domenica 27 Gennaio presso il Bar Lume di Tobbiana, commemorazione della Giornata della Memoria a cura della Fratellanza Fratelli Tobbianesi.

Alle ore 16, conferenza di Daniela Faralli (Isrpt) su “Le origini dell’antisemitismo e le persecuzioni degli ebrei nell’Italia fascista”. Dalle ore 17, sarà dato spazio ai partecipanti, che leggeranno brani a loro scelta sulla tragedia della Shoah.