l Comune commemora i sanminiatesi caduti nella Prima Guerra Mondiale

La lunga ed importante ricerca voluta dall’amministrazione comunale, impegnata a ritrovare i familiari degli oltre 600 caduti sanminiatesi della Prima Guerra Mondiale, verrà celebrata sabato 6 aprile (ore 10.30) con una cerimonia all’Auditorium di Piazza Buonaparte a San Miniato. Grazie ad un appello lanciato dal sindaco, sono state contattate oltre 180 famiglie, molte delle quali residenti anche fuori dal territorio comunale, alla cerimonia per ricordare i caduti sanminiatesi nella Prima Guerra Mondiale e consegnare loro un riconoscimento alla memoria.

Prenderanno parte alla commemorazione il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini, Zeffiro Ciuffoletti, docente di storia contemporanea dell’Università di Firenze, Ellena Pioli presidente regionale dell’ANMIG (Associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra), Bruno Bellucci governatore della Misericordia di San Miniato, i rappresentanti dell’Associazione famiglie caduti e dispersi di guerra, la Croce Rossa di Ponte a Egola, i rappresentanti del Comune di Vittorio Veneto, il consigliere comunale Michele Fiaschi e la curatrice della ricerca storica Manuela Parentini.




Una Chiesa in guerra. Sacrificio e mobilitazione nella diocesi di Firenze 1911-1928

caponi“Una Chiesa in guerra. Sacrificio e mobilitazione nella diocesi di Firenze 1911-1928” è il titolo del volume di Matteo Caponi, edito da Viella, che verrà presentato presso la Sala Conferenze dell’Istoreco Livorno (Via Galilei, 40, Livorno) giovedì 4 aprile 2019 alle ore 16.

L’incontro, introdotto da Carla Roncaglia, presidente Istoreco, vedrà la partecipazione dell’autore Matteo Caponi, del professor Daniele Menozzi, Scuola Normale Superiore di Pisa e di Giovanni Cavagnini, Scuola Normale Superiore di Pisa.

 




 SGUARDI SUL MONDO: dal 9 aprile ciclo di incontri non solo per insegnanti

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Inizia il 9 aprile “Sguardi sul mondo”, un ciclo di 6 incontri per approfondire, a partire dalla loro vita, l’opera di scienziate, artiste, scrittrici, storiche.
Tutti gli incontri si terranno nella Biblioteca “F. Chioccon” dell’Isgrec alle ore 18.
La partecipazione è aperta a tutti ed è gratuita. Agli insegnanti che parteciperanno saranno certificate le ore effettive di presenza per un massimo di 9 ore. Per facilitare l’organizzazione degli incontri si prega di darne comunicazione via mail (segreteria@isgrec.it) o telefonicamente.
 
9 aprile: RITA LEVI MONTALCINI – Marcella Filippa (Fondazione “Vera Nocentini” di Torino)
17 aprile: NIKI DE SAINT PHALLE- Claudia Gennari (Storica dell’arte)
29 aprile: Paolo Passaniti (Università dei Siena)
8 maggio: VIRGINIA WOOLF – Liliana Rampello (Italian Virginia Woolf Society)
17 maggio: ANNA ROSSI DORIA – Vinzia Fiorino (Università di Pisa)
25 maggio: MARGUERITE DURAS – Alberto Signori (Société Internationale Marguerite Duras)
 
* L’Isgrec è associato all’istituto nazionale “Ferruccio Parri” di Milano, agenzia di formazione accreditata dal MIUR.
 



PRESENTAZIONE DEL VOLUME: Antifascisti e Partigiani di Impruneta

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29 marzo: l’architetto Milesi presenta il progetto per la Casa della memoria al futuro

Venerdì 29 marzo 2019, ore 17, al Museo archeologico e d’arte della Maremma, l’architetto Edoardo Milesi, autore del progetto di ristrutturazione dell’ex scuola di Maiano Lavacchio, e Luca Verzichelli, presidente dell’Isgrec, presenteranno il progetto per la Casa della memoria al futuro, che diventerà un laboratorio per la memoria, la cultura, la formazione.  Gli spazi della ex scuola saranno predisposti per viverli: parlare, leggere, studiare, ma anche soggiornare per brevi periodi. Un porticato e il giardino aggiungeranno spazi alle attività didattiche, al dialogo, a incontri pubblici. Gli arredi saranno pochi e molto semplici. Gli strumenti utili allo studio e alle attività culturali e didattiche il meno ingombranti possibile. Le attività, oltre a visite guidate per conoscere, lavoro culturale utile a promuovere l’inclusione culturale, relazioni fra soggetti vicini, ma anche momenti – stages, attività seminariali… – per ospitare destinatari provenienti da altri luoghi, italiani o europei.

Durante l’incontro del 29 marzo sarà presentata in anteprima ed eseguita dal Coro degli Etruschi una inedita composizione musicale in ricordo dei Martiri d’Istia composta da Dino Simone.

Ricordiamo inoltre che rimarrà aperta fino al 30 marzo la mostra “40 artisti per la Casa della memoria al futuro al Museo archeologico; il ricavato delle opere sarà destinato alla raccolta fondi. L’IBAN del conto corrente intestato all’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea Onlus e dedicato alla raccolta fondi è: IT78I0885114301000000209599

Info: Isgrec, Via de’ Barberi 61 | 0564415219 | segreteria@isgrec.it | www.isgrec.it




Convegno conclusivo a Grosseto per la Festa della Toscana (giovedì 28 marzo)

box_mailSi terrà giovedì 28 marzo 2019 ore 10 al Museo di storia naturale di Grosseto (Strada Corsini n. 5) il convegno conclusivo del progetto dell’Isgrec per la Festa della Toscana. Dopo i saluti di Leonardo Marras (Consiglio regionale della Toscana) e Luca Verzichelli (Presidente dell’Isgrec), interverranno Floriana Colao dell’Università di Siena (La tradizione e il mito della Leopoldina. Dal “paterno cuore del sovrano” al “diritto penale e civile), Amos Unfer (Una testimonianza della Maremma che produce), Luciana Rocchi ed Elena Vellati dell’ISGREC, mentre i ragazzi della classe IV dell’Istituto turistico ISIS Leopoldo II di Lorena di Grosseto presenteranno i lavori svolti sul tema delle storie e dei luoghi della maremma lorenese.

In conclusione alle scuole verrà distribuito il dossier per la didattica predisposto dall’Isgrec.

Info: Isgrec, 0564415219, segreteria@isgrec.it, www.isgrec.it

 




Storia di una memoria. Il settantacinquesimo anniversario dell’Eccidio del Montemaggio.

75 anni fa, il 28 marzo 1944, un reparto della Guardia Nazionale Repubblicana di stanza a Siena, comandata da Renato Billi e Alessandro Rinaldi, attaccò un gruppo di partigiani a casa Giubileo (nel Comune di Monteriggioni) uccidendone uno in combattimento e fucilando, poco dopo, diciotto prigionieri; dell’episodio ci fu un unico superstite, Vittorio Meoni, che riuscì a salvarsi in modo rocambolesco.

Proprio Meoni, venuto a mancare lo scorso anno, in questo lungo periodo, è stato il testimone ma anche il custode di una memoria divenuta esemplare[1] fin dall’azione che la generò.

In particolar modo la fucilazione dei prigionieri (a parte quella del partigiano Giovanni Galli, rimasto ferito durante il conflitto a fuoco e finito sul posto dai fascisti che non tentarono in nessun modo di prestare soccorso) si rivelò un atto calcolato e pianificato a sangue freddo. Una serie di indizi, che vennero ampiamente valutati durante il processo, celebrato tra il 1947 ed il 1949, denunciò in modo inequivocabile la premeditazione dell’Eccidio. Innazitutto il lasso temporale: i partigiani vennero catturati intorno alle otto del mattino; la fucilazione avvenne alle quattordici; ci fu quindi tutto il tempo di prendere ordini dal Prefetto di Siena, Giorgio Alberto Chiurco (difficilmente l’esecuzione sarebbe avvenuta senza il suo benestare), ma anche di predisporre un eventuale trasferimento dei prigionieri in carcere in attesa di processo.

Altro ancora: l’accuratezza della scelta del luogo. Casa Giubileo venne scartata subito, lo stesso si verificò per la località di Campo ai Meli. Il motivo fu probabilmente la presenza di testimoni: entrambi questi luoghi, case coloniche, erano abitati e passare per le armi anche due intere famiglie di civili fu, probabilmente, valutato inopportuno. La scelta cadde pertanto su La Porcareccia, una radura isolata sulla strada che risaliva da est il Montemaggio partendo da Abbadia Isola.

Racconta Vittorio Meoni che, all’arrivo delle vittime, la piazzola con la mitragliatrice e un drappello di militari erano già stati predisposti: il successivo ordine di sedersi e di togliersi le scarpe non lasciò adito a dubbi[2].

Dopo la fucilazione i cadaveri vennero lasciati sul posto per più di un giorno (furono raccolti soltanto la mattina del 30) e il prefetto di Siena rifiutò il permesso, richiesto dalle famiglie per mezzo della mediazione di un sacerdote, di riesumare i corpi dalla fossa comune dove erano stati frettolosamente seppelliti. Soltanto cinque giorni dopo si procedette alla riesumazione, al riconoscimento e alla traslazione delle salme nel camposanto di Castellina Scalo[3].

Immediatamente dopo la tragedia iniziò a strutturarsi la memoria dell’evento.

IMG_1271La notizia divenne di pubblico dominio ma seguì due canali diversi, quello ufficiale delle autorità fasciste le quali, in un primo momento, dichiararono che i partigiani erano morti nel conflitto a fuoco (versione diffusa dai giornali del Regime e più volte cambiata), e quello spontaneo legato alla rete dei familiari e dei conoscenti dei caduti; quest’ultima tradizione fu considerata senz‘altro più degna di fede per una serie di ragioni, prima fra tutte quella emozionale; in secondo luogo, in un territorio come quello senese, dove la maggioranza della popolazione viveva e lavorava in campagna e dove tante famiglie  nascondenvano un parente o un amico renitente alla leva, il fatto che tutte le vittime fossero giovani nonché di umile estrazione (a parte una, le altre erano contadini e operai)  fece sì che in moltissimi considerassero particolarmente vicina la tragedia.

La condanna fu pressoché totale e già un anno dopo, a liberazione avvenuta ma ancora a guerra in corso (28 marzo 1945), un gran numero di persone, spontaneamente, si recò a Casa Giubileo e alla Porcareccia per ricordare e rendere omaggio ai caduti che nel frattempo avevano assunto una sorta di sacralità e avevano ottenuto la definizione di martiri.

Altra tappa fondamentale per la costruzione della memoria dell’Eccidio fu la celebrazione del processo che portò alla sbarra Chiurco, Rinaldi e altri ottantuno imputati. Le testimonianze degli accusati furono incongruenti, contrastanti e chiaramente finalizzate a dimostrare l’estraneità dei singoli rispetto al gruppo dei carnefici[4], mentre il testimone chiave dell’accusa, Vittorio Meoni, si dimostrò preciso ed esauriente, riconoscendo, tra l’altro, molti militi del plotone d’esecuzione. La ricostruzione puntuale, la chiarificazione delle dinamiche e l’individuazione dei protagonisti fornì una grande mole di dettagli nuovi, fino a quel momento sconosciuti, che si saldarono nell’immaginario della popolazione locale dell’epoca.

Il processo, alla lunga, si concluse con un nulla di fatto (come del resto tutti gli analoghi procedimenti intentati in quegli anni contro i criminali di guerra italiani); in primo grado  per trentaquattro imputati si aprirono le porte del carcere con pene variabili dall’ergastolo ai dodici anni di reclusione, ma in seguito all’amnistia e al successo delle istanze presentate in cassazione, ben presto tutti i protagonisti dell’eccidio della Porcareccia vennero scarcerati[5].

Nonostante l’impunità, la memoria si era tuttavia istituzionalizzata: la neonata Repubblica, dopo il ventennio fascista, aveva bisogno di nuove radici morali e queste passavano anche attraverso gli eccidi e i massacri commessi dai nazifascisti sul nostro territorio[6]; per tale ragione l’anniversario dei fatti del Montemaggio, a partire dalle prime manifestazioni spontanee della primavera 1945, divenne un appuntamento fisso con i propri simboli (il tronco d’albero tagliato a metà, emblema delle vite giovani stroncate con la violenza, i gonfaloni dei comuni di provenienza dei martiri), un inno (O bella ciao!) un cerimoniale e un cerimoniere di indiscusso prestigio (lo stesso Vittorio Meoni).

Parallelamente alla fine della generazione che aveva vissuto e subito il drammatico periodo degli eventi dittatoriali e bellici  si ebbe l’avvento della Seconda Repubblica e, con questo, le radici morali e memoriali dell’età precedente vennero rimesse in discussione da una parte dei protagonisti della nuova classe dirigente. Anche la memoria periferica non fu immune da questa sorta di revisione che ai nostri giorni sta investendo, in modo indiretto, anche il ricordo della tragedia del Montemaggio. Mi riferisco in particolar modo al tentativo di riabilitare  il principale responsabile, ossia il Prefetto fascista di Siena, Giorgio Alberto Chiurco.

L’operazione  è visibilmente campata per aria poiché va contro decenni di ricerche senza presentare alcuna prova né nuova né tantameno decisiva, pertanto non è finalizzata in alcun modo a influenzare la comunità scientifica. L’obiettivo è un altro, ossia riscrivere la storia del fascismo italiano  trasformandolo, da dittatura violenta e sanguinaria che fu, a vittima degna di rispetto; ma tale operazione, oltre che contro la storia, intesa come disciplina legata a una rigorosa  metodologia scientifica è, con tutta evidenza, una mina vagante contro quella forma di memoria che costitusce il fondamento stesso della nostra Democrazia.

 

[1]Sul concetto di memoria esemplare cfr TODOROV T., Gli abusi della memoria, Miliano, Meltemi, 2018, p.63 e ss.
[2]MEONI V., Memoria su Montemaggio, Siena, Pistolesi, 2003, pp.29 e ss.
[3]ELIA D.F.A., Montemaggio. Dall’Eccidio al processo, Bari, Laterza, 2007, pp.142-143.
[4]Archivio I.S.R.S.E.C. Vittorio Meoni, Processo Chiurco, Verbali di dibattimento novembre 1947.
[5]ORLANDINI A. – VENTURINI G., I Giudici e la Resistenza. Dal fallimento dell’epurazione ai processi contro i partigiani, Milano, La Pietra, 1983, pp.43-46.
[6]Cfr TODOROV T., Gli abusi …, op. cit., p.71

Articolo pubblicato nel marzo del 2019.




RIBELLI. Storie e memorie di Resistenti dal Montemaggio alla Sardegna

28 marzo alle ore 17.30 presso le Stanze della Memoria, l’ISRSEC vi invita a questo originale ed interessante appuntamento.