Foiano della Chiana tra Fascismo e Resistenza. Breve percorso della memoria

Prima di procedere con il percorso resistente, voglio qui ricordare, seppur brevemente, la Storia di Foiano della Chiana, Comune della provincia di Arezzo, nella Valdichiana.
Foiano venne liberata il 4 luglio 1944, assieme con Marciano della Chiana e Monte San Savino. Due giorni prima era stato liberato Lucignano e il 3 luglio venne liberata Cortona, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].
Il Comune di Foiano ha subito particolarmente l’avvento del Fascismo, sino ai tragici eventi della Seconda Guerra mondiale e della Resistenza. Con il progressivo affermarsi del Fascismo, Foiano, la cui amministrazione aveva aderito in blocco al neocostituito Partito Comunista d’Italia, divenne un obiettivo primario per gli squadristi della zona, i quali nei primi mesi del 1921, iniziarono a devastare e terrorizzare la Valdichiana con spedizioni punitive. Il 12 aprile il municipio venne colpito da un attacco squadrista volto a far dimettere la giunta. Il 17 aprile, un camion con a bordo una ventina di fascisti, guidati da un ufficiale in forza al 70° fanteria di Arezzo, compì una seconda spedizione a Foiano e nei dintorni. Una volta terminato il raid, gli squadristi si fermarono nella cittadina per pranzare. Successivamente, il gruppo si divise: una parte rimase a Foiano, mentre una ventina partirono a bordo dell’autocarro alla volta di Arezzo. Poco dopo, in località Renzino [2], il camion cadde in un’imboscata tesa da alcuni contadini della zona, guidati da Bernardo Melacci e Galliano Gervasi. Nel corso dell’attacco, tre squadristi rimasero uccisi. I fascisti superstiti però, dopo essere riusciti a chiedere rinforzi dalle città vicine, contrattaccarono. Le campagne foianesi divennero così teatro di una caccia all’uomo che culminò con l’assassinio di due uomini ed una donna. Poco dopo, in paese, i fascisti giustiziarono un comunista che si era rifiutato di rinnegare i propri ideali. Il giorno seguente, una colonna di squadristi fiorentini e ferraresi, guidata da Tullio Tamburini, occupò il paese, costringendo il deputato socialista Ferruccio Bernardini, sequestrato ad Arezzo dalle stesse camicie nere, ad un elogio del fascismo sulla pubblica piazza. Poco dopo anche un socialista del luogo venne trascinato nella medesima piazza per compiere abiura. Al suo rifiuto, venne assassinato. Nei giorni seguenti, le violenze fasciste, nonostante una delegazione di contadini si fosse recata da Tamburini a supplicare la fine delle rappresaglie, continueranno indisturbate [3]. Quello che accadde a Renzino cento anni fa è stato sicuramente uno degli episodi di lotta allo squadrismo fascista tra i più rilevanti a livello nazionale.
Negli anni la situazione non migliorò. Messa a dura prova dalla Seconda guerra mondiale, la cittadina pagò un notevole prezzo a livello di vite umane e distruzioni. L’8 giugno 1944, tre partigiani vennero fucilati dai militi fascisti della GNR (Guardia nazionale repubblicana) in Piazza Garibaldi.
Quella stessa mattina, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi, detenuti presso la caserma dei Carabinieri di Foiano della Chiana, vennero prelevati dalla loro cella e condotti in quella stessa Piazza, dove furono fucilati da un plotone d’esecuzione composto da legionari della Compagnia OP della G.N.R. di Bergamo [4].
Il 2 luglio successivo, Foiano della Chiana fu liberata dagli alleati. Teatro di scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche, Foiano ospita oggi un cimitero militare inglese, in cui sono sepolti i soldati d’Oltremanica caduti nelle azioni militari locali.
L’Archivio storico dell’antifascismo locale, nato negli anni ’50 per iniziativa dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) sezione Licio Nencetti, conserva una preziosissima raccolta di fonti storiografiche sulla Lotta di Liberazione in provincia di Arezzo.
Il giorno successivo alla liberazione di Foiano della Chiana da parte delle truppe anglo-americane, infatti, dalla locale casa del Fascio, parzialmente distrutta dalle truppe tedesche in ritirata, che avevano minato e fatto saltare la torre civica, vennero recuperati dai partigiani i documenti delle milizie mussoliniane. Nella stessa sede si insediò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituito su impulso di Galliano Gervasi, che fu tra i protagonisti della rivolta di Renzino e successivamente sindaco di Foiano e componente dell’Assemblea costituente. Quelle carte recuperate dalle macerie, insieme ai documenti del CLN, andarono a costituire il primo nucleo documentario dell’Archivio foianese.
Di lì a poco venne fondata la locale sezione dei partigiani, che riuniva combattenti antifascisti, patrioti e tutti coloro che avevano contribuito a liberare l’Italia dai nazifascisti durante il periodo Resistenziale. L’ANPI di Foiano della Chiana ereditò la sede del Comitato di Liberazione e gli associati si dedicarono alla raccolta delle informazioni per l’ottenimento di indennità, riconoscimenti di medaglie al valore, pensioni e forme di assistenza per gli ex combattenti e per le famiglie dei caduti [5].
Le tappe del percorso foianese
La prima meta nel percorso è Piazza Fra’ Benedetto, a Foiano della Chiana.
Qui il 2 luglio 1944, due giorni prima del ritiro definitivo dei tedeschi, venne ucciso senza apparente motivo il giovane Cesare Marchi.
- A soli pochi passi, in Piazza Cavour, n.1, sulla facciata esterna del Municipio, è posta la targa ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi.

Pietre della Memoria, 5602 – Lapide ai partigiani Sarri, Antonini e Grazi – Foiano della Chiana, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lapide-ai-partigiani-sarri-antonini-e-grazi/
- Non molto distante, in via via Martiri della Libertà/ piazza Garibaldi, si trova anche questa lapide ad Antonini, Grazi e Sarri.

Giovanni Baldini, Lapide ad Antonini, Grazi e Sarri, in ResistenzaToscana.it, 23-10-2007, https://www.resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_ad_antonini_grazi_e_sarri/
- Tra Piazza Garibaldi e via Indipendenza troviamo invece la targa commemorativa di Igino Milani, capolega di 35 anni, lavoratore dell’agenzia tabacchi di Foiano, sequestrato sul posto di lavoro, torturato e seviziato, morto per mano dei fascisti nell’aprile 1921, nel corso della feroce rappresaglia che seguì lo scontro armato di Renzino.

Lapide a Milani, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/foiano_della_chiana/lapide_a_milani/
- A cinque minuti a piedi, arriviamo al giardino pubblico comunale di piazza Caduti della Resistenza, dove, al centro, si erge il monumento-fontana ai martiri della resistenza. Il monumento ricorda la fucilazione di tre partigiani, Libero Sarri, Gabriele Antonini e Carlo Grazi per mano dei nazifascisti, avvenuta l’8 giugno 1944 durante la Festa del Corpus Domini. La fontana, circolare, presenta la forma di un giglio. La base è costituita da tre grandi massi in ognuno dei quali è inciso in rilievo il nome di un partigiano. Lungo il lastricato, che si trova tra la fontana e la recinzione in ferro battuto, è posta una lapide commemorativa in pietra.

5597 – Monumento-fontana ai martiri della resistenza – Foiano della Chiana, Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/fontana-di-piazza-dei-caduti-della-resistenza-di-foiano-della-chiana/
- A soli 15 minuti a piedi (4 in auto), si trova, in località Renzino, il Commonwealth War Cemetery, dove riposano le spoglie di 256 soldati. Progettato da Louis de Soissons, è un cimitero di guerra, che originariamente accoglieva i soldati della 4ª Divisione e che, in seguito fu ampliato per le sepolture dei militari caduti in tutta l’area della Valdichiana e del Valdarno [6]. La maggior parte delle sepolture nel cimitero risalgono comunque alle prime due settimane di luglio 1944.

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/
Mappa del percorso escursionistico a Foiano della Chiana (Ar)

Francesco Bellacci, I segreti del cimitero monumentale di Foiano della Chiana, in LaValdichiana, 25 marzo 2020 https://www.lavaldichiana.it/i-segreti-del-cimitero-monumentale-di-foiano-della-chiana-quarta-parte/
- In circa 1ora a piedi (8 minuti in auto), in direzione nord, si può raggiungere la località di Pozzo della Chiana, dove il 26 giugno 1944 si verificò una ribellione dei contadini arrabbiati per le requisizioni tedesche nella zona. A tale atto seguirono rappresaglie da parte delle truppe naziste. Quel giorno morirono, in due episodi diversi, due uomini: Nazzaro Biagini, sfollato con la famiglia, venne ucciso nella frazione di Pozzo, mentre nel pomeriggio, una casa colonica in località Pagliericcio (Comune di Castel San Niccolò, nel Casentinese) venne fatta saltare in aria e incendiata con il proprietario dentro, il giovane Alberto Ginestrini. La matrice era la stessa dell’episodio antecedente, una punizione, da parte dei tedeschi per la rivolta dei contadini.
A Pozzo, nessuna targa pare ricordare l’evento.
Da Pozzo si può proseguire, camminando, verso Marciano della Chiana, continuando così il sentiero nella Valdichiana.
Note
1. Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023, https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]
2.Sulla rivolta di Renzino si veda, Giulio Bigozzi, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]
3. Cfr. Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]
4. Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]
5. Francesco Bellacci, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024].
6. Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/ [consultato il 10 novembre 2024]
Bibliografia e sitografia:
Bellacci Francesco, L’Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza in Valdichiana, in La Valdichiana, https://www.lavaldichiana.it/listituto-storico-dellantifascismo-e-della-resistenza-in-valdichiana/ [consultato l’11 novembre 2024]
Bigozzi Giulio, Cento anni fa: i fatti di Renzino, IlPostalista.it, 14 aprile 2021, https://www.ilpostalista.it/arezzo/arezzo_0323.htm [consultato il 12 novembre 2024]
Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023, https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]
Foiano della Chiana, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Foiano_della_Chiana [consultato in data 11 novembre 2024]
Foiano della Chiana (AR) Cemetery, in GoticaToscanaasp, https://www.goticatoscana.eu/it/portfolio/foiano-della-chiana-ar-cemetery/ [consultato il 10 novembre 2024]
Redazione, 70 anni fa: eccidio a Foiano della Chiana (SI), 8 Giugno 2014, 70 anni fa, https://www.ultimelettere.it/?p=258 [consultato in data 11 novembre 2024]
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo scritto nel mese di novembre 2024.
Camminando nella Resistenza tra i Comuni della Valdichiana aretina. Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino
Prima di procedere con il percorso resistente, è opportuno ricordare, seppur brevemente, la Storia dei Comuni interessati.
Lucignano, Marciano della Chiana e Monte San Savino sono Comuni della provincia di Arezzo, nella Valdichiana toscana, i primi ad essere stati liberati dagli Alleati nell’Aretino: il 2 luglio 1944, venne liberato Lucignano, il giorno successivo Cortona, il 4 luglio, Marciano della Chiana e Monte San Savino e Foiano della Chiana, sino -progressivamente- alla città di Arezzo, liberata il 16 luglio 1944 [1].
Vediamo più da vicino la loro storia durante e dopo il Fascismo.
Partiamo da Lucignano, piccolo Comune impegnato nella lotta di liberazione, liberato dagli alleati il 2 luglio 1944. Degno di nota è qui Licio Nencetti, il giovane capo partigiano lucignanese, insignito della Medaglia d’oro al valore militare, che fu fucilato dai fascisti a Talla, il 26 maggio del 1944[2]. Altri lucignanesi che si ribellarono ai nazifascisti sono Ugo Masini (15 gennaio 1923-3 luglio 1944) ed Augusto Toti (29 luglio 1921-17 luglio 1944), che pagarono con la vita la loro sete di libertà. Ugo Masini, giovane caporale, dopo l’8 settembre ’43, era riuscito a tornare a Lucignano dove iniziò l’attività clandestina collaborando con la “Teppa” di Licio Nencetti. Fu ucciso negli stessi giorni della Liberazione di Lucignano, quando la sua formazione, a seguito di una delazione, fu attaccata il 2 luglio dai nazifascisti nei pressi di Camagiura (Arezzo) ed interamente sterminata [3].
Augusto Toti, sottotenente, tornato a casa dopo l’8 settembre 1943, conobbe il maggiore Cesare Caponi, con il quale iniziò il lavoro per l’organizzazione di formazioni partigiane. Raggiunto il comando italiano del fronte sud, l’8 novembre 1943, per consegnare un messaggio segreto, prese parte ai combattimenti di Cassino, Balzo della Cicogna, Guardiagrele e morì il 17 luglio 1944, (il giorno dopo la liberazione di Arezzo) al comando di un’importante operazione nei pressi di Rustico.
Della banda di Nencetti faceva parte anche Ezio Raspanti [4], da poco scomparso, che – per anni- ha mantenuto viva nelle nuove generazioni la memoria di quegli eventi. Insignito della Medaglia d’argento al valore militare per le azioni della Resistenza, ottenne anche altre prestigiose onorificenze e riconoscimenti per il suo impegno: nel 2003 fondò l’Istituto storico per l’Antifascismo e la Resistenza in Valdichiana; l’11 luglio 2004 fu nominato cittadino onorario del Comune di Capolona e il 29 luglio 2006 del Comune di Castel Focognano. Con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2011, venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Ezio Raspanti, “Mascotte” nella “Teppa”, fu giovanissimo compagno di lotta e grande amico di Nencetti, ed ha raccontato in tutti questi anni attraverso disegni e scritti, con un costante lavoro di ricerca e ricostruzione storica, gli avvenimenti legati alla Resistenza ]5].
Il territorio di Marciano della Chiana, liberata il 4 luglio 1944, non subì invece particolari eventi tragici, almeno dalle fonti a mia disposizione. Si ricorda comunque la morte di Luigi Pecchi, ucciso il giorno prima della tanto agognata libertà, dai soldati tedeschi [6].
Più facile da ricostruire è invece la storia di Monte San Savino. Il ventennio fascista vede Monte San Savino calato nel «definitivo amalgama di quelle forze sociali che il fascismo era riuscito a coagulare e utilizzare, e che trovò espressione politica nella gestione delle amministrazioni comunali» (Galli). Già nel 1924, il Consiglio comunale, all’unanimità, conferì – su proposta di G. Veltroni, segretario politico del fascio locale – la cittadinanza onoraria a Mussolini “quale modesto significativo riconoscimento” della sua grandiosa opera per la “ricostruzione nazionale”, mentre più tardi, facendo eco alla diligente applicazione delle leggi razziali del ’38, appariva su “Giovinezza” del 13 febbraio 1939 un articolo a firma di P.F.V. che ricordava come i savinesi potessero ‘vantarsi’ d’aver già allontanato a suo tempo nel 1799, dando sfogo «alla loro giusta vendetta», tutti i membri dell’antica comunità ebraica savinese con esplicita dichiarazione che «oggi il paese non conta alcun ebreo!». Rimaneva però viva, durante gli anni della dittatura, una solida organizzazione antifascista che avrebbe dato un notevole contributo alla Resistenza.
Nel Secondo Conflitto mondiale, Monte San Savino ricorda 23 morti sul campo (fra cui Pietro Valeri), 22 dispersi, 15 persone decedute per cause belliche e 11 vittime per rappresaglie tedesche (fra cui due donne, Gina Valeri e Gesuina Sestini); particolare sgomento suscitarono la fucilazione del sottotenente Luigi Carletti, l’impiccagione di Del Bellino e, in seguito, l’imboscata che costò la vita a Giuseppe Civitelli. Fin dall’annuncio dell’arresto di Mussolini (25 luglio ’43) e dopo la resa dell’Italia (8 settembre) si assistette a Monte San Savino alla distruzione dei fasci littori e alla smobilitazione di quant’altro simboleggiava il regime fascista. Ben presto fu creato il CLN comunale savinese. Il paese fu duramente colpito dalle truppe tedesche in ritirata che si abbandonarono a violenze ed uccisioni, tuttavia, coraggiosamente contrastate da elementi della resistenza locale. Le incursioni aeree alleate iniziate il 17 gennaio ’44 causarono, oltre che diversi feriti, tre morti in località Brancoleta. Dopo la liberazione del 4 luglio 1944, Monte San Savino ospitò il quartier generale tattico dell’VIII Armata, al comando del generale Oliver Leese, cui re Giorgio d’Inghilterra in persona fece visita il 26 luglio [7].

Alessandro Bargellini, lapide a re Giorgio, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_re_giorgio/ 43,331187N, 11,723721E | 43° 19.871N, 11° 43.423E
Il percorso escursionistico:
La prima meta del percorso è Badicorte, nel Comune di Marciano della Chiana.
Volendo unire tale percorso al sentiero di Foiano della Chiana, Badicorte si può raggiungere, proseguendo verso nord, da Pozzo della Chiana, in un’ora a piedi o in sei minuti in auto. Altrimenti, potrà essere raggiunta in auto autonomamente, cominciando da qui il percorso resistente.
Qui il 3 luglio 1944, alla vigilia della liberazione, venne fucilato Luigi Pecchi, che era stato trovato dai tedeschi in possesso di alcune armi, probabilmente facenti parte di un deposito dei partigiani. Nessuna targa o cippo ricordano l’evento (almeno da quel che ho potuto trovare).
La seconda meta del percorso resistente è Monte San Savino.
Nel Comune di Monte San Savino, dal 23 giugno 1944 al 30 giugno 1944, dopo una battaglia combattuta nella località di Montaltuzzo, nel Comune di Bucine (Arezzo) tra partigiani e tedeschi, reparti nazifascisti operarono un poderoso rastrellamento.
- Per ricordare le tragiche vicende che avevano visto coinvolta la popolazione locale, la prima tappa del percorso sansavinese è Viale XXIV Maggio, dove si trova il monumento dedicato ai caduti per la resistenza, eretto nel trentennale della Liberazione.

Alessandro Bargellini, Monumento del trentennale, in ResistenzaToscana.it, 12-12-2008, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/monumento_del_trentennale/
A Monte San Savino, nel clima di rastrellamenti e di caccia al partigiano, tra il 2 e il 3 luglio 1944, tre uomini furono catturati nelle campagne, torturati e quindi fucilati da una pattuglia tedesca. Le vittime erano due civili, Mosè Gudini e Bruno Milaneschi e un partigiano, Luigi Carletti detto “Gigino”, senese residente a Monte San Savino, nonché sottotenente dell’Artiglieria contraerea del Regio Esercito e comandante di una squadra partigiana a Monte San Savino. Egli era già stato catturato il 28 giugno precedente con tutta la famiglia e lungamente interrogato. Gudini e Carletti furono ritrovati in un bosco dieci giorni più tardi.
- La seconda tappa è, dunque, il Cimitero comunale, dove si trova il sepolcro dedicato a Luigi Carletti [8].

Alessandro Bargellini, Sepolcro di Carletti, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/sepolcro_di_carletti/ [consultato il 9 novembre 2024]

Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea
Luigi Carletti è un nome noto e centrale nella Storia locale. Cittadino savinese, partigiano del Raggruppamento “Monte Amiata”, ufficiale di artiglieria, membro dell’Azione Cattolica e laureando in Legge, fu trucidato dai nazisti nei boschi in località San Poerino a Monte San Savino a soli 23 anni, il 2 luglio del 1944.
L’8 settembre 1943, Carletti si trovava sul fronte francese in qualità di sottotenente dell’artiglieria contraerea. In seguito allo sbandamento generale, dopo parecchi giorni di faticoso cammino, giunse a Monte San Savino, ove poté riabbracciare i suoi cari. Animato da una fede incrollabile nella futura rinascita dell’Italia, cautamente, cominciò a svolgere la sua opera, preparando un piano di lotta contro i tedeschi. Assieme a diversi ex prigionieri alleati, si trovava nei pressi della sua proprietà, per procurare loro, a sue spese, vitto, vestiario, armi, onde agire al momento più opportuno, insieme coi partigiani.
Il 28 giugno 1944, un reparto della divisione Herman Goering fece irruzione nella villa, arrestando tutti i componenti della famiglia: essi, sotto l’accusa di antifascismo, vennero, per alcuni giorni, torturati, allo scopo di estorcere notizie precise sull’assistenza ai prigionieri alleati. Il padre fu ferito gravemente con le percosse e venne minacciato di fucilazione se entro due ore non avesse parlato. Riuscì miracolosamente ad evadere ed a mettersi in salvo nella notte del 30 giugno. I tedeschi infierirono maggiormente contro Luigi e, con incredibili torture, cercarono di strappargli, ad ogni costo, le notizie di loro interesse.
Le atroci torture durarono fino al mattino del 2 luglio, giorno in cui fu trascinato in un bosco e fucilato. Il suo corpo venne nascosto fra le frasche e fu ritrovato soltanto dopo nove giorni di ansiose ricerche con ancora evidentissimi i segni delle torture e delle sevizie subite. [Questi particolari sono stati narrati da testimoni oculari imprigionati anch’essi nella villa Carletti e le cui deposizioni, regolarmente firmate, furono consegnate al C.L.N. di Monte San Savino].
Anche la madre, Carolina Veltroni, e la sorella Licia, vennero deportate ed incarcerate a Firenze; riuscirono miracolosamente a salvarsi.
A Serarmonio, sulla via che va da Monte San Savino a Palazzuolo, si era infatti stabilita, verso la fine di giugno 1944, la Feldgendarmerie tedesca ed aveva installato nella villa dei Carletti quella che possiamo ritenere la sua “Villa triste”, come quella che i fascisti avevano organizzato a Firenze in funzione antipartigiana. La villa è ancora esistente.
È lì che il criminale nazista Heinz Barz, capitano della Wehrmacht, l’ufficiale nazista che svolse un ruolo di primo piano nella programmazione e nell’esecuzione delle stragi di Civitella, Cornia e San Pancrazio, faceva portare gli arrestati. Ed è lì che i nazisti conducevano i loro interrogatori, tra violenze e sevizie, come venne accertato dagli investigatori inglesi del SIB (Special Investigation Branch) che, a partire dall’estate 1944 – all’indomani di quei tragici eventi – condussero una vasta indagine avvalendosi anche della collaborazione dell’Arma dei Carabinieri italiani: decine e decine di testimoni vennero chiamati a riferire i fatti e a contribuire ad individuare i responsabili. Era la materia prima di un possibile processo che non si celebrò e che venne tenuta nascosta nell’ormai celebre “armadio della vergogna”. Il processo sarebbe poi stato avviato a La Spezia, soltanto 58 anni dopo, quando gran parte dei responsabili erano ormai deceduti.
A Villa Carletti venne portato Lorenzo Del Bellino, arrestato il 23 giugno 1944, mentre lavorava sul suo campo e che forse non comprese nemmeno ciò che gli veniva chiesto dai tedeschi e dunque non dette loro risposte soddisfacenti riguardo la cosiddetta battaglia di Montaltuzzo: dopo le sevizie, venne portato a Monte San Savino ed impiccato il 30 giugno 1944 ad un lampione nella Piazza del Legname. Sul corpo, che rimase esposto per due giorni, era stato messo un cartello con la seguente scritta: “così muoiono i partigiani della Cornia”.
- La terza tappa sansavinese sarà dunque Piazza del Legname, al Porticciolo, dove è stata posta la targa dedicata a Del Bellino.

Alessandro Bargellini, Lapide a Del Bellino, in ResistenzaToscana.it, 27-7-2008 https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/lapide_a_del_bellino/
- La quarta tappa è la Villa Serarmonio, la casa dove visse e dove morì Luigi Carletti e dove fu portato Del Bellino, distante 30 minuti a piedi dal Comune di Monte San Savino. Nella stessa villa vennero condotti i coniugi Cau, arrestati a Gebbia ed accusati di spionaggio a favore dei partigiani: il capitano Barz era stato avvisato, dunque sapeva benissimo che la signora Cau, al secolo Helga Elmqvist, era di nazionalità svedese e che godeva di immunità in base ai trattati fra Germania e Svezia. Eppure, dopo serrati interrogatori e maltrattamenti, la fece fucilare assieme al marito, il professor Giovanni Cau. I due corpi furono nascosti sotto la sabbia della Fornace Focardi, dove vennero rinvenuti, casualmente, solo nel 1950 e identificati dai parenti [9].
- La quinta ed ultima tappa sansavinese è il tabernacolo intitolato a Carletti, in via di San Poerino [coordinate 43° 19.029N, 11° 42.266E].

Alessandro Bargellini, 12-12-2008 Tabernacolo a Carletti, in ResistenzaToscana.it, https://resistenzatoscana.org/monumenti/monte_san_savino/tabernacolo_a_carletti/ [consultato l’11 novembre 2024]
Organizzatore comandante di patrioti
catturato dal nemico e seviziato
mentre riforniva i compagni
che rifiutò di tradire
LUIGI CARLETTI
ufficiale di artiglieria laureando in legge
il 2 VII 1944 a soli XXIII anni
cadeva per la salvezza d’Italia
ai genitori Antonio e Carolina
e alla sorella Licia
lasciando preziosa eredità di gloria
e un dolore che solo la fede lenisce.
Il lungo itinerario nella Storia e nella memoria dei Comuni di Marciano della Chiana, di Monte San Savino e, seppur solo di passaggio, nel Comune di Lucignano, potrà sia essere percorso per intero, sia per singoli Comuni.
Note
1.Claudia Failli, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023, https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]
2. Licio Nencetti, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].
3.Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].
4.Michele Lupetti, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]
5.Cfr. Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]
6.Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]
7.Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]
8.Cfr. Luigi Carletti, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp [consultato il 9 novembre 2024]
9.Claudia Failli, Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]
Bibliografia e sitografia:
Carletti Luigi, in Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/luigi_carletti.asp [consultato il 9 novembre 2024]
Failli Claudia, 16 luglio 1944: “Arezzo è stata liberata”. Così la città risorse dalle proprie ceneri, in ArezzoNotizie, 16 luglio 2023, https://www.arezzonotizie.it/attualita/16-luglio-1944-arezzo-liberata-storia.html [consultato in data 11 novembre 2024]
Ead., Due sposi, un partigiano e un contadino: quattro vite spezzate, Monte San Savino ricorda, in ArezzoNotizie, 26 giugno 2019, https://www.arezzonotizie.it/attualita/monte-san-savino-cau-bellino-carletti.html [consultato l’11 novembre 2024]
Lucignano ricorda la Resistenza ed i suoi protagonisti nel 70° anniversario della Liberazione, in Toscana Novecento. Portal di Storia Contemporanea, https://www.toscananovecento.it/custom_type/70-della-liberazione-di-lucignano-celebrando-licio-nencetti/ [consultato l’11 novembre 2024].
Lupetti Michele, Lucignano: Una targa per Ezio Raspanti, in ValdichianaOggi, https://www.valdichianaoggi.it/comunicati/dai-comuni/lucignano-omaggio-alla-resistenza-e-a-nencetti-con-i-disegni-di-ezio-raspanti/ [consultato in data 11 novembre 2024]
Momenti in bianco e nero. Licio Nencetti nei racconti di Ezio Raspanti Comune di Foiano Della Chiana, Assessorato alla Cultura e Turismo, con la collaborazione di Sezione Licio Nencetti di Foiano Della Chiana, I.S.A.R.V., Istituto Storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci” https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/04/coperta-Raspanti_2014.pdf [consultato in data 11 novembre 2024]
Marciano della Chiana, Memoria dell’Antifascismo e della Resistenza aretina, in Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, https://memoria.provincia.arezzo.it/comuni/marciano.asp [consultato in data 11 novembre 2024]
Monte San Savino, Associazione ProLoco, http://www.prolocomontesansavino.it/info-contatti/2-monte-san-savino.html [consultato in data 9 novembre 2024]
Nencetti Licio, in Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti [consultato l’11 novembre 2024].
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo scritto nel mese di novembre 2024.
Tra bombardamenti ed eccidi, l’anno buio della guerra a Dicomano

Dicomano rappresenta al meglio la specificità delle valli appenniniche durante la resistenza nell’estate del 1944. La liberazione del 10 settembre simboleggia la fine di un incubo durato mesi e reso ancor più nefasto dalle stragi nazifasciste verificatesi a luglio. Prima è però importante per il lettore capire il significato di quelle stragi. Dobbiamo quindi illustrare che cosa rappresentano quelle zone nel contesto di guerra. Stiamo parlando di valli strette e ritenute abbandonate, al limite della regione, quindi considerate sicure. Sono al contrario estremamente strategiche perché rappresentano il passaggio tra Toscana e Emilia Romagna. Un passaggio decisivo, soprattutto la parte aretina, nella primavera del 1944, quando i comandi delle brigate Garibaldi decidono di creare una grande armata partigiana che doveva operare sull’Appennino per colpire sul forlivese e sull’aretino. Un progetto poi smantellato in seguito all’operazione di rappresaglia e rastrellamento nazista, deciso subito dopo le Ardeatine, che potremmo definire il punto di svolta sulla concezione da parte di Kesselring e dei comandi nazisti del pericolo partigiano, considerato da li in avanti potenzialmente pericolosi per le proprie truppe. Fino a quel momento non vi erano state stragi di matrice nazista infatti, era stato lasciato ai fascisti il controllo del territorio. Da quel momento cambia tutto. A quel punto, tutte le brigate partigiane che si stavano portando sull’Appennino per raggrupparsi, ovviamente devono separarsi per non essere catturate. Ed è per questo che quindi si verificò la divisione sui territori. Da quel momento l’Appennino diviene strategico, in quanto zona centrale dei combattimenti, e lo resterà finché la linea non si attesterà a Bologna, nell’autunno del 1944[1].
Per omaggiare al meglio il ricordo di quei mesi è doveroso quindi cercare di creare un itinerario che possa contenere tutti i luoghi della memoria di Dicomano, sia quelli in paese, sia i ceppi in ricordo delle vittime stragiste situate nelle varie località adiacenti.
Percorso
- Percorso: Via Nazionale, località Contea, Dicomano (Cippo di Contea) – Piazza Francesco Buonamici, Dicomano (Lapide del bombardamento) – Piazza Trieste, Dicomano (Monumento ai caduti della resistenza) – Località Santa Lucia, Dicomano (Cippo di Santa Lucia)
- Tempo di percorrenza: 2 ore
- Distanza: 7,2 km
- Dislivello: pianeggiante (+ 263 m – 143 m)
Il nostro percorso inizia da Via Nazionale, precisamente dalla località Contea, tra Montebello e Rufina, dove ci troveremo davanti al Cippo di Contea, in ricordo della doppia strage nazifascista del 7-8 luglio 1944. Ricordiamo che Dicomano sin dalla fine del giugno 1944 è stato teatro di requisizioni e rastrellamenti tedeschi, nonché di attività di bande partigiane. Già ai primi di luglio, a seguito di uno scontro armato con i partigiani tra Monte e Santa Lucia furono catturati come ostaggi quattordici persone del luogo, poi rilasciate grazie all’intervento di don Mario Faggi pievano di Dicomano. Il 7 luglio 1944 a Contea quattro contadini furono casualmente visti da un tedesco intento a lavarsi nel torrente Sieve mentre asportavano alcune bombe da una cassa di munizioni di provenienza non nota. I quattro probabilmente intendevano usare gli ordigni per pescare, ma furono accusati invece di volerli portare ai partigiani. Dopo che furono stati fermati, ai contadini venne intimato di scavare una fossa. Probabilmente infastidito dalle numerose e reiterate suppliche che gli rivolsero per aver salva la vita, il soldato tedesco li freddò a colpi di pistola. Subito dopo l’eccidio, una ventina di persone rastrellate in zona fu condotta dai militari sul luogo dell’uccisione dei quattro contadini per prendere visione, come monito, di quanto accaduto. I militari tedeschi, venuti a conoscenza che una delle quattro vittime, Albino Cecchini, era fratello del partigiano Armando Cecchini, ucciso in località Fungaia il 20 luglio, decisero di recarsi presso l’abitazione del Cecchini in località Capraia, nella parrocchia di Celle. L’8 luglio alcuni soldati vi irruppero sterminando la madre Rosa, la moglie Maria, il figlio Antonio di appena sei mesi e una nipote lì presente di sei anni. La casa venne in seguito incendiata e le salme dei familiari mantenute a lungo senza sepoltura per ordine del comando tedesco[2]. Una strage spietata che, come ricorda anche la lapide, non deve alla guerra questi morti, bensì:
«Non la guerra ma la ferocia
nazi-fascista
volle l’eccidio inconsulto e barbaro
che i limiti della storia non contengono
e che gli uomini non dimenticheranno»
Ci spostiamo poi a Dicomano paese, precisamente a piazza Francesco Buonamici, dove troveremo la lapide dedicata al bombardamento, che recita:
«…prima ci sono state altre guerre.
alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
fra i vinti la povera gente
faceva la fame. fra i vincitori
faceva la fame la povera gente ugualmente»
(B. Brecht)
Il riferimento è al bombardamento del 27 maggio del 1944, dove fu raso al suolo quasi tutto il Paese, ad eccezione dell’Oratorio di Sant’Onofrio. Quest’ultimo fu risparmiato dagli alleati in quanto consapevoli del fatto che al suo interno fossero presenti numerose opere d’arte. Venuti a conoscenza del fatto anche i nazisti, il 30 luglio 1944 il colonnello Langsdorff, senza nessun accordo o autorizzazione da parte della Soprintendenza fiorentina, si recò a Dicomano e caricò alcuni camion tedeschi con circa 26 casse contenenti alcune sculture conservate nell’oratorio. Questa operazione venne giustificata in quanto ritenuto più sicuro allontanare le opere da territori che avrebbero potuto essere potenzialmente pericolosi per custodirle all’interno di nuovi depositi istituiti in Alto Adige (territorio in pieno controllo nazifascista). L’autorizzazione per questo spostamento venne data dal Generale Wolff, il quale diresse le operazioni di trasporto indirizzandole prima verso enti ecclesiastici, come parrocchie e monasteri, poi verso i due nuovi depositi: il Castello di Neumelands a Campo Tures e il carcere abbandonato a San Leonardo in Passiria, entrambi lungo il passo del Brennero. L’11 agosto 1944 furono trasferite a Campo Tures le opere provenienti dall’Oratorio di Sant’Onofrio. Torneranno in Toscana soltanto a guerra conclusa, il 22 luglio del 1945, con un’importante cerimonia, in Piazza della Signoria a Firenze, dove furono accolte da tutti gli abitanti della città e ricollocate nei rispettivi musei di appartenenza[3].
Dopodiché ci spostiamo di qualche centinaio di metri verso piazza Trieste, dove potremmo ammirare il Monumento ai caduti della resistenza, inaugurato nel 1964 e portante i nomi dei cittadini che hanno dato la vita per la libertà. Ultima tappa, ma non per importanza, è il Cippo di Santa Lucia, situato nell’omonima località, in ricordo di Arturo Fabbri, Armando Cecchini e Aimo Fritelli che caddero durante quel luogo durante uno scontro da arma da fuoco.
Note
[1] Antonio Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino Toscano, Badiali, Arezzo, 1957, pp. 23-45.
[2] Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi nazifasciste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma, 2009, pp. 191-192.
[3] Frederick Hartt, L’Arte Fiorentina Sotto Tiro, Edizioni Clichy, Firenze, 2014, pp. 150-179.
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo pubblicato nel novembre 2024.
Ricordando Natale Tamburini ottant’anni dopo la sua morte
Le bandiere della pace delle Donne. Una storia dimenticata
Nada. Tra Storia e Letteratura

Nada Giorgi nacque il 25 gennaio 1927 a Pontassieve, in provincia di Firenze, da una famiglia di umili origini. Negli anni dell’adolescenza, durante la Resistenza, incontrò il partigiano Renato Ciandri, noto col nome di battaglia “Baffo”, modificato in Bube da Carlo Cassola nel romanzo La ragazza di Bube [1]. Dopo l”8 settembre 1943, lui, proveniente da Volterra, si era unito al gruppo di partigiani di Pontassieve. Era infatti sfollato a Torre a Decima, presso Molino del Piano, frazione di Pontassieve dove, tramite l’amico Pietro Verniani, conobbe Nada, anch’ella sfollata con la famiglia. Ciandri -durante la Resistenza- combatté infatti in varie formazioni (in special modo nel “Gruppo di Pontassieve” e nella “Ciro Fabbroni”) nella zona fra Pontassieve, Monte Giovi e Dicomano. Nel febbraio 1944, dopo essere riuscito a sfuggire all’arresto dei tedeschi, operava stabilmente sul monte Giovi con la formazione partigiana “Stella Rossa”. Pare abbia partecipato anche alla liberazione di Firenze rimanendo ferito nei pressi della stazione di Santa Maria Novella. Il 21 agosto 1944, quando le truppe alleate liberarono Pontassieve, Bube, come anche altri partigiani, rispose alla chiamata dei partiti antifascisti e si arruolò nel gruppo volontario 22° Fanteria “Cremona”. La disciplina e le regole militari però gli andavano strette, come viene raccontato nel libro di Massimo Biagioni; il suo temperamento e l’insofferenza per gli atti che non condivideva, gli fecero collezionare ben quattordici capi d’imputazione per insubordinazione; fu condannato poi amnistiato.
«Definito “ribelle fra i ribelli” per l’insofferenza verso la disciplina e i numerosi atti di insubordinazione, alla fine della guerra venne amnistiato di un totale di sedici anni di reclusione collezionati in pochi mesi come soldato nel “Cremona”[2]».
Dopo la guerra, la storia tra Renato a Nada proseguì e i due vissero per un periodo a Volterra, dove Renato trovò lavoro come guardia municipale.
Nel maggio 1945, tornarono a Pontassieve e per la Festa della Madonna del Sasso, evento molto atteso nella zona, dove avvenne il triste fatto che riportò nell’ombra della guerra e del dolore un’intera vallata, loro erano presenti.
I due giovani si dovettero presto separare: Renato venne, infatti, coinvolto nella sparatoria avvenuta il 13 maggio 1945, proprio in occasione di quella Festa. Al Santuario della Madonna delle Grazie al Sasso, non distante da Santa Brigida, sempre nel Comune di Pontassieve, furono uccisi un Carabiniere, il Maresciallo Carmine Zuddas e suo figlio Antonio. Il conflitto era da poco terminato, ma tra le macerie ancora visibili, la popolazione era divisa dalla guerra civile.
Ogni anno, la seconda domenica di maggio, veniva celebrata una solenne Messa cantata con l’offerta dei doni alla Madonna da parte dei vari compaesani dei paesi limitrofi, seguita dalla processione con la “benedizione della campagna”, e poi ancora, il pranzo. Seguiva nel pomeriggio la festa con musiche, danze e canti.

Processione della seconda domenica di maggio in Le Grazie e miracoli al Santuario https://www.conoscifirenze.it/toscana-firenze/517-le-grazie-e-miracoli-al-santuario.html
Una giornata di preghiera e di celebrazioni religiose, sfociò però nel caos. Fuori dalla chiesa, il Rettore del Santuario e tre giovani, ex partigiani, ebbero un acceso diverbio. Il motivo, apparentemente, pare fosse legato alle vesti succinte di questi, non adatte al contesto; stando, invece, ad altre testimonianze, i giovani avrebbero indossato il fazzoletto rosso al collo, simbolo inequivocabile e motivo di diverbio. Nella discussione intervenne il Maresciallo dei Carabinieri Zuddas, Comandante della Stazione dei Carabinieri di Molino del Piano, incaricato al servizio d’ordine, necessario per il regolare svolgimento di una festività religiosa di ringraziamento per la fine della guerra, recatosi al Sasso con la moglie e il figlio diciassettenne. Chiese spiegazioni al prete, invitandolo a fare entrare i giovani, che avevano collaborato per liberare l’Italia dai tedeschi. Il figlio però, poco distante, non capendo forse bene cosa stesse succedendo e vedendo il padre accerchiato, seppur in modo innocui al momento, pare abbia estratto una pistola e abbia sparato, uccidendo uno dei giovani, il pollivendolo Luigi Panchetti. Stando, invece, ad altre ricostruzioni, pare che alcuni partigiani avessero tentato di disarmare il Carabiniere, dopo che questi aveva sparato un colpo in aria per ristabilire l’ordine, a causa del tafferuglio creatosi. Secondo la ricostruzione degli eventi, riportati in un dettagliato rapporto dell’Arma, coincidente con le notizie riportate dai giornali e con le testimonianze che hanno dato in seguito alcuni giovani incriminati, il figlio, visto il padre in pericoli, impugnata la pistola, avrebbe sparato in direzione di uno dei giovani, tale Panchetti, colpendolo a morte. Le persone attorno fermarono i due uomini, il Maresciallo e il figlio, rinchiudendoli in una stanza della canonica, fino all’intervento di alcuni partigiani, tra cui Renato Ciandri (Bube), presente assieme a Nada alla Festa e che -secondo le accuse- sparò contro il ragazzo, uccidendolo. Morirà assieme al figlio anche Carmine Zuddas [3].

Carmine Zuddas e la sua famiglia. Davide Batzella, Maresciallo Carmine Zuddas di Serramanna (dal libro di Cassola “La ragazza di Bube”), in ASerramanna, 22 Aprile 2013, https://www.aserramanna.it/2013/04/maresciallo-carmine-zuddas-di-serramanna-dal-libro-di-cassola-la-ragazza-di-bube-2/
Secondo Nada Giorgi, dopo che il diciassettenne Zuddas ebbe colpito a morte l’ex partigiano, gli altri membri della banda, che avevano nascosto precedentemente delle armi, al contrario di Ciandri, che era disarmato, correndo verso la chiesa, invitarono Bube a non tirarsi indietro, a restare fedele ai suoi ideali. Pare, perciò, che questi abbia tentato di disarmare il ragazzo e che, dopo una colluttazione, qualcuno abbia raggiunto il giovane con una raffica di mitra. Contemporaneamente, qualcuno aveva sparato anche al Maresciallo. A testimoniare l’innocenza del Ciandri, la Giorgi avrebbe presentato anche la deposizione della moglie del Carabiniere, Margherita Rotelli, unica sopravvissuta.
La vicenda non è tutt’oggi chiara: molte le versioni dei fatti, alcune delle quali vedono il Ciandri realmente coinvolto. Ogni protagonista di quel giorno ha raccontato dettagli diversi, che rendono difficile, oggi come allora, la ricostruzione di quella giornata di maggio [4].
I giovani trovati con le armi furono portati alle carceri a Firenze, in via Ghibellina. Renato e Nada tornarono invece a casa. Presto però, i compagni del Partito comunista, al quale Ciandri sarà sempre legato, lo invitarono a fuggire, a tornare verso Volterra, onde evitare di essere arrestato. Bube era infatti il più noto tra i ragazzi del Sasso. Inoltre, le elezioni del 2 giugno si stavano avvicinando e le tensioni politiche aumentavano.
Nonostante l’invito a consegnarsi, emersa anche la possibilità di esser scagionato, Bube si dette alla macchia. Dopo giorni passati in campagna, a Torre a Decima, sopra Molino del Piano, un amico camionista di Ellera lo aiutò a tornare verso Colle Val d’Elsa. Fu in quest’occasione che Nada e Bube conobbero Carlo Cassola, “comandante Carlino”, che era stato con i partigiani in montagna ed era il figlio del maestro di Ciandri. Si conobbero in un bar e i due raccontarono la vicenda del Sasso. Cassola ne rimase colpito e offrì a Bube una sistemazione momentanea a Volterra. Sembra che i tre abbiano passato anche la giornata del 2 giugno assieme [5].
Durante il viaggio verso quella cittadina, sul pullman (o meglio sulla sita), dove Ciandri si trovava con Nada, pare ci fosse Mons. Dolfi (Ciolfi nel libro), antipartigiano convinto. Alcuni passeggeri, inferociti, pare avessero addirittura minacciato il parroco, prima che, giunti a destinazione, Cassola e Bube non avessero portato il religioso in Caserma, salvandolo così dalle aggressioni della folla [6].
Bube riprese a vivere nel paese natio, ma presto i Carabinieri lo invitarono a presentarsi al tenente. Pareva convinto a consegnarsi, ma alcuni giovani dell’Anpi di Volterra, Ciaba e Niccolò, allertati dall’Anpi fiorentino, lo invitarono a non farlo. La notte una motocicletta andò a prenderlo: scappò prima verso Pisa, poi a Milano e infine in Francia, dove trovò lavoro come operaio tappezziere. Ottenne asilo politico come comunista, ma presto ebbe la condanna in Italia in contumacia a 19 anni di carcere. Per poter restare in Francia, doveva procurarsi i documenti: tentò così di arruolarsi prima nella Legione straniera, poi fuggì in Olanda e in Tunisia, per poi tornare in Francia e riprendere la sua attività di tappezziere. L’esilio di Ciandri durò fino al 1950, quando scoperto dall’Interpool, fu estradato in Italia. Rimarrà in carcere, prima a Torino, poi per un breve periodo a Pisa, poi ad Alessandria, a Bologna, all’Elba e, infine, a San Gimignano, dove rimase fino al 1961.
Il processo si era tenuto a Torino nel settembre 1946: alla difesa dei giovani contribuirono molti pontassievesi, con una raccolta fondi organizzata nella Casa del popolo di Santa Brigida. Il secondo giorno il processo verrà spostato negli ampi locali della Corte d’Assise, dove era presente anche una delegazione di operai della Fiat-Mirafiori.
Dopo il processo, infatti, erano state arrestate dieci persone, dopo le prime indagini, sette delle quali facenti parte del Corpo Volontari della Libertà. Tutti si dichiararono colpevoli, eccetto Bube, che si è sempre dichiarato innocente [7].
Nei giorni successivi alla Festa della Madonna, infatti, erano state molte le voci ad alzarsi. Membri del CLN si recarono sul posto. Molti capi delle formazioni partigiane tentarono di giustificare quanto era successo, come Romeo Fibbi, Lazio Cosseri, Giuseppe Maggi, commissario politico della brigata “Lavacchini” e futuro sindaco di Borgo San Lorenzo. L’evento, significativo di quel clima di passaggio, di tensione e di giustizia sommaria nel dopoguerra italiano, sconvolse un’intera comunità. Chiunque si riteneva portatore di giustizia, spesso in contrasto con altri. Qualcuno giustificò l’accaduto poiché il Carabiniere era stato antipartigiano e fascista, stando a certe voci. La vicenda stessa è caduta nell’oblio, già al tempo, complice il Partito Comunista di Pontassieve, reticente e forse -inconsciamente- desideroso di guardare al futuro nel clima di psicosi generale anticomunista, tipica degli ultimi anni Quaranta.
Il 26 agosto 1951, Ciandri e la Giorgi si sposarono nel carcere di Alessandria. Nada, infatti, gli era sempre rimasta accanto e aveva sempre cercato di mantenere i rapporti con il fidanzato prima e con il marito poi, tramite lettere, scambi di fotografie e, quando possibile, con i colloqui e le visite.
Intanto Renato in carcere frequentava la scuola, [8] mentre Nada lavora a Pontassieve come fiascaia.
Nel 1953 vennero scarcerati i compagni di Bube incriminati per i fatti del Sasso, ma con una condanna di minor durata. L’anno successivo Ciandri venne trasferito al carcere di Porto Longone, all’Isola d’Elba, a causa di un violento litigio con un altro detenuto [9]. Verrà poi trasferito a San Gimignano, dove Nada poteva andare più frequentemente. Come ricorda lei stessa nel libro di Biagioni, nessuno degli ex compagni di Partito, gli era rimasto vicino.
È in questo periodo che Bube, durante una visita in carcere, ricevette da Cassola la copia del libro. Alla storia di Nada e Renato, Carlo Cassola aveva dedicato le pagine del suo celebre romanzo, La ragazza di Bube, mettendo al centro della narrazione Nada, pur lasciando che nel titolo comparisse il nome del suo compagno, Bube appunto, rilegando la sua figura come secondaria. La Giorgi non apprezzerà perciò il romanzo, non sentendosi rappresentata dallo scrittore e non riconoscendo i suoi cari in quelle pagine. Dal libro emerge inoltre un Bube colpevole; per Nada, dunque, l’opera era un’eredità negativa dalla quale doversi liberare.
Potremmo dire che il romanzo non ricalca, infatti, la vera vita dei due protagonisti, sebbene prenda ispirazione dalle loro storie. La vicenda è ambientata in Valdelsa, poco dopo la Liberazione, e non nel Pontassievese, come nella realtà. I protagonisti sono due giovani, Mara Castellucci e Bube, ovvero Nada Giorgi e Renato Ciandri, detto Baffo. Mara è una ragazza di sedici anni che vive a Monteguidi insieme al padre, comunista militante, alla madre e a un fratello, Vinicio. La vera Nada il padre lo aveva conosciuto appena in quanto morì quando lei aveva solo tre anni.
In quel paese conosce Arturo Cappellini, detto Bube. Il giovane, amico e compagno di Sante, il fratellastro di Mara morto durante la Resistenza, si era recato nel paese dell’amico per conoscere la famiglia e in questo modo avviene il primo incontro con Mara. Tra i due nasce subito una simpatia e Mara, lusingata dall’interesse del ragazzo, inizia a scambiare lettere con lui. Tutta la trama, riproposta poi da Comencini nel celebre film, è un intreccio di fantasia e qualche riferimento reale.
Come lei stessa ha detto:
Non ho mai avuto un fratello nato fuori dal matrimonio: semplicemente non ho fratelli. Non ebbi mai amanti: tanto meno uno che si chiamava Stefano. Non feci l’amore con Bube nella capanna. So bene che Cassola scrisse un romanzo, una storia in parte inventata, ma la realtà sono io. La realtà è la mia famiglia, è mio figlio Moreno… Per lui, perché non avesse mai l’idea che suo padre fosse un assassino […] [10]
Secondo il libro, infatti, dopo il loro incontro, Bube e Mara si devono allontanare: Bube è, infatti, accusato di un delitto. Era accaduto che, mentre si trovava a San Donato con i compagni Ivan e Umberto, un prete aveva impedito loro di entrare in chiesa. Secondo i ragazzi, la ragione era il loro orientamento comunista. I giovani avevano allora iniziato a protestare, e un Maresciallo dei Carabinieri era intervenuto insieme al figlio a sostegno del prete. Bube e gli amici avevano inutilmente cercato di far valere le loro ragioni e, spinti dall’ira, avevano messo il prete contro il muro. Il maresciallo aveva perciò reagito sparando ad Umberto, uccidendolo. Per vendicare l’amico, Ivan, l’altro compagno di Bube, aveva ucciso il Maresciallo. A sua volta, Bube aveva rincorso fin su per una scalinata e ucciso il figlio del Maresciallo, mentre scappava.
Mara e Bube fuggono così verso Volterra, dove abita la famiglia di lui. A bordo della corriera si trova una donna che riconosce Bube e lo sprona a dare una lezione ad uno dei passeggeri: si tratta del prete Ciolfi, il quale durante la guerra aveva collaborato con i nazisti, causando così la morte del nipote della donna. Suo malgrado, dopo essere sceso, Bube viene praticamente costretto dai presenti a picchiare il prete per poter salvare la faccia: il suo ruolo nella zona era infatti quello del Vendicatore, appellativo con il quale viene talvolta ancora chiamato dagli abitanti del posto.
Arrivato a casa dai familiari, Bube viene avvertito dal compagno Lidori del rischio di essere arrestato per il delitto commesso e gli consiglia la fuga. Qualche giorno dopo, una macchina passa a prendere Bube per farlo rifugiare in Francia, mentre Mara ritorna a casa. Nel frattempo, qualcosa in lei è cambiato: non è più la ragazza spensierata di prima e si dimostra angosciata per la mancanza di notizie da parte di Bube.
Verso novembre, Mara decide di andare a lavorare come domestica in una famiglia a Poggibonsi. Qui stringe amicizia con una compaesana, Ines, con cui esce spesso e che le presenta Stefano. Mara, inizialmente fredda, lentamente comincia ad apprezzare la sua compagnia.
Dopo un anno, Bube, costretto al rimpatrio, viene arrestato alla frontiera ed è condotto a Firenze. Mara, accompagnata dal padre, si reca a sua volta nel capoluogo toscano per un colloquio con Bube. Durante l’incontro, la ragazza si accorge che il suo attaccamento a Bube era ancora molto forte, così decide che, da quel momento, sarebbe per sempre la sua donna. Bube viene condannato a quattordici anni di carcere. Mara, tornata a Poggibonsi, racconta a Stefano di aver preso una decisione: ha scelto Bube, che andrà spesso a trovare in carcere. Il romanzo termina con Mara che attende la liberazione del suo amato.
«I primi tempi sono i più terribili, disse poi. Ma, in seguito, ci si fa quasi l’abitudine… sono passati questi sette anni , passeranno anche questi altri sette. E poi, io cerco di non pensarci. Conto solo i giorni che mi separano dal colloquio. Perché è tale una gioia quando lo rivedo [11]…»
Tale opera sarà un vero e proprio successo editoriale, che porterà Cassola a vincere il Premio Strega nel 1960. Venne tradotta in molte lingue, rendendo celebre la storia di Baffo e della Giorgi, divenuti Bube e Mara per i lettori, dove però la finzione supera la realtà [12].
Complici la fama del libro e l’eco ottenuta [13], grazie anche all’aiuto di Cassola stesso, che si mobilitò per aiutare Ciandri ad ottenere uno sconto di pena, il 22 dicembre 1961, Renato ottenne la libertà desiderata.
Entrambi i protagonisti, però, non si sentirono rappresentati dal libro di Cassola: Ciandri lamentava di essere stato dipinto come una figura a tratti negativa, che rinnegava i compagni, il Partito, gli ideali. La storia dei sentimenti, come affermò, non era in linea con la storia dei fatti, non fedele alla realtà. Neppure Nada si sentiva rappresentata, tanto che non riuscì nemmeno a finire il libro [14].
Pian piano i due ripresero una vita normale: Ciandri trovò finalmente un lavoro al Centro Carni e ne diventerà presto socio a tutti gli effetti.
Già pochi mesi dopo l’uscita del libro, Luigi Comencini, noto regista, aveva deciso di trarne un film dove apparirono come interpreti principali, attori della caratura di Claudia Cardinale e George Chakiris, rispettivamente nei panni di Nada (Mara) e Ciandri (Bube).
Anche le vicende attorno all’uscita del film sono controverse: Renato Ciandri non voleva che venisse proiettato, in quanto avrebbe contribuito a fissare, ancor più del libro, l’immagine già stereotipata che la gente si era fatta sulla sua persona. I produttori prima promisero ai Ciandri un ricco compenso per ottenere l’approvazione per la proiezione del film, poi – vista l’irremovibilità dei soggetti coinvolti- minacciarono Ciandri e la sua famiglia di querelarli. Non erano però le uniche querele: i Ciandri a loro volta ne firmarono una per non essere stati ascoltati, la sorella di Nada un’altra per informazioni false sulla figura del marito, scomparso durante la guerra, una, infine, da un figlio del Maresciallo Zuddas, critico sulla narrazione dei fatti, oltraggiosi per la memoria del padre e del fratello scomparsi e -a suo parere- poco fedeli ai fatti [15].
Nel frattempo, dall’unione di Nada e Renato nacque un figlio nel 1963, Moreno, autore, compositore e musicista.
Ciandri presto cambierà mansione e inizierà a lavorare in ufficio. Nel clima di rinnovata serenità, partecipa attivamente anche alle cerimonie degli eccidi della Seconda Guerra mondiale, agli anniversari e alle manifestazioni, continuando a coltivare gli ideali della Resistenza [16].
A metà degli anni Settanta, «Tuttolibri», il settimanale del quotidiano «La Stampa», rilegge il fortunato libro di Cassola. L’inviato Lamberto Furno incontra la coppia: è l’unica vera intervista di Ciandri [17].
Quando però la vita comincia a riprendere tranquillamente il suo corso, Renato scopre di avere un tumore, che il 6 novembre 1981 lo porterà alla morte [18]. Sentiti e partecipati i funerali. Venne sepolto presso il Cimitero di San Martino a Quona, a Pontassieve. Questa l’epigrafe sulla sua tomba [19]:
“Bube”
Renato Ciandri (3-3-1924/ 6-11-1981)
E voi imparate che occorre
vedere e non guardare in aria
questo mostro stava una volta
per conquistare il mondo
i popoli lo spensero
ma ora non cantiamo
vittoria troppo presto
il grembo da cui nacque
è ancora fecondo
Brecht

Alessandro Bargellini, 16-1-2009 https://resistenzatoscana.org/monumenti/pontassieve/sepolcro_di_ciandri/
La fama innescata dal libro non si arresta, anzi, ci saranno anche rappresentazioni teatrali sulla vicenda di Bube, come quella firmata dal registra Alessandro Gatto, di grande successo.
Nada, desiderosa di lasciarsi alle spalle gli anni della Guerra e della carcerazione del marito, ma volendone mantenere viva la memoria, comincerà a fare attività nelle scuole del territorio, per parlare ai ragazzi delle classi. Si spengerà il 24 maggio 2012 a 85 anni.
Negli ultimi anni di vita, Nada, per riabilitare la memoria del marito e per lasciare ai posteri la sua versione dei fatti, incaricò Massimo Biagioni, scrittore di Storia locale, giornalista pubblicista, oggi dirigente regionale di Confesercenti, con precedenti esperienze politiche, il compito di stendere in un secondo libro la sua biografia, da cui sono tratte molte delle informazioni qui riportate. Nada ha così scacciato la Mara del romanzo, e con Renato, è voluta tornare ad essere persona e non personaggio. «Ora posso anche morire!» disse a Biagioni, stringendo la prima copia uscita dalla Polistampa. Anche il figlio Moreno ha vinto il riserbo del padre che non ne aveva voluto parlare più, per dare spazio invece al volere della mamma [20].

Nada Giorgi, nominata cittadina onoraria del Comune di Pelago (FI) in News dalle Pubbliche Amministrazioni della Città Metropolitana di Firenze, http://met.provincia.fi.it/news.aspx?n=182704
Note
1.Sulla vita di Renato Ciandri e sulla sua attività di partigiano, prima del 13 maggio 1945, rimando alle pagine di Biagioni, pp. 27-46.
2. Giovanni Baldini, Renato Ciandri, “Bube”, in ResistenzaToscana, 14 luglio 2003, https://resistenzatoscana.org/biografie/ciandri_renato/ [consultato il 4 novembre 2024].
3. Per un’ulteriore ricostruzione della vicenda, si veda Dania Mazzoni, Attraverso la bufera: Pontassieve fra guerra, Resistenza e ricostruzione, 1943-1948, (con una nota introduttiva di Simonetta Soldani), Comune di Pontassieve, Pontassieve 1990, pp. 142-144.
4. Diversa la versione dei fatti esposta nell’articolo di Davide Batzella, Maresciallo Carmine Zuddas di Serramanna (dal libro di Cassola “La ragazza di Bube”), in ASerramanna, 22 Aprile 2013, https://www.aserramanna.it/2013/04/maresciallo-carmine-zuddas-di-serramanna-dal-libro-di-cassola-la-ragazza-di-bube-2/ [consultato il 5 novembre 2024]. Tale versione incolperebbe infatti Bube e la sua compagnia.
5. Massimo Biagioni, Nada, la ragazza di Bube, Polistampa, Firenze, 2006, pp. 51-52.
6. Rimando alle pagine di M. Biagioni, Nada, la ragazza di Bube, pp. 52-53, per la ricostruzione delle vicende antecedenti che vedono coinvolto Dolfi.
7. D. Mazzoni, Attraverso la bufera: Pontassieve fra guerra, Resistenza e ricostruzione, 1943-1948, pp. 144-144.
8. M. Biagioni, Nada, la ragazza di Bube, p. 85
9. Ivi, p. 93
10. Da Sandro Bennucci, «Io, Nada, vi racconto la vera storia della ragazza di Bube», «La Nazione», 13 aprile 2006 in LeonardoLibri, [consultato il 4 novembre 2024, https://www.leonardolibri.com/recensione.php?i=3314]
11. Carlo Cassola, La ragazza di Bube, Oscar Mondadori, Milano, 2010, p. 217.
12. M. Biagioni, Nada, la ragazza di Bube, p. 100. Per la trama del libro, vedi anche pp. 98-100.
13. Ivi, pp. 100-103.
14. Ivi, p. 109.
15. Ivi, p. 129.
16. Ivi, pp. 133-137.
17. La minuta dell’intervista è riprodotta in M. Biagioni, Nada, la ragazza di Bube, pp. 141-144.
18. Ivi, p. 145.
19. Cfr. M. Biagioni, Nada, la ragazza di Bube, p. 150. Nella primavera del 2005 la salma di Ciandri venne traslata in un forno non distante dalla Cappella dei caduti e degli ex combattenti di tutte le guerre.
20. Michela Aramini, Cinque anni fa morì Nada, la “ragazza di Bube”: il ricordo di Massimo Biagioni, in il Filo – Idee e Notizie dal Mugello, 24 maggio 2017 [consultato il 4 novembre 2024, https://cultura.ilfilo.net/cinque-anni-fa-mori-nada-ragazza-bube-ricordo-massimo-biagioni/]
Bibliografia
Biagioni Massimo, Nada, la ragazza di Bube, Polistampa, Firenze, 2006
Cassola Carlo, La ragazza di Bube, Oscar Mondadori, Milano, 2010 [prima edizione, Einaudi, Torino, 1960]
Mazzoni Dania, Attraverso la bufera: Pontassieve fra guerra, Resistenza e ricostruzione, 1943-1948, (con una nota introduttiva di Simonetta Soldani), Comune di Pontassieve, Pontassieve 1990
Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.
Articolo scritto nel mese di novembre 2024.