Il 25 aprile dell’ISRT

In occasione di questo 25 aprile rappresentanti dell’Istituto intervento in varie occasioni e commemorazioni:

24 aprile: Cerimonia di Consegna della Costituzione ai neo-diciottenni del Comune di Poggio a Caiano, in modalità online, intervento del direttore M. Mazzoni su Resistenza e Costituzione.
25 aprile: iniziativa online Associazione Anelli Mancanti sui partigiani di ieri e di oggi, intervento del consigliere E. Acciai.
25 aprile: intervento del direttore M. Mazzoni alla commemorazione online promossa dai Comuni di Pelago, Rufina, Pontassieve.
26 aprile: intervento del presidente G. Matulli al Consiglio comunale di Firenze dedicato al 25 aprile.
26 aprile: conferenza del direttore M. Mazzoni al parlamento degli studenti della Toscana in occasione della seduta dedicata alla Festa della Liberazione nazionale.




Spoon River: Firenze 1944

Un’occasione significativa per approfondire, anche in chiave didattica, una pagina della storia della Liberazione della città, attraverso i profili dei soldati alleati caduti nei combattimenti.




“Resistenza in provincia di Lucca – Il caso Pescaglia”

Sarà domenica 25 aprile alle ore 17.00 l’appuntamento con la video-rubrica VIVI Pescaglia, per l’occasione incentrata sulla storia della Resistenza nel comune montano, trasmessa in streaming sui canali Facebook e YouTube dell’amministrazione e dal titolo “La Resistenza in provincia di Lucca – il Caso Pescaglia”: presentano l’evento Gaia Bernardini (consigliere delegato alle politiche giovanili) e Francesco Maiorano (vicepresidente dell’associazione “I Giovani della Casa delle Idee”, che organizza l’iniziativa in collaborazione con ISRECLU e Comune di Pescaglia), che sarà anche relatore assieme al professor Gianluca Fulvetti, docente di storia contemporanea presso il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell’università di Pisa. Modera l’inc0ntro Sara Andreini.

Locandina dell’evento




“Come si diventa nazisti” Una nuova proposta didattica.

In un periodo dell’anno scolastico in cui gli studenti delle classi quinte affrontano i temi storici inerenti i regimi totalitari, l’iniziativa promossa da A.P.I.S.) (Amore per il sapere) e l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (Rete degli Istituti della Resistenza e dell’età Contemporanea) offre un importante momento di riflessione per tentare di spiegare perché in tanti si sono riconosciuti in ideologie nazionaliste, razziste, antidemocratiche e si propone di fornire a studenti e docenti interpretazioni aggiornate sui regimi fascisti, per comprendere le cause del loro affermarsi nell’Europa del dopoguerra.

Il 12 Aprile 2021, dalle 11:00-12:00, si è tenuto un evento didattico in diretta streaming per le classi quinte delle Scuole Superiori dal titolo “Come si diventa nazisti?” a cui hanno aderito oltre 120 docenti, (dati toscani), per un totale di 3.000 studenti. Sono intervenuti gli storici Paolo Pezzino (docente emerito di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, già membro della Commissione storica italo-tedesca istituita nel 2008) e Daniel Lee (Docente di storia contemporanea presso la Queen Mary University of London).

La parte più ampia dell’incontro è stata costituita dalla lezione del Prof. Pezzino “Il primo dopoguerra in Europa e l’affermarsi dei regimi fascisti”.

Riassumiamo qui la relazione del Prof-Pezzino.

 La prima immagine del Novecento che balza agli occhi di chi lo osservi alla sua conclusione è quella di un secolo di enormi distruzioni, di grandi eccidi.

Il 1914, anno nel quale scoppiò il primo conflitto che fu poi definito ‘mondiale’, rappresenta indubbiamente una cesura.

La prima guerra mondiale fu dunque uno spartiacque non soltanto per il numero enormemente accresciuto dei morti e feriti, ma perché rappresentò il primo esempio di “guerra totale” in cui anche i civili diventano oggetto delle mire distruttive delle potenze avversarie.

La guerra del 1914-18 si concluse con circa 8,5-10 milioni di morti.

Ma non sono solo le guerre a caratterizzare il secolo come violento: al Novecento appartengono anche le stragi per motivi razziali, etnici e di classe, nonché lo sradicamento di intere popolazioni dalla loro terra per spostamenti di confini nazionali. Non è un caso che in questo secolo sia stato coniato il termine “genocidio”, per indicare lo sterminio programmatico di un gruppo etnico da parte di un potere statale.

Il primo genocidio “moderno” è rappresentato dalla strage di armeni compiuta dai turchi nel 1915-1916. Furono uccisi circa due terzi della minoranza armena vivente nel territorio dell’Impero ottomano: da un milione a un milione e mezzo di persone.

Indubbiamente il genocidio più “esemplare” è rappresentato dallo sterminio degli ebrei attuato dalla Germania nazista fra il 1941 e il 1945: oltre cinque milioni di ebrei assassinati, cioè circa i due terzi degli ebrei d’Europa. Ma non solo gli ebrei furono vittime della barbarie nazista, e non solo il nazismo attuò stermini di massa.

Sistemi politici fondati sull’uso generalizzato della violenza nei confronti di particolari gruppi etnici o di particolari gruppi sociali sono una caratteristica del ventesimo secolo. Ad esempio, in Unione Sovietica vennero deportati e sterminati interi gruppi sociali. per esempio, milioni di contadini a partire dal 1930, nel corso del processo di collettivizzazione forzata.

Ma massacri si sono ripetuti anche nella seconda metà del secolo: in Cambogia il regime comunista di Pol Pot ha sterminato, tra il 1975 e il 1979, da uno a due milioni di Cambogiani, su una popolazione stimata in 6-7 milioni.

In altri paesi sono stati i comunisti ad essere massacrati: così in Indonesia furono circa 500.000 i comunisti uccisi nel 1965 nel corso del colpo di Stato che portò al potere il generale Suharto.

I massacri a carattere etnico non sono un ricordo del passato: in Ruanda nel 1994 sono stati sterminate centinaia di migliaia di cittadini di etnia tutsi da parte dello stato controllato dall’etnia hutu, e nei territori dell’ex Jugoslavia, nel corso del processo di definizione dei confini dei nuovi stati sorti dalla disgregazione della Jugoslavia, sono state messe in atto, a partire dal 1992, operazioni di “pulizia etnica”, basti pensare al genocidio di Srebrenica.

Oggi ci sorprende che gli Stati nazionali abbiano potuto convincere milioni di persone a prestare servizio negli eserciti, e la guerra abbia trovato, almeno inizialmente, vasti consensi in quasi tutti i paesi. Il fatto è che ottenere la fedeltà alla nazione da parte di tutti i cittadini aveva rappresentato nel corso della seconda metà dell’Ottocento uno dei maggiori obiettivi degli Stati nazionali. L’aggressiva propaganda nazionalista che accompagnava le politiche imperialistiche delle grandi potenze era penetrata a livello di massa.

Un altro punto è l’identità: l’identità nazionale può fondare sentimenti di solidarietà nei confronti dei propri concittadini ma può essere concepita in maniera esclusiva, dando origine a gravi conflitti: in generale, più le identità sono percepite come forti ed integrali più sostengono comportamenti individuali e collettivi in cui alla solidarietà subentra l’esclusione di chi non condivide quell’identità, sia essa nazionale, ideologica, religiosa, etnica, e la capacità razionale dell’individuo viene offuscata dall’esaltazione di chi si sente protagonista di grandi processi storici: alla nazione subentra allora il nazionalismo, alla passione politica il fanatismo ideologico, alla fede l’integralismo religioso.

L’identità nazionale agli inizi del secolo era considerata in modo totalizzante ed esclusivo, non era sottoposta a considerazioni umanitarie. L’identità di un popolo si opponeva a quella degli altri. L’“altro” popolo diventava il nemico, da annientare in quanto tale. L’indifferenza per la vita delle popolazioni civili dei paesi avversari, quando non l’aperto disprezzo nei loro confronti, rappresentò perciò una costante nelle guerre del secolo.

Si fece strada l’idea che nella lotta politica si potesse usare contro l’avversario la stessa brutalità che in guerra era stata sperimentata contro il nemico. Il fanatismo della nazionalità sarebbe stato ben presto affiancato dal fanatismo dell’ideologia.

L’esperienza della guerra di massa causò, direttamente o indirettamente, l’emergere di sistemi politici fondati su ideologie che si definiscono totalitarie.

Il termine compare a partire dagli anni Venti, per individuare le caratteristiche dello stato fascista in Italia. Tuttavia viene utilizzato soprattutto per definire i caratteri della Germania nazista e dell’URSS staliniana.

Per totalitarismo si intende un regime politico caratterizzato dalla dittatura di un unico partito e dall’uso generalizzato del terrore. Nei regimi totalitari poi prevale la volontà di un capo assoluto, che controlla non solo il partito unico ma anche l’apparato statale, che perde ogni autonomia, e quello terroristico, rappresentato da una polizia segreta onnipotente.

I regimi totalitari sono guidati da un leader carismatico, e promuovono un’ideologia ufficiale, che riguarda tutti gli aspetti della società alla quale viene imposta, e pretende di costruire una società “nuova”. Essi si differenziano dalle dittature del passato perché puntano ad una mobilitazione continua delle masse, dalle quali vogliono ottenere un consenso forzato, compatto e monolitico, e presuppongono dei moderni mezzi di comunicazione di massa: infatti tutti gli strumenti di propaganda e comunicazione, dalla stampa alla radio e al cinema, sono controllati dal regime, e viene colpita qualsiasi forma di libertà di espressione.

I regimi totalitari tendono a controllare anche l’attività economica del paese, tramite la statizzazione di tutti i mezzi di produzione, come nel caso dell’URSS, o l’obbligo a partecipare agli obiettivi economici fissati autoritariamente dallo stato, come in Germania

Il totalitarismo può essere quindi considerato una forma di dominio politico basato su un’ideologia ufficiale imposta alla società, su un partito unico, sul potere assoluto di un capo, sul terrore poliziesco e sul controllo dell’economia e dei mezzi di comunicazione di massa.

Attorno a questo concetto i popoli d’Europa si dilaniarono. Nonostante l’ostilità manifestata nei confronti di una nuova guerra dalle popolazioni ancora memori degli orrori della prima, gli stati liberali e democratici si convinsero a scendere in campo contro la Germania nazista e i suoi alleati quando apparve evidente qual era la posta in gioco: lottare contro il fanatismo della nazionalità, dell’ideologia della razza che volevano imporre nell’intero spazio europeo.

Gli ultimi 10 minuti dell’incontro sono stati dedicati alla presentazione del libroLa poltrona della SS – La vicenda di Robert Griesinger”, di Daniel Lee storico esperto della seconda guerra mondiale in Francia e Nordafrica. Il libro sembra insieme un romanzo, un giallo, un manuale di buon uso di metodo storico.

La vicenda parte dal ritrovamento fortuito dell’imbottitura di una poltrona di documenti appartenenti ad un membro delle S.S., Robert Griesinger.  Lee trova a casa di una signora olandese una poltrona riempita di documenti con svastiche; la proprietaria della poltrona era di Praga ma si era trasferita negli anni ‘70 in Olanda e lì aveva comprato mobilio usato, fra cui la poltrona ed era del tutto ignara del contenuto della imbottitura. Tutti i documenti appartenevano a un funzionario nazista che lavorava a Praga ma era di Stoccarda da parte di madre e americano da parte di padre.

Lee, da detective e storico insieme, si mette sulle tracce di Griesinger e riesce ad entrare in contatto con il ramo americano della sua famiglia. Viene così in possesso anche del diario della madre dal quale si capisce che il figlio nel ‘33 non era ancora nazista ma era interessato a partiti conservatori e odiava il comunismo. Si era poi sposato con una ricca industriale del caffè da cui aveva avuto due figlie: Ida e Barbara. Lee riesce a parlare anche con loro, anzi sono loro che, totalmente all’oscuro del passato del padre, morto nel ’45, fanno domande a lui e cercano di ricostruire chi era il padre una settantina di anni dopo. Si domandano «come mai nostro padre era nazista?», «come mai entrato nelle S..S.?»,  «Come mai era membro della Gestapo?».

Ovviamente Lee non può dare una risposta a queste domande…

Conclude l’intervento il Prof.Pezzino rispondendo ad un’alunna della Professoressa Nencioni, che ha realizzato il collegamento dal Liceo Chini Michelangelo di Lido di Camaiore (LU), che gli chiede «cosa vuol dire fare storia?».

«fondamentalmente per fare storia bisogna partire da documenti, poi si integrano con la storia orale. Bisogna sempre sottoporre la memoria a un vaglio critico e contestualizzare con onestà la propria ricerca e mai fidarsi di ciò che ti raccontano gli altri, soprattutto in epoca web di fake news».




Vittorio e gli altr*: storie di guerra, di scelte e di lotta in terra di Siena

Per il comunista Vittorio Bardini, noto al regime fascista fin dalla seconda metà degli anni Venti per la sua attività “sovversiva”, condannato al carcere e al confino, emigrato in Unione sovietica, combattente come volontario a difesa della Repubblica nella guerra civile spagnola, la scelta della Resistenza dopo l’8 settembre del ’43 è una strada segnata, la tappa decisiva di una lunga sfida, che lo sottopone ancora a prove estreme come la detenzione nel lager di Mauthausen, ma che lo porta nel 1946 a Montecitorio, eletto all’Assemblea costituente, “padre” della nuova Italia, anche in nome dei compagni caduti nella lotta, come Aldo Borri che negli anni Trenta aveva rinunciato al lavoro di insegnante piuttosto che iscriversi al partito fascista e che dopo l’8 settembre era diventato membro del Comitato militare clandestino senese, ma che era morto in conseguenza del primo bombardamento alleato sulla città, il 23 gennaio 1944.
Così era stato per gli “antifascisti storici” (p. 77), quelli che avevano fronteggiato il regime negli anni dell’Italia in camicia nera e che, dopo l’armistizio, non indugiano nella scelta della lotta armata, come ad esempio Giovanni Guastalli, commissario politico della Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini. Non solo uomini, è lo stesso per Norma Soldi e Alva Bucci che di quella brigata si definiscono “staffette di vigilanza”, sempre attente a riferire ogni mossa di tedeschi e fascisti. Accanto alle convinzioni ideologiche che guidano i comunisti, vi sono anche altri percorsi.
Per il giovane Vittorio Meoni è l’ambiente dell’Azione cattolico che lo spinge a posizioni sempre più critiche con il fascismo negli anni della guerra, fino all’avvicinamento al comunismo e alla scelta partigiana. Mentre non mancano ufficiali che, fedeli al giuramento al re, organizzano gruppi armati, come il colonnello Adalberto Croci, comandante del Raggruppamento Monte Amiata.
E poi vi sono coloro che, senza impugnare le armi e più per adesione ai valori umani che per consapevolezza politica fronteggiano la guerra e l’occupazione nazi-fascista boicottandone le direttive e proteggendone i “perseguitati”: dai propri figli richiamati alla leva fascista a perfetti sconosciuti, ma riconosciuti sempre come uomini (ebrei, disertori, ex prigionieri di guerra..), fino agli stessi partigiani. Fra questi spiccano figure di sacerdoti e religiosi, come il francescano Quirino Bulletti che aveva fatto nascondere ai partigiani le armi nel cimitero della confraternita della Misericordia di cui era cappellano, subendo poi l’arresto da parte dei fascisti o come i padri del Monastero di Monte Oliveto impegnati a nascondere gli ebrei e quindi a ricercare rifugi più sicuri rispetto alla loro stessa residenza. Ma fra i resistenti vi sono anche gli ufficiali e i soldati, ben 1328, che per essersi rifiutati di combattere con i nazisti e fascisti sono trasferiti nei campi di prigionia nel Reich, privati dello status di prigionieri – con le relative tutele, ridotti a “schiavi” a servizio dell’economia nazista, come Martino Bardotti ufficiale di Poggibonsi, reso fermo nella difficile scelta dalla formazione ricevuta in Azione cattolica.

CopertinaQuesti sono solo alcune delle figure che aprono – o che animano – i capitoli della nuova Storia della Resistenza senese pubblicata dall’Istituto storico senese della Resistenza e dell’età contemporanea: un volume importante e “ambizioso”, come ricorda Nicola Labanca nel suo saggio introduttivo non solo perché presenta una sintesi compiuta ed al tempo stesso agile, a molti anni dal precedente volume di Tamara Gasparri (allora, nel 1976, innovativo ed approfondito) e alla luce dei successivi sviluppi della storiografia, ma anche per il metodo adottato.

Il libro è infatti prodotto dal “gruppo di lavoro” dell’Istituto senese, composto non solo da generazioni, ma anche da professionalità diverse. Un lavoro in comune che deve aver comportato un complesso, ma certamente arricchente, processo di scambio e confronto, arricchito dall’apporto di competenze diverse, quali quelle dell’antropologia, visibili in particolare nelle pagine sul mondo mezzadrile, ma ben amalgamate lungo tutto il volume. Le diverse sensibilità infatti, probabilmente per la consuetudine ad un lavoro comune consolidatasi nel tempo, hanno infatti prodotto un testo omogeneo, scorrevole, intenso, dove le singole individualità degli autori possono apparire fra le righe, ma senza disorganicità. Il testo è stato indubbiamente possibile per il vasto impegno svolto fin dalla sua fondazione dall’Istituto per la promozione della conoscenza storica di quegli anni così complessi, alla luce delle nuove domande e sfide poste dalla storiografia dagli anni Novanta, a partire dalle fondamentali questioni poste da Claudio Pavone, fino alle preziose banche dati sulle azioni della Resistenza e sulla nuova classe dirigente post-Liberazione realizzate o in via di elaborazione. Ma nella sua efficace configurazione è certo frutto delle scelte del “gruppo di lavoro”, probabilmente consolidate dalla positiva esperienza vissuta nel 2019 all’interno del progetto “Pillole di Resistenza”, la serie di video-documentari sulla Resistenza Toscana, realizzata dallo Studio RUMI, coordinata dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, insieme a tutti gli istituti provinciali, grazie al sostegno della Regione Toscana.

Il libro è, infatti, articolato, come rileva Nicola Labanca “per temi, classici in questo tipo di studi, intrecciati ad un certo filo cronologico” (p. 12) che consentono di toccare tutte le questioni principali, a partire da profili biografici “esemplari” che le introducono. Nello scorrere delle pagine, ai volti di uomini e donne, colti nella loro complessa umanità, si succede così la narrazione dei fatti essenziali e l’individuazione dei nodi essenziali della riflessione storica: il rapporto della Resistenza con le precedenti generazioni dell’antifascismo e con la stagione della violenza politica avviata dallo squadrismo fascista nel primo dopoguerra, lo spaesamento delle istituzioni e delle persone nella convulsa estate del 1943, il tema essenziale delle scelte dopo l’8 settembre, del collaborazionismo fascista a servizio dell’occupazione nazista e delle sue dinamiche di sfruttamento del territorio e della popolazione (delineato con cura anche per “decostruire” la falsa narrazione diffusasi nella memoria locale sulla natura “blanda” dell’ultimo fascismo senese), delle forme molteplici della Resistenza a partire dalla dimensione della lotta partigiana cui viene data una dovuta centralità, senza per questo dimenticare le altre forme di Resistenza, cui viene dedicato il capitolo ottavo e dando un giusto rilievo alla presenza e al ruolo delle donne (gravemente segnate dalle violenze di guerra, basti solo pensare ai numerosi stupri ad opera delle truppe marocchine del Corpo di spedizione francese), il ruolo dei Comitati di liberazione nazionale, la complessa stagione stretta fra la liberazione del territorio e l’attesa della conclusione del conflitto in Italia.
Menzione specifica merita il settimo capitolo dedicato al mondo della campagna, travolto dal conflitto totale, per la rilevanza della mezzadria e in generale della dimensione rurale nella realtà sociale della provincia senese, ma anche per la comprensione della mentalità e della cultura della maggioranza della popolazione, così da comprendere meglio l’impatto avuto dal conflitto. L’analisi delle scelte dei contadini nel contesto dell’occupazione e di fronte al movimento partigiano evidenzia, infatti, tutta la complessità della vicenda storica, al di là di facili ed illusori schematismi che hanno animato annosi dibattiti e polemiche e aiuta a cogliere il carattere dirompente che l’impatto del conflitto ha su quella classe sociale, segnandone mentalità, scelte, comportamenti ben oltre l’esaurirsi dell’evento bellico. Ma opportuno e significativo è anche il terzo capitolo che tratteggiando l’impatto della “guerra totale” sul territorio senese e sulla popolazione, a partire dalle conseguenze degli attacchi aerei anche a fronte della sostanziale assenza di “qualsiasi struttura difensiva a tutela della popolazione e del ricco patrimonio storico-artistico” (p. 55), contestualizza bene il vario formarsi delle resistenze nel processo di disgregazione del rapporto fra italiani e regime favorito dal conflitto.

IMG_4134La dimensione del volume (oltre 270 pp.) significativa, ma “ridotta” in relazione alla complessità delle questioni trattate ne evidenzia il carattere “coraggioso” di sintesi che quindi inevitabilmente può scontare l’opportunità di alcune scelte o la minor trattazione di alcuni temi o aspetti (come ad esempio quelli dell’avvio del processo di ricostruzione e della formazione della nuova classe dirigente in un difficile rapporto con i comandi alleati, tratteggiati nell’ultimo capitolo), ma che ha in ciò il suo merito. A fronte di tanti contributi specialistici che indagano nei dettagli singoli aspetti, ciò che spesso manca (anche a livello di sintesi regionale) è un contributo che possa richiamare l’integrità del quadro senza “spaventare” il potenziale lettore per il numero eccessivo di pagine, ma piuttosto stimolandolo a proseguire un cammino di conoscenza grazie ad un apparato di note puntuali, ma non invasivo e pletorico.

Infatti, in conclusione, ritengo che il merito principale del volume sia quello di rivolgersi a tutti. L’assenza di retorica e soprattutto le scelte narrative accattivanti, la capacità di evidenziare i nodi più interessanti per la realtà locale ma anche in una chiave nazionale, lo stile e il linguaggio adottati, lo rendono “piacevolmente” leggibile per un pubblico vasto di interessati e non (solo) di specialisti (oltre che adatto per un sistematico uso didattico) in una stagione che, privata dai testimoni diretti, deve vedere proprio nel ritorno alla conoscenza storica la strada principale per rendere patrimonio comune della cittadinanza questi snodi essenziali della nostra storia comune. Direzione nella quale, con questa pubblicazione, l’Istituto di Siena aiuta tutti a fare un passo importante.




Presentazione del Quaderno del Circolo Rosselli n.1/2021, dedicato al Centenario del Circolo di Cultura

Giovedì 22 aprile 2021, dalle ore 17.30 alle ore 19
Meeting ZOOM
ID 447 836 7941
Presentazione del Quaderno del Circolo Rosselli n.1/2021, dedicato al Centenario del Circolo di Cultura in occasione della ricorrenza della Liberazione
“Intellettuali e politica negli anni dell’avvento del fascismo”
(a cura di Massimo Tarassi)
Interverranno:
Giovanni Belardelli (Università di Perugia)
Marco Bresciani (Università di Firenze)
Patrizia Dogliani (Università di Bologna)
Presiede Valdo Spini, Presidente della Fondazione Circolo Rosselli
“Fondazione Circolo Rosselli”



“…vedevam l’altra riva, la vita” – Due iniziative on line dell’Isgrec al FestivalResistente

Vedevam l’altra riva, la vita”

Due iniziative ON LINE dell’Isgrec al FestivalResistente

per celebrare la Festa di Liberazione dal Nazifascismo

23-24 aprile 2021

>> Scarica la locandina

Nell’ambito del pregramma del FestivalResistente, l’Isgrec ha organizzato due iniziative per celebrare la Festa di Liberazione dal nazifascismo.

La prima si terrà il 23 aprile 2021 alle ore 17.30 (on line sulle pagine fb del FestivalResistente e dell’Isgrec e nel sito www.isgrec.it): ILARIA CANSELLA (Direttrice Isgrec) e ENRICO ACCIAI (Università di Roma Tor Vergata) discuteranno di “Valore e attualità dell’antifascismo: il 25 aprile oggi” con CARLO GREPPI, curatore della collana Laterza “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti”, autore dei volumi “25 aprile 1945” (2018), e “L’antifascismo non serve più a niente (2020), e FRANCESCO FILIPPI dell’Associazione Deina, autore dei volumi “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo” (2019), “Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto” (2020) e, appena uscito, “Prima gli italiani! (Sì, ma quali?)”.

Il 24 aprile, invece, sempre alle 17.30, sarà presentato in anteprima il volume “Partigiani della Wehrmacht. Disertori tedeschi nella Resistenza italiana”, curato da MIRCO CARRATTIERI (Direttore generale dell’Istituto nazionale “F. Parri” di Milano) e IARA MELONI (Università Statale di Milano). Dialogano con i curatori MARCO GRILLI, ricercatore e consigliere Isgrec, autore del saggio “Per tutti era Gino” sul disertore tedesco unico superstite della strage di Maiano Lavacchio, ILARIA CANSELLA (Direttrice Isgrec) e STEFANO CAMPAGNA (Vicepresidente Isgrec). Coordina il Presidente dell’Isgrec PAOLO PASSANITI.

Info: Isgrec | 0564415219 | www.isgrec.it | segreteria@isgrec.it




Le riviste e l’impegno culturale: una rassegna. Motivazioni, modi, formati e pubblico delle riviste di ricerca storiografica

All’interno del Festival digitale delle riviste “PERIODICAMENTE” 27 aprile 2021, Ore 17 – Le riviste e l’impegno culturale: una rassegna. Motivazioni, modi, formati e pubblico delle riviste di ricerca storiografica
Un confronto fra riviste, alcune delle quali “rinate” o che sono in fase di rilancio e ridefinizione identitaria, tutte accomunate dall’intendere l’operazione storiografica come forma di attivismo culturale. La discussione ruoterà intorno a due domande strettamente intrecciate fra loro: che senso ha oggi fare una rivista, anche alla luce delle questioni poste dalla public history, e come si fa, con che struttura, con quali formati (elettronici o cartacei), a che pubblico ci si rivolge. A indagare la materia saranno Paolo Bagnoli («Rivista storica del socialismo»), Stefano Bartolini («Farestoria»), Andrea Bottalico («Officina Primo Maggio»), Donata Cei (Centro di Documentazione di Pistoia), Francesco Cutolo («Storia locale»), Carlo De Maria («Clionet»), Antonio Fanelli («Il De Martino»), Omar Salani Favaro («Venetica»), Francesca Tacchi («Passato & Presente»). A cura del Centro di Documentazione di Pistoia, della Fondazione Valore Lavoro e dell’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia.