81° anniversario della deportazione nei campi di sterminio dei cittadini e lavoratori empolesi




La didattica per la storia della Resistenza nella provincia di Pisa

Segnaliamo questo corso organizzato dal nostro Istituto:

Nell’ambito della programmazione offerta dall’Università Aperta per l’anno 2024-2025 presentiamo un corso tenuto dalla Biblioteca Franco Serantini, Istituto di Storia sociale, della Resistenza e dell’Età contemporanea della provincia di Pisa, dal titolo:

La didattica per la storia della Resistenza nella provincia di Pisa

Quando:
Mercoledì, dalle ore 18:00 alle ore 20:00, dal 12 marzo al 9 aprile 2025

Dove:
presso la sede della Biblioteca Franco Serantini, via G. Carducci 13, loc. La Fontina (Ghezzano – Pisa)

Temi trattati:
Tra novembre e dicembre 2024 abbiamo tenuto la prima parte del corso dedicato alla storia della Resistenza, in cui abbiamo dialogato su temi diversi con studiosi invitati da fuori: l’antifascismo, la Resistenza in Europa, la Resistenza in Italia, l’Rsi, il ruolo della Chiesa.

Questa seconda parte, che ha una sua autonomia e può quindi essere seguita anche da chi non abbia partecipato alla prima parte, si concentrerà invece su un metodo laboratoriale di gruppo. Affronteremo il tema della Resistenza attraverso una serie di tagli specifici: la letteratura che ha raccontato la Resistenza, i canoni retorici attraverso cui si è costruita una narrazione pubblica, le scritture intime e private che hanno restituito un fenomeno complesso e articolato, la comunicazione pubblica odierna, influenzata dal “pansismo” e dal “web 2.0”, i luoghi della Resistenza.

Obiettivo del corso sarà costruire uno spazio di dialogo e interazione per mettere in discussione le immagini e le conoscenze che abbiamo sulla Resistenza, partendo da sé, per avviare quindi un confronto critico sull’importanza del discorso sulla Resistenza nella società di oggi.

Il corso è GRATUITO. Per iscriversi, inviare una mail a: segreteria@bfs.it

 




Le pratiche di resistenza delle donne nella storia




Presentazione del libro di Paolo Bagnoli PIERO GOBETTI, UNA RIFLESSIONE CONTINUA




In ricordo di Natale Benvenuti, il partigiano “Stoppa”




Incontro con Letizia Fuochi “Se una è coraggiosa è coraggiosa sempre. Donne, Resistenze, Passioni”




Le bandiere multicolori delle donne. Una storia di pacifismo e resistenza

Nel secondo dopoguerra l’Italia fu uno dei paesi protagonisti del movimento dei Partigiani della pace, costituitosi a Parigi nel 1949. Nel suo alveo, tra gli anni ’40 e ’50, si sviluppò “dal basso” la pratica della realizzazione delle “Bandiere multicolori della pace”. Si tratta di una pratica autonoma e parallela rispetto a quella delle bandiere della pace arcobaleno.

Le bandiere sono un artefatto classico. Prima dell’avvento delle bandiere prodotte in serie si trattava di un oggetto singolo, “La bandiera”, simbolo identitario soggettivo di quella specifica organizzazione e potente strumento comunicativo. La bandiera attira lo sguardo, trasmette contenuti, unisce le persone, risveglia emozioni. L’uso della bandiera in scioperi e manifestazioni occupa lo spazio, crea collettività, anche attraverso una precisa grammatica dei colori.

La bandiera arcobaleno è oggi conosciuta globalmente. Un ruolo importante nella sua diffusione e standardizzazione pare averlo giocato Aldo Capitini, che portò una bandiera molto simile a quella che conosciamo, riprendendola da alcune che già circolavano, durante la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi nel 1961. Ma già agli inizi del ‘900 James Van Kirk aveva proposto la World Peace Flag. Nel 1897 ne era stata proposta un’altra da Cora Slocomb e qualche anno prima, nel 1891, un’altra versione ancora era stata proposta da Henry Pettit.

Poco note sono invece le bandiere della pace delle donne italiane, che nonostante la loro diffusione all’epoca restano quasi sconosciute al grande pubblico. Per le loro fattezze sono conosciute come bandiere multicolori. Venivano realizzate spesso a risparmio, con scampoli di tessuto, spesso arricchite con ricami di testo, di disegni o oggetti del lavoro. Sono arrivate a noi attraverso la memoria e gli archivi. Ne sopravvivono numerosi esemplari, a volte in bella vista, altre volte in cassetti e sgabuzzini.

La loro estetica pone un interrogativo: perché fare delle bandiere multicolori per simboleggiare la pace? Probabilmente l’idea che la pace andasse rappresentata con tanti colori si era già fatta strada, a partire dai primi prototipi, e veniva tradotta dallo spirito internazionalista dei movimenti socialisti e comunisti in una bandiera che con i suoi tanti colori rappresentasse i popoli del mondo uniti sotto le insegne della pace.

Furono soprattutto le donne dell’Unione donne italiane (UDI) ad impegnarsi maggiormente nella campagna pacifista e contro la minaccia atomica. Di conseguenza, le bandiere ebbero anche una caratterizzazione e grammatica di genere. La realizzazione delle bandiere era già una delle forme dell’attivismo delle donne. Le laboriose e infaticabili mani femminili cucivano da tempo i vessilli del movimento di emancipazione del lavoro. Le bandiere multicolori divennero così le bandiere della pace “delle donne”, un simbolo delle istanze di emancipazione, esibite e portate in piazza.

Le prime informazioni sulle bandiere multicolori risalgono alla fine del 1948, diventando subito un simbolo di lotta e di opposizione all’ingresso dell’Italia nella NATO, contro la guerra di Corea e la bomba atomica. Nel 1949 a Parma la bandiera, rimossa dalla polizia dalla torretta della fabbrica Bormioli (occupata dalle maestranze), venne portata in bicicletta in alcuni paesi, dove si costituirono i Comitati della Pace al suo passaggio e si raccolsero firme contro il Patto Atlantico. Lo stesso anno l’UDI invitò le donne a portare le bandiere alle manifestazioni dell’8 marzo. Le bandiere vennero utilizzate anche negli eventi delle ragazze dell’UDI, come gli Incontri di Primavera o le gare sportive, legandosi così alla gioventù e all’idea di futuro che incarna. Sono numerose le fotografie apparse sulle riviste del tempo in cui le ragazze sventolano le bandiere. A Siena presso le “Stanze della memoria” è esposta una bandiera dove si può leggere la scritta ricamata: «Le ragazze d’Anqua s’impegnano per la pace».

Ma nell’Italia di quel tempo queste bandiere erano un oggetto politico conflittuale. Dato che la campagna pacifista si contrapponeva alle politiche internazionali e di riarmo dei governi italiani, la bandiera della pace era di fatto uno strumento di opposizione e veniva considerata la manifestazione di un’ostilità politica ai governi, che ne perseguirono l’uso attraverso le forze dell’ordine. Le bandiere divennero così anche un simbolo e uno strumento di resistenza, e con questa declinazione furono incorporate nei repertori dell’azione sindacale. Le ritroviamo in piazza il Primo maggio, esposte ai convegni e ai congressi della CGIL, utilizzate in scioperi e manifestazioni. Capitava spesso che sulle bandiere venissero ricamate le rivendicazioni sindacali. Furono numerosi i mondi del lavoro che realizzarono le proprie bandiere, dalle fabbriche alle mondine, e non mancarono bandiere dallo spirito “confederale”.

Le bandiere divennero uno strumento di lotta a tutti gli effetti, come nell’occupazione della fabbrica Bormioli. Molte testimonianze della loro funzione in questo senso provengono dal mondo mezzadrile. Si affermò la pratica di portarle durante gli scioperi e di issarle sulla vetta dei pagliai e nelle aie durante la trebbiatura del grano. Le bandiere riempivano così lo spazio della conflittualità sociale. Le forze dell’ordine furono impegnate in una lunga battaglia per rimuovere le bandiere dai pagliai, in una ricorsa continua, da un pagliaio all’altro, da un’aia all’altra, che si risolveva nel rafforzamento della volontà delle famiglie mezzadrili di issarle, vedendovi un’espressione di emancipazione dai proprietari e della conquistata libertà politica. Sul la rivista della CGIL Lavoro del 1952 si legge sotto a una foto: «Dopo una combattuta lotta i contadini dipendenti degli agrari fratelli Sonnino di Chiaravalle, issano sull’aia la bandiera della pace. I Sonnino pensavano di poter imporre i loro sistemi antidemocratici, ma la lotta dei contadini ha avuto ragione di loro».

Oggi è in corso un movimento di riscoperta di queste bandiere, sull’onda del rinnovato protagonismo dei movimenti delle donne e del nuovo impegno pacifista oggi sempre più urgente. Nel semiottagono delle Murate, a Firenze, dal 5 marzo al 25 aprile 2025 sarà visitabile una mostra che ripercorre la loro storia in dialogo con le opere d’arte del collettivo Lediesis.

 

Stefano Bartolini è direttore della Fondazione Valore Lavoro, responsabile del Centro di documentazione archivio storico CGIL Toscana e direttore scientifico dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia (ISRPT).

Martina Lopa svolge attività di ricerca sulla storia delle donne, collabora con la Fondazione Valore Lavoro e fa parte del gruppo di lavoro “Paura non abbiamo” dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia (ISRPT).




CGIL Firenze e SPI CGIL Sesto Fiorentino a sostegno dell’ISRT

Con la “lezione” del 23 gennaio scorso si è concluso il ciclo della Scuola del Popolo organizzata dallo Spi Cgil Lega di Sesto Fiorentino e dalla CGIL dal titolo “Gli anni 70: un decennio a perdifiato” con una riflessione sulla storia, sul valore e sull’attualità dello Statuto dei Lavoratori.
In tale occasione gli organizzatori hanno deciso di organizzare, con il contributo dell’Auser, una cena di raccolta fondi a favore del nostro Istituto, come riconoscimento del loro contributo e soprattutto convinti dell’importanza e del valore del lavoro da loro svolto quotidianamente. Era presente il prof. Pietro Causarano membro del Consiglio direttivo dell’Istituto.
Oggi, 26 febbraio, una loro rappresentanza è venuta a trovarci in Istituto, accolta dal presidente Chiti e dal direttore Mazzoni, e ci hanno consegnato il ricavato della cena (al netto delle spese sostenute). Ringraziamo sentitamente le organizzazioni e tutti coloro che hanno contribuito alla donazione.