Per IRMA e AFFORTUNATA SERVI PIETRE D’INCIAMPO del “COMITATO PALOMAR via Palazzuolo” a Firenze

MERCOLEDì 11 GENNAIO ORE 14.30, IN VIA PALAZZUOLO AL NUMERO 25, saranno posate due pietre d’inciampo, promosse dal “Comitato Palomar.Via Palazzuolo”, in memoria di Irma e Affortunata Servi, vittime della Shoah, residenti nella strada fiorentina.
Il collocamento delle due pietre avviene all’interno del denso calensario del Comune di Firenze.
La ricerca sulle due sorelle è stata condotta dalla studiosa Marta Baiardi.
. COMUNICATO. STAMPA-PIETRE PALAZZUOLO




I campi di Tullio. La storia di un internato militare italiano




Giorgio Alberto Chiurco. Biografia di un fascista integrale

Un nuovo appuntamento della rassegna “Autori di storia, storie e memorie” curata dall’Istituto storico della Resistenza senese e dell’età contemporanea.

Venerdì 13 gennaio 2023, alle ore 17:30, si terrà presso le Stanze della Memoria di Siena (via Malavolti 9) la presentazione del volume M. Borri, Giorgio Alberto Chiurco. Biografia di un fascista integrale (Unicopli 2022).

Dialogheranno con l’autore Paola Salvatori (Scuola Normale Superiore di Pisa) e Gianluca Fulvetti (Università di Pisa). Modererà l’incontro Alessandro Orlandini (direttore dell’Isrsec).

Per informazioni: stanzedellamemoria@gmail.com




Nascono gli annali della FVL. Il primo della serie, LabOral, è dedicato a storia orale, lavoro e public history

La Fondazione Valore Lavoro è felice  concluso il 2022 con il primo numero di, A òpra. Annali di storia e studi della Fondazione Valore Lavoro.

Questa nuova collana promossa dalla FVL si propone come uno spazio scientifico di discussione e di interfaccia fra la pluralità di reti e situazioni che si occupano di studiare il lavoro in chiave interdisciplinare, nel passato più lontano come nel recente presente, e i soggetti che del lavoro sono espressione, senza dimenticare che la ricerca nelle scienze storiche, umane e sociali svolge un ruolo essenziale in termini di politica culturale e civile nell’integrazione democratica del Paese. La scelta del nome, A òpra, al lavoro, attraverso un toscanismo linguistico rurale comprensibile al di là del vernacolo locale intende restituire l’idea di una messa all’opera in cui l’attività svolta è dotata di un senso complesso e profondo, non solo circoscritto da dominio, fatica e necessità ma anche da identità e rappresentazione del sé nel mondo, un mondo molto più vasto della singolarità soggettiva.

Il primo numero, LabOral. Storia orale, lavoro e Public History, curato da Stefano Bartolini contiene gli atti del convegno del 2021 organizzato insieme alla Società italiana di storia del lavoro e all’Associazione italiana di storia orale.

L’edizione elettronica è disponibile dal 26 dicembre sul sito dell’editore ed.it press e sulla piattaforma Torrossa. Quella cartacea sarà acquistabile dai primi di gennaio.

Qui sotto trovate l’indice del primo numero e in allegato la presentazione del progetto editoriale a cura del direttore Pietro Causarano.

LabOral. Storia orale, lavoro e Public History

Il senso di fare degli annali di storia e studi sul lavoro

Pietro Causarano

La storia orale e il lavoro: un terreno fertile

Stefano Bartolini

Parte prima. Tra archivi, metodi e contenuti

Il lavoro tra fonti orali, sonore e musicali. Lo stato dell’arte in Italia

Elisa Salvalaggio

Studiare il lavoro con le fonti orali e audiovisive

Giovanni Contini

Non solo interviste. L’osservazione partecipante in una ricerca fra i braccianti africani a Saluzzo

Marco Buttino

Parte seconda. Storie del lavoro

Storia del lavoro e storia dei lavoratori

Stefano Musso

Fonti orali e processi produttivi: i lavoratori abruzzesi delle corde armoniche

Riccardo De Robertis

Dopo il tabacco, la Svizzera. L’ultima stagione delle tabacchine leccesi

Maria Concetta Cappello

Una “banda” di brave ragazze. L’occupazione della Conber tra il 1975 e il 1976

Sonia Residori

Raccontare la ristrutturazione. Il cantiere navale Breda di Porto Marghera tra anni Settanta e Ottanta

Alberto Scaggiante

Una lavoratrice può fare l’attrice? Sfide metodologiche nell’analisi dell’intervista a Marina Euzébio, attrice della produzione teatrale “O Último Carro”

Natalia Batista

Parte terza. Verso la Public History

L’orizzonte della Public History

Lorenzo Bertucelli

Le lotte del Cormôr. Un esempio di recupero e valorizzazione di un archivio orale

Renato Rinaldi

La memoria e i social network. Una frontiera epistemologica per lo studio della storia del tempo presente

Camillo Robertini

Indice dei nomi




Gli alpini, la guerra di Russia, la memoria. Note su Nikolajewka

L’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, all’interno del suo ciclo di seminari online “Fra Storia e Memoria”, in collaborazione con gli Istituti provinciali di Grosseto, Livorno, Lucca, Pistoia, Siena, vi invita a partecipare a

26 gennaio ore 18.00

Gli alpini, la guerra di Russia, la memoria. Note su Nikolajewka.

Seminario online

a cura di Filippo Masina, Università di Siena

Introduce Matteo Mazzoni, direttore ISRT

Per partecipare scrivere a isrt@istoresistenzatoscana.it

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Online sul sito ISRT il nuovo Contest “Next Generation Florence 2022: gioventù ribelle”

3° edizione contest “Next Generation Florence 2022: gioventù ribelle”
Anno scolastico 2022/2023
L’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea (ISRT), nell’ambito dell’attività culturale triennale sostenuta dal Comune di Firenze e in collaborazione con MAD – Murate Art District bandisce, per l’anno scolastico 2022/2023, la seconda edizione del contest Generation Florence 2020, denominato

Next Generation Florence 2023: le nostre Resistenze

rivolto alle/gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado del Comune di Firenze.

Sul sito ISRT i dettagli e il bando

– ISRT (istoresistenzatoscana.it)




Online sul sito ISRT il “Non mollare” primo periodico antifascista, grazie al contributo di Fondazione CR Firenze

Il «Non Mollare», periodico antifascista stampato senza cadenza fissa (Esce quando può), è il primo esperimento di giornalismo clandestino durante il regime fascista. Subito dopo l’esperienza fiorentina del Circolo di Cultura, che fu chiuso per decreto prefettizio del 5 gennaio 1925, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli fondarono a Firenze il «Non Mollare», un giornale che ha rappresentato il punto d’approdo e la svolta decisiva di un percorso politico travagliato e per certi versi contraddittorio. Finalizzato all’azione politica (la sua analisi deve necessariamente ricollegarsi al contesto del Paese e a quello fiorentino in particolare), è stato stampato dal gennaio all’ottobre 1925, mediante l’ottenimento del denaro necessario procurato da Salvemini – che scrisse anche gli articoli principali – e furono distribuiti “alla macchia” 22 numeri. Una presenza continuativa e non effimera nel panorama della controinformazione, il periodico indicava l’esistenza di un movimento politico irriducibilmente schierato all’opposizione e la differenza rispetto alla restante stampa antifascista, oltre alla scelta obbligata dell’illegalità, era riscontrabile nello svincolo da programmi che non fossero il ristabilimento della democrazia. Il titolo della testata fu ideato da Nello Rosselli, dopo avere cercato invano ispirazione nelle testate risorgimentali; quanto al contenuto, era rigorosamente attinente a soprusi, più o meno rilevanti, perpetrati dal nascente regime e celati sotto la cappa conformistico-censoria imposta dagli squadristi e dai prefetti. Espressa totale sfiducia nelle possibilità di un’attività politica incisiva entro i limiti della legge, per i promotori del foglio fiorentino restava una sola strada: quella della resistenza, «malgrado resistere le armi della milizia, malgrado l’impunità assicurata dei delinquenti, malgrado tutti i decreti che possono venire firmati dal Re» (dall’editoriale del n.1, gennaio 1925).

Grazie al contributo di Fondazione CR di Firenze, il periodico è stato digitalizzato ed è adesso liberamente consultabile sul sito dell’ISRT:

Non Mollare

Il progetto, ideato dal dott. Mirco Bianchi, è stato realizzato dalle dott.sse Giada Kogovsek e Maria Caterina Sechi.




Il caso di Shangai a Livorno, 1930-2017.

Introduzione

L’obiettivo di questo breve articolo è quello di ripercorrere la storia del quartiere di Shangai di Livorno, partendo dalla sua nascita, alla fine degli anni ’20 del ‘900, per arrivare ai giorni nostri.
Il focus sarà quello di determinare le ragioni che hanno portato alla nascita di un quartiere problematico, e riflettere su quelle azioni, quelle scelte che, nel tempo, sono riuscite ad offrire nuove opportunità e possibilità per i suoi abitanti. In particolare emergerà che il periodo più positivo vissuto dagli abitanti del quartiere corrisponde a quello che va dagli anni ’70, con l’inaugurazione della sezione del PCI di Shangai[1] fino al primo decennio degli anni 2000. Durante questi anni, infatti, diverse associazioni e realtà religiose e politiche, portate avanti dagli stessi abitanti di Shangai, hanno risollevato le sorti di un quartiere difficile sotto molti punti vista, promuovendo senso di comunità, cooperazione e coesione sociale. Nel 2017 è stato chiuso il “Punto Incontro Donna” di Shangai, uno degli ultimi e più saldi pilastri sociali del quartiere, e la situazione già precaria del popolare e degradato rione, ha iniziato a peggiorare gradualmente nonostante i molti investimenti e tentativi di miglioramento da parte dell’amministrazione comunale.

Prima delle origini

Nell’area che corrisponde oggi al quartiere, fino all’inizio del ‘900 si trovavano “solo orti, campi, acquitrini, e rovi”[2]. Era una zona conosciuta dai livornesi soprattutto per la strada che portava al cimitero cittadino, la via del Camposanto. Vi abitavano poche persone, e vi erano insediate alcune fabbriche come la Parodi dove si lavorava l’olio, la Gallinari che produceva coloranti e bitume e la famosa fabbrica della Richard Ginori. Era quasi un’area verde di campagna, perfino con un corso d’acqua, il Rio Cigna[3].

Origini

La nascita del quartiere risale al 1930, quando l’Istituto Case Popolari di Livorno iniziò la costruzione di blocchi abitativi detti “popolarissimi”[4].
La decisione di costruire questo nuovo quartiere a nord della città, che sembra prendere il nome proprio da quanto lontano, disagiato e sovraffollato fosse, in richiamo anche alla città cinese, mancante di tutto quello che invece era presente nel centro, è da ricollegarsi addirittura alla fine dell’800. Fu allora infatti che la questione dei fabbisogni abitativi iniziò ad assumere sempre maggiore importanza. La Livorno postunitaria infatti era in espansione, con un numero crescente di iniziative imprenditoriali. Il commercio portuale fioriva, ma soprattutto la città necessitava un “riassetto organico edilizio del degradato centro cittadino”[5]. Le epidemie di colera nei blocchi del centro (intorno alla centralissima attuale via Grande) erano estremamente comuni, a cavallo tra ‘800 e ‘900, proprio in questi “fatiscenti e insalubri edifici del centro… occupati da miserabili che non possono certamente permettersi di procurarsi una casa in buone condizioni”[6].
In realtà questa necessità di alleggerire il centro abitato da “miserabili” aveva anche delle motivazioni di tipo politico. Nel 1922 i fascisti conquistarono violentemente il Municipio, costringendo il sindaco Mondolfi e l’intera giunta a dimettersi[7]. Solo tre anni prima, nel 1919, vi erano state proteste e saccheggi nel centro cittadino per il caroviveri. Quindi per evitare il ripetersi di tali eventi, il nuovo governo cittadino nel ’26 decise di cedere a titolo gratuito terreni per case popolari da costruire in vista dello sventramento dei blocchi “insalubri”, abitati da persone difficili da tenere sotto controllo, del centro. Questi appezzamenti di terreno comunale erano stati prima (nel 1923 circa) cedute ad associazioni di combattenti, di madri o vedove di guerra che tuttavia non riuscirono ad utilizzarli e dovettero restituirli al Comune, che a sua volta li cedette all’Istituto Case Popolari[8]. Inoltre le case “popolarissime” di Shangai nacquero all’interno della politica di disurbanizzazione, ovvero quella che l’architetto Calza-Bini, presidente dell’I.C.P. di Roma aveva esposto in un’intervista al “Giornale d’Italia” nel 1928 in cui affermò che tutti coloro che non avevano necessità di stare in città dovevano essere trasferiti in periferia tramite la costruzione, da parte dei vari istituti di case popolari, di nuove case in parti periferiche, agricole e/o industriali, delle città. In particolare Calza-Bini nominò in quegli anni una commissione che pubblicò nel 1926 un testo intitolato “Per la costruzione di case popolari rapide ed economiche”, che descriveva i casamenti a cortile chiuso di Shangai[9].
Costanzo Ciano, mano destra di Mussolini, e livornese, spese molte energie per dare l’avvio ad un’edilizia popolare per quei ceti costretti a lasciare il centro e andare nelle nuove abitazioni[10], soprattutto per soddisfare i suoi interessi economici personali[11].
Dallo sventramento dei palazzi insalubri del centro, le famiglie furono traferite nelle abitazioni che iniziarono ad essere costruite a Shangai, caratterizzate dalle “stimmate del degrado e della bassissima qualità abitativa”[12]. È un fenomeno molto comune nelle vicende abitative dei poveri: i bassifondi scompaiono in un posto e riappaiono in un altro[13]. Si trattava di caserme, costruite con materiali scadenti, dove andarono ad abitare famiglie molto povere e numerose. Non solo i materiali delle costruzioni erano di pessima qualità, anche l’impianto delle stesse era di basso livello (quasi sempre l’unico servizio igienico si trovava direttamente in cucina, le abitazioni erano mono affaccio).
I blocchi continuarono ad essere costruiti negli anni successivi, senza però un piano di sviluppo di servizi, infrastrutture e stradario adeguato al popoloso nuovo quartiere che rimase quindi isolato dal resto della città[14]. I bambini inoltre non avevano nemmeno un oratorio dove andare a giocare, anche se almeno la prima scuola del quartiere, le “Campana”, fu costruita pochi anni dopo il primo blocco abitativo, sempre negli anni ’30. Dopo la seconda guerra mondiale, infine, venne terminato il cosiddetto blocco delle “signorine” perché’ subito occupato da prostitute, attirate dalla presenza di una grande base di soldati americani nelle vicinanze[15].

[prosegue]

NOTE: 1. Susini Marco, Shangai:
un quartiere e la sua gente, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 2004. p.31.
2. Ibidem, p.17.
3. Ibidem, p.18.
4. Ibidem, p.19.
5. Ulivieri Denise, “Primato livornese: edilizia popolare d’autore”, in Nuovi Studi Livornesi, Vol. XIX- 2012, Debatte editore, Livorno. pp.99-101.
6. Ibidem, pp.97-120.
7. Mazzoni Matteo, Costanzo Ciano, il fascismo a Livorno, in Quaderni di Fare storia, Anno XIII – N.2-3 maggio –
dicembre 2011, I.S.R.Pt Editore, Pistoia. p.22.
8. Bartolotti Lando, Livorno dal 1748 al 1958. Profilo storico urbanistico, Di Lando Bortolotti, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1977, p.327.
9. Ibidem, p.349.
10) Ulivieri D., Primato…,cit., p.102.
11. Mazzoni M., Costanzo Ciano…,cit., pp.21,22.
12) Susini M., Shangai…,cit., p.19.
13. Forgacs David, Margini d’Italia. L’esclusione sociale dall’Unità a oggi, Ed. Laterza, Roma-Bari, 2015. p.41.
14. Pia Margherita, La riqualificazione dei quartieri nord in I programmi per i quartieri nord di Livorno. Il contratto di quartiere “Corea”, in Qualità e Città/1, a cura di Landini Franco, ALINEA editrice, Firenze, 1999, p.11.
15) Susini M., Shangai…,cit., pp.19-22.