Il partigiano Beppe e la Resistenza nel Volterrano

La vicenda partigiana di Vinicio Modesti (Beppe) è una storia esemplare per comprendere la Resistenza nella provincia di Pisa. Sono qui presenti, infatti, molti degli elementi fondamentali per cogliere le specificità della lotta di liberazione nel Volterrano, l’area di maggiore attività partigiana a livello provinciale.

L’irrequietezza e l’insofferenza delle generazioni più giovani rappresentano il punto di partenza senza il quale non sarebbe neanche pensabile una partecipazione armata alle attività clandestine antifasciste e antitedesche. Vinicio era nato a Volterra nel 1924: dopo l’8 settembre, poco più che studente e appena approdato all’insegnamento tecnico, organizzò con un paio di amici un piccolo nucleo di cospiratori. Un membro del locale Cln li invitò però ad aspettare, per «non turbare la pace del paese». Intanto, a partire dal novembre 1943, la pace dei maschi nati tra il 1923 e il 1925 fu turbata dalla chiamata alle armi delle autorità militari della neocostituita Repubblica di Salò. Da qui la scelta di sparire e unirsi ai partigiani.

I tentativi di avere contatti con la rete antifascista si rivolsero inizialmente verso Firenze, poiché altrove in Toscana l’organizzazione clandestina era ancora debole e poco strutturata, ma senza esito. Alcuni gruppi di uomini alla macchia si erano formati più a sud, attorno a Massa Marittima, comandati da Velio Menchini ed Elvezio Cerboni; i primi di novembre l’incarico di organizzare una formazione partigiana venne affidato a Mario Chirici, comandante repubblicano antifascista molto noto nella zona e appena tornato dalla Jugoslavia. Erano molti i collegamenti con il Volterrano e la Val di Cecina, aree collinari e boscose unite da una fitta rete di strade comunali: nel giro di pochi giorni i ragazzi che insieme a Vinicio Modesti volevano unirsi ai partigiani trovarono i contatti giusti per raggiungere il campo base della banda di Chirici, all’Uccelliera, tra Monterotondo e Massa Marittima. Vinicio però arrivò in un momento particolarmente infelice: la formazione si era appena spostata per sfuggire a un rastrellamento e senza essere riuscito ad agganciare nessuno il giovane decise di rientrare a Volterra.

Non appena rientrato, i militi repubblichini, ben informati dei suoi movimenti, lo andarono a cercare a casa, in Piazza dei Priori; all’ultimo un vicino generoso lo nascose permettendogli di fuggire. Nascosto da coloni in mezzo al bosco, tratteneva rapporti epistolari con la famiglia, che nel frattempo subiva la persecuzione fascista: il negozio venne chiuso, i genitori e le sorelle furono costretti a lasciare Volterra. Nel mese di gennaio del 1944 Vinicio si spostò di nuovo verso sud, nel grossetano, dove riuscì finalmente a incontrare i partigiani di Mario Chirici. In pochi giorni venne nominato capo squadra e vide la graduale crescita degli effettivi armati dai 15 iniziali agli 80 circa.

A metà febbraio, tuttavia, la vita della formazione venne bruscamente interrotta dal rastrellamento del Frassine, il maggior trauma nell’esperienza resistenziale della zona, motivo di una profonda frattura che non si sarebbe mai più rimarginata. La sera del 15 febbraio, partirono da Follonica e da Massa Marittima dei camion carichi di militi fascisti locali, a cui si aggiunsero altri provenienti da Grosseto, in direzione dell’area dove avevano base i partigiani: prima dell’alba del 16 febbraio, tre colonne di repubblichini comandate dagli ufficiali Giovanni Nardulli di Massa Marittima, Monti di Grosseto e Pini di Castelpiano, conclusero l’operazione di rastrellamento della formazione, che venne presa totalmente alla sprovvista. La maggior parte degli uomini riuscì a scappare, un piccolo gruppo si asserragliò in una casa colonica, da dove ingaggiò una lunga sparatoria con gli assedianti. Dopo qualche ora i partigiani si arresero: cinque vennero trucidati, gli altri furono condotti in prigione.

Molti uomini che avevano gravitato intorno a Chirici decisero di allontanarsi e proseguire la loro attività più a nord-est, tra le province di Pisa e di Siena, in particolare nell’area tra il bosco delle Carline, Radicondoli e il bosco di Berignone, dove si era formata una squadra sotto il comando di Elvezio Cerboni. Qui con la guida di Guido Stoppa e di Alberto Bargagna l’organizzazione militare e i rapporti con il territorio si fecero più solidi e strutturati, le bande si svilupparono in maniera efficiente e dai primi di marzo riuscirono a darsi un livello operativo coordinato e coerente. Le azioni a Belforte e Montieri, nel marzo 1944 sancirono l’inizio di una nuova fase.

Il diario del partigiano Beppe, datato aprile 1944, è stato di recente ristampato insieme a un racconto successivo dello stesso Vinicio Modesti. L’attività da lui svolta dopo la guerra come scultore e insegnante hanno lasciato una memoria viva nel territorio; meno invece si sapeva della sua esperienza partigiana. Sia il diario che il racconto si chiudono però con la primavera del 1944, tranne un accenno alla vicenda della sorella Rossana che si prolunga fino a giugno. Le vicende partigiane vissute nel maggio e nel giugno non appaiono. Si tratta di una scelta singolare, che merita una riflessione. La maggior parte delle azioni partigiane di questa area avvennero proprio a partire dal maggio del 1944, quando con lo sfondamento della Linea Gustav e la ripresa dell’avanzata alleata sul territorio italiano, le speranze di una liberazione imminente spinsero a una crescita esponenziale della presenza e della forza resistenziale nella provincia di Pisa. Molti si unirono solo in questa ultima fase, tra la primavera e il passaggio del fronte.

Di questi mesi, che pure furono i più ricchi di colpi riusciti e di consenso da parte della popolazione, Vinicio Modesti tace. Forse perché altri potevano raccontare, mentre lui solo avrebbe potuto testimoniare ciò che accadde prima, i lunghi itinerari inconcludenti, le sconfitte, gli «odiosi attendismi». Forse perché considerava la parte precedente quella più autentica e sofferta dell’esperienza partigiana, più solitaria e imprevista, dura e dagli esiti imprevisti. Impossibile arrivare ora a una risposta certa; rimane il fascino irrisolto per una testimonianza ricca e vitale, irrequieta e intensa come lo sa essere solo lo spirito di un ragazzo che «era giovane ma [che] i suoi diciannove anni li aveva vissuti così intensamente che in certe cose pareva un saggio».




Faccia a faccia con Gaetano Salvemini

Il breve testo di Maria Pichi offre un frammento di memoria su Gaetano Salvemini, “fotografato” negli ultimi anni del suo insegnamento dalla cattedra di Storia, presso l’Ateneo fiorentino. Siamo agli inizi degli anni ’50 a Firenze. Salvemini è da qualche anno rientrato dall’esilio cui l’aveva costretto il regime fascista. Dai ricordi dell’autrice affiora un inconsueto ritratto dell’anziano professore, colto in una situazione particolare. E’ al tempo stesso un piccolo spaccato di un’Italia che oggi non c’è più, dove poteva accadere che un protagonista della storia dell’antifascismo e della cultura militante potesse ricevere gli studenti in camera da letto – a causa di una indisposizione – e in tale inusitata sede svolgere la sessione di esame, pur di evitar loro di finire “fuori corso”. Sullo sfondo compaiono fugacemente, in veste di assistenti, due protagonisti della cultura fiorentina (e italiana) del dopoguerra, come Ernesto Ragionieri (all’autrice non particolarmente simpatico) ed Eugenio Garin.

Faccia a faccia con Salvemini

Gaetano Salvemini rivide l’Italia nel 1947: ne era espatriato da clandestino vent’anni prima e tornò a Firenze all’Università, quella stessa che allora lo aveva espulso dalla cattedra di storia moderna. La sua esistenza era stata sconvolta radicalmente per ben due volte: nel terremoto di Messina aveva perduto l’intera famiglia, moglie e sei figli, poi il regime fascista lo aveva messo in carcere e privato prima dell’insegnamento e poi della nazionalità.
Nel ritorno alla sua sede universitaria di quest’uomo anziano e provato dalla vita come non ammirare la capacità di resilienza? Ma, realisticamente, questo ritorno dovette creare qualche imbarazzo nel mondo accademico fiorentino: la cattedra di Storia Moderna era occupata lecitamente e degnamente dal professor Carlo Morandi. Su quella di Storia Medioevale (Salvemini aveva titoli anche per essa) sedeva Nicola Ottokar, che proprio con Salvemini, all’inizio del secolo, aveva avuto dei vivaci dissensi a proposito di Magnati e popolani nella Firenze del Duecento! Forse pesavano ancora? Certo è che Ottokar era ormai un signore malandato quanto al fisico e impigrito dal punto di vista didattico: della gioventù aveva conservato unicamente l’accento russo e un bastone col pomo d’avorio dono dello zar. Tuttavia non era collocabile a riposo.
Le difficoltà furono superate dotando la Facoltà di Lettere di una nuova disciplina: Storia del Risorgimento. La materia non era curriculare, ma solo facoltativa e le lezioni del professor Salvemini, va detto, non furono molto frequentate. Confesso con rimpianto – ed un certo disagio – di averne ascoltata una sola anch’io e fu ben più vivace, ben più interessante di quelle che certi colleghi tenevano nelle aule adiacenti. Infatti alcuni assolvevano alla funzione docente spesso declamando passi del libro che avevano dato loro fama anni prima: li sapevano a memoria e li recitavano con sentimento. Ne ricordo un altro che borbottava le sue riflessioni a testa bassa, tra sé e sé: noi studenti non ci guardava mai in faccia.
Stando così le cose nell’autunno del 1949, poiché per me cominciava il terzo anno di lettere, andai a chiedere la tesi al professor Morandi: al primo esame mi aveva dato trenta e disse di sì. Quanto a me accettai senza batter ciglio di studiare Romagnosi e presi a frequentare assiduamente varie biblioteche. In piazza San Marco non ci andavo mai. Probabilmente non avrei mai più avuto occasione di trovarmi faccia a faccia con Salvemini se nella primavera del ’50 il professor Morandi non fosse stato stroncato da un infarto.
Intorno alla nomina del successore, nella persona di Delio Cantimori, la facoltà di lettere si divise tra sostenitori e avversari. La lotta, che durò un anno intero, fu un episodio minimo della guerra fredda, o, per dirlo all’italiana, dell’opposizione al “fattore K”, perché Cantimori era un docente prestigioso della Normale di Pisa, ma anche un noto intellettuale comunista.
E diciamo pure che nel contesto generale fu un episodio minimo, ma certamente non fu sentito come tale da un certo numero di studenti che dovevano assolutamente sostenere l’esame di storia moderna entro l’anno solare 1950. Era la condizione sine qua non vuoi per ottenere l’esonero dalle tasse, vuoi per la conferma di borse di studio o per non finire fuori corso. E tra quelli c’ero anch’io.
Saltarono i due appelli di giugno e di luglio; saltò il primo appello autunnale e poiché noi interessati in fondo eravamo quattro gatti i nostri problemi non facevano notizia.
Quando si seppe che Salvemini era disposto a dare lui una mano era ormai la fine di novembre pioveva, faceva freddo e il medico gli aveva tassativamente prescritto di starsene ben riguardato, magari a letto, e di non uscire comunque da casa sua … che poi casa non era, ma la stanza di una pensioncina in via San Gallo.
Per farla breve, in un mattino uggioso di tardo autunno un gruppetto di studenti – ed io con loro – fra le otto e le nove si trovò nel corridoio di quella pensione. Dalle camere uscivano, e ci rientravano precipitosamente, le signore ospiti in vestaglia, con i bigodini in testa, sconcertate dalla nostra presenza. Eppure di goliardico non avevamo proprio niente, tutti composti, silenziosi, un po’ in ansia per la prova imminente.
Venne il mio turno ed ecco il colpo d’occhio: una cameretta in buona parte occupata da un letto e da due poltroncine ai lati della testiera, una per Ernesto Ragionieri, che era stato l’assistente del defunto Morandi, l’altra per il professor Eugenio Garin: era giovane allora, ma già molto autorevole.
Ai piedi del letto c’era giusto giusto lo spazio per lo sgabello destinato a me.
Si può avere un ricordo delizioso di un esame? Tra l’altro è un aggettivo che può avere qualcosa di melenso che non mi appartiene. Seduta sul mio panchetto, le mani sulle ginocchia, con le une e le altre sfioravo la peluria di un plaid, unica nota di confort e di colore in un ambiente dimesso. All’altro capo di quel plaid da “déjeuner sur l’erbe” emergeva dai cuscini il busto di Salvemini, con la barba bianca, lo sguardo ammiccante e gioioso di uno gnomo da favola.
Sì, si può avere un ricordo delizioso di un esame che fu anche serio perché Morandi esigeva dai suoi studenti una mole di letture notevoli e la commissione si attenne, senza fare sconti, al programma che egli aveva previsto.
Quell’anno vari testi riguardavano la Riforma e ricordo che il mio colloquio prese le mosse da un classico: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo del Weber. Poi toccò altri argomenti che non ricordo, finché nel discorso, ma non per mia iniziativa, entrarono la mia futura tesi e il Romagnosi, intorno alla cui prosa oscura avevo cominciato ad arrabattarmi.
Salvemini rideva e scherzava: che anch’io sembrassi fare capolino dal plaid in fondo al letto? Perfino le labbra sottili di Garin abbozzavano sorrisi. Ragionieri no: inespressivo, impassibile se non addirittura imbronciato, non traeva alcun piacere da quella situazione anomala. Ad Ernesto buonanima – voglio dirlo – mancava il senso dell’umorismo.
Ma c’è di più: quel mugugno, forse, non era solo caratteriale, forse era un microscopico gesto politico. Ragionieri, comunista di stretta osservanza, probabilmente sedeva “obtorto collo” su quella poltroncina riguardosa alla sinistra di Salvemini, che recentemente aveva avuto uno scontro vivace con Togliatti.
Salvemini aveva l’aria di divertirsi davvero ed è possibile che ridesse per via dell’assistente ostile e immusonito non meno che per la ragazza che faceva capolino in fondo al suo letto.
A me piace pensare che proprio l’atmosfera un po’ surreale di quell’esame abbia consentito a Gaetano Salvemini di concludere “in letizia” la sua lunga e movimentata carriera universitaria.
Di lì a pochi mesi, ormai pensionato, commemorò solennemente Carlo e Nello Rosselli e lasciò Firenze. Avrebbe trascorso a Sorrento i suoi ultimi anni.
A me aveva dato trenta … o non fu forse trenta e lode ?

Maria Pichi in Lauretta *

Roma, 15 marzo 2023

* Maria Pichi in Lauretta è nata a Torino il 6 novembre 1928. Ancora bambina seguì la famiglia a Firenze, presso la cui Università si laureò in Storia, nell’anno accademico 1952-53, con Delio Cantimori, discutendo una tesi sul pensiero di Gian Domenico Romagnosi. Per decenni ha insegnato italiano in vari istituti superiori del Lazio e a Roma, dove ancora risiede.




Presentazione del volume: La costruzione della pace. Scritti di politica internazionale




Presentazione del volume: Giuseppe Antonio Borgese e il Corriere della Sera

 

Mercoledì 10 maggio 2023, ore 16.30
Presentazione del volume di ANDREA MORONI
 
GIUSEPPE ANTONIO BORGESE E IL CORRIERE DELLA SERA (1914-1921)
(Fondazione Corriere della Sera, 2022)
Saluti e introduzione di SANDRO ROGARI
Intervengono
LAURA BARILE (Università di Siena)
FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO (Università di Firenze)
LAURA VANNUCCI (Direttrice Biblioteca Umanistica Università di Firenze)
VIA S. EGIDIO 23, 50122 FIRENZE
Tel. +39.055.291923 cell. 370.3316576
info@colombaria.it; www.colombaria.it




Libri e incontri di Storia, a Pistoia




Convegno: Per Edith Bruck. Testimone della Shoà e scrittrice




PRESENTAZIONE DEL NUMERO MONOGRAFICO DELLA RIVISTA “FARESTORIA. SOCIETÀ E STORIA PUBBLICA”: LA DEINDUSTRIALIZZAZIONE IN TOSCANA




Lavoratori di tutto il mondo unitevi

Nella notte fra il 3 e il 4 marzo 2022 il mondo è rimasto con il fiato sospeso alla notizia del bombardamento russo della centrale nucleare di Zaporizhzhia, in Ucraina, una fra le più grandi d’Europa. Un evento che ha suscitato sdegno, timori, ansie e paure apocalittiche, anche sulla scorta della memoria del disastro di Cernobyl del 1986, sempre in Ucraina. Ma una notizia che in Toscana, per la precisione a Pistoia, ha anche risvegliato molti ricordi e senso di vicinanza e solidarietà alla popolazione colpita dalla guerra, che si sono concretizzati in una serie di telefonate e messaggi al segretario provinciale della Camera del lavoro CGIL. Con il corso della storia cambiano gli stati, i confini, i sistemi di traslitterazione dall’alfabeto cirillico a quello latino, ma non erano in pochi a capire subito che si trattava proprio di quella città a lungo gemellata con il sindacato pistoiese e al tempo dell’Unione sovietica nota in Italia con il nome di Zaporojie (o con sue varianti quali Zaparojie, Zaporojki…). Chi si faceva vivo intendeva segnalare le proprie emozioni nel sentire il nome di quel luogo carico di ricordi associato all’immane tragedia della guerra, ricercando al tempo stesso tracce di quella storia e di quella memoria. Tracce che fortunatamente sono ben custodite nell’archivio storico della Camera del lavoro di Pistoia gestito dalla Fondazione Valore Lavoro, dove è conservata un’intera busta titolata proprio Zaporoje URSS, che conserva tutti i documenti del gemellaggio
Si tratta di una vicenda di cui fu promotrice proprio la CGIL locale nel 1969. Era la vigilia dell’Autunno caldo e in Italia già si respirava l’aria delle mobilitazioni degli anni Settanta, mentre nel mondo continuava il processo di decolonizzazione. L’internazionalismo, l’amicizia fra i popoli, l’unità dei lavoratori erano temi molto sentiti. L’occasione fu data da un incontro fortuito fra il Segretario della CGIL di Pistoia Giuliano Lucarelli e la delegazione dei sindacati sovietici, fra cui il Segretario generale Nicolai Romanov, al congresso nazionale della Confederazione a Livorno nel giugno di quell’anno. A seguito di uno scambio reciproco informale di disponibilità ad ospitare delegazioni sindacali, il 19 giugno e il 2 agosto Lucarelli scrisse a Mosca a Romanov per finalizzare l’accordo, allegando una scheda descrittiva sulla provincia di Pistoia con specificati i settori industriali presenti e lasciando la scelta della città da gemellare ai sovietici, dichiarando al contempo la volontà dei pistoiesi di ospitare per primi la delegazione in visita. Lucarelli aggiungeva anche che di recente un sindacalista pistoiese, Angiolo Mungai, si era recato in visita in URSS ospite dei sindacati delle istituzioni di Stato, tornando entusiasta dell’esperienza vissuta[1]. Il 12 agosto da Mosca veniva comunicato che il Consiglio dei sindacati di Zaporoje aveva risposto favorevolmente alla richiesta dei pistoiesi[2]. Ne nasceva uno scambio epistolare tra l’organizzazione di Pistoia e quella di Zaporojie, con il francese usato come lingua franca, che si prolungava per alcuni mesi, con alcuni ritardi nelle risposte dovuti anche, come apprendiamo da una lettera di Lucarelli del 14 aprile 1970, «à l’intense développement des luttes ouvriéres en Italie ces derniers mois».
Alla fine la prima delegazione sovietica da Zaporojie arrivò il 2 luglio 1970. Nel dare notizia della visita a enti locali, associazioni ed aziende del territorio la CGIL fornì anche una descrizione della città gemellata attraverso l’opera sindacale: «La regione di Zaporojié che si estende su un territorio di 27mila kmq con una popolazione di 1 milione e 700mila abitanti, è un importante centro industriale nel Sud dell’Ucraina ai confini con la Crimea. La città omonima, che conta 650mila abitanti, oltre che grande centro industriale è un importante centro culturale e di istruzione altamente qualificato. L’acciaieria di Zaporojié produce 4 milioni e mezzo di tonnellate di acciaio all’anno e oltre 3milioni di tonnellate di laminati e profilati destinati alle industrie ferroviarie, trattoristiche, automobilistiche. Occupa 17mila operai (di cui 6.000 donne) 1.400 ingegneri e tecnici, 500 impiegati. Un altro colosso è la “Zaporojski Transpormaber Zavod”, che produce attrezzature elettriche e soprattutto trasformatori per 50 milioni di Kilovolts-ampere all’anno. La sua manodopera, in larga parte formata da giovani e ragazze, è costituita da 12.000 operai e 2.300 tecnici e impiegati. Anche l’agricoltura è altamente sviluppata. Zaporojié è un importante centro culturale con 135 scuole generali dell’obbligo con 10 anni di frequenza, 10 Istituti Tecnici e Facoltà di Ingegneria, di Medicina, di Pedagogia, di Ricerca scientifica ecc. Nella città vi sono 128 Biblioteche, 30 cinema, studio televisivo, il Palazzo della Cultura ecc.» [3].
Il programma della visita, che si prolungò fino all’11 luglio, non trascurava niente e portava i sovietici a stretto contatto con il territorio. Furono invitati ad incontrare la delegazione gli altri sindacati, CISL e UIL, i partiti PCI, PSI e PSIUP, l’ARCI[4], furono richiesti materiali per organizzare visite alle bellezze artistiche della città all’Ente provinciale per il turismo, si chiese a Renato Risaliti, storico dell’URSS e dell’Europa orientale ed al tempo impegnato anche nella politica locale, di fornire la sua opera di conoscenza linguistica[5] , furono organizzati gli incontri con i comuni e la Provincia e con le aziende del territorio ed anche ì colazioni con le diverse case del popolo, fra cui quella del Teso sulla montagna[6]. Di numerose aziende disponiamo della risposta positiva ad accogliere la delegazione: Arco di Montecatini (confezioni); Unione cooperativa della Valdinievole; Fratelli Capecchi piante[7]. Dal programma sappiamo anche che la delegazione visito la Supercoop di Montecatini, le municipalizzate ad Agliana, la centrale del latte, il centro riconversione rifiuti solidi, lo zoo, l’azienda Franchi, la cooperativa Di Vittorio, l’oleificio cooperativo di Lamporecchio. La SMI rispose freddamente comunicando di aver trasmesso l’invito alla propria Direzione generale[8], poi se ne perdono le tracce. La Breda invece si rifiutò di accogliere la delegazione nel proprio stabilimento, provocando la reazione ferma della CGIL che scrisse all’Intersind accusando la Direzione aziendale di addurre motivi fittizi[9]. Nel saluto alla delegazione, ricevuta in Camera del lavoro, Lucarelli rivendicava le lotte dell’autunno del ’69 che avevano coinvolto numerose categorie anche localmente e rilanciava l’unità internazionale dei lavoratori per la pace e contro il capitalismo e l’imperialismo: «È con questa visione internazionalista e di unità del movimento operaio internazionale , che abbiamo voluto allacciare rapporti fraterni con i rappresentanti dei sindacati di Zaparojié per conoscersi più a fondo, nell’intento di contribuire tutti assieme alla battaglia generale che i lavoratori di tutto il mondo conducono per la pace, contro l’imperialismo, contro le forze totalitarie e fasciste, per l’emancipazione dei lavoratori, la libertà dallo sfruttamento capitalistico»[10].
Nel 1972 fu la volta della visita dei pistoiesi a Zaporoije. Inizialmente doveva svolgersi nel 1971 ma un’improvvisa e grave malattia di Lucarelli – che in seguitò venne a mancare – fece saltare il viaggio. Nonostante la grave perdita del promotore del gemellaggio l’iniziativa andò avanti e la delegazione che si recò in URSS nel 1972 fu composta anche da un rappresentante della CISL, Sauro Gori, su esplicita richiesta dei sovietici di includere gli altri sindacati italiani[11], e fu guidata da Silvano Cotti, nuovo segretario della Camera del lavoro. Il gruppo, composto anche da Duilio Puccianti del consiglio di fabbrica della SMI e da Paolo Innocenti della FILLEA di Montecatini, arrivò in URSS il 30 agosto. La stampa sovietica diede risalto alla visita dei sindacalisti italiani. Oltre ai consueti incontri nelle sedi sindacali, la delegazione fu portata a visitare la diga sul Dnepr, i servizi sociali, la palestra sul ghiaccio, l’acciaieria, le case di riposo, i centri culturali, i gruppi di pionieri, i servizi sanitari, incontrò il sindaco, si recò sul mare d’Azov dove visitò anche un sovchoz e un asilo. Tra le altre, il gruppo visitò anche un’azienda dove venivano prodotti i materiali oleosi per lo stabilimento FIAT di Togliattigrad. Durante la permanenza uno degli italiani, Puccianti, si ammalò e venne ricoverato in una clinica sovietica, dove rimase in osservazione per diversi giorni essendogli stati diagnosticati problemi renali seri che vennero curati in loco. Di conseguenza il Puccianti rientrò in Italia successivamente al resto del gruppo. In una lettera inviata a Pistoia durante la degenza esprimeva una valutazione che racchiudeva tutte le speranze che ancora buona parte degli operai italiani riponevano nell’URSS a quel tempo: «vi dirò che i medici sono sorpresi che nelle attuali condizioni fisiche si possa ancora essere operai metalmeccanici, anche se valutiamo tutta l’attenzione ed il valore che essi danno della persona e dell’uomo, e non come da noi dopo la macchina»[12].
La soddisfazione della delegazione italiana per la visita fu tale che il 30 settembre il Cotti inviò una lettera al sindaco di Pistoia, il comunista Francesco Toni, per invitarlo a prendere in considerazione un gemellaggio anche istituzionale con Zaporojie, rispetto al quale il sindaco della città ucraina aveva già dimostrato a voce un interesse[13].
Negli anni successivi i rapporti fra i sindacati di Zaporoje e quelli di Pistoia andarono avanti. Lo scambio di auguri in occasione del Primo maggio, del nuovo anno ed anche per le feste della Liberazione divenne abituale e furono organizzati nuovi scambi. Nel 1973 i pistoiesi invitarono nuovamente i sovietici per il 1974, questi ultimi si resero disponibili a tornare nel 1975[14]. La seconda visita avvenne nel mese di settembre per esplicita volontà della Camera del lavoro che voleva far partecipare i sindacalisti sovietici alle celebrazioni della Liberazione di Pistoia l’8 settembre. La visita però, inizialmente prevista dal 4 all’11 del mese, all’ultimo momento slittò al 18-25 settembre. Da un appunto manoscritto sappiamo che Sanguinetti dell’ufficio internazionale della CGIL a Roma aveva indicato per quell’occasione di «avere con sindacati sovietici rapporto più vivace aderente alla nuova realtà internazionale. Cile, Portogallo, cosa facciamo…? Porre esigenza che nei rapporti – a livello internazionale – fra CGIL e sindacati sovietici, si esca dal semplice formalismo degli “evviva” e si istauri rapporto più politico, che affronti problemi “nuovi” che emergono nel mondo»[15]. La delegazione era composta da Petr Pavlov, segretario regionale, Victor Kazatchovsky, presidente comitato sindacale dell’azienda Azovcabel, e da Nicolai Medvedkov. Fu organizzata anche una visita a Collodi al Parco di Pinocchio, circostanza che alcuni mesi dopo diede luogo alla donazione al Parco delle edizioni in lingua russa delle Avventure di Pinocchio, a quanto pare molto diffuse in Unione sovietica[16]. Nonostante il ritardo rispetto alle celebrazioni resistenziali, in quell’occasione fu comunque organizzata una visita nel paese di Agliana al monumento dedicato al partigiano sovietico Ivan Baranovskij, nome di battaglia Paolo, combattente della Brigata Bozzi caduto in quella località, una visita alla Breda – che questa volta non si negò – con un incontro con il Consiglio di fabbrica e un incontro con gli operai della Ital Bed in “assemblea permanente” da diversi mesi[17]
La delegazione pistoiese tornò in URSS nel 1978, questa volta composta da Graziano Battiloni della segreteria CGIL, Floriano Frosetti del consiglio di fabbrica Breda e Marcello Vettori del sindacato enti locali[18]. Nel consueto discorso di saluto, oltre ai temi all’ordine del giorno del programma sindacale che venivano sempre richiamati, Battiloni ricordò Baranovsky ed enfatizzò in più occasioni il successo elettorale delle sinistre, e del PCI in particolare, alle elezioni politiche del 1976[19].
Nonostante l’uscita della CGIL dalla Federazione sindacale mondiale (FSM) legata all’URSS in favore dell’adesione alla Confederazione europea dei sindacati (CES) a fine anni Settanta, nel novembre del 1980 una nuova delegazione sovietica giungeva a Pistoia, composta da Juri Vladimirovc Efrenov e Valentin Vassilievic Podporin. Il discorso di saluto di Battiloni era però molto diverso da quegli degli anni Settanta. L’accento si spostava dalle lotte operaie e dalla vicinanza con il paese della rivoluzione del ’17 ai temi della politica internazionale del tempo, assicurando l’azione di contrasto alla guerra fredda e di sostegno alle politiche di disarmo del sindacato italiano, condannando la politica americana in Iran e l’espansionismo israeliano ma sottolineando anche che «gli avvenimenti della Polonia aprono, nella società polacca, importanti possibilità di sviluppo democratico» e che «il sindacato italiano ha espresso, a suo tempo, la contrarietà e il disaccordo per l’intervento sovietico in Afghanistan. Per questo, facciamo un appello perché, attraverso la vostra delegazione sia accelerato il ritiro delle truppe e sia garantito al popolo afghano il diritto a decidere da sé le proprie scelte». Parole forti, che si tentava poi di stemperare richiamando l’amicizia tra gli italiani e il popolo sovietico e la volontà di non rompere il sodalizio anche a fronte di disaccordi su alcune scelte, perché fra amici era lecito rimproverarsi qualcosa[20].
Quella del 1980 fu l’ultima visita. Da lì in poi gli scambi si interrompono. L’archivio tace sui motivi, che tuttavia è lecito ipotizzare vadano ricercati nei mutati rapporti che le parole di Battiloni del 1980 facevano cogliere, nella nuova collocazione internazionale della CGIL ed anche nella situazione particolarissima che l’URSS attraversò nel corso degli anni Ottanta fino alla sua dissoluzione. Tuttavia, almeno per i pistoiesi, sembrava trattarsi di una pausa più che di un addio. Il gemellaggio doveva essersi radicato fra i sindacalisti italiani. Lo testimonia l’ultimo fascicolo della busta d’archivio, titolato 1990 Zaporozhye. Nel clima post ’89 a Pistoia si pensò subito di riallacciare i rapporti di scambio. Ma evidentemente era troppo tardi, il mondo cambiava inesorabilmente, di lì a poco l’URSS cessava di esistere e dei sindacati di Zaporojie si perdevano le tracce. Il fascicolo era destinato a rimanere vuoto, testimone silenzioso di una volontà mai concretizzatasi.
Da quest’ultimo tentativo sono passati più di 30 anni ed è arrivata una centrale nucleare che prima non c’era. Del gemellaggio il ricordo si era affievolito fin quasi a scomparire. Ma non del tutto. La tragica notizia del bombardamento ha spazzato via la polvere che si era depositata su questa vicenda, ed a Pistoia, come già nel 1990, ci si è ricordati della città sulle rive del Dnepr. La Camera del lavoro ha interrogato i propri archivi prendendo spunto da questa amicizia del passato per lanciare un appello pubblico per la pace. Battiloni, ormai anziano, intervistato dai giornali locali ha ricordato con emozione quel tempo e quei viaggi, ed anche i punti di divergenza con i sovietici che erano progressivamente emersi, vivendo con sofferenza i fatti di guerra del presente[21]. Una piccola storia di amicizia internazionale, che continua a scagliarsi contro la grande storia della guerra fra i popoli.
[1] Archivio storico Camera del lavoro CGIL Pistoia, Busta Zaporoje URSS (d’ora in poi ASCGILPT, B. Zaporoje), Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettera di Lucarelli al Segretario generale dei sindacati sovietici 19 giugno 1969; lettera di Lucarelli a Romanov 2 agosto 1969.

[2] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettera del 12 agosto 1969 a firma Sergueev, originale in cirillico copiata in traduzione francese.

[3] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, modello di lettera del 1° giugno 1970.

[4] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettere dl 27 giugno 1970.

[5] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettere del 26 giugno 1970.

[6] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, Programma visita delegazione sovietica Zaparoje’ 30 giugno 1970.

[7] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS.

[8] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettera della Società metallurgica italiana del 4 giugno 1970.

[9] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettera di Lucarelli del 26 giugno 1970.

[10] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, Saluto del segretario generale della CCdL di Pistoia alla delegazione dei sindacati di Zaparojié nell’URSS.

[11] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Rapporti sindacati Zaporoje URSS, lettera di Nedobyvailo a Lucarelli, originale in francese; lettera di Lucarelli alla CISL del 13 aprile 1971; lettera di Lucarelli al Presidente del consiglio dei sindacati di Zaporojie Nedobyvaile del 4 maggio 1971. ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Zaporojie 1972-1978, lettera del 31 luglio 1972.

[12] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Zaporojie 1972-1978, resoconto manoscritto del viaggio; lettera manoscritta di Puccianti del 7 settembre 1972.

[13] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Zaporojie 1972-1978, lettera di Cotti a Toni del 30 settembre 1972.

[14] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Zaporojie 1972-1978, lettera di Silvano Cotti a Pavel Nedonuyailo e la risposta.

[15] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. 1975 visita delegazione Zaporozhye (URSS), appunto manoscritto. Le sottolineature sono nell’originale.

[16] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. 1975 visita delegazione Zaporozhye (URSS), lettera del 9 gennaio 1976.

[17] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. 1975 visita delegazione Zaporozhye (URSS), documento Una delegazione dei sindacati sovietici di Zaporojie ospite della nostra provincia.

[18] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Zaporojie 1972-1978, comunicato stampa del 1° agosto 1978.

[19] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc. Zaporojie 1972-1978, discorso di saluto manoscritto.

[20] ASCGILPT, B. Zaporoje, Fasc.1980 Zaporoje URSS delegazione materiale. Documento Battiloni saluto alla delegazione di Zaporoje 24 novembre 1980.

[21] La nazione, 6 marzo 2022; Il giornale di Pistoia e della Valdinievole, 11 marzo 2022.

 

Stefano Bartolini, direttore della Fondazione Valore Lavoro e della rivista “Farestoria”, responsabile degli archivi CGIL Toscana e coordinatore del gruppo dell’AIPH dedicato alla Public History del lavoro. Fa parte della redazione della rivista Il De Martino. Ha pubblicato articoli di approfondimento sulla Public History sulle riviste “Clionet” e “Officina della storia”