Incontri sul muralismo cileno di Montuliveto – A 50 anni dal colpo di stato in Cile

L’11 settembre 1976, durante un concerto degli Inti Illimani al parco di Monteuliveto di Pistoia, dove al tempo si svolgeva la Festa dell’Unità, il gruppo di artisti cileni della Brigada Pablo Neruda (BPN) realizzò sulla parete della palestra comunale un grande murale nello stile dell’arte cilena tipica di quel periodo. Non si trattò di un episodio isolato ma di un’opera inserita in un ampio movimento di artivisti che portò i muralisti cileni esuli in Europa a realizzare numerosi murales in tutta Europa. Anche la data scelta aveva un forte carattere simbolico: il terzo anniversario del golpe contro Salvador Allende del 1973, che diede il via alla feroce dittatura di Pinochet costringendo molto cileni a fuggire dal paese.
Pensato come forma di resistenza, il muralismo sudamericano ha superato i decenni giungendo fino ai nostri giorni, dove si stanno riscoprendo queste opere in tutto il continente e si sta sviluppando la discussione su cosa farne. Il murale di Pistoia nel corso del tempo era diventato una presenza abituale, parte del paesaggio di un parco a lungo degradato e marginalizzato. Al tempo stesso se ne era progressivamente persa la memoria, serbata solo da chi era presente quel giorno del 1976, ed il murale era diventato una presenza familiare ma muta. Tuttavia negli ultimi anni, sulla scia della rigenerazione del parco, in città si è tornati a discutere sulla presenza di quel murale, i suoi significati, la sua storia e memoria, il suo futuro, con percorsi paralleli che adesso trovano finalmente un punto di incontro.
A 50 anni dal colpo di stato in Cile l’Associazione Spichisi e la Fondazione Valore Lavoro promuovono un ciclo di incontri sul murale presso il parco di Monteuliveto, con due primi appuntamenti in cui incontrare artisti muralisti cileni, il 29 giugno con Eduardo “Mono” Carrasco e il 13 luglio con Antonio Arevalo, quest’ultimo tra gli autori del murale pistoiese.
L’incontro del 29 giugno alle 21:30, primo della serie, ripercorrerà la storia del muralismo, dal Cile all’Europa fino alla riscoperta dei giorni nostri, con “Mono” Carrasco, membro della Brigada Ramona Parra e impegnato in progetti di recupero partecipato dei murales, in dialogo con Giulia Zitelli Conti, esperta di storia e memoria urbana dell’Università la Sapienza di Roma, e con la popolazione pistoiese, nel tentativo di favorire lo sviluppo di una consapevolezza rispetto a questo bene culturale di valore internazionale presente in città che sia anche un momento di dialogo intergenerazionale tra i più giovani frequentatori del parco e i custodi della sua memoria.
Gli incontri sono realizzati con il sostegno dell’associazione Amici di di Montuliveto e del Comune di Pistoia e con il contributo della Fondazione Caript e del Ministero della cultura.
I giorni della Memoria: 79° anniversario della strage di Crespino e Fantino

Giorgio Alberto Chiurco: un intellettuale militante nel regime fascista.

Giorgio Alberto Chiurco (1895-1974) è noto soprattutto come cronista ufficiale della rivoluzione fascista, autore di una delle più celebri opere edite sul tema negli anni del regime mussoliniano. Nato a Rovigno d’Istria ma trasferitosi presto in Toscana per motivi di studio, egli fu uno dei protagonisti della fascistizzazione delle province senese e grossetana. Ma non solo: medico e squadrista della prima ora, poi parlamentare, ufficiale pluridecorato, docente universitario e scienziato razzista, Chiurco fu un attore molto attivo nella vita politica e intellettuale del regime. Finora, il suo percorso biografico era stato soltanto parzialmente esplorato dalla storiografia ma il volume di Borri, esito di un’approfondita ricerca negli archivi nazionali e internazionali, si propone di fornire una ricostruzione complessiva delle vicende politiche e culturali del personaggio, che si intrecciano su più livelli con la storia italiana del Novecento.
Riportiamo di seguito un estratto del volume, dedicato al ruolo svolto da Giorgio Chiurco, come medico e intellettuale fascista, nella creazione di un nuovo prototipo di italiano, il cosiddetto «Uomo Nuovo» fascista inteso come modello di un’umanità superiore, destinata a fare le fortune dell’Italia e del regime.
Un intellettuale militante
V’è una cultura della rivoluzione che si esprime attraverso la polemica pubblicistica di uomini come Maccari e Malaparte. Ve ne è un’altra che parla per anatemi e per invettive ma che, andando al sodo, serve unicamente nei momenti di pericolo […]. V’è, infine la cultura della rivoluzione che ha avuto per cronisti Gorgolini e Chiurco, e che ha per storici Volpe ed Ercole. La prima cultura, della polemica pubblicistica, impedisce che le porte della rivoluzione si chiudano […]. La seconda cultura, quella degli oltranzisti, è sempre richiamabile in servizio, al primo segno del temporale. La terza cultura, quella dei cronisti della rivoluzione, rimane l’anima di ogni processo storico da istruirsi a carico di quei nemici che, rimasti nascosti durante il nostro cammino, tentano di uscire allo scoperto per sbarrarci, al momento che sembrerà loro opportuno, la strada.
Era in questi termini che Mussolini descriveva a Yvon De Begnac[1] l’attivismo politico racchiuso nell’opera degli intellettuali fascisti. Chiurco trovava posto nel gotha culturale fascista non tanto per meriti scientifici, ma come cronista del periodo rivoluzionario, a dimostrazione della forte impronta ideologica che ne caratterizzò il lavoro, come pure della pluralità di ambiti su cui tale operato si estese. L’eclettismo dell’istriano può leggersi come riflesso del pluralismo culturale sperimentato dal regime, inteso come sovrapposizione fra correnti e programmi diversi nei campi delle arti e della scienza, destinati però a convergere nella mobilitazione in favore della rivoluzione fascista.[2] La celebrazione totalitaria del primato della politica su ogni espressione della vita delle masse rappresenta probabilmente la sintesi più efficace per spiegare tale pluralità, senza con questo voler ridurre la cultura fascista alla sua sola funzione strumentale.[3]
Mario Isnenghi distingueva tra intellettuali militanti, produttori di senso, e intellettuali funzionari, organizzatori e propagandisti, rinviando alla funzione svolta dagli attori culturali nella società fascista. L’attenzione di Isnenghi non era rivolta alla sola conoscenza alta, ma all’organizzazione culturale latamente intesa, comprendendo quindi insegnanti, giornalisti, oratori i quali, per motivi e in modi diversi, portarono la dottrina fascista tra le masse.[4] Le convergenze e sovrapposizioni riscontrabili tra tali figure e funzioni,[5] lungi dallo sminuirne l’efficacia, riconfermano la pluralità di livelli su cui si mossero gli agenti culturali del fascismo, seppur all’interno della cornice tracciata dal regime. Anche intellettuali intransigenti come Chiurco, contrari a mediazioni che limitassero la forza rinnovatrice fascista, distinsero la propria attività per un doppio crisma culturale e politico, conoscendo convergenze e divergenze rispetto alle correnti dominanti.[6] Non ci sono soltanto opportunismo e spirito conformista nelle proposte del medico istriano, pronto a formulare idee e difendere le proprie posizioni, se ritenute meritevoli, anche quando difformi dagli orientamenti del regime. A rendere Chiurco un intellettuale militante, nel significato più letterale del termine, è la natura totalizzante della sua adesione al regime, che ne fa uno scienziato, medico e autore vissuto nel fascismo e del fascismo, criticandone talvolta decisioni e orientamenti, ma condividendone il progetto complessivo.
La produzione letteraria dell’istriano può essere ricompresa nelle due macrocategorie degli scritti scientifici e delle opere a carattere cronistico-letterario dedicate al fascismo rivoluzionario e ai suoi martiri. Una distinzione – come vedremo – comunque non priva di punti d’incontro, riflesso tanto del ricordato eclettismo dell’autore, quanto del progressivo prevalere del Chiurco politico rispetto allo scienziato. Gli scritti razzisti degli anni Trenta, piegati alle necessità della pseudoscienza di regime, sono in tal senso indicativi della politicizzazione di tutta la produzione letteraria dell’istriano, il quale appartenne alla cosiddetta «industria culturale» tratteggiata da Gabriele Turi, formata dall’insieme degli intellettuali di regime. Al centro di tale produzione, indipendentemente dalle singole aree di interesse, rimasero sempre la costruzione dello Stato nuovo e di una nuova generazione di italiani, i «fascisti integrali» evocati da Mussolini.[7] Il concetto dell’italiano nuovo ricorre tanto negli scritti scientifici, quanto nella produzione cronistico-letteraria del medico istriano, sempre attento a temi quali l’educazione dei giovani, lo sport, l’eugenetica, la salvaguardia della sanità razziale.
Nell’ottica del regime, le nuove generazioni dovevano essere innanzitutto numerose, in salute e fisicamente prestanti, motivo per cui la medicina divenne una pratica «con etichetta nazionalistica e marchio fascista», come scritto da Giorgio Cosmacini.[8] Il regime sottopose la disciplina all’influenza dell’autorità politica, facendo dei medici i “sacerdoti” del progetto mussoliniano di ingegneria sociale, incaricandoli di salvaguardare la salute fisica e morale della popolazione, di «abituare gli italiani al moto, all’aria libera, alla ginnastica ed anche allo sport».[9] Nel 1921, Chiurco vedeva negli squadristi i protagonisti di una nuova era, «gli eletti, gli aristocratici del pensiero e dell’azione predestinati al comando da Dio e dalla patria». Per un corretto sviluppo dei giovani risultava fondamentale la «forza, equilibrio, volontà, disciplina che solo una razionale educazione fisica può dare».[10]
L’evoluzione del concetto di uomo nuovo ricalca nel pensiero di Chiurco la cronologia tracciata da Emilio Gentile, per cui a cavallo tra gli anni Venti e Trenta l’attenzione si concentra sul potenziamento fisico e demografico della popolazione, con l’emergere dell’imperialismo e del razzismo quali fattori di rilievo nel dibattito. Nel Manuale di cultura fascista del 1930, l’autore inseriva le politiche demografiche tra «i principi basilari del Fascismo nei riguardi della tutela fisica e morale della razza», vedendo nella crescita della popolazione «uno dei mezzi più efficaci per la sua valorizzazione ed espansione materiale e spirituale nel mondo».[11] Al numero doveva seguire la qualità, assicurata dallo sviluppo di qualità fisiche e mentali, favorite da politiche volte ad «accrescere la validità, l’energia e la resistenza morale e fisica del giovane», facendone un «cittadino soldato» e un cittadino-produttore.[12] Con la proclamazione dell’impero alla metà degli anni Trenta, alla formazione delle nuove generazioni si aggiunse il problema della loro protezione dal rischio di incroci genetici con le popolazioni indigene, la mescolanza con le quali rappresentava «sia per ragioni sanitarie e biologiche, che per la dignità della razza, un grave pericolo per il popolo italiano colonizzatore». Per questo motivo, diventava «un dovere della nostra dignità imperiale» la «formazione di una coscienza razziale per difendere la razza italica da qualsiasi imbastardimento», ricorrendo a leggi che «impediscono il mescolamento di italiani con indigeni».[13]
Al problema della preservazione si affiancava quello dell’educazione. Per questo motivo, il regime varò dagli anni Venti quello che Luca La Rovere ha definito «il più importante esperimento di pedagogia politica di massa mai tentato nella storia nazionale italiana».[14] L’educazione morale doveva riguardare il senso di disciplina e la fedeltà all’idea, per cui sui fascisti, secondo i postulati di Arnaldo Mussolini, incombeva «il dovere di essere, nella vita nazionale, sempre i primi, vigili contro gli avversari» ma anche pronti «a volgarizzare i postulati», a «tesserli ed a viverli nelle manifestazioni di ogni giorno».[15] Fascismo, aggiungeva Chiurco, significava «soprattutto spirito di abnegazione ed assoluta e cieca disciplina», poiché «il fascista deve essere in prima linea puro e senza macchia».[16] Nei manuali scolastici curati tra il 1930 e il 1934, l’istriano dedicò ampio spazio ai «doveri del cittadino verso la famiglia e verso la patria», sostenendo che ogni buon italiano «sentirà, e praticherà, prima di ogni altro, il dovere dell’ordine e della disciplina», poiché «dall’uno e dall’altra scaturiscono il rispetto delle leggi, il sentimento della gerarchia, l’ossequio all’Autorità».[17]
È infine evidente l’intento educativo della Storia della rivoluzione fascista. Non a caso, Mussolini medesimo, nel proprio Invito alla lettura, incluse tra i principali destinatari dell’opera «i giovani delle più fresche generazioni», che attraverso l’opera «impareranno a venerare i segni del Littorio e a rispettare i veterani che fecero la Guerra e la Rivoluzione».[18] La funzione didattica della Storia fu sottolineata da numerose riviste del tempo, con Carlo Capasso che la definì «una vera scuola per le generazioni nuove»,[19] mentre il periodico del ministero della Pubblica Istruzione, Accademie e Biblioteche d’Italia, inserì i volumi del Chiurco tra le opere che «inizieranno il giovine alla meditazione degli avvenimenti storici».[20] Pure i fuoriusciti antifascisti intuirono l’intento pedagogico di quella che definirono «una storia del fascismo ad uso dei balilla», e pur criticando l’opera e lo stile prolisso dell’autore, riconobbero come il poter disporre di «un’organizzazione di massa, inquadrata da migliaia di cavalier Chiurco» costituisse un punto di forza dell’Italia mussoliniana.[21]
Tramite l’apparato propagandistico fascista, la Storia divenne un testo importante per il progetto di rinnovamento nazionale, una presenza immancabile tra gli scaffali di biblioteche, circoli di lettura, scuole di ogni grado e tipologia, nonché dono per gli studenti che maggiormente si fossero distinti nell’apprendimento, i quali «nell’esempio dei pionieri della rigenerazione della patria» avrebbero trovato «i migliori esemplari per la loro formazione spirituale».[22]
[1] F. Perfetti (a cura di), Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 402-3.
[2] A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2011, p. 225.
[3] E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, Roma 2008 (ed. orig. 1995). In generale, R. Ben-Ghiat, La cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2000.
[4] M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Einaudi, Torino 1979.
[5] S. Luzzatto, The Political Culture of Fascist Italy, in Contemporary European History, vol. 8, 2, 1999, p. 322.
[6] A. Tarquini, Storia della cultura fascista, cit., pp. 86-89, 228-29.
[7] G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 21. Sul tema, E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 235-64; P. Bernhard, L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo. La costruzione di un progetto totalitario, Viella, Roma 2017.
[8] G. Cosmacini, Medici e medicina durante il fascismo, Pantarei, Milano 2019, p. 65. In riferimento al ruolo dei medici nel regime, R. Maiocchi, Scienza e fascismo, Carocci, Roma 2004, pp. 140-54.
[9] Discorso ai medici del novembre 1931, in E. e D. Susmel (a cura di), Opera Omnia, vol. 25, La Fenice, Firenze 1956, pp. 58-62. Circa la funzione educatrice dello sport, P. Dogliani, Educazione fisica, sport nella costruzione dell’«uomo nuovo», in P. Bernhard, L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo, cit., pp. 143-55.
[10] Lo squadrista incarnò il mito fascista dell’italiano nuovo, E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 245-48. Per le citazioni cfr. L’inchiesta fascista sui fatti di Roccastrada, in L’Era Nuova, 30 luglio 1921; Fascismo ed educazione Fisica, in La Scure, 24 giugno 1922.
[11] G.A. Chiurco, Manuale di cultura fascista, Morano, Napoli 1930, pp. 89-90.
[12] Id., L’educazione fisica nello Stato fascista. Fisiologia e patologia chirurgica dello sport, San Bernardino, Siena 1935, p. 7. Il modello di “cittadino-soldato” è posto al centro della pedagogia totalitaria del regime dalla seconda metà degli anni Venti.
[13] Id., La sanità delle razze nell’Impero italiano, Istituto Fascista dell’Africa Italiana, Roma 1940, pp. 1049-50.
[14] L. La Rovere, Totalitarian Pedagogy and the Italian Youth, in J. Dagnino, M. Feldman, P. Stocker (a cura di), The “New Man” in Radical Right Ideology and Practice. 1919-1945, Bloomsbury Academic, London 2018, p. 21. La traduzione è mia.
[15] A. Mussolini, Fascismo e civiltà, Hoepli, Milano 1937, pp. 134-35.
[16] G.A. Chiurco, Comandamento del fascista: onestà e disciplina, in Il Popolo Senese, 3 gennaio 1929.
[17] Id., Elementi di cultura fascista, Morano, Napoli 1934, p. 94.
[18] B. Mussolini, Invito alla lettura, in G.A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol. 1, Vallecchi, Firenze 1929, pp. VII-VIII.
[19] C. Capasso, Storia della rivoluzione fascista di G.A. Chiurco, in Bibliografia fascista, 7, 1929, pp. 1-3. Capasso fu docente scolastico, studioso di didattica e professore universitario.
[20] G. Ruberti, Libri per una vita intera, in Accademie e Biblioteche d’Italia, 1, 1929, pp. 50-58.
[21] S. T., Una storia del fascismo ad uso dei balilla, in Lo Stato Operaio, 8, 1929, pp. 706-11.
[22] La citazione è di Ruggero Romano, deputato fascista dal 1924 al 1939, durante una cerimonia ufficiale a Noto, cfr. C. Sgroi (a cura di), R. Liceo-Ginnasio «A. Di Rudinì» di Noto. Annuario Scolastico 1929-1930, Studio Editoriale Moderno, Catania 1931, p. 22.
“Il colonialismo degli italiani. Storia di un’ideologia” – presentazione del libro di E. Ertola

6 luglio 2023, ore 17.30 – Parco Di Monteoliveto Pistoia
Presentazione del libro “Il colonialismo degli italiani. Storia di un’ideologia” di Emanuele Ertola
Coordina Chiara Martinelli
Presenta il libro Giovanni Contini Bonacossi
Sarà presente l’autore
Pistoia Docufilm Festival | Geografie Umane: storie di comunità

Tre documentari che raccontano storie di comunità. Esperienze provenienti da tutta Italia, da Sud a Nord, storie di entusiasmo e di resilienza, di sfide, conflitti e progressi, che hanno lasciato un’impronta duratura sulla storia collettiva.
Lunedì 3 luglio
La giunta [Scippa, 2022, 78′]
Napoli 1975, Maurizio Valenzi diventa il primo sindaco comunista della più grande città del Sud Italia. Il film racconta la storia del gruppo di militanti che ha reso possibile questa vittoria credendo in una politica capace di riformare la società. Discuteremo del film con il regista e con Tommaso Nencioni, storico contemporaneo.
Lunedì 10 luglio
Le Chiavi di una storia [Micali, 2022, 80′]
Firenze 1968, l’Italia è sull’onda del boom economico e la Chiesa cattolica ha vissuto la grande riforma del Concilio Vaticano II. Intorno ad una piccola chiesa nel quartiere periferico dell’Isolotto nasce un’esperienza di comunità che diventerà famosa in tutto il mondo. Discuteremo del film con il regista, alcuni membri della comunità e Francesca Perugi, storica contemporanea.
Lunedì 17 luglio
Po [Segre, 2022, 90′].
Polesine 1951, il fiume Po rompe gli argini e tutta la pianura viene sommersa dall’acqua. In un’Italia ancora devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, in una delle aree più povere del Paese, migliaia di persone si ritrovano senza niente, costrette a lasciare la propria casa. Un’epopea di resilienza collettiva. Discuteremo del film con Friday for future Pistoia, con Roberta Biasillo e Omar Salani Favaro, storici contemporanei.
Arena cinema di porta al borgo
ingresso gratuito
Inizio proiezioni 21.45
Pian d’Albero, domenica 25 giugno la celebrazione in ricordo dell’eccidio
Il 20 giugno sono ricorsi i 79 anni dall’eccidio di Pian d’Albero, avvenuto alle soglie dell’estate del 1944, che costò la vita a 39 persone.
La cerimonia ufficiale in ricordo di quanto successe allora si svolgerà domenica 25 giugno.
Alle 8.30 a Pian d’Albero si comincerà con la cerimonia civile e la deposizione di una corona nei pressi del casolare della famiglia Cavicchi, che venne attaccato dai tedeschi perché rifugio dei partigiani della 22ª bis Brigata d’Assalto Garibaldi “Sinigaglia”.
Alle 10 a Sant’Andrea in Campiglia, nel luogo in cui furono impiccate 19 persone tra cui il giovanissimo Aronne Cavicchi, ci sarà invece, oltre alla deposizione delle corone, anche la celebrazione religiosa cui seguiranno gli interventi di Federico Cecoro, presidente del consiglio comunale di Figline e Incisa Valdarno, di Gloria Mugnai per l’Anpi sez. Aronne Cavicchi di Figline e Incisa Valdarno, di Rachel Rennie in rappresentanza dell’associazione “The Black Watch” (Royal Highland Regiment), il reggimento scozzese che partecipò alla battaglia sulla vicina collina di Monte Scalari in quella stessa estate del ’44, e infine di Giulia Mugnai, sindaca del Comune di Figline e Incisa Valdarno.
L’accompagnamento musicale sarà a cura della Corale Alessandri dell’Associazione Scuola di Musica Schumann.
La mattinata si concluderà poi presso la Sede Gaib di Ponte agli Stolli dove si svolgerà il pranzo sociale (prenotazioni entro mercoledì 21 giugno: 328.0253309 – 338.3097577).
“I luoghi di don Milani” a Calenzano

Lunedì 26 giugno (Anniversario della morte di don Milani) alle 18, in piazza San Donato, si terrà l’inaugurazione de “I luoghi di don Milani a Calenzano”
Sarà presentato il progetto dell’itinerario che, con cartelli esplicativi, racconta le tracce concrete degli anni di don Milani a Calenzano, in modo da far conoscere la sua figura ai calenzanesi e a chi visita la città. Dalla Scuola popolare alla casa della vedova Marcella costruita insieme ai ragazzi, passando per la cappellina alla Chiusa. In collaborazione con ass.ne Gruppo don Milani Odv Calenzano.