Licio Nencetti (1926-1944)

Fra coloro che presero parte alla Resistenza non vi furono solamente individui spinti da autentici e solidi ideali di libertà, ma anche persone motivate da ragioni all’apparenza meno nobili e genuine. Nel corso dell’occupazione vi fu chi aderì alla lotta armata per spirito d’avventura, per poi ritornare rapidamente alla vita di tutti i giorni dopo aver scoperto i disagi della vita del ribelle, oppure chi partecipò per opportunismo, ritenendo la vittoria alleata ormai imminente o chi preferì entrare nelle formazioni partigiane piuttosto che arruolarsi nella Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Certamente il diciassettenne Licio Nencetti, nato a Lucignano in Val di Chiana il 31 marzo del 1926, non rientrava all’interno di queste categorie. A differenza di molti altri il giorno dell’armistizio (8 settembre 1943) non lo colse impreparato e non generò in lui alcun dubbio in merito alla decisione da dover prendere: il ragazzo, nonostante la giovane età, aveva da tempo maturato una scelta ed aveva ben chiaro il mondo che avrebbe voluto che sorgesse dopo la conclusione della guerra.

A contribuire a questa rapida presa di coscienza avevano avuto un ruolo di fondamentale importanza i genitori: dalla madre aveva appreso l’importanza dei valori cristiani, come l’amore e l’altruismo nei confronti del prossimo, mentre dal padre aveva imparato a non piegarsi di fronte alle ingiustizie e a mantenere una propria libertà di pensiero. Con l’ascesa del fascismo iniziò per la famiglia Nencetti un periodo di declino: tra gli anni Venti e Trenta vennero ripetutamente colpiti da malattie che talora si rivelarono mortali, mentre il padre venne perseguitato a più riprese dai fascisti locali per le sue idee politiche. Numerosi furono i casi nei quali Silvio Nencetti venne maltrattato e intimorito; in un’occasione lo spavento fu tale che egli da quel giorno vide la propria salute peggiorare gradualmente e “per sette anni non fu più lui, una malattia lenta lo prese[1]. Nella seconda metà degli anni Trenta vi fu l’apice delle disavventure della famiglia con la morte tra il 1935 e il 1937 della sorella minore e del padre. In questo frangente Licio e la madre si trovarono costretti a dover fronteggiare una situazione complicata, cercando di garantire al contempo la sopravvivenza del nucleo e pagare le spese mediche necessarie per curare l’unica sorella rimasta in vita. Licio iniziò ad affiancare allo studio qualche lavoro, ma i soldi che riusciva a guadagnare non erano sufficienti per il loro sostentamento, allora iniziò ad ingegnarsi per avere un guadagno maggiore, inviando i suoi disegni al Comune, che inizialmente li accettava e puntualmente li rigettava quando venivano a conoscenza delle idee politiche del defunto padre[2].

 

Rita e Silvio Nencetti con le figlie Irma e Lilia

 

Questo momento invece che demoralizzarlo e renderlo passivo aumentò in lui l’avversione nei confronti del regime. Negli anni Licio seguì le orme del padre e sviluppò una coscienza antifascista che lo portò a stringere legami con gli oppositori del regime presenti nella provincia. Dopo l’armistizio il giovane fu tra i primi ad aderire alla Resistenza, abbandonando temporaneamente la Val di Chiana e dirigendosi frequentemente nel Casentino dove, nel frattempo, stavano sorgendo i primi gruppi partigiani. Nei primi mesi d’occupazione Licio mantenne una discreta libertà di movimento, facendo la spola tra le terre natale e la zona di Talla, recandosi talvolta a salutare clandestinamente la madre ormai rimasta sola dopo la morte nel 1942 dell’ultima sorella. Rispetto alla Valdichiana, prevalentemente pianeggiante e collinare, l’angusta vallata a nord di Arezzo offriva un terreno ideale per la lotta partigiana fatta di imboscate e di rapide fughe.

In una lettera inviata alla madre il 9 novembre 1943 Licio le chiedeva perdono per le preoccupazioni che le procurava con tale scelta, ma al contempo non rinnegava la propria decisione, descrivendola alla stregua di un evento ineludibile: “Io non potevo più stare quassù in mezzo a una masnada di vigliacchi, lo vado con i ribelli per difendere l’idea di mio padre che è sempre viva in me e per ridare ancora una volta l’onore alla mia bella Patria. Mamma non piangere perché io presto tornerò e poi perché devi piangere se sai che tuo figlio è a combattere per un’idea leale e giusta[3]”. Malgrado la forte emozione Licio in questa prima comunicazione evidenziava una notevole lucidità che sarebbe poi emersa nella lotta dei mesi successivi: “Non dire a nessuno che io sono con i ribelli perché faresti la mia perdita e quella dei miei compagni. Di a chi ti domanda di me che io sono da Tullio[4]”.

 

Licio con la Madre Rita

Due biglietti che Licio e la madre si scambiarono segretamente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nonostante non avesse ancora raggiunto la maggior età Licio venne nominato dai suoi compagni comandante della formazione attiva nella zona di Talla. Tutte le testimonianze riguardanti la sua figura concordano nell’attribuire al giovane un carisma ed una determinazione inusuali per un ragazzo della sua età. Il partigiano Raffaello Sacconi lo ricorda in questo modo: “Mi fece subito una buona impressione: viso aperto, simpatico, occhi vivacissimi. Mi colpì specialmente la sua insofferenza per l’inazione cui eravamo costretti, in attesa di organizzarci per cominciare la lotta contro i fascisti e i tedeschi[5]. Malgrado la naturale inesperienza Licio emanava una notevole sicurezza, e quando vi fu da scegliere a quale formazione fornire del materiale bellico, di fondamentale importanza, arrivato nel febbraio 1944, Sacconi ricorda che “non ebbi alcuna titubanza ad assegnare al suo gruppo una delle due mitragliatrici di cui disponevamo. Sapevo di affidarla in buone mani[6]. Ad accrescere l’ascendente nei confronti dei compagni contribuiva il coraggio che il giovane metteva in ogni operazione, portandolo ad essere sempre in prima linea.

Il gruppo guidato da Licio si differenziava per alcuni aspetti dalle altre formazioni che operavano nel Casentino. In primo luogo, il comandante della formazione non era stato un militare e non aveva nessun tipo di esperienza bellica, questo determinava all’interno del gruppo l’assenza di una rigida gerarchia e la presenza di un rapporto maggiormente democratico, improntato sul confronto e il dibattito tra i membri. In secondo luogo, la formazione era composta da ragazzi particolarmente giovani, dediti ad azioni fulminee e rischiose. Questa caratteristica portò alcuni a ribattezzare la formazione la “squadra volante”; come ricorda Domenico Peruzzi, uno dei principali componenti del gruppo, erano soliti compiere azioni rapidissime: giungevano nella zona delle operazioni all’imbrunire e alle prime luci del giorno dopo erano già in montagna a diverse decine di chilometri di distanza[7]. Dopo i primi mesi di lotta i componenti del gruppo iniziarono a chiamarsi la “Teppa” come scherno agli appellativi che le autorità fasciste utilizzavano per identificarli.

Nei primi mesi la formazione inquadrata all’interno del “Gruppo Casentino” (diverrà successivamente la XXIIIª Brigata “Pio Borri”) si occupò prevalentemente di questioni organizzative, impossessandosi di armi, materiali e viveri, senza però disdegnare allo stesso tempo la possibilità di compiere azioni di sabotaggio ai danni dei nazisti e dei fascisti che operavano nei loro territori. Ad esempio, il 4 novembre Licio ed altri tre compagni riempirono di sabbia i radiatori di alcune autocisterne che da Foiano erano dirette verso Cassino, rendendole inutilizzabili dopo pochi chilometri[8]. I ragazzi della “Teppa” si impegnarono anche nell’occultamento e nel sostentamento dei prigionieri Alleati fuggiti dai campi di detenzione della provincia di Arezzo e nel reclutamento dei soldati del disciolto Esercito sparsi per il Casentino.

Dal marzo 1944 i diversi gruppi aventi base territoriale si trasformarono in compagnie e gli ultimi partigiani che ancora vivevano con le loro famiglie abbandonarono le loro case e si diedero alla macchia nascondendosi sulle montagne. Il gruppo guidato da Licio divenne formalmente la IV Compagnia[9]. La disparità delle forze in campo obbligò i partigiani a compiere azioni di piccolo calibro: raramente miravano all’uccisione dei fascisti, puntando semmai al loro disarmo e al conseguente aumento dell’arsenale a loro disposizione. Al contempo lo scopo era anche quello di impressionare le popolazioni locali e di disorientare il nemico sulla reale entità del numero dei partigiani. Questo atteggiamento riuscì a fruttare alcuni risultati, obbligando le forze occupanti a dispiegare i soldati nelle zone nevralgiche e ad accompagnare i convogli che si muovevano sul territorio, costituendo in questo modo una continua minaccia per i nazifascisti. Rispetto alle altre unità operanti nella vallata i ragazzi della “Teppa” mantennero sempre una discreta indipendenza nei confronti degli altri gruppi casentinesi.

Dopo esser stato una spina nel fianco dei nazifascisti per tutta la primavera del 1944, il 24 maggio Licio venne catturato in località Bottigliana, sul versante casentinese del Pratomagno. Di ritorno da un incontro con alcuni esponenti della Resistenza, avvenuto sul massiccio, il comandante della “Teppa” venne accerchiato dagli uomini della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Dopo averlo disarmato i fascisti lo obbligarono a condurli nel punto dove era avvenuto l’incontro: facendosi scudo con Licio gli uomini arrivarono all’altezza dell’Uomo di Sasso, dove vennero investiti dal fuoco dei partigiani, che riuscirono successivamente a dileguarsi lungo le pendici del massiccio. La posizione di Licio era fortemente compromessa, venne trovato in possesso di armi e di documenti che riportavano le azioni svolte dalla sua formazione. Il comandante della “Teppa” venne dunque trasportato al Distretto Militare di Poppi, dove venne interrogato e torturato per diverse ore, ma nonostante le percosse e la promessa di avere salva la vita Licio non rivelò nulla ai suoi aguzzini[10].

La mattina del 26 maggio Licio venne trasportato a Talla e fucilato nella piazza principale. Il parroco, presente durante l’esecuzione, sostenne che dopo averlo confessato venne passato per le armi da un gruppo di repubblichini senza che vi fossero difficoltà nello svolgimento delle operazioni[11]. Questa versione differisce invece dall’esposizione contenuta all’interno delle motivazioni per il conferimento della medaglia al valore conferita a Licio nel 1990: il documento sostiene che il plotone di fronte alla solennità e alla fermezza tenute dal comandante durante la fucilazione non eseguì l’ordine e che fu lo stesso tenente Sorrentino ad occuparsi personalmente dell’uccisione sparandogli in bocca[12]. Ancora oggi non sappiamo a quale versione fare riferimento, se credere alla dichiarazione che il parroco rilasciò al Sacconi, oppure attenersi alle motivazioni per il conferimento della medaglia. Certamente durante la fucilazione perse la vita anche il giovane Marcello Baldi, colpito da un proiettile vagante mentre si affacciava dalla chiesa incuriosito dal trambusto.

Anche per quanto riguarda la cattura sono presenti due versioni in netto contrasto tra loro. I compagni di Licio hanno sempre sostenuto che l’arresto del loro comandante fosse dovuto ad una delazione compiuta da parte dei Versari, padre e figlio e del loro compaesano Brucche. Certi della loro colpevolezza i membri della “Teppa” giustiziarono pochi giorni dopo Giuseppe Versari e Brucche, mentre il figlio, Virgilio, riuscì a fuggire[13]. A porre in dubbio la solidità di tale interpretazione hanno contribuito nel corso del dopoguerra le dichiarazioni rilasciate da parte di Salvatore Vecchioni, comandante della 2ª compagnia della Brigata “Pio Borri” operante nel territorio di Partina. Dopo l’arresto di Licio, il Vecchioni fu l’unico che ebbe l’occasione di scambiare qualche parola con il comandante prima che questi venisse fucilato, visto che anch’egli era trattenuto presso il Distretto Militare di Poppi per un’altra vicenda. Alle domande del Vecchioni, in merito alla possibilità che vi fosse stato un tradimento, Licio rispose negativamente, affermando che non aveva avuto nessun tipo di presentimento e che non aveva sospetti. Inoltre è importante ricordare che i Versari militarono all’interno della Resistenza e che questi videro la loro casa bruciare ,con all’interno una delle loro mogli, dopo l’uccisione del repubblichino Mistretta[14]. Alla luce di questi elementi pure Raffaello Sacconi, che nel 1944 aveva sostenuto la colpevolezza dei Versari e di Brucche, ha progressivamente mutato le proprie convinzioni, sostenendo che un individuo lucido e sveglio come Licio si sarebbe certamente accorto che l’incontro sul Pratomagno non era altro che un’imboscata orchestrata ai suoi danni[15].

 

Salvatore Vecchioni, comandante della 2ª compagnia della Brigata “Pio Borri”

 

Ancora oggi, ad oltre ottant’anni di distanza dalla morte il nome di Licio riecheggia tra i monti del Casentino e le colline della Val di Chiana. La scomparsa del giovane partigiano non ha coinciso con la lenta e triste scomparsa della sua figura, ma ha combaciato semmai con la nascita e la diffusione di un mito utilizzato quale esempio di integrità e libertà. Percorrendo la provincia di Arezzo ci si imbatte in svariati luoghi intitolati alla memoria di Licio o che ricordano il suo sacrificio e quello dei suoi compagni attraverso targhe e monumenti: questo accade in prevalenza nelle aree dove i partigiani della “Teppa” operarono maggiormente, come la zona nei dintorni di Lucignano in Val di Chiana e nei pressi di Talla e Castel Focognano nel Casentino meridionale. A Lucignano, paese natale di Licio e di molti suoi compagni, è possibile ancora oggi poter vedere dall’esterno l’abitazione nella quale Licio nacque e dove è apposta una targa[16]. Sempre nello stesso comune è poi presente un monumento collocato nei giardini pubblici “Don Valentino della Mazza”: l’opera, dedicata ai partigiani Nencetti, Toti e Masini, raffigura probabilmente l’uccisione del comandante della “Teppa”, con un uomo con le mani legate dietro alla schiena che grida e un soldato che imbraccia un fucile[17]. Nonostante non fosse originario di Talla il comune ha poi intitola a Licio la piazza dove avvenne la fucilazione ed ha inserito il suo nome sul cippo che ricorda le vittime provenienti dal comune cadute durante il secondo conflitto mondiale[18].

 

L’abitazione dove è cresciuto Licio Nencetti                       

 

Monumento in ricordo dei partigiani Nencetti, Toti e Masini

 

Il cippo in ricordo delle vittime di Talla durante la Seconda guerra mondiale situato in piazza “Licio Nencetti”

 

Nell’area di Castel Focognano sono presenti invece alcune iscrizioni che testimoniano il buon rapporto che vi fu nel corso della guerra di Liberazione fra gli uomini della “Teppa” e le popolazioni della vallata. In una sorta di dialogo che non si è mai interrotto le targhe e i monumenti della zona sono un esplicito ringraziamento ai partigiani e ai civili per il contributo fornito durante il conflitto. Nella frazioni di Calleta e San Martino, appartenenti al comune di Castel Focognano, sono presenti due targhe molto interessanti, la prima certifica l’unione tra le due parti con la seguente frase “Qui a Caletta Licio Nencetti e i suoi ribelli trovarono gente amica che li ospitò, li curò e li sostenne condividendo con loro gli ideali e il rischio della vita[19], mentre la seconda, posta sulla facciata della chiesa di San Martino ricorda che in quel luogo gli uomini di Licio si recarono tra il febbraio e il maggio 1944 ad assistere alla messa domenicale[20]. A pochi chilometri di distanza, nel paese di Carda, troviamo infine un monumento interamente dedicato alle popolazioni della vallata, alle quali giunge il sentito ringraziamento dei ragazzi della “Teppa”[21]. Questi sono solamente alcuni degli indizi che testimoniano l’eccellente rapporto che vi fu tra i componenti della “squadra volante” e i civili durante il periodo dell’occupazione, un legame fondato sul reciproco sostegno.

 

La targa a Calleta

Lapide a Carda

 

Il nome di Licio non è stato solamente scolpito sulla pietra, ma è stato impresso e “inciso” nelle memorie delle persone anche attraverso un notevole numero di canzoni dedicategli. In particolar modo questi canti vennero ideati negli anni della lotta al nazifascismo o nel periodo immediatamente successivo alla liberazione, quando ancora il ricordo e il dolore della morte del giovane partigiano erano vivi tra le popolazioni, come nel caso del testo di Libero Vietti[22] o della canzone “La fucilazione del partigiano Licio Nencetti” attribuita a un poeta di nome Casini[23]. Il repertorio non si limita solamente alla seconda metà del Novecento, ma trova anche una sua realizzazione più contemporanea nella canzone realizzata nel 2005 dai Casa del Vento un gruppo combat folk aretino[24].

Come spesso è avvenuto nel corso della Liberazione la formazione assunse il nome del defunto comandante, l’aspetto però probabilmente più curioso ed affascinante legato alla figura di Licio nasce da una promessa che i ragazzi della “Teppa” fecero dopo la scomparsa del loro leader: provati e traumatizzati i giovani giurarono che avrebbero chiamato almeno uno dei loro figli con il nome di Licia o di Licio.  I componenti della formazione mantennero l’impegno, e ancora oggi, a diversi anni di distanza, sono numerose le persone che in provincia di Arezzo continuano a portare tale nome in ricordo del comandante della “Teppa”.

 

Note:

[1] S. Mugnai (a cura di), Madre di partigiano. Il diario di Rita Nencetti, Comune di Lucignano, Roma 1984, p. 29.

[2] Ivi, pp. 41-42.

[3] Lettera inviata da Licio Nencetti alla madre Rita il 9 novembre 1943, https://memoria.provincia.arezzo.it/biografie/licio_nencetti_corrispondenza1.asp.

[4] Ibid.

[5] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, La Nuova Italia, Firenze 1975, p. 192.

[6] Ibid.

[7] Intervento di Domenico Peruzzi detto “Mireno” nel filmato Racconti di vita partigiana. La squadra volante de la “Teppa”, realizzato dalla Banca della Memoria del Casentino,  https://www.youtube.com/watch?v=AQMStAhI6jg&t=1066s.

[8] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, cit., p. 28.

[9] Ivi, pp. III-IV.

[10] Memoria scritta di Salvatore Vecchioni citata in ivi, pp. 195-196.

[11] Memoria scritta di don Gino Vignoli citata in ivi, pp. 84-85.

[12] Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, https://www.anpi.it/biografia/licio-nencetti.

[13] R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, cit., pp. 194-195. Nonostante siano passati diversi anni dall’accaduto nel filmato registrato dalla Banca della Memoria del Casentino i compagni di Licio continuano a sostenere che si fosse trattata di un’imboscata, https://www.youtube.com/watch?v=AQMStAhI6jg.

[14] Memoria scritta di Salvatore Vecchioni in R. Sacconi, Partigiani in Casentino e Val di Chiana, cit., pp. 195-198.

[15] Ivi, p. 199.

[16] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/lastra-commemorativa-a-licio-nencetti/.

[17] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-giardini-di-lucignano/.

[18] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/monumento-dedicato-a-licio-nencetti-a-talla/.

[19] MEMO, il progetto delle memorie, https://memo.anpi.it/monumenti/3794/lapide-a-nencetti/.

[20] MEMO, il progetto delle memorie, https://memo.anpi.it/monumenti/4172/lapide-a-nencetti/.

[21] Pietre della Memoria, https://www.pietredellamemoria.it/pietre/cippo-ai-partigiani-della-teppa-carda-di-castel-focognano/.

[22] https://memoria.provincia.arezzo.it/canti/canzoni/Libero%20Vietti%20-%20Canzone%20per%20Licio%20Nencetti.mp3.

[23] Il Deposito, Canzone su Licio Nencetti partigiano – Testo accordi e musica | ilDeposito.org.

[24] https://www.youtube.com/watch?v=Dzm53rjZa8U.

 

 

Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Consiglio regionale della Toscana nell’ambito del progetto per l’80° anniversario della Resistenza promosso e realizzato dall’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea.

Questo articolo è stato pubblicato nel novembre 2024