La vita quotidiana dei senesi durante il Secondo Conflitto Mondiale.

Il sogno di una guerra rapida e vittoriosa, promessa dal duce nel 1940, si rivelò presto una vana speranza e gli italiani pagarono a duro prezzo la scelta di Mussolini di condurre l’Italia nel conflitto, a causa delle privazioni dovute ai razionamenti e dei bombardamenti sulle principali città italiane, Siena compresa, da parte degli anglo-statunitensi.

Ben presto, i senesi poterono constatare lo stato di impreparazione della città, quindi iniziarono a temere per la loro sorte, soprattutto dopo l’occupazione nazista e la nascita della Repubblica sociale italiana nell’autunno 1943.

A Siena i rifugi erano insufficienti per proteggere l’intera popolazione dai bombardamenti, mancavano inoltre, nei primi tempi, le sirene sostituite dalle campane delle chiese cittadine. Un ruolo di rilievo fu svolto anche dalle Contrade, che chiamarono i loro tamburini perché avvertissero i senesi dei bombardamenti, ponendosi al centro del proprio rione.

Fino all’estate 1943 in città si respirò un clima di relativa tranquillità trasmessa dall’assenza dei bombardamenti e la popolazione dimostrava poca attenzione nei confronti delle indicazioni date dal comitato provinciale di protezione antiaerea. Le norme sull’oscuramento venivano ignorate dalla popolazione, infatti le abitazioni, le vetrine e le insegne dei negozi continuavano ad essere normalmente illuminate, mentre le biciclette circolavano senza la schermatura dei fari.

Il 9 dicembre 1943, i primi attacchi sulla provincia non sembrarono spaventare più di tanto la popolazione del capoluogo; quindi, la vita continuava a scorrere regolarmente e ciò avvenne fino al 23 gennaio 1944, data del primo bombardamento aereo su Siena.

Verso il mese di aprile si ruppero le sirene di allarme e si decise di avvertire la popolazione con il suono delle campane, ma non tutte le campane suonavano all’unisono; quindi, si scelse di far suonare prima quella del Duomo, ma alla pratica effettiva dell’11 aprile, si vide che il metodo non funzionava, perché anche la campana del Duomo suonava prima delle altre.

In seguito alle esequie delle vittime del bombardamento del 23 gennaio 1944 (avvenute

il 26 gennaio con grande partecipazione della popolazione senese e delle autorità cittadine) lo sgomento si diffuse. L’esperienza del bombardamento era stata traumatizzante per tutti e al dolore per la morte dei propri cari si aggiunse l’incredulità per un fatto che prima non si credeva immaginabile e che le autorità fasciste, locali e non soltanto, non avevano saputo affrontare in maniera adeguata.

Oltre a questo, un altro motivo di preoccupazione era il razionamento dei generi di prima necessità. All’inizio della guerra, gli italiani avevano conosciuto pochi razionamenti (come lo zucchero e il caffè), perché si credeva che la guerra sarebbe stata molto breve, ma ben presto la situazione cambiò.

Addirittura, il 4 marzo 1944 il capo della provincia di Siena, il medico e docente universitario Giorgio Alberto Chiurco, emanò un’ordinanza sulla base di un precedente decreto ministeriale del 9 febbraio 1942, relativa alla produzione e consumo della carta; si vietava così la pubblicazione di partecipazioni per i matrimoni, annunci di nascita e di morte. La disposizione, affissa ai muri, chiedeva alla popolazione di rispettare con rigore il provvedimento diffidando persino le tipografie.

 

Nel febbraio 1943, il Prefetto di Siena aveva già emanato un’altra ordinanza, per la quale sarebbe stata eseguita una «totalitaria e accurata vigilanza sulla confezione del pane», in ottemperanza ad un’ordinanza ministeriale del 28 novembre 1943. Su un esame di 30 campioni prelevati dai fornai, 16 corrispondevano ai parametri richiesti ma 14 risultavano difformi.

Ovviamente i razionamenti contribuirono a far allontanare la popolazione dal fascismo, aumentando la contrarietà della gente verso la guerra.

Da alcune lettere provenienti dal fondo della Censura, conservato presso l’Archivio di Stato di Siena, si può notare l’ostilità delle persone di fronte alla guerra, ostilità che cresceva via via, a partire dal 1943, abbandonando il tono cautamente ottimista delle prime settimane del 1941. Dalle lettere si possono notare molti aspetti della vita delle persone durante la guerra, con le relative difficoltà e preoccupazioni.

Molte lettere venivano inviate dai soldati al fronte e facevano capire quanto fosse dura la vita di guerra, al di là della propaganda portata avanti dal duce e dal fascismo. A titolo di esempio il carrista Romano Baruzzi, dalla Russia così scriveva, in data 25 ottobre 1941, al commilitone Dino Iacopetti, che si trovava a Siena.

«… ormai non facciamo più nulla perché il nostro gruppo è sfatto dopo tre mesi di campagna di Russia…»

Notizie come queste, anche se censurate, arrivavano anche tra le mura della città contribuendo a peggiorare ulteriormente il clima di apprensione generale.

 

[L’immagine di copertina del presente contributo è tratta da L. Luchini, Siena 1940-1944. Il dramma della guerra e la liberazione, il Leccio, Monteriggioni 2009]