Erminia Cremoni (1905-1956)

Erminia Cremoni

Erminia nasce a Livorno l’8 gennaio 1905 da una famiglia di modeste condizioni; si iscrive fin da piccola all’Azione cattolica, dedicandosi all’apostolato ed alle opere assistenziali.

Nel corso degli anni Trenta è esponente di un associazionismo cattolico che guarda con diffidenza al regime e che cerca di salvaguardare un’autonomia rispetto ai tentativi di controllo “totalitario” dell’educazione dei giovani. Partecipa all’Unione femminile cattolica, fondata dalla curia livornese nel 1932, così come ad altri gruppi, quali l’Unione donne cattoliche e la Gioventù femminile di Azione cattolica. Di quest’ultima associazione Erminia viene nominata presidente nel 1943, a fianco del sacerdote don Roberto Angeli. Si occupa tra l’altro della formazione delle operaie che lavorano nelle fabbriche livornesi e nei maggiori cantieri della città, come la Oto e la Motofides.

Nel periodo della Resistenza aderisce al movimento dei cristiano-sociali, fondato da don Angeli, che coniuga valori cattolici e idealità socialiste; esso entra a far parte del Comitato toscano di liberazione nazionale in collegamento col Partito d’Azione.

Erminia Cremoni e Emilio Angeli (©️Archivio Centro Studi Roberto Angeli)

Partecipa all’attività di assistenza a un gruppo di soldati italiani scampati alla cattura tedesca e rifugiati nei sotterranei dell’ospedale di Livorno. Collabora inoltre alla rete di soccorso ai perseguitati di origine ebraica: percorre una o due volte a settimana circa venti chilometri a piedi da Montenero, anche nel corso di allarmi e bombardamenti, per fornire rifornimenti ad un gruppo di ebrei nascosti in una palazzina di via Micali nella città labronica. Svolge un lavoro di sostegno materiale e spirituale ai partigiani cristiani, trasportando viveri, armi, medicine, materiali di propaganda. Sarà riconosciuta partigiana combattente nel servizio “I” (Informazioni) della Divisione “Giustizia e Libertà”.

Dopo la fine del conflitto Erminia prende l’abilitazione all’insegnamento della religione nelle scuole medie; continua a dedicarsi ad opere assistenziali e nel 1944 fonda e presiede la sezione livornese del Centro italiano femminile (CIF), organizzazione politica e ricreativa delle donne cattoliche. È successivamente eletta come consigliera di minoranza nelle liste della Democrazia cristiana in Consiglio comunale. Muore nel 1956.

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🟪Archivio ISRT, Fondo Clero toscano nella Resistenza, b. 6, f. Livorno, testimonianza dattiloscritta di Erminia Cremoni, s.d. ma fine anni Quaranta – primi anni Cinquanta.

Nel 1943, quando cominciarono a delinearsi a Livorno i primi movimenti antifascisti, collaborai alla diffusione di idee cristiane sociali.
Dopo l’8 settembre aiutai diversi soldati italiani nel loro tentativo di sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi. Si nascosero nei sotterranei dell’ospedale civile di Livorno con rifornimento di viveri, denari e abiti civili ed un gruppo di marinai catturati nell’isola d’Elba. Lavoro difficile perché si doveva agire sotto la sorveglianza delle sentinelle tedesche ed uscire insieme – magari a braccetto – per accompagnarli oltre la città. Possono essere testimone di questo Amalia ed alcune infermiere dell’ospedale.

Venuto l’ordine di evacuazione della città rimasero senza casa un gruppo di circa 15 ebrei poveri, malati, vecchi e bambini dell’ospedale israelitico. Insieme a don Angeli e don Spaggiari procurammo di venire il loro soccorso moralmente e materialmente – con visite periodiche – fino al giugno 1944. Il pericolo cui andavo incontro era grave perché si sapeva quanto gli ebrei erano sorvegliati. Le visite si facevano uno o due volte la settimana e si andava in città – via Micali – da Montenero quasi sempre a piedi andare e venire. Circa 20 km con allarmi continui e più volte sono stata presa dai bombardamenti. In questo tempo si era nascosto anche un medico di Modena – straniero ed ebreo – al sanatorio Villa Corridi, ed anche per lui si faceva tutto quello che era possibile. Dopo l’arresto di don Angeli che guidava questo lavoro – fu arrestato 17 maggio 1944 – fui costretta a non venire più in città perché mi avevano segretamente avvertito che avevo pronto il mandato di cattura. Per questo chiedere informazioni all’avvocato Funaro di Livorno. Contemporaneamente ero in stretta collaborazione con il gruppo della resistenza cristiana […] e mi prestavo ospitando in casa alcuni dei capi della resistenza[:] Benetti, Pagani, alcuni sacerdoti Enriquez medaglia d’oro […],1 Don Angeli, il “nonnino” Angeli Emilio,2 medaglia di argento, Orlandini, Merlini, Figara, il capitano Pini, ed altri dei quali non si poteva sapere il nome. Mi prestavo per il trasporto dei medicinali, viveri, armi, proiettili, lettere, diffusioni giornali, documenti falsi, carte di identità false con relative tessere del pane. La famiglia Pagani può testimoniare.

Erminia Cremoni

Nel novembre del 1943, per incarico del “nonnino” Emilio Angeli […andai] a Castagneto nel Mugello per la ricerca di prigionieri inglesi e per fornire collegamenti a nuclei partigiani della Resistenza che abitavano in quella zona. Andai a Vicchio, Dicomano e nei pressi del Monte Falterona con il pericolo di essere arrestata dai tedeschi che si trovavano ovunque e fermavano le persone chiedendo spiegazioni e documenti. Viaggiavo con dei libri di propaganda dell’Azione cattolica perché sarei in quel caso stata la “propagandista”. Quando dovevo passare davanti ai posti di blocco tedeschi, il cuore mi sembrava che si fermasse. In queste occasioni scrivevo nomi e dati in carta velina che nascondevo in mezzo all’ovatta della giacca. A Castagno fui ospite in casa del mugnaio che aveva una figlia che faceva da collegamento tra la montagna ed il paese. Anche questo dopo poco [fu] arrestato. Seppi dopo, e a Livorno e fuori, di aver avuto contatto con [persone] formidabili, specialmente donne.
Nel giugno [1944], si avvicinavano gli americani, cominciarono le razzie di uomini da parte dei tedeschi nella zona di Montenero dove abitavo, Villa Todda, e ad Antignano dove mi ricavo ogni giorno perché mi ero impiegata. Mi riuscì a nascondere alcuni uomini e fornire a loro e ad altre ville vicine un serrato servizio di informazioni sui movimenti delle SS. Mi chiamavano “il Gazzettino” – alcuni riuscirono a fuggire –. Il cerchio si stringeva sempre di più, il mio ufficio, il consorzio agrario, chiuse e così iniziò quel terribile periodo di terrore per l’avanzata [americana?] che tartassava la zona di proiettili a pioggia continua e per la caccia all’uomo delle SS. Fu in uno di questi terribili giorni, non riuscivo a stare chiusa in casa, che stando distesa dietro un muretto del giardino per non essere colpita alla testa sentii un [latrato?]. Mi dirigevo verso quel punto ma un tedesco mi aveva veduta e la mitragliatrice intensificò la sua mira, avanzando strisciando a zig-zag per terra arrivai al punto dove sentivo il latrato e trovai un giovane ferito gravemente al basso ventre. Andai a chiamare il medico che si rifiutò di venire, allora presi una cassetta di medicinali e come potei disinfettai tutta la zona, era in un lago di sangue, lo fasciai stretto, poi lo trascinai sempre strisciando per terra dietro un pagliaio. Ma eravamo di nuovo presi di mira e le pallottole piovevano e ripassavano sopra le nostre teste. Non abbandonai il ferito finché non lo misi in una boscaglia, indicandogli una casa dove poteva nascondersi. Seppi che fu poi portato all’ospedale, fu operato e salvato.
Offrii per qualche mese ospitalità a don Angeli finché fu arrestato e deportato nei campi di concentramento della Germania.
Questo è ciò che ricordo.