Anna Fondi (1924-2013)

Anna Fonti (©️Archivio Fondazione CDSE)

Nata il 19 gennaio 1924 a Prato, Anna Fondi abita in via del Cilianuzzo con la madre, il padre, un fervente antifascista, il fratello Giovanni (nato nel 1926), il nonno e la nonna.

A scuola è un’allieva brillante: ama studiare e leggere, vince molti premi, è spesso lodata dagli insegnanti. Tuttavia, per motivi economici, è costretta a interrompere gli studi dopo la quinta elementare. Durante questo periodo partecipa ad un solo saggio ginnico, perché il padre non vuole farle indossare la divisa da Piccola italiana.

A 12 anni e mezzo inizia a fare l’operaia nello stabilimento tessile del Fabbricone. Qui entra in contatto con altri antifascisti che, insieme al padre, contribuiscono a formare le sue idee.

Nel marzo 1944, su ispirazione del PCI, viene organizzato nell’Italia occupata uno sciopero generale che invoca la fine della guerra e un miglioramento delle condizioni economiche e alimentari. Questo atto di resistenza ha come epicentri le città di Milano e Torino, ma significativa è anche la partecipazione in Toscana, specie a Firenze, Prato ed Empoli. Anna partecipa attivamente, anche perché il padre è tra gli organizzatori. In fabbrica prende contatto con altri antifascisti e contribuisce a informare i lavoratori sulle ragioni della protesta. Allo sciopero segue un’ondata repressiva, con l’arresto e la deportazione di oltre 330 uomini rastrellati in Toscana.

Dopo la fine della guerra non presenta domanda di riconoscimento dell’attività partigiana. Si iscrive al PCI e frequenta la scuola di partito a Reggio Emilia per tre mesi; terminata l’esperienza, lascia la fabbrica e diventa responsabile femminile delle donne del PCI. Sposatasi nel 1951 con il sindacalista Bruno Fattori, nel 1958 rimane vedova con una bambina piccola.

Dai primi anni Cinquanta Anna ricopre diversi ruoli: lavora alla Camera del lavoro pratese, è consigliera comunale e assessora ai Servizi sociali; si impegna in particolar modo per l’istituzione di asili nido, per l’inserimento di persone con disabilità, per la creazione di servizi di assistenza domiciliare agli anziani. Dopo la pensione crea, insieme ad Eliana Monarca, l’Università della terza età, poi rinominata Università del tempo libero.

Nel 1998 le vengono consegnate la chiave d’oro e il premio “Città delle donne” dalla città di Prato per il suo impegno politico e sociale.

Anna Fonti (©️Archivio Fondazione CDSE)

__________

Intervista in: L. Antonelli, “Voci dalla storia. Le donne della Resistenza in Toscana tra storie di vita e percorsi di emancipazione“, Prato, Pentalinea, 2006, pp. 611-5

– Suo padre era originario di Prato?
– Il babbo era originario di Pistoia ed era venuto a Prato finita la Prima guerra mondiale dopo essere stato tanti anni in Svizzera a lavorare in miniera. A Prato era venuto grazie ad un amico conosciuto in guerra che l’aveva ospitato e in via Filicaia conobbe la mia mamma. Io da quando ho incominciato a capire qualcosa ho capito che il babbo era nell’antifascismo. Fecero una retata […] vicino a Montemurlo, quella strada che va a Albiano, ad un certo punto c’era una vecchia trattoria e lì si riuniva un gruppo di antifascisti. Tra loro s’era intrufolata una spia, ma loro avevan l’accortezza di non si chiamare per nome, di non dire dove stavano di casa perché avevano sempre timore. Quindi questa spia parlò e fece arrestare tutt’il gruppo, il Vanni, il Brunini, il Bellandi, tutt’il gruppo del mi’ babbo. La spia continuava a dire che c’era anche un forestiero nel gruppo perché il mì babbo che era stato dieci anni in Svizzera non parlava pratese, però il nome di questo forestiero non lo sapeva quindi il babbo fu l’unico di questo gruppo a salvarsi dall’arresto. Ho sempre avvertito l’antifascismo del babbo da quando ho cominciato a capire qualcosa, per esempio non m’ha mai voluto far vestire da Piccola italiana, diceva che s’aveva tanta miseria e non si poteva e aveva ragione, però…
Io avevo una maestra straordinaria, aveva capito la situazione di casa nostra e quindi non mi obbligava a vestirmi da Piccola italiana, soltanto una volta qualcuno mi prestò il vestitino perché c’era un saggio ginnico all’Ippodromo. Capivo che il babbo trovava dei pretesti, a me sarebbe tanto piaciuto in realtà vestirmi come le altre bambine. Insomma quest’atmosfera si viveva. […]
Il babbo era uno degli organizzatori dello sciopero del ’44, le riunioni le facevano a Narnali sicché una sera il babbo tornò con tutti i volantini da portare la mattina davanti alle fabbriche. Allora io sapendo che dovevo fare sciopero, presi contatto con questi compagni antifascisti di fabbrica, si parlò con tutti i lavoratori perché la gente aveva voglia che finisse la guerra, non aveva da mangiare, erano momenti drammatici. Allora tutti i lavoratori di Prato il sette, l’otto marzo fermarono le macchine, si rimase un paio di giorni a casa, poi il babbo mi disse: “C’è arrivato l’ordine ora si può rientrare, ma non lavorare”. Si rientra in fabbrica e non si fa partire i telai e questo tutti, anche un fascista istupidito dalla paura.
La mattina del 25 luglio sto poer’omo che paura gl’ebbe. “Grullo” – gli si disse – tu sei un operaio, tu sei fascista pe’ i’ che,1 che ci s’arrabbia con te, che ci si piglia con uno sciagurato come te?” Quindi si calmò.
S’aveva i telai fermi, verso una cert’ora arrivano i fascisti co i’ mitra e ci obbligano a far partire le macchine, c’erano anche dei fascisti che conoscevo con i mitra che ci spingevano.
Quando c’era loro in fabbrica si doveva produrre, ma praticamente si stava in fabbrica per produrre per i tedeschi.